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Reati contro la PA

Corruzione: sull'inserimento del patto corruttivo nell'esercizio di un potere discrezionale

Corruzione

Cassazione penale sez. VI, 10/11/2020, n.1594

In tema di corruzione propria, l'inserimento del patto corruttivo nell'ambito dell'esercizio di un potere discrezionale non implica necessariamente l'integrazione dell'ipotesi di cui all'art. 319 c.p., dovendosi verificare se l'atto sia posto in essere in violazione delle regole che disciplinano l'esercizio del potere discrezionale e se il pubblico agente abbia pregiudizialmente inteso realizzare l'interesse del privato corruttore. (In motivazione, la Corte ha precisato che la mera ricezione di denaro in ragione del compimento dell'attività discrezionale, può integrare il reato di cui all'art. 318 c.p. qualora l'atto compiuto realizzi ugualmente l'interesse pubblico e non sia stato violato alcun dovere specifico).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con la ordinanza in epigrafe indicata, Il Tribunale di Reggio Calabria accoglieva parzialmente la richiesta di riesame proposta nell'interesse di S.G. avverso il provvedimento del 16 dicembre 2019 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria che aveva applicato al suddetto indagato la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione al reato di cui agli artt. 110,319 e 321 c.p.. Il Tribunale, in particolare, sostituiva la misura cautelare con quella dell'obbligo di dimora. All'indagato era stato contestato in via cautelare di aver accettato, in qualità di Sindaco pro tempore del Comune di (OMISSIS), utilità o promesse di utilità da R.A., presidente del consiglio di amministrazione della società di traghettamento "Caronte & Tourist" s.p.a., per compiere atti contrari al proprio ufficio ed omettere atti del suo ufficio. Segnatamente, S., consapevole che detta società aveva in corso di realizzazione opere edili per la riorganizzazione di un'area che interessava anche la proprietà dell'Anas, in assenza di un provvedimento concessorio dell'ente proprietario, si era prima opposto in consiglio comunale alla mozione di minoranza che aveva chiesto ai competenti uffici comunali di disporre la sospensione dei lavori in attesa delle verifiche sulla effettiva proprietà dell'area e aveva poi sollecitato la società Anas a stipulare una convenzione con il Comune per la concessione della suddetta area al fine di cederla in subconcessione alla società Caronte. Quale controprestazione, R. aveva promesso l'assunzione presso la suddetta società del figlio della consigliere comunale V. (richiesta da S. per assicurarsi in consiglio il voto favorevole di quest'ultima), aveva disposto l'assunzione presso la medesima società di C.F. su segnalazione del S. e aveva promesso l'erogazione in favore del Comune della somma di 8.000 Euro per l'organizzazione di manifestazioni culturali, sportive, ricreative e turistiche (fatti avvenuti in (OMISSIS) tra il (OMISSIS)). 2. Avverso la suddetta ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori dell'indagato, denunciando i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 266,267,270 e 271 c.p.p.. Le richieste di autorizzazione all'espletamento dell'attività d'intercettazione riguardavano ipotesi di reato che nulla avevano a che fare con quella contestata a carico del ricorrente. Anche quando nei decreti autorizzativi era richiamata l'ipotesi di cui all'art. 319 c.p. si trattava di fatti che non avevano alcuna attinenza con quelli per i quali è stata ravvisata la gravità indiziaria a carico del ricorrente. Neppure negli atti relativi alle captazioni si rinviene traccia del legame sostanziale tra i reati in questione. 2.2. Vizio di motivazione e violazione di legge in relazione agli artt. 110,319 e 321 c.p.. La ordinanza non si è debitamente confrontata sia con il quadro indiziario disponibile, convergente ad escludere l'ipotesi di reato configurata a carico del ricorrente, sia con i temi difensivi esposti in una memoria depositata in sede di riesame. In ordine al presupposto di fatto su cui si fonda la contestazione cautelare la consapevolezza del S. dell'abusiva attività edilizia posta in essere dalla Caronte - andava considerato che tutti i lavori "abusivi" erano stati eseguiti prima dell'insediamento di S. quale sindaco del Comune, avvenuto soltanto in data 5 luglio 2018. Il Tribunale ha poi presunto che a partire dal luglio 2018 il S. avesse iniziato ad interessarsi della stipula con Anas della concessione all'esclusivo scopo di attribuirla in sub-concessione alla Caronte in modo da sanare ex post l'abusiva occupazione delle aree demaniali ad opera di quest'ultima società. Il Tribunale ha desunto tale punto da una captazione del 26 giugno 2018 tra S. e il R. nella quale emerge tuttavia esattamente il contrario: ovvero che R. fosse assolutamente certo della regolarità degli interventi effettuati sull'area. In ogni caso, il Tribunale non ha spiegato come abbia ricavato da tale captazione la prova indiziaria del dolo corruttivo dei due indagati, considerato che all'epoca S. era un extraneus alla vicenda, non essendosi ancora insediato come sindaco. Nè tantomeno poteva trarre elementi indiziari dell'accordo corruttivo dal dialogo in cui R. si era lamentato dei commenti giornalistici al rigetto della mozione di minoranza. Quindi l'ordinanza non solo presume la consapevolezza della irregolarità delle opere in corso di esecuzione (i dialoghi danno conto solo della volontà del S. di addivenire alla stipula della concessione con Anas per poi siglare l'accordo con la Caronte), allargandosi fino ad identificare il dolo dei presunti abusivi con il dolo corruttivo. La lettura del compendio indiziario è illogica là dove da un lato valuta come prevalenti le finalità perseguite dal ricorrente (invece interessato all'acquisizione dell'area per un preciso progetto politico che avrebbe portato cospicue somme alle casse del Comune) e svaluta immotivatamente le iniziative assunte dal S. all'esito delle mozioni di minoranza e le ampie rassicurazioni fornite dall'Ufficio tecnico in ordine alla regolarità dell'opera. In tale prospettiva non è dato comprendere come l'interesse del S. affinchè l'Anas rilasciasse una sorta di autorizzazione provvisoria all'esecuzione dei lavori alla Caronte fosse esclusivamente privato. In modo contraddittorio poi il Tribunale afferma che l'intenzione di S. di stipulare la convenzione con Anas sarebbe sorta soltanto in seguito all'emersione pubblica di sospetti sulla regolarità dei lavori a seguito delle mozioni di minoranza, degli accertamenti richiesti e dall'interesse della stampa, così smentendo l'esistenza di un patto corruttivo a monte tra S. e R. stretto all'epoca dell'avvio di svariati mesi precedenti dei lavori sull'area. Il Tribunale non spiega come possa conciliarsi il patto corruttivo con le circostanze emergenti dal provvedimento impugnato, ovvero la presentazione all'Anas da parte della Caronte stessa di un'istanza per ottenere la concessione dell'area e il ricorso al Tar proposto dalla Caronte avverso la convenzione siglata tra la Anas e il Comune. In ogni caso, appare fallace la argomentazione del Tribunale in ordine alla finalità dell'operazione - sanare i pregressi presunti abusi della Caronte - posto che tale obiettivo non poteva derivare dalla concessione e subconcessione. In modo illogico il Tribunale ha escluso che l'interesse della Caronte ad una celere definizione dei lavori non potesse coincidere con quello del Comune ad un altrettanto celere incameramento del canone. Il Tribunale ha omesso di considerare che la difesa aveva allegato come il piazzale in questione fosse stato dal 1985 affidato in subconcessione alla Caronte dal Comune in cambio di un canone e aveva prodotto la bozza di convenzione del febbraio 2019, che dimostrava come non vi fosse stato un accordo corruttivo ai danni del Comune. In modo illogico il Tribunale ha motivato in ordine ai poteri del Sindaco, che non avrebbe potuto disporre la sospensione dei lavori della Caronte, in assenza di una specifica indicazione dell'Ufficio tecnico comunale, trattandosi di provvedimenti di stretta ed esclusiva competenza di tale ufficio. Per superare tale obiezione il Tribunale ha costruito un'inedita ipotesi di corruzione, nella quale il ricorrente avrebbe mercanteggiato l'obbligo giuridico di impedire un evento. Manca in ogni caso la prova indiziaria del previo accordo corruttivo. Difetta inoltre la prova della promessa di R. dell'assunzione del figlio della V.. La difesa aveva inoltre documentato come l'azione politica della V. fosse stata sempre in linea con il suo partito di opposizione. Parimenti la difesa aveva dedotto in ordine al legame tra la assunzione del C. e l'erogazione di contributi in favore del Comune con la vicenda della Caronte. Proprio il contributo erogato al Comune (dimezzato rispetto a quello richiesto dal S.) dimostrerebbe l'assenza di un accordo corruttivo, come anche la richiesta alla società Caronte di una somma per il canone cinque volte superiore. Il Tribunale non ha considerato la documentazione prodotta sui rapporti tra il ricorrente e l'ufficio Comunale e le dichiarazioni rese da P. (in ordine alla mancanza da parte dell'Anas di conoscenza di lavori abusivi su aree di sua proprietà e sui canoni modesti pagati dalle sub-concessionarie fino alla convenzione del maggio 2019). In definitiva difetta la prova dell'accordo corruttivo, che non può ravvisarsi nella sola prova della dazione indebita di una utilità al pubblico ufficiale, soprattutto quando si versi in utilità non patrimoniale. Manca la dimostrazione della natura retributiva della dazione anche alla luce della natura collegiale della reiezione della mozione di minoranza e comunque dello stabile asservimento del ricorrente all'interesse personale di terzi. 2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 274 e 275 c.p.p.. La motivazione sul punto delle esigenze cautelari è assertiva ed autoreferenziale, in particolare quanto alla concretezza del pericolo di recidiva. Ha dato per assodata la presenza ancora da dimostrare delle plurime schede di soggetti segnalati dal ricorrente presso la società Caronte, senza motivare sui legami di tali segnalazioni con l'accordo corruttivo. Ha valorizzato senza alcun approfondimento l'intervenuta prescrizione per un reato di abuso di ufficio. Non è stata considerata, se non con una motivazione di stile, la dismissione di R. dal suo ruolo all'interno della Caronte, che veniva a scardinare l'esigenza cautelare che si basava sui rapporti tra i due coindagati. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è da rigettare, in quanto infondato, presentandosi in molti punti inammissibile, in quanto generico e ripetitivo di questioni già risolte dal Tribunale del riesame, con motivazione non censurabile in questa sede. 2. L'eccezione della inutilizzabilità delle intercettazioni, proposta in questa sede per la prima volta, è generica sia quanto alla rilevanza del vizio dedotto (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416) sia in ordine alla individuazione dello specifico atto affetto da inutilizzabilità (non applicandosi per l'inutilizzabilità il principio della nullità derivata ex art. 185 c.p.p., Sez. 6, n. 4119 del 30/04/2019, dep. 2020, Romeo, Rv. 278196), essendosi limitato il ricorrente ad allegare in modo informe svariati atti relativi ai servizi di intercettazione, senza indicare quelli affetti dal vizio. L'eccezione appare anche del tutto sguarnita di specifiche argomentazioni (limitandosi il ricorrente ad assertive conclusioni) in ordine alla esclusione di collegamenti sostanziali (ovvero quelli rilevanti ai fini dell'art. 12 c.p.p., in base a Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Cavallo, Rv. 277395) tra le ipotesi di reato per le quali le captazioni sono state autorizzate e il reato per le quali sono state poi utilizzate, in particolare con rifermento alla eventuale identità del disegno criminoso. 3. In ordine al tema della gravità indiziaria, l'ordinanza impugnata resiste alle critiche difensive, posto che ha affrontato adeguatamente le deduzioni difensive, mentre le censure a tratti si presentano meramente oppositive e si spingono nel merito della valutazione della vicenda, che non offre invece rilievi di manifesta illogicità. E' appena il caso di ricordare che la motivazione dell'ordinanza genetica, allorchè i giudici del gravame concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione, si salda a quella della pronuncia del giudice del controllo, in un unico plesso argomentativo, a cui la Corte di cassazione può fare riferimento (tra le tante, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595). 3.1. Quanto alla consapevolezza da parte del ricorrente dei lavori intrapresi dalla Caronte sull'area dell'Anas, va osservato che dall'ordinanza genetica (pag. 56 e ss.gg.) si evince come il ricorrente fosse personaggio da tempo intraneo nella compagine comunale (come assessore e poi Vicesindaco) e come da ultimo l'11 giugno 2017 fosse stato eletto come Sindaco ma subito sospeso per la L. n. 190 del 2012 a causa di una condanna in primo grado per abuso d'ufficio, per poi rientrare in carica il 4 luglio 2018. Tale quadro rende pertanto aspecifiche le critiche circa la conoscenza del S. delle vicende relative alla Caronte prima del suo (re)insediamento del luglio 2018. Quel che risulta dirimente nella costruzione accusatoria sono piuttosto le iniziative assunte dopo tale data dal consigliere di minoranza A. che avevano portato alla luce la questione della irregolarità dei lavori della Caronte (la prima mozione è del 27 luglio 2018 e la seconda dell'11. settembre 2018), con riferimento proprio alla occupazione sine titulo dell'area del piazzale. L'ufficio tecnico comunale, mentre aveva precisato che i lavori erano stati assentiti con provvedimento del 13 giugno 2018, non aveva saputo fornire risposta sulla questione (rilevante nella ricostruzione della vicenda in esame) della concessione delle aree che riguardavano i suddetti lavori. Quindi la questione che il patto corruttivo doveva risolvere era non la legittimità urbanistica dei lavori quanto piuttosto quella del titolo in base al quale la Caronte poteva realizzare i lavori su un'area demaniale. La telefonata del 26 giugno 2016, lungi dal costituire la prova dell'accordo corruttivo, è richiamata dal Tribunale per dimostrare come il ricorrente si interessasse della vicenda (per ragioni evidentemente private) già prima di riassumere l'incarico Sindaco con il R.. 3.2. Che la stipula della concessione con l'Anas avesse lo scopo primario di sanare ex post la situazione della Caronte è dimostrato dai Giudici del merito da una serie di convergenti circostanze: l'esigenza di detta stipula era sorta solo a seguito dell'emersione di sospetti sulla regolarità dei lavori svolti dalla Caronte; la stessa Caronte aveva fatto istanza all'Anas per ottenere l'area in concessione ma tale iter prevedeva la evidenza pubblica, che poteva essere bypassata con la intermediazione del Comune; il riferimento nelle captazioni da parte del ricorrente ad una convenzione che veniva a riguardare l'area dei lavori della Caronte; la premura dello stesso di verificare ab initio con il consulente del Comune che, ottenuta la concessione, potesse poi il Comune "senza il bando" affidare l'area in subconcessione (il consulente doveva informarsi sul tipo di convenzione che consentisse tale operazione); l'interesse spasmodico - ma soltanto privato - del ricorrente affinchè l'Anas rilasciasse una autorizzazione provvisoria alla Caronte per i lavori sull'area (rassicurandone il R.). Era stato lo stesso ricorrente nel rivolgersi ai funzionari dell'Anas e al consulente del Comune a mettere in luce gli interessi della Caronte ad avere al più presto possibile la subconcessione per sistemare la questione del piazzale e, nel rapportarsi con il consulente del Comune, a rivelare che l'escamotage della concessione al Comune fosse fatto "apposta" per concedere l'area in subconcessione senza bando alla Caronte. Quindi era irrilevante che la Caronte fosse sub concessionaria da tempo della restante area, posto che quel che costituiva l'utilità per la Caronte era sanare al più presto la situazione verificatasi da ultimo dell'occupazione sine titulo. 3.3. Che S. fosse a conoscenza che andasse sanata la situazione di abusiva occupazione da parte della Caronte è dimostrato dai Giudici del merito da altra captazione del 2 agosto 2018, nella quale il consulente del Comune nel dialogare con il S. aveva detto chiaramente come una parte dell'occupazione dell'area da parte della Caronte fosse abusiva. Tale dialogo avveniva a distanza di pochi giorni dalla prima mozione dell' A.. 3.4. Il Tribunale ha affrontato inoltre il tema dell'atteggiamento assunto da S. in consiglio alla presentazione delle due mozioni: significativa risulta la circostanza che il ricorrente avesse tranquillizzato il Rapaci in ordine alla prosecuzione dei lavori, promettendo anche di tacitare la stampa. 3.5. Parimenti il Tribunale ha fornito una risposta non manifestamente illogica in ordine alla circostanza evidenziata dalla difesa del ricorso al Tar promosso dalla Caronte avverso la stipula della convenzione del 27 maggio 2019: era già avvenuto l'accesso della polizia giudiziaria presso il Comune e l'Anas e gli indagati avevano ricevuto notizia della proroga delle indagini. Pertanto non si trattava di un atto avente una valenza dimostrativa spontanea, avendo a quella data gli interessati motivo di allontanare dalle loro persone le indagini in itinere. Conferma di tale lettura era venuta da una captazione avvenuta prima di detti eventi di allarme per gli indagati, nel corso della quale il R. aveva dimostrato di essere soddisfatto della convenzione stessa, che caldeggiava. In tal senso non appare censurabile neppure la argomentazione spesa dal Tribunale per disattendere il rilievo difensivo sulla somma pagata dalla Caronte a seguito della richiesta del Comune del 5 novembre 2019 (anch'essa avvenuta nel medesimo contesto in cui gli interessati avevano tenuto un comportamento formalmente corretto). Va poi aggiunto che, come già si è detto, non assume rilevanza rispetto alla imputazione provvisoria la questione dei poteri del Sindaco in materia urbanistica. 3.6. Quanto alla prova del patto corruttivo, è principio pacifico che non occorra la prova di una esplicita pattuizione, ma è sufficiente che l'accordo sia desunto da anche da fatti concludenti, tra i quali anche la stessa dazione della utilità. In tal caso è necessario, peraltro, dimostrare che il compimento dell'atto contrario ai doveri d'ufficio sia stato la "causa" della prestazione dell'utilità e della sua accettazione da parte del pubblico ufficiale, non essendo sufficiente a tal fine la mera circostanza dell'avvenuta dazione (Sez. 6, n. 39008 del 06/05/2016, Biagi, Rv. 268088). Ebbene, il Tribunale ha fornito la richiesta dimostrazione sul punto, in modo adeguato e coerente alle evidenze esposte. Il Tribunale ha dimostrato, in termini di gravità indiziaria, come contestualmente all'attivarsi da parte del S. per la stipula della convenzione, costui si rivolgesse al R. per ottenere l'assunzione di Messina e C. e la erogazione delle somme in favore del Comune. Quanto alle utilità promesse o effettivamente corrisposte da parte del R., va ribadito che la nozione di utilità di cui all'art. 319 c.p. ricomprende qualsiasi vantaggio patrimoniale o non patrimoniale, che abbia valore per il pubblico agente o per un terzo, ivi compresi i benefici leciti, che nondimeno assumono rilevanza penale nel caso in cui s'inseriscano in una relazione sinallagmatica di tipo finalistico-strumentale o causale rispetto all'esercizio dei poteri o della funzione ovvero al compimento dell'atto contrario ai doveri d'ufficio (Sez. 6, n. 51765 del 13/07/2018, Ozzimo, Rv. 277562). La utilità dell'assunzione del figlio della V. è spiegata proprio dalla voce del S. che aveva fatto intendere, facendo riferimento alla posizione della V. in consiglio (era firmataria del ricorso al Tar contro la proclamazione a sindaco del S. e di tutti gli atti adottati per la formazione della giunta comunale), che tutti avevano figli da sistemare e che una volta sistemato un figlio si cambiavano gli equilibri. Tali evidenze rendevano assorbite le doglianze difensive sull'operato della V. in consiglio (considerato anche che la assunzione poi non si era realizzata). Il Tribunale riportava anche le captazioni relative alla vicenda C. (segnatamente, i ringraziamenti ricevuti dal S.) e alle elargizioni in favore del Comune. A dimostrazione della connessione causale delle elargizioni con la vicenda Anas, il Tribunale richiamava la telefonata fatta dal S. al funzionario dell'Anas, in occasione della richiesta del denaro (poi effettivamente promessa) al R., per sollecitare la stipula della convenzione e il rilascio medio tempore di un'autorizzazione provvisoria. Non appare disarticolante la circostanza che il contributo erogato al Comune sia stato dimezzato rispetto a quello richiesto dal S., posto che era stato lo stesso ricorrente a prevedere una riduzione della somma. Risultano plausibilmente anche superate le produzioni difensive ed in particolare le dichiarazioni rese da P., a fronte dell'univoco e solido quadro indiziario. 4. L'ordinanza impugnata non merita censura neppure in ordine alla qualificazione dei fatti nella cornice dell'art. 319 c.p.. Il Tribunale ha ravvisato l'accordo corruttivo nell'aver mercanteggiato il S. atti contrari ai doveri di ufficio a fronte dei favori promessi o realizzati dal R.. Nella specie, i Giudici di merito hanno osservato come gli atti riferibili al S. (l'opposizione alla mozione e la richiesta di concessione all'Anas) fossero formalmente legittimi ma orientati in favore del privato corruttore (fattispecie della cosiddetta "vendita della discrezionalità"). Sul punto la più recente giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla), che il Collegio condivide, ha affermato che, ai fini della configurabilità del reato di corruzione propria, rileva la violazione dei doveri che attengono al modo, al contenuto, ai tempi degli atti da compiere e delle decisioni da adottare, alla violazione, cioè, della regola "giusta" nel concreto operare della discrezionalità amministrativa. E' necessario fare riferimento alle regole sottese all'esercizio dell'attività discrezionale e si tratta di verificare se l'interesse pubblico sia stato in concreto condizionato dalla "presa in carico" dell'interesse del privato corruttore; nel caso in cui l'interesse pubblico non sia stato condizionato, il fatto integrerà la fattispecie di cui all'art. 318 c.p.. Quello che deve essere verificato, cioè, è se l'interesse perseguito in concreto sia sussumibile nell'interesse pubblico tipizzato dalla norma attributiva del potere, se questo sia stato soddisfatto, ovvero se esso sia stato limitato, condizionato, inquinato dalla esigenza di soddisfare gli interessi privati posti a carico con l'accordo corruttivo. E' possibile invero che l'atto discrezionale, nonostante l'accordo corruttivo, realizzi l'interesse pubblico e che il comportamento del pubblico ufficiale non abbia violato nessun dovere specifico. L'atto discrezionale ed il comportamento sottostante sono contrari ai doveri di ufficio nei casi in cui siano state violate le regole sull'esercizio del potere discrezionale o ne siano stati consapevolmente alterati i fondamentali canoni di esercizio in vantaggio del corruttore. L'esistenza di un potere discrezionale non basta quindi a far ritenere integrata la fattispecie di corruzione propria, che, invece, sussiste solo ove sia dimostrata la violazione di una delle regole sull'esercizio del corrispondente potere. E' necessario esaminare la struttura del patto corruttivo, da una parte, per accertare se sia o meno identificabile "a monte" un atto contrario ai doveri di ufficio; nel caso in cui ciò non sia possibile, occorre verificare la condotta del pubblico agente nei settori che interferiscono con gli interessi del corruttore, per comprendere se il predetto funzionario, al di là del caso di manifeste violazioni di discipline cogenti, di elusione della causa fondativa del potere attribuito, abbia, nonostante ed in conseguenza del patto, fatto o meno buon governo del potere assegnatogli, tenendo conto di tutti i profili valutabili, o se abbia pregiudizialmente inteso realizzare l'interesse del privato corruttore, a fronte di ragionevolmente possibili esiti diversi. Il profilo giuridico interferisce con quello processuale di accertamento probatorio dei fatti e assume rilevante valenza l'interpretazione dell'oggetto del patto corruttivo; è possibile, come in precedenza detto, che un privato si rivolga ad un funzionario non per esserne pregiudizialmente favorito, ma per assicurarsi che la valutazione non sia condizionata da pregiudizi in suo danno o da indebite interferenze altrui, ipotesi nelle quali non potrà prospettarsi a priori, nel caso in cui si compia un atto discrezionale, alcuna violazione dei doveri diversa da quella inerente all'indebita ricezione di un'utilità non dovuta. In conclusione, se la pregiudiziale accertata rinuncia all'esercizio genuino della discrezionalità conduce all'adozione di atti contrari ai doveri di ufficio, non può dirsi il contrario, e cioè che sia configurabile la corruzione propria per il solo fatto che il pubblico ufficiale abbia ricevuto denaro in ragione del compimento della sua attività, anche discrezionale. Venendo al caso in esame, il Tribunale ha dimostrato come il patto corruttivo avesse ad oggetto atti discrezionali che il S. doveva attuare non in funzione del pubblico interesse, ma al fine di consentire alla Caronte di risolvere i loro problemi, così sfruttando il pubblico potere in funzione della prioritaria realizzazione di interessi privati. 5. Non può essere accolto neppure l'ultimo motivo sulle esigenze cautelari. Il Tribunale ha legittimamente e adeguatamente fondato il pericolo di reiterazione di reati, quanto alla concretezza, sulle specifiche modalità di consumazione del reato rivelative di una personalità trasgressiva del prevenuto, e, quanto all'attualità, al rinvenimento presso gli uffici della Caronte di ulteriori schede di soggetti segnalati dal ricorrente per la loro assunzione. E' irrilevante che tali schede siano connesse o meno al reato provvisoriamente contestato, posto che l'attualità del pericolo di recidiva deve soltanto rivelare la presenza di ulteriori e prossime ricadute nel reato. A tal fine sono sufficienti elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a realizzare. Il riferimento al precedente per il quale era intervenuta la declaratoria di prescrizione, è riportato solo quale ulteriore dato di aggravamento, non influendo quindi sulla tenuta della motivazione. Quanto alla dismissione da parte del R. dal suo ruolo all'interno della Caronte, la risposta del Tribunale non risulta illogica, posto che il pericolo di recidiva non aveva la sua delimitazione all'interno dei, pur esistenti, rapporti fiduciari tra il R. ed il S.. 6. Sulla base di quanto premesso, il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 10 novembre 2020. Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2021
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