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Bancarotta preferenziale: sul pagamento di crediti privilegiati

Bancarotta preferenziale

Cassazione penale sez. V, 03/10/2018, n.54502

In tema di bancarotta preferenziale, qualora il fallito provveda al pagamento di crediti privilegiati, ai fini della configurabilità del reato, è necessario il concorso di altri crediti con privilegio di grado prevalente o eguale rimasti insoddisfatti per effetto del pagamento e non già di qualsiasi altro credito. (Fattispecie relativa all'immediato rimborso di un finanziamento a favore di una socia, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la sussistenza della lesione della "par condicio creditorum", trattandosi di operazione vietata dall'art. 2467 cod. civ., che prevede la postergazione e la restituzione da parte del socio dei finanziamenti rimborsatigli nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Firenze con sentenza del 1/6/2017, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Livorno del 17/6/2016, appellata dall'imputato R.R., amministratore unico e poi liquidatore della (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita il 3/7/2013, che, all'esito di giudizio abbreviato, riqualificato il fatto come bancarotta preferenziale, l'aveva ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 216, comma 3, L. Fall. e l'aveva perciò condannato alla pena, ridotta per il rito, di anni due di reclusione e alle pene accessorie di legge, ha rideterminato il trattamento sanzionatorio e conseguentemente ridotto la pena inflitta all'imputato ad anni uno e mesi quattro di reclusione. 2. Ha proposto ricorso l'avv. Girolamo Adoncecchi, difensore di fiducia dell'imputato, svolgendo due motivi. 2.1. Con il primo motivo, proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), il ricorrente lamenta violazione della legge penale in relazione all'art. 216, comma 3 e art. 56 L. Fall.. In sede fallimentare, e, tanto più, in sede prefallimentare i creditori hanno diritto di compensare i loro crediti e debiti verso il fallito, sicchè non poteva essere ravvisata una condotta di bancarotta preferenziale nell'operazione di cessione della partecipazione nella società inglese con il credito per finanziamento soci vantato dalla R., effettuata il 20/11/2012, quando la società fallita era inattiva e in stato di decozione. 2.2. Con il secondo motivo, proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), il ricorrente lamenta violazione della legge penale in relazione all'art. 133 c.p. nonchè mancanza della motivazione, in relazione al trattamento sanzionatorio, laddove la Corte aveva ritenuto di discostarsi dai minimi edittali, adottando una motivazione meramente apparente in ordine alla non meglio spiegata ritenuta intensità del dolo. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione della legge penale in relazione alla L. Fall., art. 216, comma 3 e art. 56. Il ricorrente sostiene che in sede fallimentare, e, tanto più, in sede pre-fallimentare i creditori hanno diritto di compensare i loro crediti e debiti verso il fallito, sicchè non poteva essere ravvisata una condotta di bancarotta preferenziale nell'operazione di cessione della partecipazione nella società inglese con il credito per finanziamento soci vantato dalla R., effettuata il 20/11/2012, quando la società fallita era inattiva e in stato di decozione. 2.1. Il Giudice di primo grado ha escluso la sussistenza di una distrazione nell'operazione di cessione della quota del 27,92% della società inglese Pro Trading Properties Limited, effettuata in un momento in cui la società fallita, (OMISSIS) s.r.l. era ormai inattiva e in stato di evidente decozione, dopo la determinazione di una consistente perdita di esercizio nell'anno precedente (Euro 300.000), indicata poi in Euro 396.924,67 nel bilancio finale di liquidazione al 14/12/2012, poco successivo alla vendita della quota, avvenuta il 20/11/2012. Secondo il Tribunale, prima, e la Corte di appello, poi, era invece ravvisabile nella stessa operazione un pagamento preferenziale indebito ex art. 216, comma 3, L. Fall. perchè il relativo pagamento era stato effettuato mediante compensazione con un controcredito per finanziamento soci vantato dall'acquirente, R.P., madre dell'amministratore e socia della società fallita. Così operando, la R. era stata ingiustificatamente privilegiata rispetto agli altri creditori della società. 2.2. La sentenza impugnata apparentemente ravvisa la condotta di bancarotta preferenziale nel mero fatto del pagamento (tramite compensazione) di un effettivo debito vantato da un creditore della società, senza soffermarsi, almeno esplicitamente, a valutare la natura giuridica della compensazione (volontaria o legale), senza dar conto della tipologia del credito così estinto per compensazione (e in particolare senza determinarne il grado di privilegio, anche nella prospettiva della postergazione di cui all'art. 2467 c.c.) e senza valutare l'incidenza del pagamento ai fini della lesione della par condicio creditorum (bene protetto dalla norma incriminatrice). 2.3. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini della configurabilità del reato di bancarotta preferenziale è necessaria, quanto all'elemento oggettivo, la violazione della par condicio creditorum nella procedura fallimentare (espressione del principio inteso ad evitare disparità di trattamento non giustificate dalle cause legittime di prelazione fatte salve dall'art. 2741 c.c.) e, quanto all'elemento soggettivo, il dolo specifico costituito dalla volontà di recare un vantaggio al creditore soddisfatto, con l'accettazione dell'eventualità di un danno per gli altri (elemento soggettivo). Di conseguenza, la condotta illecita e la conseguente offesa non consistono nell'indebito depauperamento del patrimonio del debitore ma nell'alterazione dell'ordine, stabilito dalla legge, di soddisfazione dei creditori; l'evento giuridico della bancarotta preferenziale è costituito dalla minore percentuale riservata ai creditori a causa degli avvenuti pagamenti, oppure dal fatto che il creditore favorito dal titolo di prelazione simulato lo abbia fatto valere in sede di riparto dell'attivo fallimentare. Pertanto, nel caso in cui il fallito provveda al pagamento di crediti privilegiati, la configurabilità del reato di bancarotta preferenziale presuppone il concorso di altri crediti con privilegio di grado prevalente o eguale rimasti insoddisfatti per effetto dei pagamenti de quibus e non già di qualsiasi altro credito (Sez. 5, n. 15712 del 12/03/2014, Consol e altri, Rv. 260221; Sez. 5, n. 7230 del 28/05/1991, Martelli, Rv. 187698). 1.4. Nella fattispecie la Corte fiorentina ha ritenuto la sussistenza del reato senza dar conto dell'entità del passivo e della sua composizione sotto il profilo delle cause di privilegio e quindi senza valutare se il pagamento del credito per finanziamento soci alla R., abbia leso e in che misura i diritti di altri creditori di grado poziore o equivalente. 1.5. Tuttavia, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e di secondo grado, se l'appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto o di diritto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate, il giudice dell'impugnazione ben può motivare per relazione; solo quando invece sono formulate censure o contestazioni specifiche, introduttive di rilievi non sviluppati nel giudizio anteriore o contenenti argomenti che pongano in discussione le valutazioni in esso compiute, è affetta da vizio di motivazione la decisione di appello che si limita a respingere con formule di stile o in base ad assunti meramente assertivi o distonici dalle risultanze istruttorie le deduzioni proposte. (Sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012 2013, Santapaola e altri, Rv. 256435; Sez. 4, n. 15227 del 14/02/2008, Baretti, Rv. 239735). Inoltre ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione. (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595); infatti le sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale, qualora i giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata. (Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011 - dep. 2012, Valerio, Rv. 252615). 1.6. Nel caso in esame la sentenza di primo grado aveva fornito una pertinente e chiara motivazione in ordine alle ragioni della lesione della par condicio creditorum, a pagina 5, affermando che la decisione di procedere immediatamente al rimborso del finanziamento a favore della socia R. aveva comportato tale lesione, anche perchè si trattava di operazione vietata dall'art. 2467 c.c. che prevede la postergazione e la restituzione da parte del socio dei finanziamenti rimborsatigli nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento. L'art. 2467 c.c. in effetti dispone che il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito. A tali fini s'intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento. 1.7. L'attuale ricorrente, in sede di appello, con il primo motivo inerente l'elemento oggettivo del reato, non aveva affatto contestato la ravvisata natura postergata del credito restituito, ma aveva sostenuto solamente che l'atto compiuto non rientrava ratione temporis tra quelli di cui alla L. Fall., art. 67, comma 3 (essendo stato posto in essere otto mesi della dichiarazione di fallimento e non nel periodo sospetto di sei mesi). Pertanto, in difetto di specifico motivo di appello formulato sul punto, la sentenza di secondo grado fa corpo e si integra con il tessuto motivazionale di quella di primo grado, pienamente conforme in punto accertamento della responsabilità (non assumendo ovviamente rilievo in tal prospettiva la mitigazione del trattamento sanzionatorio praticata dal giudice di appello), specie quanto all'assunto, non censurato, della natura postergata del credito della socia R., che, di per sè, determina automaticamente la lesione della par condicio anche in danno dei soli creditori chirografari, proprio perchè tale tipologia di credito ha natura recessiva rispetto a tutti gli altri. 1.8. Tale motivazione addotta dalla sentenza di primo grado confuta automaticamente il motivo di ricorso, per vero non proposto in grado di appello, basato sull'argomento di diritto della compensazione, poichè il credito postergato per sua stessa natura non è connotato dal requisito dell'esigibilità (art. 1243 c.c., comma 1). D'altra parte, la compensazione volontaria (art. 1252 c.c.) non può essere invocata in presenza di un divieto legale, fondato su ragioni di ordine pubblico a tutela dei terzi. 2. Con il secondo motivo, inerente il trattamento sanzionatorio, il ricorrente lamenta violazione della legge penale in relazione all'art. 133 c.p. nonchè mancanza della motivazione, laddove la Corte aveva ritenuto di discostarsi dai minimi edittali, adottando una motivazione meramente apparente in ordine alla non meglio spiegata ritenuta intensità del dolo. 2.1. Il motivo è inammissibile, in quanto mira ad ottenere dalla Corte di Cassazione una nuova valutazione sulla congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione. La gradazione della pena, infatti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita ai sensi degli artt. 132 e 133 c.p. (ex multis Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Ferrario, Rv. 259142). Inoltre, sempre secondo giurisprudenza consolidata in tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, come nel caso di specie anche a non tener conto della diminuente per il rito, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 c.p. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283). 2.2. Nella fattispecie la Corte di appello ha ridotto la pena inflitta in primo grado a due anni di reclusione, e quindi in misura sensibilmente inferiore alla media edittale (due anni e sei mesi), salvo poi doverosamente decurtarla ulteriormente, in applicazione della diminuente per il rito, ad anni uno e mesi quattro di reclusione. La Corte ha comunque motivato la propria decisione in relazione all'intensità del dolo, richiamando per relationem le circostanze valorizzate in precedenza e comunque risultanti dalla sentenza di primo grado, perchè il credito postergato era stato rimborsato alla socia unica, madre dell'amministratore, in situazione di inattività e di palese decozione della società, di lì a poco fallita. 3. Il ricorso va quindi rigettato; ne consegue la condanna del ricorrente ai sensi dell'art. 616 c.p.p. al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2018. Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018
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