RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d'appello di Bologna ha, con la sentenza impugnata, emessa all'esito di giudizio abbreviato, confermato, in punto di responsabilità, quella emessa dal giudice di prima cura a carico di P.V. e D.F. per il reato di bancarotta fraudolenta documentale e, rivalutato il grado di colpevolezza, ha ridotto loro la pena. Secondo l'accusa, condivisa dai giudicanti, gli imputati, operando il P. nella qualità di presidente del consiglio di amministrazione e D. nella qualità di consigliere della (OMISSIS) srl, dichiarata fallita il 24/8/2011, tennero le scritture contabili in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, per il disordine e la frammentarietà della documentazione relativa all'attività sociale. 2. Contro la sentenza suddetta hanno proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del difensore, entrambi gli imputati, lamentando un vizio di motivazione e una violazione di legge con riguardo all'affermazione della responsabilità e la violazione dell'art. 175 c.p. con riguardo al diniego del beneficio della non menzione. La responsabilità è stata affermata - deducono - sulla base di un atteggiamento colposo, essendo stato rimarcato, in sentenza, che i due - privi di adeguate conoscenze tecniche - si erano affidati, per la gestione della società e la tenuta della contabilità, al socio di maggioranza ( E.), sicchè il loro operato appariva caratterizzato dalla colpa, e non già dal dolo, con le note conseguenze in punto di qualificazione dell'illecito; quanto al beneficio della non menzione, lamentano che sia stato negato sulla base di un criterio di opportunità (la conoscenza - da parte dei terzi - dei trascorsi penali degli imputati costituirebbe, per questi ultimi, una remora alla commissione di nuovi reati), invece che sulla base dei criteri fissati dall'art. 133 c.p..
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso merita accoglimento. 1. E' principio giurisprudenziale incontestato che la bancarotta semplice e quella fraudolenta documentale si distinguono per il diverso atteggiarsi dell'elemento soggettivo: ai fini dell'integrazione della bancarotta semplice (art. 217 L. Fall., comma 2^), l'elemento soggettivo può indifferentemente essere costituito dal dolo o dalla colpa, che sono ravvisabili quando l'agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture, mentre per la bancarotta fraudolenta documentale prevista dall'art. 216 L. Fall., comma 1^, n. 2, l'elemento psicologico deve essere individuato nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà della irregolare tenuta delle scritture con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende dei patrimonio dell'imprenditore (cass., n. 32051 del 24/6/2014, rv 260774; sez. 5, 21872 del 25/3/2010). L'elemento differenziale consiste, quindi, nella consapevolezza, o meno, dell'agente che l'irregolare tenuta della contabilità determinerà l'impossibilità di ricostruire il patrimonio e il movimento degli affari, ovvero renderà la ricostruzione notevolmente più difficoltosa, e nell'accettazione di tale eventualità. L'indagine dell'interprete va focalizzata, quindi, sulla volontà dell'agente; il che impone di tener conto di tutte le situazioni che connotano l'agire dell'imprenditore, al fine di risalire, per induzione, al suo stato soggettivo. Elementi di giudizio sono costituiti, a titolo meramente esemplificativo, dal numero delle omissioni e dal grado di irregolarità della tenuta, dall'arco temporale interessato dal comportamento antigiuridico, dalla distribuzione dei compiti all'interno dell'organismo economico, dall'affidamento dell'incombenza a persone dotate di specifiche competenze, dalla cultura degli obbligati e, non ultimo, dall'interesse ad evitare la conoscenza - da parte dei terzi - delle vicende economiche dell'impresa. E solo allorchè si pervenga alla ragionevole certezza che gli effetti negativi dell'omissione o della irregolare tenuta siano stati voluti o accettati è possibile ravvisare la fraudolenza. 2. Alla luce di tali criteri deve censurarsi la sentenza impugnata, la quale ha desunto la sussistenza del dolo dal fatto che i due imputati, pur titolari di una posizione di garanzia e "seppur privi di qualsiasi cultura imprenditoriale", si erano affidati esclusivamente all'esperienza del socio E., vero dominus della società, e confidato nelle sue capacità, "con ciò contribuendo alla causazione dell'evento illecito" (pag. 3). La sentenza insiste poi sul fatto che la carica ricoperta da P. avrebbe dovuto suggerirgli "di agire ben diversamente", non ritenendo plausibile che "un soggetto dotato di quelle importanti competenze non avesse contezza delle proprie attribuzioni di legge" e, quanto a D., che "la carica ricoperta gli avrebbe imposto una maggiore attenzione per lo svolgimento di determinate attività aziendali, non ultima quella di rendicontazione e tenuta delle scritture contabili". Non può farsi a meno di rilevare, quanto al percorso logico seguito, che la Corte d'appello ha insistito su elementi prevalentemente colposi, rappresentati dalla scarsa cultura imprenditoriale degli imputati, dall'affidamento fideistico al socio di maggioranza (e fondatore della società), dalla scarsa attenzione prestata alla tenuta della contabilità (rappresentante, non c'è dubbio, un settore importante dell'attività aziendale); ed ha fatto riferimento a giurisprudenza che non si òattaglia al caso di specie, perchè riferita alla "testa di legno" (cioè, a soggetto che si presta volontariamente a schermare gli agenti effettivi), mentre, nella specie, si è di fronte (dice la stessa sentenza), ad operai che si erano prestati, su sollecitazione della proprietà, a fare da amministratori, e che lavoravano nella società. Inesplorati e non valorizzati sono rimasti, invece, altri elementi pure emersi dal processo e che avrebbero potuto orientare diversamente il giudizio, costituiti dall'assoluzione dei due imputati dalla bancarotta patrimoniale, dalla modestia del passivo e dal fatto che P. aveva effettuato consistenti esborsi a favore della società. Deve rilevarsi, pertanto, che il giudizio di responsabilità si fonda su dati parziali e non rappresentativi - in maniera univoca - dell'elemento soggettivo nella forma qui richiesta. 2. Fondato è anche il motivo sul trattamento sanzionatorio, posto che il beneficio della non menzione è stato negato - a quanto è dato di comprendere - per dissuadere gli imputati dalla commissione di ulteriori reati, laddove lo scopo dell'istituto è quello di favorire il reinserimento del condannato nella vita sociale, allorchè si abbia ragione di ritenere che questi si asterrà, in futuro, dall'incorrere in nuove violazioni del precetto penale. La sentenza va perciò annullata con rinvio al giudice a quo per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d'appello di Bologna. Motivazione semplificata. Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2018. Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2019