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Contestazione di circostanze aggravanti nel furto: necessità di esplicita esposizione nel capo di imputazione

Furto

Cassazione penale sez. V, 22/01/2024, n.3741

In tema di furto, non può considerarsi legittimamente contestata in fatto e ritenuta in sentenza la circostanza aggravante di cui all'art. 625, comma 1, n. 7, c.p., configurata dall'essere i beni oggetto di sottrazione destinati a pubblico servizio, qualora nell'imputazione tale natura non sia esposta in modo esplicito, direttamente o mediante l'impiego di formule equivalenti. (In motivazione la Corte ha affermato che la citata circostanza aggravante ha natura valutativa, poiché impone una verifica di ordine giuridico sulla natura della "res", sulla sua specifica destinazione e sul concetto di pubblico servizio, la cui nozione è variabile in quanto condizionata dalle mutevoli scelte del legislatore).

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La sentenza integrale

FATTI DI CAUSA 1. Con la sentenza impugnata, il Tribunale di Siracusa ha dichiarato non doversi procedere, in forza degli artt. 129 e 529 cod. proc. pen., nei confronti di Ma.Ma., imputata, in virtù dell'originaria contestazione, del delitto previsto e punito "dagli artt. 624 e 625 n. 2 cod. peri., perché, al fine di trarne profitto, si impossessava di una quantità imprecisata di energia elettrica, sottraendola alla proprietaria, mediante manomissione della vite IMQ, dei tenoni posteriori del contatore elettronico e del circuito amperometrico realizzata attraverso l'inserimento di un filo rosso, determinando la sottomisurazione dell'energia e della potenza pari a - 85,30%, destinando l'energia sottratta all'alimentazione degli impianti posti all'interno dell'immobile sito in F, via V. n. 7. Con l'aggravante dell'uso del mezzo fraudolento". Il Tribunale ha rilevato che, in difetto di querela (neppure presentata nel termine del 30 marzo 2023, fissato dall'art. 85 del d.lgs. n. 150 del 2022), l'azione penale non poteva essere proseguita in ragione del sopravvenuto regime di procedibilità del delitto di furto in contestazione secondo il disposto dell'art. 624, comma terzo, cod. pen., introdotto dall'art. 2, lett. i), d.lgs. n. 150 del 2022. Ha, inoltre, ritenuto che la contestazione suppletiva ex art. 517 cod. proc. pen., effettuata dal pubblico ministero all'udienza del 30 giugno 2023, della circostanza aggravante "di cui al n. 7 dell'art. 625 c.p. sulla scorta della considerazione per cui l'energia elettrica rientra nel novero dei beni destinati a pubblica utilità", in presenza della quale il reato è procedibile d'ufficio anche ai sensi del vigente art. 624, comma terzo, cod. pen., fosse tardiva, in quanto formulata in un momento successivo al perfezionamento del termine di cui all'art. 85 citato. Pur condividendo, in astratto, la configurabilità della predetta circostanza aggravante in relazione al reato de guo, il giudice ha ritenuto che il decorso del termine relativo alla proposizione della querela fosse d'ostacolo a qualsivoglia accertamento, anche parziale, sul fatto, imponendo l'immediata declaratoria della causa di improcedibilità dell'azione penale. A tal proposito, si è considerato estensibile alla fattispecie in esame il principio espresso dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, l'aumento di pena per una circostanza aggravante non può essere valutato, qualora essa sia stata oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza del termine di prescrizione computato con riferimento all'originaria imputazione, in quanto, una volta maturato quel termine, la prosecuzione del processo è incompatibile con l'obbligo di immediata declaratoria della causa estintiva del reato. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Siracusa, denunciando erronea applicazione della legge penale con riferimento alla ritenuta illegittimità della contestazione suppletiva. A tale censura il ricorrente fa precedere un rilievo circa l'erronea estensione al caso di specie - concernente l'ipotesi di improcedibilità dell'azione penale - del principio di diritto relativo alla prevalenza delle formule di proscioglimento nel merito rispetto a quelle per estinzione del reato. Osserva il ricorrente che l'azione penale è stata esercitata in vigenza di un diverso regime di procedibilità del reato de quo; l'intervenuta modifica di tale regime non rende invalido il rapporto processuale, ab origine regolarmente costituito. Rievocando la giurisprudenza costituzionale (Corte cost., sent. n. 139 del 9 luglio 2015) e quella di legittimità (tra le altre, Sez. 5, n. 26822 del 23/03/2016, Scanu, Rv. 267892 - 01), il ricorrente sostiene che la contestazione di cui all'art. 517 cod. proc. pen., formulabile fino alla chiusura del dibattimento o, in ogni caso, prima della pronuncia della sentenza, non preveda la necessità di alcuna delibazione da parte del giudice. Né può ritenersi illegittimamente contestata la circostanza aggravante soltanto perché nota fin dalla prima formulazione del capo d'imputazione, ciò che si desumerebbe dalla sentenza della Corte costituzionale prima citata. Osserva infine che il mutato regime di procedibilità per diverse fattispecie di reato, inclusa quella qui in oggetto, introdotta dal d.lgs. n. 150 del 2022, non possa interpretarsi in modo che esso si risolva in una sorta di indiscriminata abolitio criminis. 3. Sono state trasmesse, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con l. 18/12/2020, n. 176, a), le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, dott. Ferdinando Lignola, il quale ha chiesto pronunciarsi l'annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza. La difesa dell'imputata ha trasmesso conclusioni scritte, con cui si chiede pronunciarsi il rigetto o la inammissibilità del ricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Il ricorso è infondato. 2. Ritiene il collegio di chiarire, in primo luogo, quanto accaduto nel processo di primo grado all'esito del quale è stata emessa la sentenza oggetto dell'impugnazione. 2.1. L'imputata è stata citata a giudizio per il reato previste e punito "dagli artt. 624 e 625 n. 2 cod. pen., perché, al fine di trarne profitto, si impossessava di una quantità imprecisata di energia elettrica, sottraendola alla proprietaria, mediante manomissione della vite IMQ, dei tenoni posteriori del contatore elettronico e del circuito amperometrico realizzata attraverso l'inserimento di un filo rosso, determinando la sottomisurazione dell'energia e della potenza pari a - 85,30%, destinando l'energia sottratta all'alimentazione degli impianti posti all'interno dell'immobile sito in F, via V. n. 7. Con l'aggravante dell'uso del mezzo fraudolento". Espletata l'istruttoria dibattimentale, all'udienza del 18 novembre 2022, presente l'imputata, il difensore, nulla opponendo il pubblico ministero, ha chiesto ed ottenuto un rinvio (con sospensione del termine di prescrizione) "in vista dell'entrata in vigore della riforma Cartabia", per verificare l'eventuale presentazione della querela da parte della persona offesa ENEL, nel frattempo risarcita. All'udienza del 30 giugno 2023, presente l'imputata, il giudice ha dato "atto della mancanza di querela" e il pubblico ministero ha contestato "l'aggravante dell'art. 625 n. 7 c.p. perché l'azione penale ricade su bene destinato a pubblico servizio". 3. Vanno pure fatte, preliminarmente, delle puntualizzazioni sul nuovo quadro normativo nel quale è ricondotto il processo oggetto della decisione. 3.1. A seguito della modifica dell'art. 624, comma terzo, cod. pen., intervenuta per effetto dell'art. 2, comma 1, lett. i), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in vigore dal 30 dicembre 2022, il delitto di furto anche se aggravato o pluriaggravato ai sensi dell'art. 625 cod. pen, (prima procedibile di ufficio), è divenuto punibile a querela della persona offesa, tranne che nei seguenti casi: - se la persona offesa è incapace, per età o per infermità; - se ricorre taluna delle circostanze di cui all'articolo 625, primo comma, n. 7 cod. pen., salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede (in quest'ultimo caso torna la regola della punibilità a querela); quindi il reato è procedibile di ufficio quando il fatto è commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro o a pignoramento, o destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza; - se ricorre taluna delle circostanze di cui all'articolo 625, primo comma, n. 7 bis cod. pen., vale a dire se il fatto è commesso su componenti metalliche o altro materiale sottratto ad infrastrutture destinate all'erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici e gestite da soggetti pubblici o da privati in regime di concessione pubblica. 3.2. In relazione ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore della suddetta modifica legislativa, l'art. 85 del d.lgs. n. 150 del 2022 ha stabilito quanto segue: "Per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato". 4. Il tema sollevato dal pubblico ministero ricorrente afferisce a due questioni interpretative. 4.1. In primo luogo, occorre stabilire se la circostanza aggravante della destinazione a pubblico servizio possa ritenersi "contestata in fatto" attraverso il mero riferimento alla tipologia del bene sottratto (energia elettrica), senza necessità di esplicitarne la destinazione a pubblico servizio. La soluzione positiva a detta questione renderebbe superfluo affrontare la seconda. 4.2. Ove, invece, si ritenga esclusa la contestazione nella originaria imputazione della circostanza aggravante in parola, occorre affrontare il tema della conformità all'ordinamento della declaratoria di improcedibilità, nonostante il pubblico ministero abbia proceduto alla contestazione suppletiva dell'aggravante nei termini sopra evidenziati. 5. In ordine al primo profilo, relativo alla possibilità di ravvisare una contestazione in fatto, si registra un contrasto in recenti pronunzie di questa Corte. 5.1. Sez. 4 n. 48529 del 07/11/2023, Marcì, Rv. 285422 ha affermato che, in tema di furto di energia elettrica, può ritenersi legittimamente contestata in fatto e ritenuta in sentenza senza la necessità di una specifica ed espressa formulazione, la circostanza aggravante di cui all'art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen., in quanto l'energia elettrica fornita, su cui ricade la condotta di sottrazione, è un bene funzionalmente destinato a un pubblico servizio. In senso difforme si sono pronunciate Sez. 4, n. 46859 del 26/10/2023, Licata, Rv. 285465; Sez. 4, n. 44157 del 03/10/2023, n.m.; Sez. 4, 03/10/2023, n. 44158, n.m.; Sez. 4, 03/10/2023, n. 44159, n.m.; Sez. 4, 03/10/2023, n. 44160, n.m.; Sez. 4, 03/10/2023, n. 44161, n.m.; Sez. 4, 03/10/2023, n. 44162, n.m.; Sez. 4, 03/10/2023, n. 44163, n.m.; Sez. 4, 03/10/2023, n. 44164, n.m.; Sez. 4, 03/10/2023, n.m.; Sez. 4, 03/10/2023, n. 44166, n.m., che hanno escluso la possibilità di ritenere contestata in fatto l'aggravante in parola attraverso il mero riferimento all'oggetto del furto (energia elettrica) senza alcuna esplicitazione circa la destinazione a pubblico servizio. Già prima del mutamento del regime di procedibilità del delitto di furto in virtù del richiamato art. 2, lett. i) del d.lgs. n. 150 del 2022, si è affermato che non può considerarsi legittimamente contestata in fatto e ritenuta in sentenza la circostanza aggravante di cui all'art. 625, comma primo, n, 7, cod. pen., configurata dall'essere i beni oggetto di sottrazione destinati a pubblico servizio, qualora nell'imputazione tale natura non sia esposta in modo esplicito o non siano richiamate le pertinenti disposizioni normative (Sez. 5, n. 26511 del 13/04/2021, Sciortino, Rv. 281556; Sez. 5, n. 40896 dell'I 1/10/2022, Licciardi, n.m.). Si pongono, invece, su altro versante (qui non direttamente in rilievo), quelle decisioni (Sez. 4 n. 9452 del 08/02/2023, Bruno, n.m.; Sez. 5, n. 33824 del 05/06/2023, Graziano, n.m.;. Sez. 5, n. 1094 del 03/11/2021, dep. 2022, Mondino) che, seppure variamente evocate, in realtà non affrontano il tema della "contestazione in fatto", perché nelle fattispecie decise il pubblico ministero aveva espressamente contestato l'aggravante del bene destinato a pubblico servizio in relazione al furto di energia elettrica (come osserva Sez. 4 n. 46859 del 26/10/2023, Licata, Rv. 285465). 5.2. Vanno fatte delle puntualizzazioni sulla disciplina processuale della contestazione delle aggravanti per enucleare gli interessi, anche di rango costituzionale, che sono sottesi alla normativa e alla sua interpretazione da parte della giurisprudenza di questa Corte. 5.2.1. Come osservano in motivazione le Sezioni Unite Sorge (sentenza n. 24906 del 18/04/2019) la contestazione delle circostanze aggravanti si muove su un piano concettualmente diverso da quella della c.d. "definizione giuridica" del fatto storico originariamente contestato. E ciò per quanto attiene sia alle vicende processuali (dall'esercizio dell'azione penale sino al giudicato) sia al rapporto tra potere del giudice e potere del pubblico ministero. 5.2.2. L'art. 417, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. (con una disposizione che si trova replicata in tutte le norme relative all'atto di esercizio dell'azione penale; v. in motivazione Sez. U Sorge cit.) stabilisce che la richiesta di rinvio a giudizio contiene l'enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge. 5.2.3. Circa i successivi sviluppi dibattimentali, le modifiche dell'imputazione sono disciplinate dagli artt. 516 e ss. cod. proc. pen.: in particolare l'art. 516 si occupa della diversità del fatto nella sua dimensione storica; l'art. 517 di nuovi reati concorrenti o di nuove circostanze aggravanti; l'art. 518 di un nuovo reato che si aggiunge a quello contestato e a quest'ultimo non connesso ex art. 12, lett. b), cod. proc. pen. È agevole rilevare - e sul punto si avrà modo di tornare - come la disciplina del "fatto" sia diversa da quella delle "circostanze". L'art. 521 cod. proc. pen. (sotto la rubrica "correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza") riconosce al giudice il potere di dare al fatto "una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione" (comma 1) e prevede che il giudice disponga con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero se accerta che il fatto è diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio ovvero nella contestazione effettuata a norma degli articoli 516, 517 e 518, comma 2. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, tale disposizione non abilita, invece, il giudice alla restituzione degli atti al pubblico ministero, allorché dagli atti emerga la sussistenza di una circostanza aggravante non contestata, poiché — per scelta del legislatore processuale (al di là di quella che può essere la loro sistemazione concettuale all'interno del diritto sostanziale) — le circostanze sono trattate come elementi esterni al fatto che non ne determinano la diversità (Sez. 4 n. 44973 del 13/10/2021, Nodari, Rv. 282246; Sez. 1, n. 25882 del 12/05/2015, Dello Monaco, Rv. 263941; Sez. 4, n. 31446 del 25/06/2008, Mustaccioli, Rv. 240896 - 01). Sul punto è intervenuta anche Corte cost., sent. n. 230 del 2022, come si dirà meglio in seguito (v. in particolare par. 6.2). 5.2.4. Deve ritenersi, pertanto, che nella disamina della tematica in rassegna occorra pervenire a una soluzione rispondente al diritto al contraddittorio, al potere esclusivo di contestazione del pubblico ministero, alla assenza di potere "correttivo" in capo al giudice. Nella prospettiva difensiva, la sussistenza o meno di circostanze aggravanti (e quindi il significato garantistico della relativa contestazione) assume significativa valenza sotto plurimi profili (cfr. anche Corte cost., sent. n. 139 del 2015): l'aumento di pena e, in alcuni casi, la modifica della specie di pena (es. omicidio aggravato dalla premeditazione per il quale è prevista la pena dell'ergastolo che, addirittura, impedisce l'accesso al rito abbreviato); i termini di prescrizione del reato (nel caso di aggravanti ad effetto speciale che concorrono a determinare il tempo necessario a prescrivere ex art. 157, comma 2, cod. proc. pen.); il regime di procedibilità (come nel caso del furto); la competenza della autorità giudiziaria (le lesioni lievi punibili a querela sono di competenza del giudice di pace, ma nel caso dell'aggravante di cui all'art. 577, comma primo, n. 1 e comma secondo, cod. pen. rientrano nella competenza del Tribunale). I diritti difensivi e il potere di controllo del giudice sono stati rafforzati dal d.lgs. n. 150 del 2022 che appronta una serie di tutele — ulteriori rispetto a quelle già previste dal codice di rito o introdotte per effetto degli interventi additivi della Corte Costituzionale (sent. n. 265 del 1994, n. 237 del 2012, n. 273 del 2014, 206 del 2017, n. 146 del 2022) — lungo tutte le fasi del processo, che mirano a garantire, per un verso, la costante verifica della corrispondenza tra imputazione, da un lato, e fatto e circostanze oggetto del processo, dall'altro e, per altro verso, la tutela dei diritti dell'imputato al contraddittorio e alla difesa (v. art. 421, commi 1 e 1 -bis in udienza preliminare dopo gli accertamenti sulla costituzione delle parti; art. 423, commi 1, 1 -bis e 1-ter, per le modifiche dell'imputazione in udienza preliminare; il nuovo art. 554-bis dedicato all'udienza di comparizione predibattimentale nei processi a citazione diretta e, in particolare, i commi 5 e 6 della norma appena citata; le modifiche introdotte nell'art. 519 dedicato ai "diritti" delle parti nei casi di contestazioni suppletive). 5.2.5. La citata sentenza Sezioni Unite Sorge ha accreditato, nei limiti che si diranno, l'orientamento della giurisprudenza di legittimità che ammette la contestazione in fatto delle aggravanti. Nella pronunzia si chiarisce che per "contestazione in fatto" si intende una formulazione dell'imputazione che non sia espressa nell'enunciazione letterale della fattispecie circostanziale o nell'indicazione della specifica norma di legge che la prevede, ma riporti in maniera sufficientemente chiara e precisa gli elementi di fatto che integrano la fattispecie, consentendo all'imputato di averne piena cognizione e di espletare adeguatamente la propria difesa sugli stessi. La sentenza aggiunge che "l'ammissibilità della contestazione in fatto delle circostanze aggravanti deve essere verificata rispetto alle caratteristiche delle singole fattispecie circostanziali e, in particolare, alla natura degli elementi costitutivi delle stesse. Questo aspetto, infatti, determina inevitabilmente il livello di precisione e determinatezza che rende l'indicazione di tali elementi, nell'imputazione contestata, sufficiente a garantire la puntuale comprensione del contenuto dell'accusa da parte dell'imputato". Sempre secondo la sentenza Sorge, "la contestazione in fatto non dà luogo a particolari problematiche di ammissibilità per le circostanze aggravanti le cui fattispecie, secondo la previsione normativa, si esauriscono in comportamenti descritti nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o oggetti determinati nelle loro caratteristiche oggettive. In questi casi, invero, l'indicazione di tali fatti materiali è idonea a riportare nell'imputazione la fattispecie aggravatrice in tutti i suoi elementi costitutivi, rendendo possibile l'adeguato esercisco dei diritti di difesa dell'imputato". Diversamente avviene "con riguardo alle circostanze aggravanti nelle quali, in luogo dei fatti materiali o in aggiunta agli stessi, la previsione normativa include componenti valutative; risultandone di conseguenza che le modalità della condotta integrano l'ipotesi aggravata ove alle stesse siano attribuibili particolari connotazioni qualitative o quantitative. Essendo tali, dette connotazioni sono ritenute o meno ricorrenti nei singoli casi in base ad una valutazione compiuta in primo luogo dal pubblico ministero nella formulazione dell'imputazione, e di seguito sottoposta alla verifica del giudizio. Ove il risultato di questa valutazione non sia esplicitato nell'imputazione, con la precisazione della ritenuta esistenza delle connotazioni di cui sopra, la contestazione risulterà priva di una compiuta indicazione degli elementi costitutivi della fattispecie circostanziale. Né può esigersi dall'imputato, pur se assistito da una difesa tecnica, l'individuazione dell'esito qualificativo che connota l'ipotesi aggravata in base ad un autonomo compimento del percorso valutativo dell'autorità giudiziaria sulla base dei dati di fatto contestati, trattandosi per l'appunto di una valutazione potenzialmente destinata a condurre a conclusioni diverse". Le Sezioni Unite Sorge sono, dunque, pervenute alla conclusione che la circostanza aggravante del falso commesso su atto c.d. fidefacente ha natura valutativa e non è suscettibile di contestazione in fatto: l'aggravante di cui all'art. 476, comma secondo, cod. pen. "include anche un elemento valutativo, dato dalla possibilità di qualificare l'atto come facente fede fino a querela di falso o, nella sintesi terminologica comunemente adottata, fidefacente. La peculiarità di questa ipotesi è data dal fatto che la componente valutativa concerne un profilo normativo, relativo all'efficacia fidefacente dell'atto (…)". 5.2.6. Chiarezza e precisione della contestazione in fatto vanno rapportate di volta in volta alle caratteristiche delle singole fattispecie circostanziali e, in particolare, alla natura degli elementi costitutivi delle stesse. Ove ricorrano elementi valutativi (più o meno complessi), il grado di determinatezza della contestazione va ragguagliato all'esplicitazione dell'elemento valutativo coinvolto in base alla complessità maggiore o minore dello stesso. Vi sono dei casi in cui la contestazione delle circostanze è esplicitata dal mero riferimento a dati materiali autoevidenti, come ad esempio: il numero delle persone che hanno concorso nel reato di furto (art. 625, comma primo, n. 5, cod. pen.), quando l'imputazione indichi tutti i concorrenti; la pluralità delle persone offese, quando risulti dal capo di imputazione (Sez. 3, n. 28483 del 10/09/2020, D., Rv. 280013 - 02 che ha ritenuto legittima la contestazione in fatto della circostanza aggravante prevista dall'art. 4, n. 7, della legge 20 febbraio 1958, n. 75); il rapporto di parentela o di coniugio (ad esempio nei reati di lesione personale e di omicidio) quando l'imputazione lo specifichi (Sez. 6, n. 4461 del 15/12/2016, dep. 2017, Rv. 269615 - 01, cit.); la minore età della vittima quando l'imputazione indichi l'età della persona offesa o la sua data di nascita (Sez. 5 n. 28668 del 09/06/2022, Rv. 283540 - 01 ha ritenuto legittima la contestazione "in fatto" dell'aggravante di cui all'art. 612-bis, comma terzo, cod. pen., relativa all'aver diretto gli atti persecutori in danno di un minore, non trattandosi di aggravante a contenuto valutativo, purché nell'imputazione siano chiaramente evidenziati i comportamenti dell'agente che hanno coinvolto il minore nella campagna persecutoria e sono stati commessi in suo danno). Su versante opposto vi sono dei casi, come quello già menzionato della aggravante del falso commesso su atto fidefacente, che involgono elementi valutativi talmente complessi da non lasciare spazio ad alternative e rendere necessario esporre la natura fidefacente dell'atto, o direttamente, o mediante l'impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l'indicazione della relativa norma (Sez. U, n. 24906 del 18/04/2019, Sorge, Rv. 275436). La prospettiva garantistica della regola che impone una specifica contestazione della circostanza aggravante investe la puntuale definizione del thema decidendum e non ha nulla a che fare con la ravvisabilità di orientamenti consolidati rispetto all'effettiva sussistenza della circostanza in presenza di determinati elementi fattuali. 5.2.7. In conclusione, la legittimità della contestazione in fatto di una circostanza aggravante si raccorda al principio di correlazione tra contestazione e sentenza, che assicura il corretto svolgimento del contradditorio e fornisce piena garanzia dei diritti di difesa, tutela le prerogative discrezionali del pubblico ministero e, infine, garantisce la posizione di terzietà e imparzialità del giudice. 5.2.8. Tali conclusioni sono, del resto, coerenti con le indicazioni che provengono dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (v., ad es., la già citata Corte cost., sent. n. 230 del 2022) e dalle decisioni della Corte di Strasburgo, chiamata a verificare il rispetto del diritto dell'accusato ad essere informato del contenuto dell'accusa, previsto dall'art. 6, par. 3, lett. a), CEDU. A questi fini, infatti, l'imputato deve essere informato non solo dei motivi dell'accusa, ossia dei fatti materiali che gli vengono attribuiti e sui quali si basa l'accusa, ma anche, e in maniera dettagliata, della qualificazione giuridica data a tali fatti: le modalità dell'informazione possono essere le più varie, purché adeguate allo scopo (ex plurìmis, v. Corte EDU, sentenza 7 novembre 2019, Gelenidze contro Georgia -, sentenza 15 gennaio 2015, Mihelj contro Slovenia; sentenza 24 luglio 2012, D.M.T. e D.K.I. contro Bulgaria; sentenza 3 maggio 2011, Giosakis contro Grecia). 5.5. Ritiene il collegio che la circostanza aggravante della destinazione a pubblico servizio, di cui si discute nel presente processo, presenti una componente valutativa, poiché impone una verifica di ordine: giuridico sulla natura della res, sulla sua specifica destinazione (v. in motivazione Sez. 5, n. 26511 del 13/04/2021, Sciortino) e sul concetto di "pubblico servizio" (concetto giuridicamente distinto da quello di servizio di pubblica necessità) che riposa su considerazioni in diritto, le quali non sono rese palesi dal mero riferimento all'oggetto sottratto. 5.5.1. L'aggravante in parola ha formato oggetto di una lunga elaborazione giurisprudenziale, cui si deve la messa a fuoco della nozione di "destinazione a pubblico servizio". In dottrina, si considera destinata a pubblico servizio qualunque cosa che, per volontà del proprietario o del detentore, ovvero per la qualità ad essa inerente, serva (attualmente) ad un uso di pubblico vantaggio. In giurisprudenza, è condivisa l'opinione secondo cui occorre avere riguardo alla qualità del servizio che viene organizzato anche attraverso la destinazione di risorse umane e materiali e che è destinato appunto alla soddisfazione di un bisogno riferibile alla generalità dei consociati. I beni indicati al n. 7 dell'art. 625 cod. pen. (quarta ipotesi) non si identificano certo perché la loro fruizione è pubblica, ma per la loro destinazione alla resa di un servizio fruibile dal pubblico (Sez. 6, n. 698 del 03/12/2013, dep. 2014, Giordano, Rv. 257773). In particolare, riguardo all'energia elettrica, la destinazione a un pubblico servizio non ne rappresenta certamente un'imprescindibile connotazione ontologica (poiché anche un privato può produrre per se stesso energia elettrica, attraverso un generatore oppure mediante pannelli solari). Del resto, soprattutto in passato, dottrina e giurisprudenza hanno dubitato della configurabilità della aggravante in relazione al furto di energia distribuita agli utenti. Secondo la giurisprudenza più risalente e un tempo consolidata, la sottrazione da parte dell'utente di energia elettrica mediante congegni che escludano il regolare funzionamento del contatore non può ritenersi aggravata ai sensi dell'art 625, primo comma, n. 7, quarta ipotesi, cod. pen., poiché l'attività del colpevole, esplicandosi su cosa che, nel rispetto delle clausole contrattuali, è a lui concessa senza particolari limitazioni quantitative, non incide sulla generale destinazione della energia elettrica alla pubblica utilità, ma si limita ad ottenere, in virtù della fraudolenta esclusione della registrazione del consumo, l'illecito fine di usufruire di detta energia senza pagarne il prezzo (Sez. 2, n. 1176 del 20/06/1967, Corona, Rv. 105901 - 01; Sez. 2, n. 602 del 21/03/1967, Russo, Rv. 104749 - 01; Sez. 2, n. 49 del 17/01/1967, Grutti, Rv. 104369 - 01; Sez. 2, n. 1663 del 25/11/1966 dep. 1967, Zerillo, Rv. 104717 - 0:1; Sez. 2, n. 521 del 25/03/1966, Capra, Rv. 102364; Sez. 2, n. 1393 del 15/10/1965, dep. 1966, Cacocciola, Rv. 100071). Solo dopo molti anni si è palesata la tesi opposta, via via riaffermata e divenuta dominante, secondo cui, nell'ipotesi di furto di energia elettrica attuato mediante allacciamento abusivo e diretto alla rete elettrica dell'Enel, l'aggravante di cui all'art. 625, primo comma, n. 7, quarta ipotesi, cod. pen. è configurabile indipendentemente dal fatto che tale condotta abbia arrecato effettivo nocumento alla fornitura di energia agli altri utenti; ciò in quanto le ipotesi previste nell'ambito dell'aggravante speciale di cui all'art. 625, primo comma, n. 7 cod. pen. hanno un fondamento comune costituito dalla maggiore tutela che deve essere offerta a determinate cose in ragione delle condizioni in cui si trovano o della destinazione delle stesse; la sussistenza di detti presupposti determina l'operatività dell'aggravante a prescindere dagli effetti provocati dall'azione delittuosa (Sez. 4, n. 21456 del 17/04/2002, Tirone, Rv. 221617 - 01; conf. Sez. 4, n. 1850 del 07/01/2016, Cagnassone, Rv. 266229 - 01; e, di recente, la già citata Sez. 4, n. 48529 del 07/11/2023, Marcì, Rv. 285422 - 01). Sulla scorta di tali arresti, si è ritenuta sussistente l'aggravante di cui all'art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen. in caso di sottrazione mediante allacciamento abusivo ai terminali collocati in una proprietà privata, rilevando, non già l'esposizione alla pubblica fede dell'energia mentre transita nella rete, bensì la destinazione finale della stessa a un pubblico servizio dal quale viene distolta, destinazione che comunque permane anche nella ipotesi di una tale condotta (Sez. 5, n. 1094 del 03/11/2021, dep. 2022, Mondino, Rv. 2612543; in senso conforme, tra le più recenti, Sez. 4, n. 49514 del 15 novembre 2023, Battaglia, n.m.). 5.5.2. Le problematiche interpretative insorte confermano la natura valutativa della circostanza, dimostrando che la destinazione a pubblico servizio costituisce non già una qualità intrinseca e manifesta correlata al bene del quale si tratta (energia elettrica), immediatamente risultante dal mero riferimento ad essa (anche se arricchita dalla specificazione di un allaccio diretto alla rete), rappresentando bensì il frutto di un'interpretazione implicante valutazioni di carattere giuridico. Del resto, è diffusa l'opinione della dottrina amministrativistica, secondo cui è necessaria una valutazione di carattere eminentemente politico che, riconoscendo la prevalenza degli interessi collettivi su quelli particolari nelle attività di un determinato servizio, istituisca quest'ultimo come servizio pubblico, dotandolo di una particolare disciplina legislativa. A tal proposito, e in una visione prospettica più ampia, non va sottaciuta l'incidenza delle "diverse fasi storiche" (Corte cost., sent. n. 150 del 2020, par. 13), o del contesto economico, politico e sociale di riferimento (Corte cost., sent. n. 2 del 1986, par. 6) nelle scelte discrezionali e mutevoli del legislatore (da ultimo, Corte cost., sent. n. 7 del 2024, par. 17); incidenza che emerge nella complessa evoluzione della giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di informazione, servizio pubblico e sistema radiotelevisivo, a partire da Corte cost., sent. n. 59 del 1960, per giungere alle decisioni degli anni Novanta (v. ad es., Corte cost., sent. n. 112 del 1993). Insomma, è evidente la natura valutativa dell'aggravante oggetto di esame, anche in ragione della variabilità della nozione di pubblico servizio, condizionata dalle mutevoli scelte del legislatore. 5.5.3. Ne consegue che una compiuta contestazione richiede che la valutazione accusatoria, nel senso della ritenuta destinazione della cosa a pubblico servizio, sia resa esplicita, non necessariamente in modo letteralmente corrispondente alla formula normativa ("con la circostanza aggravante del fatto commesso su cosa destinata a pubblico servizio"), ma quantomeno con l'espressa qualificazione del bene come destinato a pubblico servizio ovvero con l'adozione di formulazioni testuali che descrivano in termini equivalenti detta destinazione. Nella specie, come si è visto, il capo di imputazione originariamente ascritto non consente di ritenere contestata l'aggravante, giacché si è fatto mero riferimento alla condotta di impossessamento "di una quantità imprecisata di energia elettrica, sottraendola alla proprietaria". 6. Esclusa la possibilità di individuare nel capo di imputazione del presente processo una contestazione della circostanza aggravante de qua, resta da esaminare la questione dell'efficacia della contestazione suppletiva operata dal pubblico ministero, una volta decorso il termine di tre mesi dall'entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, quale previsto dalla disposizione transitoria dettata dall'art. 85 del medesimo decreto legislativo. Su tale questione si deve tener conto delle coordinate indicate dal provvedimento della Prima Presidente del 3 gennaio 2023, con il quale è stata disposta la restituzione degli atti alla Quinta Sezione del ricorso (rimesso alle Sezioni Unite) del proc. n. R.G. 34486/2023. Invero, quanto al problema della contestazione suppletiva della aggravante, il provvedimento ha rilevato quanto segue: "(…occorre, inoltre, considerare che, nelle more, è stata depositata la motivazione della sentenza delle Sez. U, n. 49935 del 28/09/2023, Domingo, alla cui notizia di decisione fa riferimento l'ordinanza impugnata (cfr. f. 8). (…) La predetta sentenza ha argomentato che la presenza di una causa di non punibilità che il giudice del dibattimento deve riconoscere e dichiarare ai sensi dell'art. 129, comma 1, cod. proc. pen., è preclusiva di ogni ulteriore attività. L'ordinanza di rimessione non ha avuto modo di approfondire, per ragioni temporali, la questione relativa all'applicabilità o meno di tale principio anche con riguardo alla maturata improcedibilità del reato, rientrante anch'essa nello spettro dell'art. 129 cod. proc. pen. Tale questione appare di rilievo centrale, in quanto, ove la Sezione rimettente ritenesse tale principio non applicabile al caso di specie, dovrebbe, a norma dell'art. 618, comma 1 -bis, cod. proc. pen., necessariamente chiarire le ragioni del suo dissenso". È del tutto evidente, allora, che la non condivisione del principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite Domingo, indicate nel provvedimento della Prima Presidente, avrebbe doverosamente comportato la rimessione della decisione del ricorso a norma dell'art. 618, comma 1 -bis, cod. proc. pen. 6.1. Ritiene invece il collegio che la contestazione suppletiva fatta dal pubblico ministero, una volta decorso il termine per la proposizione della querela, al pari di quella operata all'indomani dello spirare del termine di prescrizione, sia inefficace, alla stregua delle stesse coordinate interpretative di carattere sistematico valorizzate da Sez. U, n. 49935 del 28/09/2023, Domingo, Rv. 285517 - 01. In primo luogo, va sottolineato che quanto si illustrerà a sostegno della tesi interpretativa cui si aderisce non è influenzato da asserite specificità della disciplina della recidiva. In particolare, il carattere "facoltativo" della recidiva non la rende una circostanza diversa dalle altre, se non nel senso che, tra i presupposti della sua applicabilità, si collocano non solo dati fattuali della realtà, ma elementi valutativi (da ultimo ricordati da Sez. U n. 32318 del 30/03/2023, Sabbatini, Rv. 284878 - 01), che possono indurre il pubblico ministero a non contestarla o il giudice a non ritenerla. Ma questo vale, alla luce di quanto sopra ricordato nel paragrafo 5, anche per la circostanza aggravante dev'essere la cosa oggetto di furto destinata a pubblico servizio. D'altronde, questa Sezione ha già condivisibilmente avuto modo di chiarire che "l'ordinamento non opera alcuna differenziazione del regime giuridico tra le diverse tipologie di circostanze aggravanti per quanto riguarda il profilo in esame, relativo all'incidenza della prescrizione rispetto al momento della contestazione formale" (v. in motivazione Sez. 5, n. 47241 del 02/07/2019, Cassarino). Sez. U Domingo, dopo avere ricostruito l'evoluzione giurisprudenziale che ha condotto a ritenere l'art. 129 cod. proc. pen. una "prescrizione generale di tenuta del sistema" (percorso che registra le ultime implicazioni in Sez. U, n. 19415 del 27/10/2022, dep. 2023, Rv. 284481 - 01, ma che trova significative espressioni in Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, Perroni, Rv. 278870 - 01; Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274 - 01; Sez. U n. 12283 del 25/01/2005, De Rosa, Rv. 230529 - 01; Sez. U, n. 17179 del 27/02/2002, Conti, Rv. 221403 - 01), ha ritenuto irrilevante la contestazione operata dopo tale momento, ossia inidonea a far sorgere il dovere del giudice di esaminare nel merito la richiesta di applicazione della circostanza operata dal pubblico ministero. Tale valutazione si inserisce nella seconda delle tre fasi ricordate nel punto 4 del Considerato in diritto di Sez. U Domingo, ossia quella della verifica della regolarità formale della contestazione, che si colloca tra l'iniziativa del pubblico ministero e la valutazione di merito sull'eventuale "più accentuata colpevolezza e maggiore pericolosità del reo" espresse dal nuovo delitto. Questa ricostruzione degli snodi processuali dimostra che non viene affatto in rilievo un'autorizzazione del giudice (richiesta, invece, dall'art. 518, comma 2, cod. proc. pen.), ma un controllo sulla regolarità formale della contestazione, disciplinata alla luce non solo dell'art. 517 cod. proc. pen. ma anche delle restanti previsioni del codice di rito. Invero, Sez. U Domingo hanno precisato come non sia affatto in discussione la facoltà da parte del pubblico ministero di procedere alla contestazione suppletiva, la quale non richiede l'autorizzazione del giudice (nei casi di cui all'art. 517 cod. proc. pen.) e può essere formulata pur dopo l'apertura del dibattimento e prima dell'espletamento dell'istruzione dibattimentale, sulla base di materiali investigativi già acquisiti e noti all'organo di accusa, per supplire ad una inerzia, rimediare ad un errore ovvero per esprimere una diversa valutazione discrezionale rispetto a quella effettuata al momento dell'esercizio dell'azione penale (Sez. U, n. 4 del 28/10/1998, dep. 1999, Barbagallo, Rv. 212757 - 01). A questo riguardo, a fronte di alcune critiche che sono state formulate a Sez. U Domingo, si osserva che non si ravvisa nessuna contraddittorietà nell'affermare, per un verso, l'obbligo di immediata declaratoria della causa di estinzione e, per altro verso, il dovere di pronunciare nel contraddittorio (secondo quanto puntualizzato da Sez. U n. 12283 del 25/01/2005, De Rosa), perché si tratta di regole che operano su piani diversi: la prima individua una regola decisoria, ossia la prevalenza della causa di estinzione; la seconda detta una regola destinata a regolare il processo, come sede nella quale le decisioni vengono assunte. La partecipazione del pubblico ministero alla fase processuale destinata a garantire il contraddittorio delle parti non significa che la contestazione operata in quel momento sia necessariamente rilevante ai fini del sorgere del dovere del giudice di pronunciare nel merito della stessa, ossia di attivare il presupposto dell'art. 521 cod. proc. pen. 6.2. Né si può valorizzare, in senso contrario, il fatto che Sez. U De Rosa, nel sottolineare la centralità del contraddittorio come sede nel quale consentire alle parti l'esercizio delle loro facoltà processuali, menzioni il potere del pubblico ministero di modificare l'imputazione. Innanzitutto, va rilevato che Sez. U De Rosa non si è occupata ex professo della questione in esame. Essa ruota attorno a due capisaldi argomentativi: il significato del dovere di immediata declaratoria delle "cause di non punibilità" e l'esigenza di decidere nel contraddittorio. E, per comprendere il significato dell'espressione della quale s'è detto, occorre considerare che, nel caso deciso da Sez. U De Rosa, il giudice dell'udienza preliminare, con sentenza emessa de plano, ritenendo evidente - sulla base degli atti - la completa estraneità dell'imputato alle accuse formulate, aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti del medesimo "per non avere commesso il fatto" ai sensi dell'art. 129, comma 1, cod. proc. pen. Il ricorso del procuratore generale aveva fondatamente lamentato la violazione delle garanzie processuali. I poteri che, in via esemplificativa, Sez U De Rosa riconosce alle parti sono espressi proprio in relazione alla specie decisa, alla formula decisoria che investe il merito dell'accusa e alla tipologia di sentenza adottata dal giudice all'esito dell'udienza preliminare. Ciò che più conta, tuttavia, è che l'espressione "modifica dell'imputazione" orienta l'interprete, comunque, verso l'art. 516 del codice di rito e non verso l'art. 517. E questo non è privo di significato, poiché la disciplina dell'emersione di un "fatto diverso" è distinta da quella dell'emersione di circostanze non contestate, come ricorda la già citata Corte cost. 230 del 2022, illustrando le ragioni che rendono giustificata la diversità di regolamentazione. Invero, Corte cost. 230 del 2022, occupandosi, sia pure nella prospettiva dell'art. 521, comma 2, cod. proc. pen., della mancata previsione del potere del giudice di restituire gli atti al pubblico ministero, quando rilevi una circostanza aggravante non contestata, ha spiegato che, nel caso in cui sia emerso un fatto diverso, il giudice - ove non possa restituire gli atti al pubblico ministero - dovrebbe tout court assolvere l'imputato; quando invece, dopo aver accertato la commissione del fatto così come contestato, il giudice rilevi altresì la presenza di una circostanza aggravante non oggetto di contestazione, l'esito del giudizio resta comunque di condanna. E, quindi, collocandosi sulla stessa linea di pensiero, è lo stesso legislatore che distingue l'ipotesi del "fatto diverso" da quello "contestato", che pone rimedio ad un errore rispetto all'individuazione degli elementi essenziali del reato attribuito (e ancorché ciò comporti un diverso regime di procedibilità), e il caso in cui, individuato esattamente il fatto, si discuta di una circostanza aggravante non contestata, una volta decorso il termine che avrebbe consentito, a seguito del mutamento del regime dì procedibilità del fatto come contestato, di manifestare la volontà punitiva, rendendo procedibile l'azione penale. 6.3. Il fatto che Sez. U, n. 4 del 28/10/1998, dep. 2019, Barbagallo, Rv. 212757 - 0 abbiano escluso la sussistenza di preclusioni alle contestazione suppletiva, con riguardo a dati noti in precedenza rispetto all'originario esercizio dell'azione penale (o comunque in data anteriore allo svolgimento dell'istruttoria), concerne una questione completamente diversa, poiché, in questo caso, non ci sono norme o principi idonei a limitare sistematicamente la portata dell'art. 517 cod. proc. pen. In senso contrario, non coglie nel segno la critica dottrinale - che investe la decisione delle Sezioni Unite Domingo e non la sua applicabilità al caso del quale si tratta nel presente processo - fondata sulla questione della natura dichiarativa e costitutiva che, però, Sez. U Domingo tengono sostanzialmente fuori dal proprio orizzonte argomentativo. In ogni caso, che i dati fattuali, valgano essi a identificare elementi costitutivi o circostanziali del reato, siano naturalisticamente preesistenti alla decisione è evidente, come è evidente che essi costituiscano oggetto di accertamento, ove il legislatore li assuma come rilevanti, anche in vista di valutazioni prognostiche. Ma, ai fini dell'efficacia nel senso sopra ricordato della contestazione suppletiva, la natura costitutiva o dichiarativa riguarda non il rapporto tra fatti e decisione, ma tra contestazione e decisione. Per quanto si è sopra rilevato, la contestazione ha efficacia costitutiva processuale (nel senso che fa sorgere il dovere del giudice di pronunciarsi nel merito della stessa) ma solo alle condizioni di legge. E, in proposito, va ribadito (si veda sopra par. 5.2.1) quanto sottolineato da Sez. U Sorge, per cui la contestazione delle circostanze aggravanti si muove su un piano concettualmente diverso da quella della c.d. "definizione giuridica" del fatto storico originariamente contestato. E ciò per quanto attiene sia alle vicende processuali (dall'esercizio dell'azione penale sino al giudicato) sia al rapporto tra potere del giudice e potere del pubblico ministero. 6.4. Poiché il tema, in generale, è affrontato da una serie di decisioni della IV sezione di questa Corte (v., tra le massimate, Sez. 4, n. 47769 del 22/11/2023, PMT c/ D'Amico, Rv. 285421; Sez. 4 n. 50258 del 22/11/2023, PMT c/ Gentile, Rv. 285471; v. pure Sez. 4, n. 50270 del 22/11/2023, Carrubba, n.m., cui si farà riferimento in seguito; nello stesso senso, Sez. F, n. 43255 del 22/08/2023, Di Lanno, Rv. 285216 e Sez. F, n. 43256 del 22/08/2023, Bonaccorso, n. m.; nonché Sez.4, n. 17, ud. 22/11/2023, dep. 02.01.2024, ìmp. Sgroi, n.m., nonché Sez. 4, n. 652, ud. 07/12/2023, dep. 09.01.2024, imp. Attanasio, n.m..; in senso contrario, sempre sentenze della IV s; sezione: Sez. 4, n. 44158 del 03/10/2023, ric. Paone, n.m. e altre sentenze nella medesima e in altre udienze, come Sez. 4, n. 1847 del 12/10/2023 dep. 16/01/24, Tringali, n.m.), è opportuno soffermarsi su di esso, sebbene, ad avviso del collegio, l'apparato argomentativo di queste ultime collida con il percorso motivazionale di Sez. U Domingo. La pronunzia Sez. U, n. 4 del 28/10/1998, dep. 2019, Barbagallo cit. (peraltro ben tenuta presente da Sez. U Domingo) ha affermato che, in tema di nuove contestazioni, la modifica dell'imputazione di cui all'art. 516 cod. proc. pen. e la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante di cui all'art. 517 cod. proc. pen. possono essere effettuate dopo l'avvenuta apertura del dibattimento e prima dell'espletamento dell'istruzione dibattimentale, e dunque anche sulla sola base degli atti già acquisiti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari. Per giungere a questo risultato, le Sezioni Unite Barbagallo hanno esaminato le implicazioni della propria soluzione sulla tenuta dei principi anche costituzionali che governano il processo penale (in ciò dimostrando l'esigenza di una valutazione globale del sistema processuale) e condivisibilmente hanno osservato che le proprie conclusioni non violano il diritto di difesa, laddove sarebbe la contraria soluzione a ritardare irragionevolmente il processo o ad impedire il dispiegarsi del principio dell'azione di obbligatorietà dell'azione penale (sul significato di quest'ultimo principio spesso richiamato in materia ma senza alcun reale confronto sulla sua conformazione quale delineata dal legislatore, v. Sez. U Domingo, punto 5 del Considerato in diritto, dedicato all'esame e alle implicazioni di Corte cost., sent. n. 230 del 2022). In particolare, Sez. U Barbagallo hanno osservato, a proposito della contestazione della circostanza aggravante o della modifica dell'imputazione, che, in questa ipotesi, la contraria soluzione "darebbe luogo ad una contrazione dell'ambito di esercizio dell'azione penale, con ciò contravvenendosi al disposto dell'art. 112 Cost. E ciò, nonostante che la tesi interpretativa favorevole alla contestazione suppletiva nell'ipotesi in esame non comporti compromissione alcuna del diritto di difesa dell'imputato". Quest'ultimo brano dimostra che le Sezioni Unite si interrogano sul bilanciamento con il diritto di difesa e, su un piano generale, con la posizione della persona sottoposta all'esercizio del potere pubblico. E, infatti, se, invece, una lesione si verifica, vanno individuati nuovi confini del diritto di difesa, come evidenzia proprio Corte costituzionale, sent. n. 139 del 2015 (richiamata dalle indicate sentenze della (Quarta Sezione), che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 517 del codice di rito, nella parte in cui, nel caso di contestazione di una circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale, non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato oggetto della nuova contestazione. Con riserva di ritornare sul punto, si osserva che la ratio decidendi di Corte cost., sent. n. 139 del 2015 è chiaramente espressa al punto 4.4. del Considerato in diritto: "Anche sotto tale profilo, infatti, si riscontra il pregiudizio al diritto di difesa, connesso all'impossibilità di rivalutare la convenienza del rito alternativo in presenza di una variazione sostanziale dell'imputazione, intesa ad emendare precedenti errori od omissioni del pubblico ministero nell'apprezzamento dei risultati delle indagini preliminari. Così come si riscontra la violazione del principio di eguaglianza, correlata alla discriminazione cui l'imputato sì trova esposto a seconda della maggiore o minore esattezza e completezza di quell'apprezzamento". Tornando all'esame di Sez. U Barbagallo si rileva che la decisione valorizza la direttiva n. 78 dell'art. 2 della legge delega 16 febbraio 1987 n. 81, quanto all'assenza di "specifici limiti temporali all'esercizio di detto potere nell'ambito di tale fase processuale". E la specificità dei limiti implica che essi si correlino esclusivamente alla speciale disciplina delle contestazioni delle quali si tratta, senza che ciò precluda un esame del rapporto con l'art. 129 cod. proc. pen. e con i valori costituzionali ad esso sottesi, della ragionevole durata del processo e del favor innocentiae. 6.5. Interrogandosi sul significato dell'art. 129 cod. proc. pen., Sez. U De Rosa esplicitamente chiariscono che la previsione, collocata sistematicamente nel titolo II del libro secondo del codice tra gli "atti e provvedimenti del giudice", non attribuisce a costui un potere di giudizio ulteriore, inteso quale occasione - per così dire - "atipica" di decidere la res iudicanda, rispetto a quello che gli deriva dalle specifiche norme che disciplinano i diversi segmenti processuali (art. 425 per l'udienza preliminare; art. 469 per la fase preliminare al dibattimento; artt. 529, 530 e 531 per il dibattimento), ma, nel rispetto del principio della libertà decisoria, detta una regola di condotta o di giudizio, la quale si affianca a quelle proprie della fase o del grado in cui il processo si trova e alla quale il giudice, in via prioritaria, deve attenersi nell'esercizio dei poteri decisori che già gli competono come giudice dell'udienza preliminare o del dibattimento di ogni grado. Le Sezioni Unite aggiungono che "tale regola prevede l'obbligo (recte: dovere) dell'immediata declaratoria, d'ufficio, di determinate cause di non punibilità che il giudice "riconosce" come già acquisite agli atti. Si è di fronte ad una prescrizione generale di tenuta del sistema, nel senso che, nella prospettiva di privilegiare l'exitus processus ed il favor rei, s'impone al giudice il proscioglimento immediato dell'imputato, ove ricorrano determinate e tassative condizioni, che svuotano di contenuto - per ragioni di merito - l'imputazione o ne fanno venire meno - per la presenza di ostacoli processuali (difetto di condizioni di procedibilità) o per l'avverarsi di una causa estintiva - la effettiva ragion d'essere". È evidente, quindi, che proprio la pronunzia Sez. U De Rosa parifichi, nell'ambito della previsione di cui all'art. 129 cod. proc. pen., il difetto della condizione di procedibilità all'avverarsi di una causa estintiva del reato. Secondo l'orientamento sopra ricordato della Quarta Sezione di questa Corte, va fatta una distinzione delle situazioni giuridiche che vengono in rilievo: l'istituto della prescrizione attiene all'estinzione di (quasi) tutti reati a seguito del mero decorso del tempo, mentre il regime di procedibilità attiene alla necessaria sussistenza di una specifica condizione per l'esercizio dell'azione penale rispetto a determinate figure di reato, secondo una scelta che è rimessa alla discrezionalità del legislatore. Si tratta di discipline normative affatto diverse per struttura e finalità, che non possono essere equiparate ai fini che qui rilevano. Il presupposto non può che essere condiviso, mentre quelle che vengono presentate come conseguenze dello stesso (ma che tali non sono per le ragioni che si diranno), non risultano dimostrate e non si riescono a cogliere, a fronte della unificazione operata dall'art. 129 cod. proc. pen. e della ricostruzione operata, tra le altre, proprio da Sez. U De Rosa. Esse sono anzi smentite dalla evoluzione giurisprudenziale della quale si dirà di seguito. Poiché l'art. 129 del codice di rito unifica istituti chiaramente diversi per struttura e finalità, mostrando che tali distinzioni non sono rilevanti rispetto alla disciplina che esso detta, bisognerebbe spiegare perché esse riacquisterebbero significato per attribuire alla norma una portata diversa da quella ad essa assegnata da Sez. U Domingo, nel caso di contestazione suppletiva in epoca successiva al maturare del termine di prescrizione. Ossia, per quale ragione tali indiscutibili differenze possano rendere meno stringente l'obbligo di immediata declaratoria prevista dall'art. 129 cod. proc. pen., rendendo recessivi i valori di ragionevole durata del processo e di affidamento del cittadino su un epilogo del processo imposto dalla legge alla luce della contestazione concretamente operata, nell'esercizio dei poteri riconosciutigli dal codice di rito, dal titolare della pubblica accusa. 6.6. Ora, con riguardo alla condizione di procedibilità, viene nel presente processo in rilievo la questione specifica sopra indicata: la possibilità di operare una contestazione suppletiva dopo che sia inutilmente spirato il termine previsto dall'art. 85 d.lgs. n. 150 del 2022 per manifestare la volontà di punizione, con riferimento ad un reato divenuto procedibile a querela. Il rilievo che l'assenza di querela incida sulla procedibilità, ossia su un profilo strettamente processuale, coglie solo uno degli aspetti del problema, dal momento che la giurisprudenza di legittimità, anche di recente, ha ribadito la natura mista della querela, evidenziandone pure i suoi effetti sostanziali (v., di recente, Sez. 5, n. 22641 del 21/04/2023, P., Rv. 284749, che ricorda anche Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273552), proprio con riguardo agli effetti intertemporali della modifica della disciplina. Tutto ciò è valorizzato ai fini dell'art. 2 cod. pen., ma vale ad esaltare la rilevanza che viene assegnata alla posizione dell'autore del fatto rispetto all'esercizio del potere punitivo dello Stato, ossia illumina le ragioni dell'equiparazione delle varie "cause di non punibilità" previste dall'art. 129 cod. proc. pen. Del resto, così come affermato da Sez. 5, n. 32918 del 23/06/2023, Mirra, (Rv. 285010 - 01), il divieto di secondo giudizio non patisce eccezioni quando, in relazione al medesimo fatto già oggetto di sentenza di proscioglimento per mancanza di querela, sia nuovamente esercitata l'azione penale non già perché la querela sia stata successivamente portata all'attenzione dell'organo inquirente, ma perché lo stesso addebito è stato corredato dall'inedita contestazione di circostanze che lo hanno reso perseguibile di ufficio. Questa sentenza conferma che la riedizione di una rituale azione penale, quando sopravvenga la condizione di procedibilità (art. 345 cod. proc. pen., richiamato dall'art. 649, comma 1, del codice di rito), è confinata all'ipotesi che venga rimosso l'ostacolo (assenza di condizione) che ha arrestato il processo. Non è invece possibile superare la preclusione della sentenza quando semplicemente l'organo della pubblica accusa arricchisca lo stesso fatto oggetto della precedente pronunzia, con elementi circostanziali che rendano inutile la condizione di procedibilità. Questo perché - ed è la ragione della limitazione letterale dell'art. 345 del codice di rito al sopravvenire della condizione di procedibilità originariamente mancante - la ratio del ne bis in idem nel nostro ordinamento, pur ovviamente dispiegando i suoi effetti sul corso del processo, si coglie nella scelta di proteggere l'interesse sostanziale della persona a non essere sottoposto per il medesimo fatto a successivi processi. Si tratta di una conclusione alla quale questa Corte è giunta già da tempo. In particolare, si è, ad esempio, rilevato che, una volta che la sentenza di non luogo a procedere emessa a norma dell'art. 425 cod. proc. pen. non sia più soggetta a impugnazione e non ricorra alcuna delle ipotesi previste dalla disposizione eccezionale, e perciò di stretta applicazione, dell'art. 345 cod. proc. pen., che si riferisce al sopravvenire della specifica condizione di procedibilità originariamente mancante, è precluso l'inizio dell'azione penale in ordine al medesimo fatto, sia pur diversamente qualificato, nei confronti della stessa persona (Sez. 1, n. 8855 del 09/05/2000, Ciapanna, Rv. 216901 - 01; nella specie, successivamente a sentenza di non luogo a procedere emessa dal g.u.p. per difetto di querela relativamente a reato di diffamazione a mezzo stampa, il P.M. aveva iniziato azione penale in ordine al medesimo fatto, qualificato come vilipendio delle Forze Armate, per il quale era intervenuta autorizzazione a procedere). D'altronde, le impugnazioni straordinarie sono consentite nell'interesse del destinatario della pretesa punitiva, la cui posizione, nonostante il principio di obbligatorietà dell'azione penale, resta protetta, nel bilanciamento voluto dal legislatore, anche rispetto ad inerzie o errori del pubblico ministero. Se questa esigenza sostanziale di tutela giustifica gli effetti preclusivi anche con riguardo alla sentenza in tema di improcedibilità, rimane priva di copertura argomentativa la distinzione che si pretende di operare all'interno della disciplina, che lo stesso legislatore ha voluto unificata, dell'art. 129 del codice di rito. 6.7. Deve per completezza aggiungersi un ultimo rilievo. La citata Sez. 4, n. 50270 del 22/11/2023 valorizza un inciso di Corte cost., sent. n. 139 del 2015, in cui, per sottolineare che la circostanza aggravante contestata suppletivamente è idonea a determinare "un significativo mutamento del quadro processuale", si osserva che essa può "incidere in modo rilevante sull'entità della sanzione - tanto più quando si tratti di circostanze ad effetto speciale - e talvolta sullo stesso regime di procedibilità del reato". Sez. 4, n. 50270 del 22/11/2023 osserva che tale passaggio motivazionale ammette e dà per scontata la possibilità che la contestazione suppletiva di una circostanza aggravante, effettuata nel corso del giudizio, determini - ove previsto per legge - il mutamento del regime di procedibilità del reato per cui si procede. In realtà, le conclusioni giuridiche non possono essere date per scontate, ma devono essere razionalmente verificate nei loro presupposti normativi. E, a ben vedere, Corte cost., sent. n. 139 del 2015, svolgendo un discorso di carattere generale, si limita solo ad illustrare come il mutamento di un elemento circostanziale, sul piano della disciplina positiva, non sia indifferente per l'imputato, poiché può accompagnarsi a un inasprimento della pena (e anche all'allungamento del termine prescrizionale) o a un mutamento del regime di procedibilità. In effetti, la Corte Costituzionale non si occupa della questione, né menziona alcuna pronunzia di legittimità che consente, una volta irreversibilmente verificatasi una causa di improcedibilità, di superare questo effetto giuridico con una contestazione suppletiva. 6.8. Conclusivamente, ritiene il collegio che i principi affermati da Sez. U Domingo si impongano anche nel caso di specie e che, quindi, la contestazione suppletiva di circostanza aggravante è idonea a produrre effetti giuridici (ad es., quanto al dovere del giudice di pronunciarsi nel merito della stessa e quanto all'incidenza sul termine di prescrizione e sul regime di procedibilità) solo se intervenga prima del verificarsi di una delle "cause di non punibilità" previste dall'art. 129 cod. proc. pen. Ne deriva la correttezza della decisione impugnata, emessa dopo lo spirare del termine per la proposizione della querela e all'esito di una udienza appositamente fissata, su richiesta delle parti e nel pieno contraddittorio (in proposito si veda quanto sopra evidenziato nel paragrafo 2), in attesa della entrata in vigore della riforma introdotta dal d.lgs n. 150/2022. P.Q.M. Rigetta il ricorso del Pubblico Ministero Così deciso il 22 gennaio 2024. Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2024.
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