RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 26 ottobre 2015 la Corte di Appello di Ancora confermava la sentenza emessa il 16 maggio 2013 dal Tribunale di Fermo, con la quale R.C. era stato condannato alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione per il reato di bancarotta fraudolenta impropria per operazioni dolose, di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2, e art. 216, per avere, quale amministratore unico della (OMISSIS) s.r.l. (società avente ad oggetto la gestione di immobili di sua proprietà), dichiarata fallita in data (OMISSIS), prestato numerose fideiussioni nei confronti di istituti di credito, per ingenti importi a garanzia dei mutui e delle operazioni finanziarie posti in essere dal (OMISSIS) S.p.A., di cui l'imputato era ugualmente amministratore, cagionando in tal modo il fallimento della (OMISSIS) s.r.l. per effetto delle suddette operazioni dolose.
1.2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del proprio difensore di fiducia, affidandosi a due motivi di ricorso, con i quali lamenta:
- con il primo motivo, la violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all'art. 192 c.p.p., avendo i giudici d'appello adottato una motivazione non rispondente ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui è stata fondata la decisione; la sentenza impugnata, invero, ha sostanzialmente replicato la motivazione della pronuncia del Tribunale di Fermo, richiamandola senza alcuna valutazione critica di essa, in relazione ed in risposta alle doglianze difensive e senza aggiungere alcun contributo o valutazione critica dei motivi di appello; in particolare, nessuna risposta è stata offerta in relazione alla circostanza che la concessione di fideiussioni - effettuata nell'arco di dieci anni - era espressamente prevista nell'oggetto sociale della fallita e che non vi è stata alcuna concreta contropartita economica; inoltre, del tutto carente sarebbe la valutazione economica della vicenda societaria ed in particolare degli effetti per entrambe le società della concessione di fideiussioni e da ultimo, del tutto carente, sarebbe la motivazione circa il dolo richiesto dalla fattispecie incriminatrice, alla luce soprattutto della condotta dell'imputato che per anni aveva rilasciato fideiussioni e aveva sempre prestato garanzie al sistema bancario, che aveva promosso e sostenuto le operazioni della s.p.a.; un siffatto comportamento poteva al più configurare l'elemento soggettivo della colpa e non certamente operazioni dolose;
- con il secondo motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2, stante l'insussistenza del reato contestato nella fattispecie concreta; difatti, le operazioni di fideiussione erano volte al proseguimento delle attività della fallita e le operazioni incriminate non consentivano di ritenere voluto, previsto o prevedibile il dissesto della stessa, causato, invece, dalla grave e repentina crisi economica mondiale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non merita accoglimento.
1. Invero, con il primo motivo di ricorso il ricorrente sviluppa in premessa deduzioni generiche in merito al fatto che la sentenza impugnata abbia richiamato in larga parte la sentenza del primo giudice, non effettuando la Corte territoriale una valutazione critica dei motivi di appello, incorrendo, quindi, nel vizio motivazionale denunciato. In proposito, è sufficiente evidenziare come il R. abbia riproposto in appello - così come in questa sede - questioni già ampiamente vagliate dal primo giudice, alle quali sono state date risposte congrue e non illogiche, conformi ai principi di diritto affermati da questa Corte.
L'asserita assenza di motivazione della sentenza impugnata deve essere vagliata, in particolare, alla luce della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui non sussiste mancanza o vizio di motivazione allorquando il giudice di secondo grado, in conseguenza della ritenuta completezza e correttezza dell'indagine svolta in primo grado, confermi la decisione del primo giudice. In tal caso, le motivazioni della sentenza di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico e inscindibile, al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione (Sez. 6^, n. 49970 del 19/10/2012).
1.1. Tanto premesso, si osserva che la Corte territoriale, contrariamente a quanto supposto dal ricorrente ha specificamente considerato la circostanza che la "concessione di fideiussioni" era espressamente contemplata nell'oggetto sociale della (OMISSIS) s.r.l., concludendo, tuttavia, conformemente al primo giudice che essa non ha determinato alcun effetto esimente della responsabilità dell'imputato. Difatti, la condotta attribuita al R. - consistita nella prestazione continuativa di fideiussioni in favore di istituti di credito per importi ingenti in favore di altra società della quale del pari il R. era legale rappresentante ((OMISSIS) s.p.a.) - non è quella che tale attività fosse in sè estranea dall'oggetto sociale della società (oggetto, che nella maggior parte degli atti costitutivi di società contiene anche la previsione del rilascio appunto di garanzie in funzione dell'espletamento dell'attività produttiva), ma è quella, come ben si evince dal capo di imputazione, di aver concesso sistematiche garanzie per ingenti importi in favore di una società - (OMISSIS) s.p.a. - già con grave esposizione debitoria e, quindi, di aver svolto un'attività estranea, non congruente, e contraria all'interesse della società. Tale attività è risultata, in particolare, per le sue caratteristiche, quanto a ripetitività, entità e significatività, non strumentale all'attività della (OMISSIS) s.r.l. - avente come oggetto principale la gestione di immobili - determinando un abuso della funzione e dei poteri di amministratore del R..
1.2. In tale contesto, non merita censura la valutazione dei giudici di merito che hanno ritenuto che la (OMISSIS) s.r.l. abbia volontariamente assunto obbligazioni di garanzia sproporzionate e prive di sufficiente causa economica per tenere in piedi il (OMISSIS) S.p.A., dal medesimo R. amministrato, che, proprio in ragione della impennata, nel corso dell'anno 2006 (ove furono concesse fideiussioni a garanzia delle obbligazioni del (OMISSIS) per Euro 1.000.000,00, Euro 684.000,00 e Euro 3.360.000,00), delle richiesta di copertura/garanzia della rilevantissima esposizione bancaria, versava già all'epoca in una grave situazione di dissesto ed era prossima alla insolvenza; le circostanze, poi, che l'assunzione di obbligazioni di garanzia rientrasse nell'oggetto sociale delle (OMISSIS) s.r.l. e che la stessa avesse conseguito in contropartita il pagamento dei canoni di locazione dell'immobile di proprietà della (OMISSIS) s.r.l. locato alla (OMISSIS) s.p.a., costituente la sede del suo opificio industriale, non valgono ad escludere, secondo i giudici di merito, la responsabilità del R., posto che la evidente sproporzione tra quanto prestato (garanzia per diversi milioni di Euro) e quanto ricevuto (canoni per complessivi Euro 534.542.28) e la consapevolezza, trattandosi della stessa persona fisica che ricopriva la veste di amministratore in entrambe le società interessate, della grave situazione finanziaria della società garantita, dimostrano la sussistenza della condotta dolosa (intesa come volontaria), posta a fondamento della fattispecie ascritta all'imputato di cui alla L. Fall., art. 223/2, n. 2.
1.3. Il fallimento della (OMISSIS) s.r.l. è stato appunto determinato, come ben evidenziato dal primo giudice, dal fatto che l'entità delle richieste di pagamento provenienti dalle banche garantite era superiore al valore dei beni immobili di cui la stessa (OMISSIS) s.r.l. era proprietaria, così che essa non ha potuto farvi fronte ed è fallita; inoltre, non vi è dubbio che siano state le fideiussioni prestate ad aver determinato il fallimento della (OMISSIS) s.r.l., atteso che la società come riconosciuto dallo stesso imputato non era in perdita ed aveva nel tempo generato profitti.
In tale contesto si presenta irrilevante - come in sostanza evidenziato dai giudici di merito - che ripetutamente la (OMISSIS) s.r.l. abbia prestato fideiussioni per il (OMISSIS) s.p.a., posto nel 2006 la situazione è precipitata e l'entità del debito accumulato oggetto di richiesta di pagamento era superiore al valore dei beni immobili di proprietà della garante.
Tale situazione all'evidenza rendeva, inoltre, inutile qualsivoglia indagine economica in merito alle e due società, considerando come fosse di gran lunga maggiore la garanzia prestata rispetto alla sostenibilità di essa, fatto questo che in sè ha prodotto il fallimento della (OMISSIS) s.r.l..
1.4. Per quanto concerne, in particolare, gli elementi oggettivo e soggettivo del reato di cui alla L. Fall., art. 223/2, n. 2, i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione dei principi più volte affermati da questa Corte, secondo cui integra l'ipotesi di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2, l'assunzione di obbligazioni gravanti sul patrimonio della società e più specificamente il rilascio di garanzie a favore di altre società del "gruppo" di cui sia noto lo stato di difficoltà, per importi esorbitanti dalla capienza del patrimonio della società garante, con ciò determinandone il fallimento, considerato che si tratta di un atto che - addebitando, con valutazione ex ante, un immediato e sproporzionato sacrificio finanziario alla società garante in vista di vantaggi del tutto aleatori o, comunque, con ragionevoli probabilità di insuccesso - è incompatibile con la corretta espressione del potere di amministrazione rientrando nella sfera previsionale di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2, e più specificamente comportamenti intrinsecamente estranei all'interesse sociale, (arg. ex Sez. 5, n. 11019 del 22/02/2007 Rv. 236936).
1.5. Nella fattispecie quale quella in esame, in cui una società ha prestato attraverso l'amministratore ingenti garanzie (diversi milioni di Euro) senza alcuna significativa contropartita, per gravi debiti di altre società terze, si ravvisa una condotta ictu oculi contraria agli interessi della fallita, dei suoi soci e dei creditori, contrastante con i principi di buona e corretta amministrazione, che devono guidare la condotta dell'amministratore. Ciò specie nel caso in cuì la società prestatrice di garanzia godeva di buona salute economica ed era produttrice di utili ed il fallimento è stato prodotto evidentemente dalla sovraesposizione debitoria causata dalla concessione di fideiussioni.
Sul punto vanno richiamati i principi più volte espressi da questa Corte, secondo cui, in terna di bancarotta fraudolenta, la nozione di operazioni dolose di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 223 comma 2, n. 2, prevede il comportamento degli amministratori che cagionino il dissesto con abusi o infedeltà nell'esercizio della carica ricoperta, ovvero con atti intrinsecamente pericolosi per la "salute" economico - finanziaria della impresa (Sez. 5, n. 2905 del 16/12/1998). Le operazioni dolose, infatti, di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2, attengono alla commissione di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all'organo amministrativo nell'esercizio della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la "salute" economico-finanziaria della impresa e postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall'azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all'esito divisato (Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014).
1.6. Del tutto inconsistenti sono anche le doglianze circa l'asserita carenza motivazionale in ordine all'elemento soggettivo del reato, nonchè la qualificazione della condotta del R. come copiosa, stante l'affidamento di questo al sistema creditizio e all'aver concesso fideiussioni per oltre 10 anni. Invero, i giudici di merito hanno correttamente evidenziato, come la condotta del R. sia stata incentrata in un consapevole asservimento e sacrificio di una società nei confronti dell'altra, delle quali era amministratore e, pertanto, pienamente consapevole delle condizioni economiche e patrimoniali di esse. In particolare, il R., conscio dello stato di difficoltà economico finanziaria in cui versava il (OMISSIS) s.p.a. - situazione fortemente aggravatasi nel 2006 - ha prestato, per conto della fallita, fideiussioni bancarie al fine di garantire finanziamenti che potessero consentire la continuazione dell'attività del calzaturificio. Così facendo, però, ha determinato, come evidenziato, una sovraesposizione debitoria della (OMISSIS) s.r.l. che non ha potuto fronteggiare, nè con il suo patrimonio immobiliare, nè con le entrate rappresentate dai canoni di locazione degli immobili. Inoltre, tali finanziamenti non hanno potuto salvare il calzaturificio dalla gravosa crisi in cui versava, ma al più ritardare il suo fallimento, ma nessun significativo corrispettivo è venuto a favore della garante, che è fallita anch'essa proprio in ragione della concessione di tali garanzie.
1.7. La carenza motivazionale circa la prestazione delle fideiussioni per oltre 10 anni non coglie nel segno. Invero, dal 2006, con l'irreversibile aggravamento dello stato di crisi del calzaturificio, il valore e il numero delle garanzie prestate siano cresciuti considerevolmente, sicchè, come evidenziato dai giudici di merito, in quel frangente il patrimonio della s.r.l. e le sue entrate si sono rilevate insufficienti a fronteggiarle. E' solo da quel momento, quindi, che la situazione e la concessione delle fideiussioni bancarie sono divenute insostenibili, sia per la s.p.a. che per la s.r.l. avendo in tale anno la (OMISSIS) S.r.l. ha prestato fideiussioni per vari milioni di Euro, mentre fino al 2005 il valore complessivo delle garanzie prestate era ben inferiore ai 3 milioni, coperto dal patrimonio sociale. Il R. ha, quindi, volontariamente assunto obbligazioni di garanzia sproporzionate e prive di qualsiasi utilità o considerevole vantaggio per la fallita che non hanno potuto evitare il fallimento del calzaturificio che dal 2006 era prossimo all'insolvenza. Con una valutazione in spregio agli interessi della s.r.l., dei soci e creditori, l'imputato ha oberato di debiti la s.r.l. nell'obiettivo di evitare il fallimento del calzaturificio, ma tale eventualità era, tuttavia, del tutto remota, stante lo stato gravoso in cui versava la s.p.a. che non poteva quindi fronteggiare autonomamente i propri debiti. Il R. non poteva, quindi, continuare a fare affidamento al sistema creditizio, poichè le obbligazioni assunte erano di gran lunga superiori al valore del patrimonio immobiliare della società e alle sue entrate e sapeva, quindi, che non avrebbe potuto adempiere alle obbligazioni sottoscritte. Una siffatta condotta, è stata ritenuta senza illogicità, non colposa o scusabile, ma anzi consapevole e cosciente, volta all'asservimento e sacrificio di una società in favore di una seconda di cui il R. era ugualmente amministratore.
1.8. Le azioni del R. appaiono caratterizzate, come ampiamente, sottolineato dai giudici di merito, dal dolo generico richiesto dalla fattispecie de qua. Invero, come più volte evidenziato da questa Corte, nel caso di operazioni dolose, che si sostanzia in un'eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, l'onere probatorio dell'accusa si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà dell'amministratore della complessa azione arrecante pregiudizio patrimoniale nei suoi elementi naturalistici e nel suo contrasto con i propri doveri a fronte degli interessi della società, nonchè dell'astratta prevedibilità dell'evento di dissesto quale effetto dell'azione antidoverosa, non essendo invece necessarie la rappresentazione e la volontà dell'evento fallimentare (Sez. 5, n. 38728 del 03/04/2014, Rv. 262207). Nel fallimento conseguente ad operazioni dolose, esso è solo l'effetto - dal punto di vista della causalità materiale - di una condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrle il dissesto fallimentare, anche se il soggetto attivo dell'operazione ha accettato il rischio dello stesso.
1.9. Quel che la L. Fall., art. 223/2, n. 2, richiede ai fini del perfezionamento dell'elemento soggettivo è la volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alla finalità dell'impresa e di compiere atti che cagionino, o possano cagionare, danno ai creditori. E' stato dimostrato, come detto, dai giudici di merito che la sovraesposizione debitoria della S.r.l. ha condotti o al suo fallimento e che la prestazione delle fideiussioni bancarie sia stato il fattore determinante e la causa principale del fallimento di una società che altrimenti avrebbe goduto di buona salute ed anzi era produttrice di utili. Orbene, la pronuncia impugnata e già quella di primo grado, hanno illustrato come il R. era perfettamente a conoscenza dello stato di irreversibile crisi in cui il calzaturificio versava, come ugualmente era a conoscenza dell'impossibilità di questo di ripianare autonomamente i propri debiti, che, di conseguenza, sarebbero dovuti essere coperti dalla s.r.l., che, tuttavia, non ne aveva le risorse. Non vi è alcun dubbio, quindi, che l'imputato potesse rappresentarsi il fallimento della S.r.l. come effetto delle gravose ed ingenti garanzie, che aveva sottoscritto in favore dell'altra società da lui amministrata che versava in situazione di pesante crisi economico finanziaria.
2. Infondato per tutte le ragioni già esposte si presenta il secondo motivo di ricorso, attinente alla violazione di legge e al vizio di motivazione per impossibilità di configurare la fattispecie di bancarotta impropria. Come già ampiamente evidenziato con riguardo al primo motivo di ricorso, nella fattispecie deve ritenersi integrato sia l'elemento oggettivo che soggettivo del reato attribuito al R..
Del tutto generiche si presentano, poi, le deduzioni del ricorrente circa il fatto che il fallimento sarebbe stato causato dalla repentina crisi economica, non prevedibile, non confrontandosi con la puntuale motivazione addotta sul punto dai giudici di merito.
3. Il ricorso va dunque respinto ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2018.
Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2019