RITENUTO IN FATTO
1. Con l'ordinanza impugnata il Tribunale di Roma ha accolto l'istanza di riesame proposta da C.N., annullando quella del G.i.p. dello stesso Tribunale che in data 15 febbraio 2022 aveva disposto gli arresti domiciliari nei confronti dell'indagato in ordine all'imputazione provvisoria di concorso in corruzione propria (artt. 110,319,319-bis, 321 c.p.) della funzionaria del MIUR, B.G., per l'effetto disponendone la remissione in libertà.
In particolare, viene contestato a C., titolare di omonima ditta individuale operante nel settore informatico, di avere, mediante emissione di fatture per operazioni inesistenti verso società riconducibili al corruttore B.d.C.F., creato le provviste di denaro utilizzate per la remunerazione illecita della funzionaria infedele, materialmente eseguite, previa esecuzione di bonifici bancari da parte dell'indagato, dalla sua ex convivente e coindagata F.V. (segretaria di B.G.), trattenendo delle somme a titolo di compenso e per provvedere ad adempimenti di natura previdenziale e fiscale.
2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma che formula un unico ma articolato motivo di censura per inosservanza o erronea applicazione degli artt. 110,319 e 321 c.p..
Il Tribunale - espone il ricorrente - ha escluso a carico del C. la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, sostenendo che la condotta che gli viene ascritta si è materializzata dopo la conclusione dell'accordo corruttivo stipulato tra il privato ( B.d.C.) e il funzionario infedele ( B.), accordo rispetto al quale egli è rimasto estraneo, ponendo in essere una mera attività di esecuzione e adempimento dell'accordo, come tale penalmente irrilevante, analogamente a quanto già stabilito da questa Corte di cassazione riguardo ad altro coindagato ( C.).
Osserva, tuttavia, il ricorrente che tale interpretazione deve ritenersi del tutto errata, avendo come risultato di considerare penalmente irrilevante la condotta del soggetto che si adopera per far pervenire concretamente il denaro e cioè il prezzo della corruzione dal corruttore al corrotto, ponendosi in violazione di quanto stabilito dalla giurisprudenza della stessa Corte di cassazione anche nel suo più alto consesso (Sez. U, n. 15208 del 25/02/2010, Rv. 246583).
Tale giurisprudenza respinge, infatti, la tesi secondo cui il delitto di corruzione risulterebbe già consumato al momento di perfezionamento dell'accordo, con la conseguenza che la dazione effettiva, in sé molto più grave della mera promessa, debba considerarsi post factum non punibile.
Ulteriori pronunce di legittimità hanno, invece, affermato il principio che il delitto di corruzione si perfeziona alternativamente con l'accettazione della promessa ovvero con la dazione dell'utilità, ma quando alla promessa segue l'effettiva dazione del denaro, il termine di prescrizione decorre da tale secondo momento.
Un recente intervento legislativo pare, inoltre, confermare tale interpretazione.
La L. n. 3 del 2019 art. 1, comma 8, nel prevedere le operazioni sotto copertura ha modificato la L. n. 146 del 16 marzo 2006, art. 9, comma 1, lett. a) prevedendo l'applicabilità della causa di non punibilità di cui all'art. 51 c.p. per "a) gli ufficiali di polizia giudiziaria..., i quali, nel corso di specifiche operazioni di polizia e, comunque, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti previsti dagli artt. 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, comma 1, 320, 321, 322, 322-bis, 346-bis, 353, 353-bis, 452.quaterdecies, 453, 454, 455, 460, 461, 473, 474, 629, 630, 644, 648-bis e 648-ter, corrispondano denaro o altra utilità in esecuzione di un accordo illecito già concluso da altri, promettono o danno denaro o altra utilità richiesti da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio o sollecitati come prezzo della mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio o per remunerarlo o compiono attività prodromiche e strumentali".
Ebbene, argomenta il ricorrente, se la corresponsione di denaro o ara utilità in esecuzione di un accordo illecito già concluso da altri fosse - come ritenuto dalla decisione impugnata - da considerarsi un post factum non punibile e non costituisse reato, non avrebbe avuto alcun senso che il legislatore prevedesse proprio per tale fattispecie una espressa causa di non punibilità.
La condotta ascritta al ricorrente risulta, pertanto, pienamente punibile, rappresentando il culmine del disvalore nell'ambito della figura di reato.
3. Il procedimento è stato trattato all'odierna udienza camerale con le forme e le modalità di cui al D.L. n. 137 del 28 ottobre 2020, art. 23, commi 8 e 9, convertito nella L. n. 176 del 18 dicembre 2020, i cui effetti sono stati prorogati dal D.L. n. 105 del 23 luglio 2021, art. 7, convertito nella L. n. 136 del 16 settembre 2021, n. 126 ed ulteriormente dall'art. 16 del D.L. 30 dicembre 2021, n. 228 convertito nella L. 25 febbraio 2022, n. 15.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e deve essere accolto.
2. L'ordinanza del Tribunale di Roma che ha accolto l'istanza di riesame proposta dall'indagato C.N. muove dall'erroneo assunto che la condotta che viene ascritta all'indagato costituisca una mera attività di esecuzione e adempimento dell'accordo illecito intercorso tra il privato corruttore ( B.d.C.F.) ed il funzionario infedele ( B.G.), al quale C. sarebbe rimasto estraneo e che per tale ragione renderebbe penalmente irrilevante la frazione di condotta allo stesso riferibile.
Detta valutazione è stata verosimilmente influenzata dall'annullamento senza rinvio, disposto da questa Corte di cassazione con sentenza del 18 gennaio 2022, dell'ordinanza riguardante il coindagato C.F., che nel contesto della complessa fattispecie corruttiva era stato posto dal privato corruttore B.D.C. a disposizione della funzionaria infedele per fungerle da autista.
Coerentemente con tale impostazione concettuale, il Tribunale ha richiamato le pronunce di questo giudice di legittimità che hanno affermato il principio della non configurabilità di una compartecipazione postuma nel delitto di corruzione, che si consuma nel momento in cui il pubblico ufficiale ha accettato l'indebita utilità promessagli od offertagli dal privato corruttore (Sez. 6 n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279595; Sez. 6 n. 46404 del 29/10/2019, Genco, Rv. 2773089).
Tale ragionamento, corretto in linea generale, non può, tuttavia, valere quando, come nel caso di specie, l'indagato abbia avuto piena e consapevole compartecipazione nella condotta di messa a disposizione del pubblico ufficiale corrotto della provvista di denaro costituente il prezzo della corruzione.
Correttamente, infatti, il PM ricorrente ha richiamato la nota sentenza Sez. U, n. 15208 del 25/02/2010, Mills, Rv. 246583 che definiva quello di corruzione reato a duplice schema, affermando il principio che esso si perfeziona alternativamente con l'accettazione della promessa ovvero con la dazione ricezione dell'utilità, e tuttavia, ove alla promessa faccia seguito la dazione ricezione, è solo in tale ultimo momento che, approfondendosi l'offesa tipica, il reato viene a consumazione.
Permane, pertanto, una significativa differenza tra la vicenda del ricorrente e quella del coindagato C.: nel caso in esame, C. ha concorso (art. 110 c.p.) in una delle condotte tipiche consumative del reato e in particolare quella rappresentata dalla messa a disposizione, in vista della successiva consegna al funzionario infedele, del prezzo della corruzione, mentre nel caso del C., il demandato espletamento delle mansioni di autista costituiva esso stesso una delle varie utilità fornite al funzionario corrotto, la relativa condotta materiale collocandosi effettivamente in un momento meramente
esecutivo e successivo rispetto alla conclusione dell'accordo corruttivo, rilevando semmai il concreto svolgimento di detta attività ai fini dell'individuazione del momento consumativo del reato a carico del privato corruttore e non del mero esecutore materiale.
Tornando alla condotta ascritta al C., egli ha, invece, consapevolmente (nonostante le sue proteste in senso contrario) contribuito, previa emissione di fatture per operazioni inesistenti verso società riferibili al corruttore B.D.C., alla formazione delle illecite provviste di denaro successivamente consegnate o messe a disposizione del funzionario corrotto.
Vanno, perciò, condivise alla lettera le considerazioni svolte dal PM ricorrente secondo cui la condotta ascritta all'indagato ha rappresentato il momento di maggiore concretezza dell'attività corruttiva, in cui non può che restare assorbita l'originaria promessa di corresponsione del denaro dal privato al pubblico ufficiale.
D'altronde se il momento della dazione dell'utilità dal corruttore al corrotto rileva come momento di estrinsecazione massima dell'offesa al bene giuridico tutelato (l'integrità dell'operato del pubblico funzionario), fissando anche il tempus commissi delicti ed il termine di decorrenza della prescrizione del reato (Sez. 6, n. 4105 del 01/12/2016, dep. 2017, Ferroni e al., Rv. 269501; Sez. 6, n. 33435 del 04/05/2006, Battistella e al., Rv. 234360; Sez. 6, n. 8854 del 20/05/1988, De Michelis, Rv. 212003; Sez. 6, n. 4300 del 19/03/1997, Carabba, Rv. 208886), non si comprende perché debba ritenersi penalmente irrilevante la condotta di chi consapevolmente, come nel caso di specie, si adopera attivamente affinché il prezzo della corruzione pervenga al funzionario corrotto.
In definitiva quella ascritta all'indagato è una condotta di ordine concettuale, implicante l'impiego di competenze professionali, costituente intermediazione consapevole ai fini del passaggio del prezzo della corruzione e come tale espressiva del massimo grado di offesa al bene tutelato dalla norma.
3. Anche l'argomento normativo, addotto dal ricorrente a sostegno delle altre considerazioni svolte, esplica indubbiamente la sua rilevanza.
Prevedere l'applicabilità della causa di non punibilità di cui all'art. 51 c.p. per "a) gli ufficiali di polizia giudiziaria..., i quali, nel corso di specifiche operazioni di polizia e, comunque, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti previsti dagli artt. 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, comma 1, 320, 321, 322, 322-bis, 346-bis, 353, 353-bis, 452.quaterdecies, 453, 454, 455, 460, 461, 473, 474, 629, 630, 644, 648-bis e 648-ter, corrispondano denaro o altra utilità in esecuzione di un accordo illecito già concluso da altri, promettono o danno denaro o altra utilità richiesti da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio o sollecitati come prezzo della mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio o per remunerarlo o compiono attività prodromiche e strumentali" (L. n. 3 del 2019 art. 1, comma 8, di modifica del L. n. 146 del 16 marzo 2006 art. 9, comma 1, lett. a) presuppone, infatti, necessariamente che tutte le condotte previste siano penalmente rilevanti e non già un mero post factum non punibile, non avendo altrimenti alcun senso un intervento legislativo volto a prefigurare una causa di non punibilità in caso di loro realizzazione nel corso di operazioni di polizia giudiziaria sotto copertura.
4. Deve in definitiva concludersi che la giurisprudenza citata nell'ordinanza e ribadita per la posizione del coindagato C. conserva la sua validità, ma non trova applicazione nei casi in cui la condotta riferibile al soggetto riguardi il reperimento, la creazione e/o la messa a disposizione del funzionario infedele del denaro costituente il prezzo della corruzione.
5. Per le ragioni sopra esposte, l'ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Roma.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Roma competente ai sensi dell'art. 309 c.p.p., comma 7.
Così deciso in Roma, il 31 maggio 2022.
Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2022