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Reati contro la PA

Corruzione: se la condotta non è idonea a determinare l'inizio della trattativa non può ritenersi adesiva alla proposta corruttiva

Corruzione

Cassazione penale sez. VI, 13/10/2020, n.33655

In tema di istigazione alla corruzione, l'accettazione della proposta corruttiva, che esclude la fattispecie incriminatrice ex art. 322 c.p., rendendo configurabile quella più grave di corruzione, deve essere connotata da effettività e concretezza, sicché non può ritenersi adesiva alle richieste del proponente la condotta del pubblico agente che, secondo una valutazione “ex ante” ed in concreto, non appaia idonea a determinare almeno un inizio di trattativa, né sia significativa di un impegno assunto per accondiscendere ad essa. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto integrato il reato di istigazione alla corruzione in un caso in cui il funzionario di un ufficio immigrazione riceveva materialmente un acconto in danaro sull'offerta corruttiva, ma con riserva mentale, subito dopo informando il proprio superiore e sporgendo denuncia, così da permettere il tempestivo avvio delle indagini nei confronti dell'istigatore).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Firenze, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la condanna di P.D.A.J. e M.R. alla pena di anni tre di reclusione ciascuno, con la diminuente del rito abbreviato, per il reato di cui agli artt. 110 e 322 c.p., commesso in (OMISSIS). La Corte, in linea con la ricostruzione compiuta dal giudice di primo grado, ha ritenuto acquisito un grave quadro probatorio a carico dei ricorrenti sulla base delle dichiarazioni rese da Ma.Le., responsabile dell'Ufficio Anagrafe e Stato Civile del Comune di Radicofani, il quale aveva denunciato, prima al Sindaco poi alla Polizia di Stato, di avere ricevuto la visita di due persone, identificate negli odierni ricorrenti, che gli avevano offerto la somma di quattromila Euro per ogni pratica di iscrizione, tra la popolazione residente nel Comune, di cittadini brasiliani che non erano ivi presenti, con l'impegno di omettere di richiedere i conseguenti accertamenti tramite i Vigili e gli adempimenti presso l'Autorità consolare, tanto in vista dell'acquisizione della cittadinanza italiana. In occasione della prima visita gli imputati avevano lasciato al Ma., come acconto, la somma di cinquecento Euro, mentre, in occasione della successiva visita, del 14 gennaio 2017, la Polizia, aveva proceduto all'arresto di P.D.A., trovato in possesso di documenti di cittadini brasiliani che, con la descritta procedura, avrebbero dovuto essere iscritti fra i residenti. Rilevava, infine, la Corte che dal contenuto delle intercettazioni ambientali, nel frattempo attivate, erano risultate descritte, dalla viva voce degli imputati, le procedure che avrebbero dovuto essere seguite per conseguire il risultato e che, a loro dire, erano state sperimentate, pervenendo a buon fine, presso uffici di anagrafe di altre località. 2. Con comuni motivi di ricorso, proposti attraverso il difensore di fiducia e di seguito sintetizzati, ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, P.D.A.J. e M.R., chiedono l'annullamento della sentenza. Denunciano vizio di violazione di legge (art. 192 c.p.p., commi 2 e 3) e vizio di motivazione poichè i giudici del merito, in relazione alle dichiarazioni rese da Ma.Le., non hanno fatto corretta applicazione delle regole di valutazione della prova. Le dichiarazioni del pubblico ufficiale, quale concorrente nel reato poichè egli aveva inizialmente accettato la somma di cinquecento Euro offertagli, avendo tardivamente denunciato il fatto, avrebbero dovuto essere valutate con l'osservanza dei criteri di cui all'art. 192, commi 2 e 3, ovvero unitamente ad altri elementi di prova idonei a confermarne l'attendibilità. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi, proposti per motivi infondati, devono essere rigettati. 2. Si assume in chiave difensiva che, poichè Ma.Le., in occasione della prima visita effettuata dai due imputati, aveva accettato la somma di cinquecento Euro offertagli quale retribuzione dell'attività illecita prospettatagli, le sue dichiarazioni avrebbero dovuto essere oggetto di valutazione ai sensi dell'art. 192 c.p.p., commi 2 e 3 dal momento che egli era concorrente nel reato di corruzione. 3. I giudici di merito hanno ritenuto erronea la prospettazione della difesa sulla veste giuridica del dichiarante. Ha rilevato la Corte di appello che Ma.Le., addetto all'anagrafe, fin dalla prima volta in cui era entrato in contatto con gli imputati, avendo acquisito consapevolezza delle loro finalità illecite, aveva informato sia il sindaco che il Commissariato di Polizia competente: pertanto egli non aveva accettato il denaro che gli era stato lasciato e il fatto che non lo avesse immediatamente restituito al P.D.A. non significava affatto che intendesse accettarlo, anche perchè aveva immediatamente informato sia il sindaco che la Polizia giudiziaria. Dalla più puntuale ricostruzione compiuta nella sentenza di primo grado risulta che in effetti gli imputati si erano portati in più occasioni presso l'Ufficio anagrafe di Radicofani e che, fin dalla prima visita, effettuata il giorno (OMISSIS), avevano illustrato al Ma. quali fossero le loro finalità e che, già in tale occasione, avevano lasciato, come acconto rispetto alla prevista retribuzione di quattromila Euro a pratica, la somma di cinquecento Euro. Risulta, però, accertato che il Ma. aveva riferito al sindaco il contenuto della visita; che fin dal 27 dicembre 2016, erano state attivate le operazioni di intercettazione ambientale nell'ufficio anagrafe e che il sindaco, il successivo 14 gennaio 2017, avendo appreso da altri dipendenti comunali della presenza di P.D.A. che domandava dell'orario di apertura al pubblico dell'ufficio che, quel giorno, sarebbe stato aperto solo nel pomeriggio, aveva preavvertito della presenza del brasiliano il Ma. che, a propria volta, aveva allertato il Commissariato di Pubblica Sicurezza di Chianciano. I poliziotti sopraggiunti avevano così notato gli imputati P.D.A. e M. uscire dal Comune, procedendo al loro arresto, in contemporanea con la escussione del Ma. che aveva consegnato anche le banconote che gli imputati gli avevano lasciato come acconto sulle pratiche illecite che gli venivano richieste e che, a loro dire, P.D.A. e M. avevano sperimentato con successo anche in altri comuni. 4. La prospettazione della difesa e il percorso argomentativo seguito dalla Corte di merito impongono alcune precisazioni muovendo dall'esegesi della fattispecie incriminatrice di cui all'art. 322 c.p. e dei suoi tratti differenziali, rispetto al delitto di corruzione immediatamente evocato dalla vicenda in esame alla quale, secondo la prospettazione difensiva, va ricondotto il fatto dal momento che il pubblico ufficiale aveva accettato il denaro che gli era stato consegnato in occasione della prima visita effettuata dagli odierni ricorrenti, visita durante la quale i predetti avevano esposto le linee programmatiche del loro illecito progetto. 5. La norma di cui all'art. 322 c.p., prevede ai primi due commi, l'ipotesi di istigazione alla corruzione per l'esercizio della funzione o per un atto contrario ai doveri di ufficio, ovvero ipotesi di cd. istigazione alla corruzione attiva, in relazione alla quale il soggetto attivo è il privato corruttore. Le ipotesi dei commi successivi, prevedendo l'istigazione alla corruzione passiva, vedono come soggetto attivo l'intraneus, cioè il soggetto pubblico, pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che sollecita la promessa o dazione di denaro o altra utilità da parte di un privato. Espressamente l'art. 322 c.p., primi due commi, richiedono, al fine di ritenere integrata la figura delittuosa in esame, la condizione che l'offerta o la promessa non sia accettata: in tale evenienza certamente non si realizza una fattispecie di concorso nel reato bensì, ricorrendone i presupposti, le diverse fattispecie di cui agli artt. 318 e 319 c.p., anche in forma tentata. Secondo una condivisa e risalente esegesi, formatasi nella vigenza della precedente formulazione della norma ad opera della L. 6 novembre 2012, n. 190 - che ha introdotto la figura della istigazione alla corruzione per l'esercizio della funzione - l'art. 322 c.p., prevede una figura autonoma di reato; un reato di semplice condotta consumato alla verificazione dell'offerta o della promessa (o della loro sollecitazione, se l'agente sia il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio) ed è reato connotato da dolo specifico, evidenziato dallo scopo dell'agente. Il reato di istigazione alla corruzione, nelle diverse ipotesi che lo realizzano, è del tutto estraneo alla figura di reato bilaterale alla quale sono invece, riconducibili le fattispecie previste dagli artt. 318 e 319 c.p.. La corruzione costituisce, come noto, reato plurisoggettivo di "natura bilaterale" o, per così dire, a "concorso necessario" (tra tante, Sez. 6, n. 33435 del 04/05/2006, Battistella, Rv. 234361), nel quale l'elemento caratterizzante dell'illecito è costituito dalla stipulazione tra il privato e il pubblico ufficiale di un pactum sceleris, avente ad oggetto i doveri funzionali del secondo: le condotte convergenti - del privato e del pubblico funzionario - si integrano a vicenda, dando vita ad un unico delitto a compartecipazione necessaria, la cui configurazione è strettamente collegata alla sussistenza di entrambe le condotte (il pubblico ufficiale percepisce l'utilità o ne accetta la promessa e dà in cambio l'atto d'ufficio o contrario ai doveri d'ufficio; nella posizione inversa viene a trovarsi il privato). La giurisprudenza - in contrapposizione a quegli orientamenti dottrinari che strutturano la figura in esame come una forma di tentativo dei corrispondenti delitti di cui agli artt. 318 e 319 c.p., - ha chiarito che l'art. 322 c.p., realizza la estensione della punibilità dell'agente, sia privato che pubblico, in fattispecie nelle quali l'ipotesi base di corruzione non sia neppure realizzata sotto forma di tentativo, impostazione, questa, che trae conferma dalla formulazione stessa dell'art. 322 c.p., norma altrimenti superflua, in quanto l'autonoma punibilità dell'azione del privato, che invano promette od offre denaro a un pubblico ufficiale o quella di quest'ultimo che sollecita vanamente tale promessa o dazione, discenderebbe altrimenti dalla norma generale sul tentativo. L'art. 322 c.p., invece, assolve proprio alla funzione di sottoporre a sanzione "fatti tendenti ad insidiare il senso di rettitudine e di disinteresse che deve sempre accompagnare l'esercizio delle pubbliche funzioni" (Sez. 6, n. 1593 del 19/11/1968, dep. 1969, Varricchio, Rv. 109976) altrimenti non punibili per effetto del disposto dell'art. 115 c.p. La ratio di tale scelta riposa sull'interesse a proteggere il retto funzionamento ed il prestigio della pubblica amministrazione contro il pericolo di unilaterali iniziative che, in quanto rivolte alla conclusione di un pactum sceleris, possono rappresentare un grave turbamento della funzione pubblica o della concreta attività della pubblica amministrazione (Sez. 6, n. 36077 del 27/05/2009, Torre, Rv. 244868). 6. La giurisprudenza di questa Corte ha approfondito, in particolare, l'aspetto che riguarda la idoneità dell'offerta fatta al pubblico ufficiale ai fini della configurabilità del reato ed è pervenuta alla conclusione che l'offerta, caratterizzata dall'intento di ottenere l'accettazione da parte del soggetto pubblico, deve essere effettiva e seria. Si è affermato che per la configurabilità del delitto di cui all'art. 322 c.p., occorre, tra l'altro, che l'offerta o la promessa di denaro o di altra utilità sia idonea alla realizzazione dello scopo, cioè sia tale da indurre il destinatario al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio; idoneità che deve essere valutata con un giudizio ex ante che tenga conto dell'entità del compenso, delle qualità personali del destinatario e della sua posizione economica e che deve essere tale da determinare una rilevante probabilità di causare un turbamento psichico nel pubblico ufficiale, sì che sorga il pericolo dell'accettazione dell'offerta (Sez. 6, n. 5439 del 15/12/1989 - dep. 13/04/1990, Destito, Rv. 184039). 7. Non constano, invece, precedenti in termini rispetto alla questione posta dall'odierno ricorso, secondo cui era immediatamente ravvisabile in capo al funzionario lo status di indagato, evidentemente del delitto di corruzione, di cui all'art. 319 c.p., dal momento che l'offerta di denaro da parte del P.D.A. e dal M. era stata accettata dal Ma. che, infatti, aveva trattenuto la somma di cinquecento Euro consegnatagli come acconto rispetto alla futura trattazione, secondo le prospettate illecite modalità, di pratiche per l'acquisto della cittadinanza di cittadini brasiliani che, in realtà, non erano residenti nel comune di Radicofani. Rileva il Collegio che il termine accettazione - che, come anticipato, ricorre espressamente nella previsione dell'art. 322 c.p., - rimanda, prima che ad una nozione giuridica, ad un comportamento concludente con la consegna, reale ed effettiva di un bene ovvero ad una dichiarazione attraverso la quale l'agente accetti una promessa ovvero la proposta dell'agente. Nei delitti di corruzione per l'esercizio della funzione o per atto contrario (previsti dagli artt. 318 e 319 c.p.) l'accettazione della promessa - in contrapposizione alla materiale ricezione del bene o altra utilità - è posta, sul piano semantico, in relazione alla mera promessa di indebita corresponsione e rileva quale momento di emersione del pactum sceleris intercorso tra le parti in vista del compimento dell'attività di natura pubblica che costituisce oggetto dell'accordo stesso. La mera accettazione della promessa determina, peraltro, nelle fattispecie di reato di cui agli artt. 318 e 319 c.p., la consumazione del reato. Ma, rileva il Collegio, come l'offerta, per integrare la base materiale del reato di istigazione alla corruzione, deve essere effettiva e seria, così l'accettazione, a fronte dell'offerta o della promessa dell'agente, deve essere valutata nella sua effettività e serietà in quanto idonea a determinare, perlomeno, un inizio di trattativa con il privato proponente ovvero come impegno preso dal funzionario per accondiscendere alle proposte ricevute, connotati da verificare, ex ante e in concreto. E tali connotati non sono ravvisabili, in termini di accettazione della proposta corruttiva, nel comportamento del Ma. poichè la mera accettazione materiale della somma e la sua conservazione sono stati evidentemente accompagnati dalla riserva mentale del destinatario di proporre denuncia, riserva mentale che è stata resa palese dalla tempestiva informativa al sindaco e dal conseguente comportamento del funzionario che, preavvertito dell'arrivo del P.D.A. presso l'ufficio il giorno 14 gennaio 2017, ha effettivamente proposto denuncia, avvertendo il Commissariato di Polizia di Chianciano. Alla descritta funzione di anticipazione della soglia di punibilità che il reato di cui all'art. 322 c.p., viene a realizzare - funzione che costituisce la ratio del precetto e che ha consentito al legislatore di elevare a rango di reato quelle fattispecie che esprimano in astratto un contenuto lesivo, o comunque la messa in pericolo, di un bene o interesse oggetto della tutela penale - deve corrispondere nell'applicazione giurisprudenziale, quale criterio interpretativo-applicativo affidato al giudice, la verifica che il fatto di reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l'interesse tutelato, e, quindi, la verifica di elementi di valutazione che denotino il pericolo di una "saldatura" tra le condotte del privato e quella del pubblico agente sicchè la condotta è suscettibile di integrare la fattispecie di cui all'art. 322 c.p., ove sia accertato il contegno positivo di una sola delle parti, come nella specie si è accertato sulla base del comportamento tenuto dal pubblico funzionario. 8. Esaminando il tema della individuazione della veste del dichiarante ovvero gli elementi di valutazione che il giudice - e prima ancora l'inquirente- devono accertare in vista della escussione di chi si affermi destinatario di una promessa o offerta corruttiva - se, cioè persona che possa essere sottoposta ad indagini per il reato di corruzione ovvero persona offesa del reato di istigazione alla corruzione - questa Corte ha affermato che la veste di persona sottoposta ad indagini presuppone che le dichiarazioni provengano da soggetto a carico del quale già sussistevano indizi in ordine al medesimo reato o in ordine a reato connesso o collegato e, dunque, che "siano già acquisiti, prima dell'escussione, indizi non equivoci di reità, come tali conosciuti dall'autorità procedente, non rilevando a tale proposito eventuali sospetti od intuizioni personali dell'interrogante (Sez. U. n. 23868 del 23/4/2009, Fruci, Rv. 243417; Sez. 2, n. 20936 del 7/4/2017, Minutolo, Rv. 270363). Si è altresì precisato che spetta al giudice, in merito alla qualità del dichiarante, il potere di verificare l'attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, e il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità (Sez. U. n. 15208 del 25/2/2010, Mills, Rv. 246584). Ciò significa che, al fine di stabilire se effettivamente il Ma. dovesse assumere la veste di indagato, avrebbero dovuto essere ab origine ravvisabili inequivoci indizi in ordine alla configurabilità a carico del predetto non tanto dell'accettazione della somma di denaro lasciatagli dai ricorrenti, in occasione della prima visita, ma anche di una dolosa omissione della denuncia del reato di istigazione alla corruzione, indizi non ravvisabili, in ragione della ricostruzione compiuta dai giudici di merito con riferimento alle dichiarazioni del Ma. che effettivamente furono verbalizzate solo dopo l'arresto degli odierni imputati ma che erano state precedute dalla denuncia al Commissariato di Chianciano e dalla denuncia dei fatti al sindaco e che, del resto, erano sfociate in indagini che, non si sa se a conoscenza o meno del funzionario, avevano determinato anche l'avvio delle operazioni di intercettazione ambientale eseguite il 27 dicembre 2016. 9. Consegue al rigetto del ricorso la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al pagamento delle spese in favore del Comune di Radicofani liquidate, in osservanza dei criteri di cui al D.M. 55 del 2014 e ss. modifiche e della richiesta della parte civile, come in dispositivo. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè a rifondere alla parte civile Comune di Radicofani - in persona del sindaco pro tempore- le spese del presente grado di giudizio che liquidano, così come richiesto, in complessivi Euro 3015,00 oltre ad accessori di legge. Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2020. Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2020
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