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Bancarotta prefallimentare: il termine di prescrizione decorre dal momento in cui interviene la sentenza dichiarativa del fallimento

Bancarotta prescrizione

Cassazione penale sez. V, 11/05/2017, n.45288

Il termine di prescrizione del reato di bancarotta prefallimentare decorre dal momento in cui interviene la sentenza dichiarativa di fallimento e non dal momento di consumazione delle singole condotte distrattive precedenti a tale declaratoria. (In motivazione, si è precisato che tale principio è valido sia nel caso in cui la sentenza di fallimento venga qualificata elemento costitutivo improprio della fattispecie penale, come la Corte ha affermato incidentalmente, sia qualora la si ritenga condizione obiettiva di punibilità).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. G.G., per il tramite del proprio difensore, Avv. Piccoli Maurizio, propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Trento del 27 gennaio 2016, con la quale, a parte la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, è stato confermato il giudizio di responsabilità, formulato in primo grado, in ordine al reato di cui alla L. Fall., art. 224, comma 1, in relazione alla L. Fall., art. 217, comma 1, n. 2 e comma 2. L'imputato è stato ritenuto responsabile, quale presidente del Consiglio di Amministrazione della (OMISSIS) S.r.l., dal 11 marzo 2003 al 21 dicembre 2006, e, in tale veste, quale amministratore della stessa compagine imprenditoriale, dichiarata fallita in data 11 dicembre 2009, di avere consumato una parte notevole del patrimonio della società mediante il trasferimento di risorse finanziarie alla controllata 3P S.r.l. e di avere mantenuto, nei tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento, nel libro giornale e nelle altre scritture contabili l'annotazione al 1 aprile 2005 del saldo di apertura del conto "Crediti V/3P S.r.l." in misura inferiore a quella reale e comunque non coincidente con il saldo di chiusura al 31 dicembre 2004 e di avere omesso di annotare i pagamenti effettuati dalla (OMISSIS) nei confronti della 3P nel periodo compreso tra il 1 gennaio 2005 e il 1 marzo 2005, utilizzando per le compensazioni il conto "Crediti V/3P S.r.l.". Il ricorso per cassazione è affidato a cinque motivi enunciati nei limiti indicati dall'art. 173 disp. att. c.p.p.. - Con il primo motivo è eccepita la mancata dichiarazione di estinzione dei reati per prescrizione, ad effetto della violazione degli artt. 157 e 158 cod. pen. in relazione alla L. Fall., art. 224, comma 1, e art. 217, comma 1, n. 2 e comma 2, ed il vizio di carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione resa sul punto dalla Corte di appello. Ad avviso della difesa del ricorrente, tenuto conto che le condotte a questi ascritte si erano protratte sino al 1 aprile 2005 e che, in ogni caso, egli era cessato dalle cariche rivestite nel dicembre 2006, il dies a quo della prescrizione doveva ritenersi cristallizzato non alla data della dichiarazione di fallimento della società, ma in quella coincidente con l'epoca di realizzazione delle singole condotte criminose o, al più, in quella in cui il G. aveva rassegnato le proprie dimissioni dalla carica di presidente del consiglio di amministrazione della (OMISSIS) S.r.l.. La differente soluzione adottata dalla Corte distrettuale - che aveva fatto decorrere la prescrizione dalla dichiarazione di fallimento, quale momento consumativo del delitto di bancarotta - era il frutto di un'interpretazione distorta delle norme di riferimento, mutuata dall'orientamento esegetico di legittimità che assegna alla dichiarazione di fallimento la valenza di elemento costitutivo improprio della fattispecie incriminatrice piuttosto che quella di mera condizione di punibilità. - Con il secondo motivo sono promiscuamente dedotti il vizio di violazione di legge, in relazione alla L. Fall., art. 224, comma 1, e art. 217, comma 2, e il vizio di motivazione in ordine all'affermata responsabilità del ricorrente per il delitto di bancarotta semplice documentale a titolo di colpa, fondata sul rimprovero mossogli di non avere negligentemente adempiuto al proprio obbligo di vigilare sull'operato dell'esperto cui era stata affidata la tenuta della contabilità. Secondo la prospettazione difensiva l'art. 42 cod. pen. consente la configurazione della colpa alternativamente al dolo soltanto in relazione alle contravvenzioni, con la conseguenza che il reato di bancarotta semplice documentale, essendo configurato come delitto, è punibile soltanto a titolo di dolo, nella specie escluso dalla Corte territoriale. Nondimeno, nel caso scrutinato, non sarebbe neppure ravvisabile la colpa dell'imputato, avendo egli incaricato della tenuta della contabilità un commercialista della cui perizia egli si era preventivamente accertato (culpa in eligendo) e non essendo esigibile che egli, assolutamente digiuno di qualsivoglia nozione contabile, vigilasse sul corretto operato dell'esperto, avendo egli fatto affidamento sulla capacità professionale di questi. - Con il terzo motivo ci si duole dell'inosservanza della L. Fall., art. 224, comma 1, e art. 217, comma 1, n. 2 e del correlato vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale sussunto nella categoria delle operazioni manifestamente imprudenti idonee a consumare una notevole parte del patrimonio della società i ripetuti finanziamenti operati dalla controllante (OMISSIS) S.r.l. nei confronti della controllata 3P S.r.l. - interamente partecipata dalla (OMISSIS) ed avente lo stesso oggetto sociale e, perciò, destinata all'incorporazione in questa - utilizzando per addivenire a tale risultato un criterio ex post anzicchè un criterio ex ante. Se, invece, i giudici di merito avessero valutato tali finanziamenti ponendosi nell'ottica del polo dirigistico della controllante (OMISSIS), nel momento in cui tali apporti di risorse finanziarie erano state deliberate, avrebbero dovuto riconoscerne la piena liceità nella prospettiva della realizzazione degli scopi di espansione commerciale e di incremento dei profitti propri della logica di impresa. Da ciò derivava che neppure con la dovuta diligenza sarebbe stato possibile prevedere l'esito infausto di tali operazioni, determinatosi ad effetto della contingente impossibilità di recuperare i finanziamenti effettuati alla 3P mediante l'incasso di un credito da questa vantato nei confronti dell'Erario (sicuramente solvibile). - Con il quarto motivo si prospettano censure afferenti all'errata applicazione della L. Fall., art. 217, comma 2, e alla carenza di motivazione resa dalla Corte di appello in punto di spiegazione della corrispondenza tra il saldo di apertura ed il saldo di chiusura nel libro giornale e nelle scritture contabili del conto "Credito V/3P relativi agli anni di esercizio 2004 e 2005 e della mancata annotazione nello stesso conto delle annotazione dei finanziamenti effettuati dalla (OMISSIS) nei confronti della 3P.. In particolare le ragioni di censura si dirigono sulla constatazione che le annotazioni contestate si riferiscono all'anno 2005, risultando, quindi, ben anteriori al periodo dei tre anni anteriori al fallimento cui la norma di cui alla L. Fall., art. 217, comma 2, assegna rilevanza ai fini dell'integrazione della fattispecie criminosa. Aggrediscono poi l'impianto argomentativo della decisione impugnata per avere incomprensibilmente taciuto in ordine alla sollecitata necessità di esplorare altre poste contabili in cui le dette annotazioni avrebbero potuto trovarsi. - Con il quinto motivo viene articolata la doglianza avente ad oggetto l'erronea applicazione della norma di cui all'art. 2634 cod. civ. ed il vizio di motivazione ricadente sul punto della decisione impugnata riguardante l'esclusione della valenza offensiva delle operazioni di finanziamento poste in essere dalla controllante (OMISSIS) nei confronti della controllata 3.P. per effetto dei vantaggi fondatamente prevedibili derivanti dal collegamento tra le società coinvolte. Invero, porre a carico dell'imputato l'onere di provare quali fossero i vantaggi fondatamente prevedibili delle operazioni infragruppo, così come richiesto dalla Corte territoriale, significava invertire l'onere della prova che incombe sulla accusa; in ogni caso la prevedibilità di tali vantaggi sarebbe stata agevolmente percepibile ove il giudicante avesse valutato i finanziamenti secondo un criterio ex ante così da porsi nella prospettiva dell'imprenditore collettivo che, nella sua discrezionale ponderazione del rischio d'impresa, aveva ritenuto, sulla base di valutazioni tecniche, che l'esborso di risorse societarie avesse come contropartita un potenziamento delle proprie prospettive di inserimento sul mercato con il conseguente ritorno in termini di utili. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è infondato. 1. Destituito di giuridico fondamento è il primo motivo di ricorso. La Corte territoriale, rigettando l'eccezione di prescrizione dei delitti ascritti all'imputato, si è, infatti, attenuta al consolidato principio di diritto per il quale, in tema di bancarotta prefallimentare, la prescrizione inizia a decorrere dalla data della declaratoria di fallimento o dello stato d'insolvenza e non dal momento della consumazione delle singole condotte poste in essere in precedenza (Sez. 5, n. 17084 del 09/12/2014 - dep. 23/04/2015, Caprara e altri, Rv. 263244; Sez. 5, n. 48739 del 14/10/2014 - dep. 24/11/2014, Grillo Luigi, Rv. 261299; Sez. 5, n. 592 del 04/10/2013 - dep. 09/01/2014, De Florio, Rv. 258712; Sez. 5, n. 20736 del 25/03/2010 - dep. 01/06/2010, Olivieri, Rv. 247299): tanto perchè la sentenza dichiarativa di fallimento è elemento costitutivo della fattispecie ancorchè improprio, trattandosi di pronuncia giurisdizionale, che serve a connotare di lesività i comportamenti tipizzati dalle norme di riferimento (Sez. 5, n. 46182 del 12/10/2004 - dep. 29/11/2004, Rossi ed altro, Rv. 23116701). E' bene, tuttavia, precisare che, quand'anche si volesse assegnare alla dichiarazione di fallimento la natura di condizione obiettiva di punibilità, non per questo, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere il reato, si potrebbe prescindere dalla sentenza di fallimento. In questo senso si è espressa di recente questa Corte (Sez. 5, n. 13910 del 08/02/2017 - dep. 22/03/2017, Santoro, Rv. 26938901), allorchè, dando seguito alla posizione incidentalmente assunta dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 22474 del 31/03/2016 - dep. 27/05/2016, Passarelli e altro, in ordine alla qualificazione della dichiarazione di fallimento come condizione obiettiva di punibilità, ha stabilito che, conformemente al dettato dell'art. 158 c.p., comma 2, - a mente del quale, quando la legge fa dipendere la punibilità del reato dal verificarsi di una condizione, il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui la condizione si è verificata - il dies a quo per calcolare il decorso della prescrizione viene a coincidere con la dichiarazione di fallimento. Tale affermazione, ad avviso dell'orientamento interpretativo che se ne fa latore, è coerente con la concezione secondo la quale la condizione di obiettiva punibilità, pur se estranea all'offesa, rappresenta, comunque, il dato che giustifica l'intervento sanzionatorio dello Stato, soltanto all'avverarsi di essa realizzandosi l'opportunità della punizione. 2.1. Infondato è anche il rilievo mosso alla sentenza impugnata con il secondo motivo di impugnazione. Si è osservato, infatti, da parte di questa Corte regolatrice che l'art. 42 cod. pen., nell'esigere la previsione espressa della punibilità di un delitto a titolo di colpa, non ne esclude la possibilità di una previsione implicita, desumibile per via di interpretazione sistematica (Sez. 5, n. 38598 del 09/07/2009 - dep. 05/10/2009, Romano, Rv. 244823), come, appunto, pacificamente ritenuto nella giurisprudenza di legittimità per la bancarotta semplice documentale, argomentando a contrario dalla definizione come dolosa della bancarotta fraudolenta documentale (Sez. 5, n. 9572 del 20/12/2005 - dep. 20/03/2006, Marchesini, Rv. 234228; Sez. 5, n. 27515 del 04/02/2004 - dep. 18/06/2004, Tinaglia, Rv. 228701; Sez. 5, n. 288 del 18/03/1968 - dep. 16/05/1968, Alibrandi, Rv. 10795801). Del resto che il reato di cui alla L. Fall., art. 217, comma 2, sia punibile anche a titolo di colpa lo si desume dalla stessa struttura della norma, che punisce l'imprenditore che non istituisca le scritture sociali e contabili prescritte dalla legge o che le tenga in maniera incompleta o irregolare senza che sia necessaria la deliberata volontà di violare la disciplina di settore e/o di arrecare pregiudizio ai creditori. La riconosciuta punibilità del reato di bancarotta semplice anche a titolo di colpa rende, pertanto, irrilevante la deduzione difensiva volta ad assegnare rilievo alla circostanza che l'imputato si fosse mantenuto estraneo alla gestione della contabilità aziendale. E' ius receptum nella giurisprudenza di legittimità, infatti, che sull'imprenditore individuale o sull'amministratore di società incombe personalmente, a norma degli artt. 2214 e 2241 cod. civ., l'obbligo di curare la regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili, essendo egli il custode e il garante della loro integrità e genuinità (Sez. 5, n. 709 del 01/10/1998 - dep. 19/01/1999, Mollo ed altri, Rv. 21214701) ovvero quello di controllarne la gestione ancorchè tale incombenza sia affidata ad un tecnico specializzato (Sez. 5, n. 12765 del 16/05/1989 - dep. 22/09/1989, Brioglio, Rv. 18212401). Si tratta, in effetti, di un dovere funzionale alla salvaguardia dell'interesse alla precisa ed agevole ricostruzione del patrimonio e del movimento di affari dell'impresa (argomento evincibile da Sez. 5, n. 11931 del 27/01/2005, De Franceschi, Rv. 231707), che, pertanto, sottintende la necessità che il titolare di tale obbligo conosca le norme che regolano la tenuta dei detti libri e scritture. Da tali condivisibili principi deriva, quindi, che all'imprenditore individuale o collettivo non giova ad evitare la affermazione di responsabilità per il delitto di bancarotta documentale l'addurre di avere affidato l'incarico di tenuta delle scritture contabili ad un professionista e di non avere le competenze per controllarne l'operato, poichè, sul tema, si è ricorrentemente statuito da parte di questa Corte, che la colpa dell'imprenditore è ravvisabile anche quando egli abbia affidato a soggetti estranei all'amministrazione dell'azienda la tenuta delle scritture e dei libri contabili, perchè su di lui grava, oltre all'onere di un'oculata scelta del professionista incaricato - cui è connessa l'eventuale "culpa in eligendo" - anche quello di controllarne l'operato, cui consegue in caso di inottemperanza, il rimprovero per "culpa in vigilando" (Sez. 5, n. 24297 del 11/03/2015 - dep. 05/06/2015, Cutrera, Rv. 265138; Sez. 5, n. 32586 del 10/07/2007 - dep. 09/08/2007, Centola, Rv. 23710501). Va ulteriormente chiarito, per avervi fatto riferimento il ricorrente, che, in tema di bancarotta documentale, vale il principio per cui l'imprenditore individuale o gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori di una società non vanno esenti da responsabilità per il fatto che le operazioni contabili siano state affidate ad un commercialista o ad un dipendente, dovendosi logicamente presumere, anche per il principio del cui prodest, che i dati siano stati trascritti secondo le indicazioni suggerite ed i documenti messi a disposizione dai predetti soggetti che restano, quindi, sempre responsabili della tenuta di una regolare e veritiera contabilità (Sez. 5, n. 709 del 01/10/1998 - dep. 19/01/1999, Mollo ed altri, Rv. 21214701). Ci si trova al cospetto, invero, di una presunzione iuris tantum, che può essere vinta soltanto da una rigorosa prova contraria, incombente sui diretti destinatari della norma incriminatrice, la cui valutazione, positiva o negativa, riservata al giudice di merito, è insindacabile, in sede di legittimità, se sostenuta da logica ed esaustiva motivazione. Ciò posto, osserva il Collegio che tale rigorosa prova contraria non è stata offerta dall'imputato, il quale con l'assumere di avere confidato nella competenza professionale dell'esperto contabile e di non averne potuto in concreto controllare l'operato a cagione della propria ignoranza, non è riuscito a scalfire la rigorosa doverosità dell'obbligo posto a suo carico, nascente dalla posizione di garanzia quale dominus dell'impresa. 3. Non ha pregio la critica mossa alla sentenza impugnata con il quarto motivo di impugnativa, la cui trattazione occorre anticipare per ragioni di ordine logico. Con il sostenere, infatti, l'irrilevanza ai fini dell'integrazione della fattispecie di cui alla L. Fall., art. 217, comma 2, delle annotazioni contabili contestate, perchè anteriori al periodo dei tre anni precedenti il fallimento (essendo riferite all'anno 2005) e l'esistenza di un vuoto motivazionale in ordine alla possibilità della collocazione in un'altra posta contabile delle annotazioni mancanti, il ricorrente, per un verso, omette di rapportarsi criticamente al tenore della motivazione censurata, per altro verso, non assegna il dovuto rilievo - quanto meno sul piano dialettico - alle posizioni espresse in materia dalla giurisprudenza di legittimità. Quanto al primo dei profili di vulnerabilità dell'impugnativa va rilevato che il giudice di merito aveva avuto cura di segnalare che la voce contabile in contropartita della somma apparentemente sbilanciata necessaria per pareggiare i conti "era rimasta una mera asserzione difensiva priva di riscontro alcuno". In questa sede, dunque, l'imputato avrebbe dovuto contrastare questa enunciazione di assertività piuttosto che reiterare, negli stessi termini, la doglianza già così stigmatizzata. Con riferimento, invece, al secondo aspetto dell'articolazione difensiva, occorre sottolineare che il rilievo contenuto nella sentenza impugnata, secondo cui l'affermazione di responsabilità del G. per il delitto di cui alla L. Fall., art. 217, comma 2, troverebbe ragione nella contestazione elevata nei suoi confronti di "mantenimento" nelle scritture contabili dell'erronea annotazione del credito verso la 3P, originatosi nel 2005, ma poi riportato negli anni successivi, è in termini con il principio di diritto secondo il quale il reato configurato dalla L. Fall., art. 224 in relazione alla L. Fall., art. 217, comma 2 prevede la punibilità anche degli amministratori che siano cessati dalla carica anteriormente alla dichiarazione di fallimento, se tale cessazione e l'omessa o irregolare tenuta dei libri contabili si siano verificate nel triennio anteriore alla dichiarazione stessa (Sez. 5, n. 3530 del 29/11/1993 - dep. 28/12/1993, Fanghella, Rv. 19702101; Sez. 5, n. 12831 del 04/07/1978 - dep. 20/10/1978, Del Duca, Rv. 14025601). 3. Non coglie nel segno neppure la censura agitata con il quarto motivo di ricorso. Va qui richiamata la lezione ermeneutica impartita da questa Corte di legittimità a mente della quale l'imprudenza delle operazioni mediante le quali si realizza quel dispendio di una notevole parte del patrimonio sociale, che integra la condotta tipica del delitto di cui alla L. Fall., art. 217, comma 1, n. 2, è rappresentata dall'avere il soggetto agente intrapreso un'attività e dall'essersi assoggettato ad un impegno senza valutare con ponderatezza il rischio che tali iniziative avrebbero comportato per la consistenza economica dell'impresa; con la conseguenza che ai fini del discernimento del rischio lecito da quello illecito occorre tener conto della particolarità di tempo e di mercato e della situazione contingente dell'impresa (Sez. 5, n. 589 del 20/03/1970 - dep. 31/10/1970, Cudia, Rv. 11561801). Trattandosi poi di operazioni economicamente scriteriate, il cui effetto conclusivo è la diminuzione della garanzia generica dei creditori, costituita proprio dal patrimonio del debitore, ai sensi dell'art. 2740 cod. civ., le stesse sono punibili anche titolo di colpa (Sez. 5, n. 24231 del 20/03/2003 - dep. 04/06/2003, Griffini ed altro, Rv. 22593801). Va, inoltre, posto nella dovuta evidenza che, nella giurisprudenza di legittimità, allo scopo di distinguere le dette manovre da quelle suscettibili di integrare il più grave reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per dissipazione, si è costantemente posto l'accento sulla circostanza che le operazioni manifestamente imprudenti, di cui alla L. Fall., art. 217, comma 1, n. 2, devono essere caratterizzate, almeno in astratto, da un elemento di razionalità da valutare nella ottica delle esigenze dell'impresa e almeno dalla possibilità che l'operazione possa raggiungere risultati positivi nonostante l'errore di valutazione dell'imprenditore (Sez. 5, Sentenza n. 47040 del 19/10/2011 - dep. 20/12/2011, Presutti, Rv. 251218; Sez. 5, n. 2876 del 10/06/1998 - dep. 03/03/1999, Vichi W, Rv. 21260801; Sez. 5, n. 2876 del 10/06/1998 - dep. 03/03/1999, Vichi W, Rv. 21260801; Sez. 5, n. 5850 del 21/03/1979 - dep. 26/06/1979, GILLI, Rv. 14234601). Sicchè, alla luce di tali parametri ermeneutici, deve convenirsi con i giudici di merito che i reiterati finanziamenti senza contropartita effettuati dalla controllante (OMISSIS) nei confronti della controllata 3P sono senz'altro tali da integrare il delitto di bancarotta semplice patrimoniale di cui alla L. Fall., art. 217, comma 1, n. 2, trattandosi di operazioni certamente dotate di una logica nell'ottica della strategia imprenditoriale perseguita della fallita, ma sicuramente manifestamente imprudenti perchè dirette a realizzare "un continuo trasferimento di risorse dalla (OMISSIS) verso la 3P, società ormai svuotata avendo ceduto, nel 2005, l'azienda" e, quindi, di fatto incapace di operare e di produrre utili. 5. Le ripercussioni logiche della notazione da ultimo compiuta rendono inammissibile, infine, il quinto motivo di ricorso. Va ribadito che la previsione di cui all'art. 2634 c.c. - che esclude, relativamente alla fattispecie incriminatrice dell'infedeltà patrimoniale degli amministratori, la rilevanza penale dell'atto depauperatorio in presenza dei c.d. vantaggi compensativi dei quali la società apparentemente danneggiata abbia fruito o sia in grado di fruire in ragione della sua appartenenza a un più ampio gruppo di società - conferisce valenza normativa a principi - peraltro già desumibili dal sistema, in punto di necessaria considerazione della reale offensività - applicabili anche alle condotte sanzionate dalle norme fallimentari e, segnatamente, a fatti di disposizione patrimoniale contestati come dissipativi. Pertanto, ove si accerti che l'atto compiuto dall'amministratore non sia stato rispondente all'interesse della società ed abbia determinato un danno al patrimonio sociale, è onere dello stesso amministratore dimostrare l'esistenza di una realtà di gruppo, alla luce della quale quell'atto assuma un significato diverso, si che i benefici indiretti della società fallita risultino non solo effettivamente connessi ad un vantaggio complessivo del gruppo, ma altresì idonei a compensare efficacemente gli effetti immediati negativi dell'operazione compiuta, di guisa che nella ragionevole previsione dell'agente la stessa non sia capace di incidere sulle ragioni dei creditori della società (Sez. 5, n. 49787 del 5 giugno 2013, Bellemans, Rv. 257562). In assenza di specifiche indicazioni da parte dell'imputato circa la concreta configurabilità di tali vantaggi compensativi, ed anzi in presenza di evidenze probatorie tali da dar conto del contrario, non era dunque compito del giudice del merito accertare la prova negativa della loro esistenza, nè dunque può essere dedotto il difetto di motivazione sul punto. 6. Le superiori considerazioni conducono al rigetto del ricorso, cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 11 maggio 2017. Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2017
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