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Bancarotta semplice: sussiste in caso di mero ritardo nel presentare la richiesta di fallimento

Bancarotta semplice

Cassazione penale sez. V, 21/04/2017, n.28609

Nel reato di bancarotta semplice per mancata tempestiva richiesta di fallimento, oggetto di punizione è l'aggravamento del dissesto dipendente dal semplice ritardo nell'instaurare la concorsualità, non essendo richiesti ulteriori comportamenti concorrenti.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Trento ha confermato la condanna di A.E. per il reato di bancarotta semplice impropria commesso nella sua qualità di liquidatore della società MEC.MAR srl, fallita il 19 maggio 2011, per averne aggravato il dissesto astenendosi dal richiederne il fallimento e con inosservanza degli obblighi imposti dalla legge. 2. Avverso la sentenza ricorre l'imputato a mezzo del proprio difensore articolando tre motivi. 2.1 Con il primo deduce violazione di legge e vizi di motivazione in quanto la Corte territoriale si sarebbe limitata a ripercorrere le argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado, ritenendole condivisibili, senza neppure richiamarne i passaggi che avrebbero potuto confutare le censure difensive sollevate in sede di gravame. 2.2 Con il secondo motivo lamenta gli stessi vizi riferendoli alla contraddizione esistente tra la motivazione della sentenza e le risultanze processuali. In particolare, dalla valorizzata relazione del curatore fallimentare emergerebbe come la società fosse già in sofferenza fin dall'esercizio del 2006, e che tale sofferenza si sarebbe poi aggravata col sopravvenire della contingente crisi economica globale e non, invece, successivamente alla nomina dell' A. a liquidatore della società, avvenuta solo 11 giugno 2010. Mancherebbe allora un concreto contributo al dissesto della società ascrivibile all'odierno imputato, se solo si considera che egli incassò durante lo svolgimento del suo incarico somme pressochè irrisorie corrispondenti agli ultimi crediti esigibili (1.859 Euro dal cliente Carraro e 824,78 Euro da Arcomeccanica), in parte trattenuti a titolo di compenso ed in parte utilizzati per il pagamento di una consulenza contabile. Peraltro l' A. ottenne il possesso dell'immobile dove aveva sede la fallita solo il 7 aprile 2011 e soltanto da tale data (poco più di un mese prima della dichiarazione di fallimento) sarebbe stato in condizione di svolgere il suo incarico. Per altro verso si evidenzia come l'attività doverosa sarebbe stata non omessa, bensì tardiva proprio in ragione del fatto che V A. non ebbe la disponibilità nè dei beni societari nè della documentazione contabile prima di quel giorno; circostanza che sarebbe riscontrata sia dalla raccomandata inviata sempre il 7 aprile 2011 dallo stesso imputato all'amministratore della società, sia dalla lettura della relazione del curatore fallimentare e dalle sue dichiarazioni in dibattimento. Nè varrebbe a ridimensionare tale indisponibilità il rilievo per cui l'imputato avrebbe potuto consultare la contabilità della società per via telematica e ciò in difetto di elementi che consentano di appurare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l' A. avesse la disponibilità di un computer e di un collegamento a internet per effettuare un accesso remoto al computer della società fallita. 2.2 Con il terzo motivo si deducono infine vizi di motivazione in ordine alla ritenuta gravità del reato ascritto al ricorrente e al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e dell'attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità prevista dalla L. Fall., art. 219, comma 2, nonchè della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p.. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è infondato al limite dell'inammissibilità e deve pertanto essere rigettato. 2. Il primo motivo è manifestamente infondato in quanto la sentenza impugnata non si è limitata a riprodurre l'apparato giustificativo della decisione confermata o ad aderirvi in toto per relationem, ma contiene la specifica confutazione dei motivi sollevati con il gravame di merito, risultando l'obiezione del ricorrente semntita dallo stesso fatto che egli non avrebbe neppure potuto articolare i rimanenti motivi di ricorso resistendo a talune affermazioni della sentenza se essa si fosse limitata a fornire una motivazione meramente apparente, come invece lamentato. 3. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso, in quanto versato in fatto ed oltretutto generico nella quasi totalità delle sue censure. 3.1 Quanto all'impossibilità di imputare all' A. un contributo causale determinante all'aggravamento del dissesto, va ricordato che oggetto di punizione ai sensi della L. Fall., art. 217, comma 1, n. 4 per come richiamato dall'art. 224 n. 1) della stessa legge è anche il semplice ritardo nell'instaurare la concorsualità, a prescindere dalla rimproverabilità di comportamenti ulteriori che siano in qualche modo concorsi nell'aggravamento del dissesto. In altri termini, per la sussistenza del reato non è richiesto che l'imprenditore abbia colpevolmente determinato tale aggravamento anche in modo diverso, essendo sufficiente che lo stesso aggravamento costituisca il naturale esito del prolungamento dell'attività dell'impresa, di per sè considerato idoneo dalla norma incriminatrice a produrre tale esito anche solo, ad esempio, attraverso l'ulteriore accumulo dei costi ordinari di gestione. 3.2 In tal senso si è ad esempio affermato che l'obbligo del liquidatore della società di chiedere tempestivamente il fallimento della stessa non viene meno quando egli possa comunque rendersi consapevole dell'irreversibile condizione di dissesto e non eserciti il potere di iniziativa fallimentare, prescegliendo, in presenza dell'inevitabile aggravamento della situazione debitoria (per l'aumento degli interessi passivi e la crescente confusione patrimoniale), improbabili vie di recupero o anche la semplice attesa (Sez. 5 del 10 dicembre 1999, Terrana, non massimata). 3.3 La Corte territoriale ha ritenuto che l'imputato non solo poteva rappresentarsi, ma altresì si era rappresentato il sostanziale dissesto in cui versava la società, avendo egli aperto un nuovo conto alla stessa intestato nella sopravvenuta impossibilità di operare con quelli originari. Motivazione con la quale il ricorrente non si è confrontato e che evidenzia il presupposto della condotta contestata e cioè quella di mancata o ritardata sollecitazione del fallimento. La sentenza ha poi evidenziato come le operazioni successivamente poste in essere dall'imputato abbiano comportato un aggravamento del dissesto, tanto più che comunque la decisione dell' A. di protrarre l'operatività della fallita ha inevitabilmente comportato il ben più rilevante aumento degli interessi passivi che il curatore fallimentare aveva ricondotto alla messa in atto delle procedure di recupero da parte dei creditori, argomentazione quest'ultima con la quale ancora una volta il ricorrente non si è confrontato. 3.4 E parimenti generiche e meramente assertive risultano le obiezioni relative alla presunta impossibilità dell'imputato di accedere alla contabilità sociale se non che in prossimità del fallimento, posto che le stesse si fondano esclusivamente su quanto riferito dallo stesso A. al curatore senza contrastare quanto motivato sul punto in sentenza. Obiezioni che peraltro si rivelano comunque inidonee a compromettere la tenuta della decisione impugnata, posto che il reato contestato gli è attribuito a titolo di colpa, la quale sarebbe eventualmente integrata anche dalla mancata tempestiva attivazione dei poteri conseguenti alla carica assunta per prendere possesso dei beni aziendali e delle scritture contabili. 3.5 Inammissibili sono infine anche le doglianze relative alla mancata applicazione dell'art. 131-bis c.p. e delle attenuanti generiche e di quella di cui alla L. Fall., art. 219. Quanto alla causa di non punibilità ed alla seconda attenuante il ricorrente non si è sostanzialmente confrontato con la motivazione della sentenza laddove questa rileva come il danno cagionato dal reato non si esaurisca negli esborsi effettuati nel corso dell'ultimo esercizio della fallita, ma sia stato alimentato dal ben più sostanzioso accumulo degli interessi passivi determinato dal colpevole ritardo nell'instaurazione della concorsualità, argomentazione cui logicamente è stata ancorata dalla Corte territoriale la decisione relativa all'inconfigurabilità dei due istituti invocati. Con riguardo alle attenuanti di cui all'art. 62-bis c.p. le censure si rivelano del tutto aspecifiche, limitandosi a lamentare in maniera assolutamente generica il difetto di confutazione dei motivi d'appello, senza precisare quali sarebbero gli elementi trascurati dal giudice dell'appello ai fini della statuizione sul punto. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 21 aprile 2017. Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2017
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