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Corruzione propria e impropria: differenze

Corruzione

Cassazione penale sez. VI, 27/06/2023, (ud. 27/06/2023, dep. 07/09/2023), n.36975

Il meno grave delitto di corruzione per l'esercizio della funzione pubblica di cui all'art. 318 c.p. si differenzia da quello di corruzione propria di cui all'art. 319 c.p., in quanto ha natura di reato di pericolo, sanzionando la presa in carico, da parte del pubblico funzionario, di un interesse privato dietro una dazione o promessa indebita, e solo laddove non sia individuato il compimento di uno specifico atto contrario ai doveri di ufficio

Corruzione sistematica: messa a libro paga del funzionario pubblico come corruzione impropria

Corruzione: lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi integra il reato di cui all'art. 318 c.p.

Corruzione propria: non è determinante che il fatto contrario ai doveri d'ufficio sia ricompreso nell'ambito delle specifiche mansioni del pubblico ufficiale

Corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio: condannato rappresentante farmaceutico che aveva corrisposto denaro ad un primario ospedaliero

Corruzione propria: sulla configurabilità del reato nei confronti di un parlamentare

Corruzione: non rileva il solo fatto che l'attività del pubblico ufficiale presenti margini più o meno ampi di discrezionalità

Corruzione in atti giudiziari: configurazione se il denaro è stato ricevuto per atto già compiuto

Corruzione: il compimento dell'atto da parte del pubblico ufficiale non fa parte della struttura del reato e non assume rilievo per la determinazione del momento consumativo

Corruzione propria: non occorre individuare esattamente l'atto contrario ai doveri d'ufficio

Corruzione: sulla applicabilità della confisca obbligatoria di cui all'art. 2641 c.c.

Corruzione propria: quando rileva lo stabile asservimento del pubblico ufficiale

Corruzione impropria: il nuovo art. 318 c.p. copre l'area della vendita della funzione in quelle situazioni in cui non sia noto il finalismo del suo mercimonio

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Bologna riformava parzialmente la pronuncia di primo grado - assolvendo alcuni imputati da taluni dei reati loro addebitati; escludendo certune circostanze aggravanti; dichiarando non doversi procedere per altri reati in quanto estinti per prescrizione o perché l'azione penale non poteva essere esercitata per mancanza di querela; conseguentemente rideterminando le rispettive pene, revocando confische, pene accessorie e connesse statuizioni civili; nonché riducendo la pena per altri imputati - e confermava nel resto la medesima pronuncia del 26 ottobre 2020 con la quale, al termine di giudizio abbreviato, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna aveva condannato gli imputati sotto elencati per i reati di seguito precisati. All'esito della pronuncia di secondo grado risultavano così condannati, con riferimento alla posizione degli imputati odierni ricorrenti: - A.G. in relazione ai reati di cui all'art. 110 c.p., art. 640 c.p., comma 1 e comma 2, n. 1, art. 61 c.p., n. 7, e art. 416-bis.1 c.p., commesso in (Omissis) (capo 44); - B.C. in relazione ai reati di cui all'art. 416-bis c.p., commi 1, 2, 3, 4, 6 e 8, commesso in (Omissis) e province limitrofe, dal 2004 con permanenza (capo 1); artt. 110 e 640 c.p., commesso nelle province di (Omissis) (capo 38); artt. 110,112,56 e 640 c.p., commesso in (Omissis) (capo 51); art. 644 c.p., commi 1, 3, 4 e comma 5, nn. 3 e 4, commesso in (Omissis) (capo 53); - C.A. in relazione ai reati di cui all'art. 416-bis c.p., commi 1, 3 e 8, commesso in (Omissis) e province limitrofe, dal 2004 con permanenza (capo 1); artt. 110 e 640-bis c.p., commesso in (Omissis) (capo 37); - C.G. in relazione ai reati di cui all'art. 416-bis c.p., commi 1, 3 e 8, commesso in (Omissis) e province limitrofe, dal 2004 con permanenza (capo 1); artt. 110 e 640-bis c.p., commesso in (Omissis) (capo 37); artt. 110 e 319 c.p., commesso in provincia di (Omissis) (capo 40); - C.M. in relazione ai reati di cui agli artt. 610 e 416-bis.1 c.p., commesso in (Omissis) (capo 23); artt. 81,629 e 416-bis.1 c.p., commesso in (Omissis) (capo 23-bis); artt. 81,110,512-bis e 416-bis.1 c.p., commesso in (Omissis) nelle date elencate nell'imputazione (capo 24); artt. 81,110 c.p., art. 629 c.p., commi 1 e 2 (in relazione all'art. 628 c.p., comma 3, n. 1 e 3), e art. 416-bis.1 c.p., commesso in (Omissis) (capo 24-bis); artt. 81,110,512-bis e 416-bis.1 c.p., commesso in (Omissis) (capo 24-ter); - D.S.R. in relazione ai reati di cui all'art. 110 c.p., art. 640 c.p., commi 1 e comma 2, n. 1, art. 61 c.p., n. 7, e art. 416-bis.1 c.p., commesso in (Omissis) (capo 44); artt. 81,110 c.p., art. 476 c.p., commi 1 e 2, art. 482 c.p., art. 61 c.p., n. 2, e art. 416.bis.1 c.p., commesso in data antecedente e prossima al (Omissis) (capo 45); - D.F. in relazione al reato di cui all'art. 648-bis c.p., commesso in (Omissis) e provincia, da (Omissis) (capo 46-quater); - D.A. in relazione ai reati di cui all'art. 110 c.p., art. 640 c.p., comma 1 e comma 2, n. 1, art. 61 c.p., n. 7, e art. 416-bis.1 c.p., commesso in (Omissis) (capo 44); - F.G. in relazione ai reati di cui all'art. 110 c.p., art. 640 c.p., comma 1 e comma 2, n. 1, art. 61 c.p., n. 7, e art. 416-bis.1 c.p., commesso in (Omissis) (capo 44); artt. 81,110 c.p., art. 476 c.p., commi 1 e 2, art. 482 c.p., art. 61 c.p., n. 2, e art. 416.bis.1 c.p., commesso in data antecedente e prossima al (Omissis) (capo 45); - G.D. in relazione al reato di cui agli artt. 81,110 c.p., art. 603-bis c.p., comma 4, n. 1, commesso in (Omissis) (capo 48); - G.A.R. in relazione ai reati di cui agli artt. 81,110,512-bis e 416-6/5.1 c.p., commesso in (Omissis) (capo 2); - G.A.S. in relazione ai reati di cui all'art. 416-bis c.p., commi 1, 2, 3, 4, 6 e 8, commesso in (Omissis) e province limitrofe, limitatamente al periodo dal (Omissis) (capo 1); di cui agli artt. 81,110,512-bis e 416-bis.1 c.p., commessi in (Omissis) (capo 2), e il (Omissis) (capo 34, con esclusione per tale capo dell'aggravante dell'art. 416-bis.1 c.p.); in (Omissis) nelle date elencate nelle imputazioni (capi 3) e 10), il (Omissis) (capo 9), il (Omissis) (capo 18), il (Omissis) (capo 19), nel (Omissis) (capo 20, con esclusione per tale capo dell'aggravante dell'art. 416-bis.1 c.p.); in (Omissis), nelle date elencate nell'imputazione (capo 26, con esclusione per tale capo dell'aggravante dell'art. 416-bis.1 c.p.), il (Omissis) (capo 27, con esclusione per tale capo dell'aggravante dell'art. 416-bis.1 c.p.), il (Omissis) (capo 32, con esclusione per tale capo dell'aggravante dell'art. 416-6/5.1 c.p.) e il (Omissis) (capo 33, con esclusione per tale capo dell'aggravante dell'art. 416-bis.1 c.p.); in (Omissis) (capo 21, con esclusione per tale capo dell'aggravante dell'art. 416-bis.1 c.p.); in (Omissis) e nei mesi successivi (capo 22, con esclusione per tale capo dell'aggravante dell'art. 416-bis.1 c.p.); in (Omissis) (capo 25, con esclusione per tale capo dell'aggravante dell'art. 416-6/5.1 c.p.); in (Omissis) (capo 28, con esclusione per tale capo dell'aggravante dell'art. 416-bis.1 c.p.) e nelle date elencate nell'imputazione (capo 30, con esclusione per tale capo dell'aggravante dell'art. 416-6/5.1 c.p.); in (Omissis) (capo 29, con esclusione per tale capo dell'aggravante dell'art. 416-6/5.1 c.p.); in (Omissis) (capo 31, con esclusione per tale capo dell'aggravante dell'art. 416-6/5.1 c.p.); di cui agli artt. 644 e 416-6/5.1 c.p., commesso in (Omissis) (capo 17, così riqualificato il fatto originariamente contestato); di cui agli artt. 640 e 416-bis.1 c.p., commesso in (Omissis) (capo 38); di cui agli artt. 110 e 479 c.p., commesso in (Omissis) (capo 41); art. 635 c.p. commesso in (Omissis) (capo 42); artt. 81,110,624 c.p., art. 625 c.p., comma 1, nn. 5 e 7, art. 416-bis.1 c.p., commesso in (Omissis) (capo 46); artt. 81,110 c.p., art. 603-bis c.p., comma 1, n. 1, e comma 4, n. 1, commesso in (Omissis) (capo 48); art. 110 c.p., art. 612 c.p., commi 1 e 2, art. 330 c.p., comma 1, e art. 416-bis.1 c.p. (capo 50); - L.G. in relazione ai reati di cui all'art. 416-bis c.p., commi 1, 3, 4, 6 e 8, commesso in (Omissis) e province limitrofe, dal 2004 con permanenza (capo 1); artt. 56,110 c.p., art. 112 c.p., comma 1, art. 629 c.p., commi 1 e 2 (in relazione all'art. 628 c.p., comma 3, n. 1 e 3), e art. 416-bis.1 c.p., commesso nelle province di (Omissis) (capo 47); - M.A. in relazione ai reati di cui agli artt. 81,110,512-bis e 416-bis.1 c.p., commessi in (Omissis) nelle specifiche date elencate nell'imputazione (capo 7, con esclusione dell'episodio del (Omissis)); in (Omissis) (capo 9); in (Omissis) nelle specifiche date elencate nell'imputazione (capi 10); in (Omissis) (capo 39-sexies); - M.C. in relazione ai reati di cui agli artt. 81,110,512-bis e 416-bis.1 c.p., commessi in (Omissis) nelle specifiche date elencate nell'imputazione (capo 7, con esclusione dell'episodio del (Omissis)); in (Omissis), il 19 novembre 2013 (capo 39-sexies); - M.F. in relazione ai reati di cui all'art. 416-bis c.p., commi 1, 2, 3, 4, 6 e 8, commesso in (Omissis) e province limitrofe, dal 2004 con permanenza (capo 1); artt. 81,110,512-bis e 416-bis.1 c.p., commesso in (Omissis) (capo 18); - M.L. in relazione ai reati di cui all'art. 110 c.p., art. 640 c.p., comma 1 e comma 2, n. 1, art. 61 c.p., n. 7, e art. 416-bis.1 c.p., commesso in (Omissis) (capo 44); - S.N. in relazione ai reati di cui all'art. 110 c.p., art. 640 c.p., comma 1 e comma 2, n. 1, art. 61 c.p., n. 7, e art. 416-bis.1 c.p., commesso in (Omissis) (capo 44); - S.D. in relazione ai reati di cui agli artt. 81,110,512-bis e 416-bis.1 c.p., commesso in (Omissis) nelle date elencate nell'imputazione (capo 10); artt. 110,644 e 416.bis.1 c.p., commesso in (Omissis) (capo 17, così diversamente qualificato il fatto come originariamente contestato); - S.A. in relazione ai reati di cui agli artt. 81,110 c.p., art. 644 c.p., commi 1, 3, 4, comma 5, n. 3 e 4, e art. 416-bis.1 c.p., commesso in (capo 49); art. 110 c.p., art. 629 c.p., commi 1 e 2 (in relazione all'art. 628 c.p., comma 3, nn. 1 e 3) e art. 416.bis.1 c.p., commessi entrambi in (Omissis) (capo 49-bis); - S.D. in relazione al reato di cui all'art. 110 c.p. e art. 416-bis c.p., commi 1, 3 e 8, commesso in (Omissis) e province limitrofe, dal 2004 con permanenza (capo 1); - V.P. in relazione ai reati di cui all'art. 416-bis c.p., commi 1, 3 e 8, commesso in (Omissis) e province limitrofe, dal 2004 con permanenza (capo 1); artt. 81,110,512-bis e 416-bis.1 c.p., commessi in (Omissis) (capo 18), il (Omissis) (capo 19) e in (Omissis) nelle date elencate nell'imputazione (capo 26); artt. 81,110,624 c.p., art. 625 c.p., comma 1, nn. 5 e 7, art. 416-bis.1 c.p., commesso in (Omissis) (capo 46); - V.L. in relazione ai reati di cui all'art. 416-bis c.p., commi 1, 2, 3, 4, 6 e 8, commesso in (Omissis) e province limitrofe, dal 2004 con permanenza (capo 1); artt. 81,110,512-bis e 416-bis.1 c.p., commesso in (Omissis) (capo 6); - Z.N. in relazione ai reati di cui agli artt. 81,110,512-bis e 416-bis.1 c.p., commessi in (Omissis) nelle date elencate nell'imputazione (capi 3) e 10). Con riferimento alle imputazioni e alle posizioni interessate dai due atti di ricorso a firma del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Bologna, la sentenza di secondo grado si pronunciava anche nei riguardi di: - C.A.D., L.R., M.A., M.C., P.R. e P.D. in relazione ai delitti di cui agli artt. 81,110,512-bis e 416-bis.1 c.p. (loro rispettivamente contestati nei capi d'imputazione 39-bis), 39-ter), 39-quater) e 39-quinquies), dai quali i sei prevenuti venivano assolti in riforma della sentenza di condanna in primo grado; - G.A.S., P.C. e P.P. in relazione ai reati di cui agli artt. 81,110,512-bis e 416-bis.1 c.p. (loro rispettivamente contestati nei capi 12), 13) e 14, dai quali i tre prevenuti venivano prosciolti perché gli illeciti, esclusa l'aggravante speciale, si dovevano considerare estinti per intervenuta prescrizione. Rilevava la Corte territoriale come le emergenze processuali avessero confermato che l'associazione per delinquere di stampo mafioso operante in alcune province del Nord Italia - avente una sua autonomia organizzativa ed operativa, pur trattandosi di diretta diramazione di una cosca della ‘ndrangheta già attiva nella zona calabrese di (Omissis) - oggetto di diversi procedimenti penali svoltisi dinanzi alle autorità giudiziarie emiliane e pure definiti con sentenze di condanna irrevocabili, avesse continuato ad operare anche negli anni più recenti, con epicentro nella provincia di (Omissis) e con collegamenti funzionali anche nelle province vicine. Di tale sodalizio criminale, facente capo essenzialmente a G.A.S., figlio del più noto G.A.F. e nipote del boss G.A.N., che aveva proseguito le attività in passato coordinate in quella zona dai suoi ascendenti, avevano fatto parte alcuni soggetti già affiliati alla ‘ndrina, quali D.A., L.G., M.F. e V.L., ed altri che avevano successivamente aderito al gruppo criminale, quali B.C., i fratelli C.A. e G., e V.P.. Tale associazione per delinquere, caratterizzata da manifestazioni tipicamente intimidatorie derivanti dal vincolo associativo e dalle conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà, aveva avuto come finalità, non solo quella di consumare reati "di sangue" e altri delitti tradizionalmente riferibili all'operato mafioso, ma anche quella di "governare" i contrasti tra gruppi criminali rivali, e quella di attuare una serie di iniziative per poter "penetrare" nel tessuto economico e imprenditoriale di quelle province, realizzando legami con gli ambienti politici e finanziari di quelle zone e gestendo attività economiche che erano state formalmente affidate a soggetti estranei al sodalizio. Contesto nel quale erano risultati, così, consumati reati latamente "economici", quali quelli di falsa fatturazione, usura e riciclaggio. 2. Avverso tale sentenza presentava ricorso il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Bologna. 2.1. Con un primo atto di impugnazione, datato 28 settembre 2022, con riferimento alle richiamate imputazioni dei capi 39-bis), 39-ter), 39-quater) e 39-quinquies), il Procuratore generale deduceva i seguenti motivi. 2.1.1. Vizio di motivazione, per contraddittorietà, per avere la Corte distrettuale assolto M.A., nonché il di lui fratello M.C., i loro rispettivi familiari ( Lo.Ro., moglie del primo; P.R., moglie del secondo; e P.D., madre dei due prevenuti), nonché il loro consulente e commercialista C.D.A., dai reati di intestazione fittizia di cui ai suddetti quattro capi d'imputazione, sostenendo che nel 2012 non vi fosse la prova che gli stessi avessero agito con la consapevolezza che i due germani M. potessero essere sottoposti ad indagini ed essere destinatari di richieste di applicazione di misure di prevenzione patrimoniali: benché nella stessa sentenza si fosse affermata la esistenza di quella prova con riferimento ad altre operazioni di intestazione fittizia commesse in epoca anteriore, in ragione della riconosciuta appartenenza di M.A., già dal 2004, alla cosca di ‘ndrangheta di G.A.S., del quale il primo era stato socio occulto in relazione ad altra collegata società. 2.1.2. Vizio di motivazione, per contraddittorietà, per avere la Corte territoriale assolto M.A. dagli anzidetti delitti, pur dopo averne riconosciuto la colpevolezza in ordine agli analoghi reati dei capi 9) e 10)" con riferimento ai quali i giudici di secondo grado avevano valorizzato la sentenza irrevocabile di condanna del predetto per il reato di cui all'art. 416-bis c.p.: circostanza questa che non poteva non essere considerata anche per i reati oggetto del ricorso. 2.1.3. Vizio di motivazione, per manifesta illogicità, per avere la Corte di merito ingiustificatamente negato che M.A., già condannato con sentenza definitiva per la partecipazione fin dal 2004 alla considerata associazione mafiosa, nel 2012 potesse fondatamente presumere l'inizio di un procedimento di prevenzione nei suoi riguardi. 2.1.4. Violazione di legge, in relazione all'art. 512-bis c.p., per avere la Corte di appello sottostimato il fatto che, all'epoca della commissione dei reati de quibus, i fratelli M.A. e C. fossero consapevoli di essere sottoposti ad indagini per bancarotte e altri reati patrimoniali, sicché possibili destinatari di misure di prevenzione patrimoniali anche per essere abitualmente dediti a traffici delittuosi ovvero soggetti che vivevano abitualmente con i proventi di delitti. 2.1.5. Violazione di legge, in relazione all'art. 512-bis c.p., per avere la Corte bolognese escluso, contrariamente a quanto sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità, il dolo elusivo specifico richiesto dalla norma incriminatrice possa accompagnarsi con altra e diversa finalità concorrente, quale, nella fattispecie, l'interesse di operare un mutamento delle compagini societarie per poter ottenere dalle banche nuove linee di credito. 2.2. Con un secondo atto di impugnazione, datato 27 ottobre 2022, con riferimento alle richiamate imputazioni dei capi 12), 13) e 14), il Procuratore generale deduceva i seguenti motivi. 2.2.1. Vizio di motivazione, per contraddittorietà, per avere la Corte di appello escluso, con riferimento ai capi d'imputazione 12), 13) e 14) l'aggravante speciale dell'agevolazione mafiosa di cui all'art. 416-bis.1 c.p. ed aver conseguentemente dichiarato l'estinzione dei reati per prescrizione, per la mancanza di prova della relativa consapevolezza, nonostante le operazioni di intestazione fittizia avessero riguardato società analoghe ad altre compagini societarie per le quali era già riconosciuta l'aggravante in parola. 2.2.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 416-bis.1 c.p., per avere la Corte territoriale trascurato di considerare che la circostanza aggravante in argomento è compatibile anche l'esistenza di una concorrente finalità di vantaggio personale dell'agente. 2.3. Con memoria trasmessa il 31 maggio 2023 il difensore degli imputati G.A.S., P.P. e P.C. ha chiesto dichiararsi la inammissibilità del considerato ricorso presentato dal Procuratore generale con riferimento ai capi d'imputazione 12), 13) e 14), in quanto contenente una mera sollecitazione alla rilettura delle emergenze processuali: segnalando, peraltro, come con la recente sentenza del 15 dicembre 2022 il Tribunale di Reggio Emilia, giudicando sui medesimi fatti, abbia mandato assolti dai reati dei capi 12) e 14) gli imputati G.A.F. e P.. Avverso la sentenza presentavano ricorso anche gli imputati sotto elencati, con atti di impugnazione sottoscritti dai rispettivi difensori. 3. A.G. deduceva i seguenti motivi. 3.1. Vizio di motivazione, in relazione all'art. 640 c.p., artt. 192 e 546 c.p.p., per avere la Corte di appello confermata la condanna di primo grado con riferimento all'imputazione del capo 44), benché le carte del processo avessero dimostrato che l' A. non aveva svolto alcun ruolo causalmente rilevante per la commissione della truffa (c.d. affare O.), ma si era limitato a fare da tramite il "recupero" di parte del provento della truffa in favore del sodalizio diretto da G.A.N., di cui il prevenuto è genero; condotta, questa, che avrebbe potuto integrare gli estremi di altro delitto, ma non quelli del concorso nella truffa oggetto di addebito. 3.2. Vizio di motivazione, per manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale ingiustificatamente negato all'imputato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, facendo riferimento ad un erroneo suo coinvolgimento nella genesi dell'operazione truffaldina, così come asseritamente riferito da due collaboratori di giustizia. 3.3. Vizio di motivazione, per manifesta illogicità, per avere la Corte distrettuale omesso di spiegare quali fossero le ragioni cui poter collegare la determinazione della pena detentiva inflitta all'imputato. 4. B.C. deduceva i seguenti motivi. Con l'atto sottoscritto dall'Avv. Giunghedi: 4.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 416-bis c.p., artt. 192 e 546 c.p.p., e vizio di motivazione, per manifesta illogicità, per avere la Corte di appello confermata la condanna di primo grado per il reato associativo del capo 1), benché le carte del processo avessero escluso che i reati-fine commessi dal B. avessero avuto il fine di agevolare la cosca diretta da G.A.S. ed avessero portato all'assoluzione del B. dal reato estorsivo commesso ai danni dei R., pur essendo stata tale vicenda considerata come emblematica del modus operandi di quel sodalizio criminale. I giudici di secondo grado avevano così finito per valorizzare dati informativi privi di rilevanza penale (l'aver negato di aver avuto rapporti comunicativi con S.D., legittima espressione del diritto processuale al silenzio; l'essersi occupato di "recupero crediti" unitamente a G.A.S., con il quale aveva avuto relazioni di abituale frequentazione; l'aver avuto rapporti con A.M., estranei alle dinamiche dell'esaminato clan mafioso), per sostenere che il B. avesse aderito a quel gruppo mafioso, pur non essendosi mai formalmente affiliato allo stesso sodalizio (come confermato dai collaboratori giudiziari sentiti al riguardo, in specie da C.M.); inoltre, non era stato chiarito perché, pur asserendosi che aveva operato per quella cosca ‘ndranghetistica da prima del 2015, il predetto non fosse stato destinatario delle prime indagini che avevano riguardato quel gruppo. 4.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 43,56 e 640 c.p., art. 192 c.p.p., e vizio di motivazione, per manifesta illogicità, contraddittorietà e travisamento della prova, per avere la Corte territoriale confermata la condanna dell'imputato per il reato di tentata truffa del capo 51), senza rispondere alla questione posta con l'appello circa l'assenza di prova della consapevolezza del B. di partecipazione ad una iniziativa truffaldina: in particolare, i giudizi di merito avevano valorizzato meri indizi, ciascuno dei quali privo dei caratteri di precisione e di gravità, perché relativi a circostanze fattuali compatibili con la versione offerta dall'imputato di aver agito nella convinzione della liceità del suo intervento e solo per fare una cortesia ad un amico, T.M.; ed avevano travisato il contenuto di una conversazione nel corso della quale il B. non aveva affatto asserito di avere sbagliato ad utilizzare la propria utenza. 4.3. Vizio di motivazione, per manifesta illogicità, per avere la Corte di merito confermata la condanna dell'imputato per il reato di usura del capo 53), benché le missive indirizzate al B. dalla presunta persona offesa, P.S., a riprova della relazione sentimentale tra i due, avessero riscontrato la versione dell'imputato di essersi limitato ad effettuare alla donna un prestito a titolo gratuito. 4.4. Vizio di motivazione, per manifesta illogicità, per avere la Corte distrettuale ingiustificatamente negato al B. il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, nonostante lo stesso avesse confessato la commissione della truffa ai danni della Riso R.: dato, questo, idoneo a legittimare una valutazione positiva rispetto agli elementi di segno contrario elencati nella sentenza gravata. 4.5. Vizio di motivazione, per manifesta illogicità, per avere la Corte bolognese omesso di motivare le ragioni della quantificazione delle pene stabilite per i reati "satellite" dei capi 51) e 53), posti in continuazione con il reato più grave. Con l'atto sottoscritto dall'Avv. Davino: 4.6. Violazione di legge, in relazione all'art. 416-bis c.p. e art. 192 c.p.p., e vizio di motivazione, per mancanza, illogicità e travisamento della prova, per avere la Corte di appello confermata la condanna del B. per il reato associativo del capo 1), nonostante il collaboratore di giustizia C.M. avesse espressamente dichiarato che il prevenuto non era formalmente affiliato alla cosca mafiosa diretta da G.A.S.; valorizzando una serie di circostanze non contestate nell'imputazione ed inconferenti ai fini della decisione, generiche nella loro portata dimostrativa (così, in particolare, per le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia V., oltre che per quelle del C.); dati la cui valenza era stata smentita sia dal fatto che il B. non era stato mai condannato né imputato per reati di mafia, sia dalla circostanza per il reato del capo 51) la condanna era stata confermata con esclusione dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa; e che per l'unico episodio delittuoso riferibile alla operatività di quel clan il ricorrente aveva ammesso l'addebito, riconoscendo per aver assunto una iniziativa episodica e residuale rispetto a quella di altri coimputati, in specie dei fratelli C., in quanto finalizzata al soddisfacimento un personale interesse economico. Il quadro probatorio aveva escluso, dunque, che il B. avesse assunto in quel sodalizio uno stabile ruolo dinamico e funzionale inequivocabilmente finalizzato alla realizzazione del programma criminoso associativo. 4.7. Violazione di legge, in relazione agli artt. 125 e 546 c.p.p., e vizio di motivazione, per mancanza, illogicità e contraddittorietà, per avere la Corte territoriale ingiustificatamente confermata la condanna dell'imputato per il reato del capo 51), benché il B. si fosse limitato a fare un favore all'amico T.M. per poter ritirare una fornitura di personal computer. A tal fine i giudici di merito avevano valorizzato una serie di indizi "slegati" tra loro, privi dei requisiti di precisione e gravità richiesti dalla legge. 4.8. Violazione di legge, in relazione agli artt. 125,546 e 603 c.p.p., e vizio di motivazione, per mancanza, illogicità e contraddittorietà, per avere la Corte distrettuale confermata la condanna dell'imputato per il reato del capo 53), nonostante le dichiarazioni delle presunte vittime e la documentazione relativa alla relazione sentimentale tra il B. e la persona offesa P. fossero di tenore incompatibile con la tesi accusatoria; nonché per avere disatteso, senza alcuna motivazione, la richiesta difensiva di rinnovazione della istruzione dibattimentale 4.9. Violazione di legge, in relazione agli artt. 62-bis, 132 e 133 c.p., e vizio di motivazione, per mancanza e illogicità, per avere la Corte di appello irragionevolmente negato all'imputato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con l'impiego di mere formule di stile, senza considerare la confessione parziale resa dal prevenuto; e per avere omesso di illustrare le ragioni della determinazione della pena per il più grave reato posto in continuazione, in misura ben superiore al limite edittale minimo. 4.10. Con memoria dell'8 giugno 2023 l'Avv. Giunchedi deduceva, come motivo nuovo, la violazione di legge, in relazione all'art. 416-bis c.p., artt. 192 e 546 c.p.p., e il vizio di motivazione, per manifesta illogicità, per avere la Corte di merito confermata la condanna del B. per il reato associativo del capo 1), omettendo di considerare che gli elementi di prova raccolti avevano escluso che il prevenuto avesse aderito formalmente alla componente organizzativa ovvero avesse posto in essere atti concreti ed univoci di contributo funzionale, in quanto finalizzati alla realizzazione del programma criminoso della cosca G.A.. La Corte di appello aveva così errato nel sostenere, in maniera congetturale, che il B., in quanto calabrese, non aveva avuto necessità di un formale rito di affiliazione, laddove il collaboratore di giustizia aveva escluso che il predetto "appartenesse" alla ‘ndrangheta; ed aveva sbagliato nell'affermare che il B. aveva, comunque, dato un contributo funzionale all'operatività del gruppo criminale de quo, benché le carte del processo avessero comprovato che le iniziative alle quali il prevenuto aveva preso parte erano risultate estranee agli affari della cosca G.A.. 5. C.A. deduceva i seguenti motivi. 5.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 416-bis c.p., e vizio di motivazione, per mancanza, illogicità e contraddittorietà, per avere la Corte di appello confermata la condanna dell'imputato con riferimento al reato associativo del capo 1), nonostante fosse risultato dimostrato che nella vicenda R. il prevenuto aveva agito in piena autonomia e per soddisfare un interesse esclusivamente personale ("noi"), contrapposto a quello del gruppo di G.A.S. ("voi"): i fratelli C. non conoscevano i partecipanti di quel clan mafioso, avendo avuto relazioni con il solo G.A. a partire dall'estate 2015, al quale essi, agendo nell'interesse dei fratelli R., avevano chiesto un "aiuto" per risolvere i problemi commerciali che quegli imprenditori avevano avuto a causa dell'acquisto di una grossa partita di riso infestato da insetti; specifico intervento per il quale i C. avevano chiesto ai R. di essere remunerati per l'attività di consulenza e intermediazione da loro svolta, somme rispetto alle quali il G.A. non aveva avanzato alcuna pretesa. Inoltre, C.A., che si era limitato a tenere i contatti telefonici tra il fratello G. ed i terzi, aveva finito per rispondere di quel delitto associativo esclusivamente per avere dimostrato di essere a conoscenza delle "dinamiche" della cosca del G.A. e per avere programmato generiche e "farneticati" iniziative illecite mai attuate: dopo la conclusione della vicenda R. aveva continuato ad avere contatti via "whatsapp" con il G.A., con messaggi di cui non si conosceva il contenuto né le sottostanti ragioni, sicché di quella circostanza non si sarebbe potuto fare alcun uso probatorio. 5.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 114 c.p., e mancanza di motivazione, per avere la Corte territoriale negato all'imputato l'attenuante della partecipazione marginale, essendosi lo stesso limitato a svolgere compiti di mera esecuzione materiale e di accompagnamento del fratello G.. 5.3. Violazione di legge, in relazione all'art. 640-bis c.p., e mancanza di motivazione, per avere la Corte distrettuale confermata la condanna dell'imputato in ordine al reato del capo 37), benché le carte del processo avessero dimostrato solamente che l'imputato aveva avuto rapporti con i titolari della ditta C.: ciò senza che fosse stato provato che il prevenuto si era consapevolmente recato in Calabria per ottenere suggerimenti su una proroga amministrativa o per ottenere in consegna una fattura falsa; né che vi era stato un qualche nesso eziologico tra la presentazione di quella presunta fattura falsa e il riconoscimento della proroga, della cui asserita esistenza, peraltro, non si ha alcuna certezza. Inoltre, i giudici di secondo grado avevano erroneamente disatteso la richiesta difensiva di derubricazione del reato, contestato in termini di truffa aggravata, in quello meno grave di indebita percezione di erogazione in danno dell'Unione Europea. 5.4. Violazione di legge, in relazione all'art. 62-bis c.p., e mancanza di motivazione, per avere la Corte di merito ingiustificatamente negato all'imputato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in ragione del comportamento processuale, del ruolo marginale da lui avuto nelle vicende de quibus e dell'assenza di condotte rilevanti penalmente in epoca successiva al suo accertato allontanamento dal contesto del gruppo del G.A.. 6. C.G. deduceva i seguenti motivi. 6.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 416-bis c.p., per avere la Corte di appello confermata la condanna dell'imputato in ordine al reato associativo del capo 1), benché le emergenze processuali avessero dimostrato che il contributo del prevenuto alla vita del sodalizio era stato occasionale e limitato ad un breve arco temporale, avendo riguardato la sola vicenda della "Riso R.", senza alcun vincolo permanente o stabile "messa a disposizione" in favore del gruppo criminale. In particolare, non si era tenuto debitamente in conto che C.G. era stato assolto sia dal reato di estorsione sia da quello di truffa in danno dei fratelli R. (capi 38) e 39), vicende nelle quali il predetto aveva agito non nell'interesse del clan mafioso di G.A.S., ma solamente per soddisfare interessi personali; che i giudici di merito avevano escluso la sussistenza dell'aggravante dell'art. 416-bis c.p., comma 6, dato che nella vicenda R. non era stato dimostrato che fossero stati impegnati nell'attività imprenditoriale i proventi della commissione di altri delitti; e che, pertanto, in tale occasionale veste aveva partecipato ad un incontro tra ‘ndranghetisti, svoltosi a Voghera l'8 settembre 2015, per risolvere i problemi commerciali che i fratelli C. avevano avuto con l'intermediario A. nella compra-vendita di una partita di riso avariata. 6.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 110 e 416-bis c.p., per avere la Corte territoriale confermata la condanna dell'imputato per il reato associativo del capo 1), nonostante fosse stato provato che il C. era entrato in contatto con i R. solo nella primavera del 2014; che in precedenza non aveva avuto alcun rapporto con gli appartenenti al gruppo delinquenziale del G.A., già da molti anni esistente e operativo in Emilia; e che il C. non aveva definito alcun pactum sceleris con il G.A., né aveva manifestato una reale affectio societatis, limitandosi a dare a quel clan un contributo occasionale. 6.3. Violazione di legge, in relazione agli artt. 110 e 640-bis c.p., per avere la Corte distrettuale confermata la condanna dell'imputato per il reato del capo 37), pur in assenza di prova di un effettivo contributo causale all'ottenimento della proroga dell'Agea; nonché per avere i giudici di merito ingiustificatamente escluso che la condotta potesse integrare gli estremi del meno grave reato di cui all'art. 316-ter c.p.. 6.4. Violazione di legge, in relazione all'art. 416-bis.1 c.p., per avere la Corte di merito confermato la sussistenza dell'aggravante speciale dell'agevolazione mafiosa per il reato del capo 37), benché la medesima circostanza fosse stata esclusa per il reato di truffa ai danni dei R., di cui al capo 38). 6.5. Violazione di legge, in relazione all'art. 319 c.p., per avere la Corte bolognese confermata la condanna dell'imputato per il reato del capo 40), pur in assenza di prova del nesso causale tra la somma indebitamente percepita dal pubblico ufficiale C. e l'asserito compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio. 6.6. Violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la Corte di appello omesso di pronunciarsi sulla richiesta con la quale la difesa aveva segnalato che i presunti privati corruttori, come indicati nel capo 40), avevano visto la loro posizione definita con un provvedimento favorevole di archiviazione. 6.7. Violazione di legge, in relazione agli artt. 318 e 319 c.p., per avere la Corte di appello disatteso la richiesta di riqualificazione del fatto in termini di corruzione per l'esercizio delle funzioni, in assenza di prova del compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio. 6.8. Violazione di legge, in relazione all'art. 81 c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale omesso di pronunciarsi sulla richiesta difensiva di applicazione della disciplina della continuazione tra il reato del capo 40) e gli altri reati per i quali il C. è stato condannato. 6.9. Violazione di legge, in relazione all'art. 62-bis c.p., per avere la Corte distrettuale ingiustificatamente rigettato la richiesta difensiva di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, pur in presenza di una accertata posizione secondaria dell'imputato nelle vicende che lo avevano visto coinvolto. 6.10. Violazione di legge, in relazione all'art. 133 c.p., e vizio di motivazione, per manifesta illogicità, per avere la Corte di merito omesso di considerare la richiesta difensiva di riduzione della pena per il reato del capo 40), formulata in ragione della modestia della somma oggetto del prezzo dell'asserita corruzione. 6.11. Violazione di legge e vizio di motivazione, per manifesta illogicità, per avere la Corte di appello ingiustificatamente disatteso la doglianza relativa all'entità della pena totale inflitta all'imputato, fissata molto al di sopra dei limiti edittali minimi, nonostante il ruolo secondario avuto dal prevenuto nelle vicende de quibus. 6.12. Con memoria del 9 giugno 2023 il difensore di C.G. ha formulato i seguenti tre nuovi motivi, sostanzialmente reiterativi di parte di quelli già esposti nell'originario atto di impugnazione. 6.12.1. Con riferimento al quarto motivo del ricorso, il patrocinatore ha sottolineato come l'aggravante speciale dell'agevolazione mafiosa è di natura soggettiva, sicché attiene alla motivazione a delinquere perché collegabile alla direzione finalistica della condotta: aspetti, questi, di cui non è stata verificata la sussistenza rispetto alla posizione di C.G., del quale non è stata provata una condotta finalisticamente funzionale al raggiungimento degli interessi del sodalizio. 6.12.2. Con riferimento al quinto motivo del ricorso, il difensore dell'imputato è tornato a censurare la motivazione della sentenza gravata, per l'assenza di indicazione della prova della relazione finalistico-strumentale tra la ricezione dell'asserito corrispettivo e l'asserita strumentalizzazione dei poteri del pubblico funzionario in favore del privato: ciò, in particolare, in considerazione della natura della merce importata e del codice di tariffa doganale utilizzato, come anche evidenziati dal consulente tecnico di parte. 6.12.3. Con riferimento al nono motivo del ricorso, il patrocinatore si è doluto della decisione di rigettare la richiesta di concessione delle attenuanti generiche, attraverso un ragionamento acritico e sterile, e l'adozione di una motivazione apodittica: dovendo il giudice valutare tutti gli indici dell'art. 133 c.p., anche nell'ottica rieducativa della pena come previsto dalla Carta costituzionale. 7. C.M. deduceva, con un unico punto, la violazione di legge, in relazione alla L. n. 203 del 1991, art. 8, e mancanza di motivazione, per avere la Corte di appello rigettato la richiesta di riconoscimento dell'attenuante della dissociazione, benché il contributo conoscitivo offerto all'autorità giudiziaria dal prevenuto fosse stato significativo e rilevante. 8. D.S.R. deduceva i seguenti motivi. 8.1. Vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità o travisamento della prova, per avere la Corte di appello confermata la condanna di primo grado, senza nulla osservare o obiettare sulle spiegazioni del proprio operato che l'imputato aveva fornito con una memoria a sua firma. 8.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 192 c.p.p., e vizio di motivazione, per contraddittorietà e illogicità, per avere la Corte territoriale omesso di effettuare la verifica sulla attendibilità soggettiva e intrinseca delle dichiarazioni accusatorie rese dai due collaboratori di giustizia M.S. e V.A.: deposizioni caratterizzate da estrema genericità o dalla indeterminatezza dovuta al fatto di aver riferito notizie apprese da terzi, nonché dall'assenza di riscontri estrinseci individualizzanti. 8.3. Mancanza di motivazione, per avere la Corte distrettuale omesso di rispondere alla doglianza, formulata con motivi aggiunti, con la quale la difesa aveva dedotto la nullità ex art. 604 c.p.p., per violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p., per essere stata sminuita la circostanza (ritenuta, invece, rilevante per altro coimputato) che il D.S. aveva fornito un contributo in epoca successiva al momento della consumazione della truffa contestata ai capi 44) e 45), ponendo così in essere una condotta che avrebbe potuto integrare gli estremi di altro reato. 8.4. Vizio di motivazione, per contraddittorietà, per avere la Corte di merito confermata la condanna dell'imputato con riferimento al reato di falso addebitatogli al capo 45), pur dopo aver attestato nella motivazione che il prevenuto non aveva concorso nella redazione materiale della falsa sentenza, ma "aveva sorvegliato l'andamento della pratica": considerato, peraltro, che le sentenze asseritamente falsificate non erano state trasmesse, come da prassi, dal Provveditorato per le opere pubbliche all'Avvocatura dello Stato per il prescritto parere di conformità. 8.5. Violazione di legge, in relazione all'art. 416-bis.1 c.p., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà, per avere la Corte bolognese ingiustificatamente disatteso la richiesta difensiva di esclusione della aggravante speciale della agevolazione mafiosa: trascurando il fatto che il contributo "postumo" del D.S. non aveva avuto alcuna utilità per l'indicata compagine mafiosa e che il prevenuto, che aveva avuto rapporti solo con i coimputati V. e F. (i quali avevano operato per soddisfare interessi personali), non aveva agito con la consapevolezza di dare un contributo al perseguimento delle finalità di quel gruppo criminale. 8.6. Violazione di legge, in relazione agli artt. 62-bis, 132 e 133 c.p., e mancanza di motivazione, per avere la Corte di appello ingiustificatamente negato all'imputato le attenuanti generiche, senza considerare che il predetto è incensurato e privo di carichi pendenti, ha un'età avanzata ed ha tenuto un buon comportamento processuale. 9. D.F. deduceva i seguenti motivi. 9.1. Vizio di motivazione, per mancanza e manifesta illogicità, per avere la Corte di appello confermata la condanna dell'imputato, benché fosse risultato che il prevenuto non era a conoscenza della provenienza furtiva dell'escavatore venduto, né aveva seguito le trattative della vendita che erano state curate da altro soggetto. 9.2. Vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale valorizzate le dichiarazioni accusatorie del coimputato C.M., rimaste, però, prive di riscontri individualizzanti a carico del D., il quale aveva avuto solo rapporti commerciali leciti con taluni appartenenti al gruppo diretto dal G.A.. 9.3. Violazione di legge, per avere la Corte distrettuale escluso la circostanza aggravante speciale originariamente addebitata al D., senza però conseguentemente ridurre la pena inflitta di un terzo. 10. D.A. deduceva i seguenti motivi. 10.1. Vizio di motivazione, per contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte confermata la condanna dell'imputato in ordine al reato del capo 44), per avere "autorizzato", quale apicale del gruppo criminale G.A., l'operazione, pur riconoscendo che lo stesso non avesse concorso alla fase ideativa della truffa né a quella della consumazione della falsificazione della sentenza, che costituiva lo "strumento" per la commissione della medesima truffa. 10.2. Vizio di motivazione, per contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale confermata la condanna dell'imputato in relazione al suddetto reato, nonostante sia stato escluso un concorso dei coimputati G.A.N. e V.R., che pure erano stati considerati come soggetti che, al pari del D., avevano autorizzato l'operazione truffaldina de qua. 10.3. Mancanza di motivazione, per avere la Corte distrettuale omesso di verificare l'attendibilità dei due collaboratori di giustizia, il V. e M.S., che avevano reso dichiarazioni accusatorie a carico del D., peraltro in parte riguardanti notizie acquisite de relato. 10.4. Mancanza di motivazione, per avere la Corte di merito, valorizzato come riscontro alla parola accusatrice del collaboratore M., la circostanza, non confermata né altrimenti corroborata da dati oggettivi, della partecipazione ad un pranzo, il 30 giugno 2011, anche di G.A.S., che aveva asseritamente presenziato all'incontro anche in rappresentanza del D.. 10.5. Mancanza di motivazione, per avere la Corte bolognese omesso di rispondere alla specifica doglianza formulata con l'atto di appello, con la quale la difesa aveva segnalato come il collaboratore V. avesse dichiarato che il D. era intervenuto, in quella vicenda, non nella fase genetica ma in quella successiva, nella quale gli affiliati al gruppo G.A. si erano attivati per cercare di recuperare parte del denaro percepito dall' O.. 10.6. Violazione di legge, in relazione all'art. 110 c.p., per avere la Corte di appello erroneamente sostenuto che il D. avesse concorso nella commissione della truffa per il sol fatto di essere stato "messo a conoscenza" di quella iniziativa delittuosa. 11. F.G. deduceva, con un unico punto, il vizio di motivazione, per manifesta illogicità, contraddittorietà, insufficienza e travisamento della prova, per avere la Corte di appello confermata la condanna dell'imputato in relazione ai reati dei capi 44) e 45), benché dalla documentazione acquisita durante il giudizio di secondo grado (concernente una informativa avente ad oggetto il risultato della intercettazione di talune conversazioni) fosse stata acquisita la prova che, nella fase c.d. genetica della vicenda, egli aveva contattato l' O. per il tramite di un soggetto campano, tal V.R., e non anche per il tramite di M.L.: dato, questo, idoneo a smentire le deposizioni accusatorie dei due collaboratori di giustizia e ad accreditare la versione del ricorrente, che aveva sostenuto di essersi limitato a mettere in contatto lo zio, D.S.R., con l' O., senza nulla sapere della natura dell'"affare" che i due avevano in animo di attuare. Il ricorrente ha domandato, in subordine, la esclusione della aggravante contestata e la conseguente declaratoria di estinzione del reato per prescrizione intervenuta prima della pronuncia della sentenza di secondo grado. 12. G.D. deduceva i seguenti motivi. 12.1. Vizio di motivazione, per mancanza, illogicità e contraddittorietà, per avere la Corte di appello confermata la condanna dell'imputato in ordine al reato del capo 48), benché gli atti processuali avessero dimostrato che il G. era risultato estraneo agli inziali contatti con i lavoratori recatisi in Belgio, che si assume fossero stati poi sfruttati; che lo stesso aveva contrastato i datori di lavoro per il fatto che volessero pagare gli operai che avevano lavorato in Belgio per un numero di ore inferiore a quello delle ore effettivamente impiegate, lavoratori le cui ragioni il G. aveva così cercato di tutelare; che, dunque, il ricorrente si era interessato a quella operazione solo per un mese e mezzo, non aveva avuto la consapevolezza dello stato di bisogno degli operai, né aveva avuto l'intenzione di sottoporli a condizioni di sfruttamento. 12.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 603-bis c.p., comma 4, n. 1, e vizio di motivazione, per contraddittorietà e illogicità, per avere la Corte territoriale disatteso la richiesta difensiva di esclusione dell'aggravante contestata, nonostante fosse stato provato che il G., che aveva avuto nella vicenda un ruolo secondario rispetto a quello del coimputato, non aveva reclutato in Italia tutti gli operai poi recatisi in Belgio. 13. G.A.R. deduceva i seguenti motivi. 13.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 512-bis c.p., e vizio di motivazione, anche per travisamento delle prove, per avere la Corte di appello confermata la condanna della imputata per il reato del capo 2), con riferimento al trasferimento di quote della Eurogrande s.r.l., benché le emergenze processuali non avessero provato l'esistenza di alcuna condotta attiva della prevenuta, né la consapevolezza della stessa di eludere l'applicazione di misure di prevenzione patrimoniali nei riguardi del genitore G.A.F.; non essendo neppure vero che, in occasione della cessione di quelle quote, l'8 ottobre 2013, G.A.F. fosse detenuto in carcere. 13.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 512-bis c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale erroneamente sostenuto che nel 2013 G.A.F. fosse consapevole ovvero potesse fondatamente presumere di poter essere sottoposto ad una misura di prevenzione patrimoniale, perché in precedenza era stato destinatario di richieste di applicazione di siffatte misure che erano state, però, rigettate; non potendo essere valorizzate le dichiarazioni accusatorie del collaboratore di giustizia D.G.V. in quanto generiche e non riscontrate; e considerato che G.A.P. ancora nel 2015 aveva mantenuto la titolarità delle quote di due altre società facenti capo al genitore. 13.3. Violazione di legge, in relazione all'art. 512-bis c.p., e mancanza di motivazione, per avere la Corte distrettuale omesso di giustificare le ragioni per le quali era stata disattesa l'eccezione difensiva riguardante la mancanza di prova della esistenza dell'elemento psicologico in capo alla ricorrente. 13.4. Violazione di legge, in relazione all'art. 512-bis c.p., e mancanza di motivazione, per avere la Corte di merito omesso di indicare le ragioni per le quali era stata confermata la sussistenza, in capo all'imputata, dell'aggravante speciale dell'agevolazione mafiosa, di cui all'art. 416-bis.1 c.p., non essendo stato provato che la predetta avesse agito al fine di favorire l'associazione mafiosa e non un singolo partecipe. 13.5. Violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la Corte bolognese ingiustificatamente disatteso la richiesta difensiva di concessione alla imputata del beneficio della sospensione condizionale della pena. 14. G.A.S. deduceva i seguenti motivi. 14.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 416-bis c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte di appello confermata la condanna dell'imputato in ordine al reato associativo del capo 1), benché le prove a disposizione (in specie, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia V.A. e il contenuto di una intercettazione) avessero dimostrato che G.A.S. non era il promotore ovvero il capo o l'organizzatore del gruppo criminale in argomento, ma al più solo un mero partecipe di quel sodalizio. Era stato provato che G.A.S. non si era mai interessato alla gestione del traffico di stupefacenti, essendo risultate non riscontrate le accuse formulate al riguardo sia dal collaboratore D.G.V. sia dal suddetto V.; non aveva diretto la "vicenda R." nella quale le presunte persone offese avevano avuto rapporti solo con C.G.; aveva confidato alla moglie di voler cambiare cognome, trasferirsi in altre località, pure dimostrandosi bisognoso di 1.000 Euro "per poter mangiare", aspetto questo incompatibile con il ruolo di "capo"; non aveva dato alcuno stabile e continuativo contributo a quella cosca mafiosa, limitandosi ad una mera "continguità compiacente"; non era risultato coinvolto in alcuna altra indagine relativa alle iniziative delittuose poste in essere dalla cosca G.A. in Emilia. 14.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 416-bis c.p., comma 2, e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale erroneamente sostenuto che G.A.S. fosse stato il promotore dell'associazione mafiosa del capo 1) almeno dal 2015, cioè dopo l'arresto del D.: tutti i collaboratori di giustizia lo hanno menzionato come mero "affiliato" ed anche le intercettazioni di comunicazioni ne avevano escludono il ruolo di "capo". 14.3. Violazione di legge, in relazione all'art. 416-bis c.p., commi 4 e 6, e vizio di motivazione, per avere la Corte distrettuale confermata la condanna anche in relazione alle aggravanti della disponibilità delle armi e del finanziamento di attività economiche con i proventi delittuosi, circostanze della cui esistenza non vi è prova. 14.4. Violazione di legge, in relazione agli artt. 512-bis e 416-bis.1 c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte di merito confermata la condanna dell'imputato per i reati dei capi 2) e 3), benché non fosse stato dimostrato: che G.A.S. aveva partecipato al viaggio a (Omissis), con altri affiliati alla cosca; che, all'epoca della cessione delle quote della "Eurogrande" s.r.l. nel 2008, egli era incensurato e non interessato al compimento di alcuna operazione di compra-vendita di quote societarie con finalità elusive di iniziative giudiziarie di prevenzione (tanto che in quel periodo aveva anche intestato a proprio nome una villetta); che non era stato provato che il ricorrente avesse agito come "prestanome" del padre F. per l'operazione della Immobiliare San Francesco; che non era stato dimostrato che il prevenuto aveva agito allo scopo di agevolare le attività dell'associazione mafiosa. 14.5. Violazione di legge, in relazione all'art. 512-bis c.p. e art. 649 c.p.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte bolognese disatteso l'eccezione difensiva di violazione del divieto di bis in idem, con riferimento alla condanna per il reato del capo 7), avente ad oggetto un fatto già contestato all'imputato come bancarotta fraudolenta in relazione al fallimento della società "C-Project", reato dal quale era stato poi mandato assolto. 14.6. Violazione di legge, in relazione agli artt. 512-bis e 416-bis.1 c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte di appello confermata la condanna dell'imputato per i reati dei capi 9) e 10), nonostante la documentazione acquisita avesse smentito la deposizione del collaboratore di giustizia G.G. e quella dei testimoni ascoltati in merito, e confermato: che i reali proprietari della società che gestiva la discoteca "(Omissis)" erano lo stesso G. e M.A.; che gli intestatari delle quote della società Monreale non avevano mai avuto contatti con G.A.S., dunque non avevano operato con il dolo specifico necessario per configurare il reato; e che non vi era prova che l'attività elusiva fosse stata finalizzata ad agevolare la cosca mafiosa. 14.7. Violazione di legge, in relazione all'art. 416-bis.1 c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale confermata la condanna dell'imputato per i reati dei capi 18) e 19) anche con riferimento alla contestata aggravante dell'agevolazione mafiosa, benché gli atti processuali avessero escluso che le relative attività elusive fossero state finalizzate a favorire l'intero sodalizio mafioso e non anche il solo ricorrente, singolarmente considerato. 14.8. Violazione di legge, in relazione all'art. 512-bis c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte distrettuale confermata la condanna dell'imputato per i reati dei capi 20) e 21), nonostante le emergenze processuali avessero riscontrato la versione del prevenuto di avere eseguito lavori nel settore dell'edilizia "avvalendosi" della disponibilità esterna delle società "Holding" s.r.l. e "Generali Edile" s.r.l., solo perché le stesse avevano il Durc (Documento unico di regolarità contributiva), necessario per poter ottenere l'assegnazione di appalti, che invece non possedeva la sua società Viesse. 14.9. Violazione di legge, in relazione all'art. 624-bis c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte di merito confermata la condanna dell'imputato per il reato del capo 46), disattendendo la versione difensiva per cui le mattonelle erano state prese dal capannone di Gr.Ar.Ro., adiacente a quello di M.F., il "(Omissis)" di cui vi è traccia in una intercettazione di comunicazioni. 14.10. Violazione di legge, in relazione all'art. 603-bis c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte bolognese confermata la condanna dell'imputato per il reato del capo 48), anche se il contenuto delle conversazioni intercettate avevano dimostrato che nelle iniziative dell'imputato non vi era stato alcun intento "truffaldino" ai danni degli operai recatisi a lavorare in Belgio. 14.11. Violazione di legge, in relazione agli artt. 612 e 416-bis.1 c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte di appello confermata la condanna dell'imputato per il reato del capo 50), benché i dati di conoscenza a disposizione avessero escluso che la minaccia era stata posta in essere su indicazione del prevenuto ovvero che la condotta era stata tenuta con quella speciale forma di coartazione psicologica che caratterizza l'aggravante speciale del metodo mafioso. 14.12. Violazione di legge, in relazione all'art. 521 c.p.p., artt. 644 e 416-bis.1 c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale riqualificato in termini di usura aggravata il fatto contestato al capo 17) come ipotesi di estorsione aggravata, senza consentire all'imputato di difendersi sul diverso fatto ritenuto rispetto alla ipotesi di minaccia con riferimento alla quale era stata calibrata la strategia difensiva; e senza che risulti dimostrato l'elemento costitutivo dell'usura, che è il superamento del tasso-soglia come stabilito dalla legge. 14.13. Violazione di legge, in relazione all'art. 416-bis.1 c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte distrettuale, pur dopo avere in motivazione affermata la esclusione dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa per il reato del capo 38), omesso di richiamare tale esclusione nel dispositivo e, conseguentemente, di ridurre la pena inflitta per tale reato "satellite" posto in continuazione. 14.14. Violazione di legge, in relazione all'art. 62-bis c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte di merito negato all'imputato il riconoscimento delle attenuanti generiche, circostanze che, invece, potevano essergli concesse per il comportamento processuale ampiamente collaborativo e per gli aspetti riguardanti la sua personalità e le sue peculiari condizioni familiari e sociali. 14.15. Violazione di legge, in relazione all'art. 81 c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte bolognese omesso di quantificare le pene inflitte per ciascuno dei diciannove reati "satellite" posti in continuazione con il reato più grave. 14.16. Con memoria trasmessa il 31 maggio 2023 la difesa di G.A.S., richiamando il contenuto del primo, del secondo, del quarto e del sesto motivo dell'originario atto di impugnazione, ha proposto due nuovi motivi, segnalando: 14.16.1. che, con recente sentenza del 15 dicembre 2022, il Tribunale di Reggio Emilia ha condannato G.A.F. per il reato di cui all'art. 416-bis c.p., escludendo però l'aggravante del comma 2 di tale articolo; 14.16.2. che la Corte di appello di Bologna aveva trascurato il fatto che il collaboratore di giustizia G.G. avesse reso dichiarazioni contraddittorie sulle sue relazioni con M.A. in relazione ai fatti contestati nei capi d'imputazione 3) e 9), così dimostrando di essere accusatore inattendibile. 15. L.G. deduceva i seguenti motivi. 15.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 110,629 e 416-bis.1 c.p., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità, per avere la Corte di appello confermata la condanna dell'imputato per il reato del capo 47), anche con riferimento alla aggravante speciale, erroneamente valorizzando come unico elemento la presenza del prevenuto nel luogo dell'intervento delle forze dell'ordine; e, invece, trascurando il fatto che la persona offesa A. aveva parlato delle minacce subite in precedenza "da tre calabresi", diversi dal L., il quale era presente in quel luogo solo per i rapporti lavorativi che lo legavano al D.. 15.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 416-bis c.p., artt. 192 e 521 c.p.p., e vizio diò motivazione, per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità, per avere la Corte di appello confermata la condanna dell'imputato per il reato associativo del capo 1), benché a carico del prevenuto fossero emersi solo meri e sporadici "contatti" con altri imputati, e relazioni personali bilaterali con taluni presunti affiliati per vicende riguardanti singoli soggetti; peraltro, al L. - che non è stato menzionato espressamente da alcun collaboratore di giustizia (per uno dei quali non era stato neppure reperito il verbale delle relative dichiarazioni) ed è risultato aver avuto atteggiamenti "non remissivi", incompatibili con una sua "messa a disposizione" come associato (indisponibilità ad interessarsi di una discoteca o a "firmare qualcosa"; generica disponibilità ad informarsi circa una possibile "retata") - era stato contestato di essere stato il "braccio destro" dei capi di quell'organizzazione criminale; senza che fosse stato provato un suo reale ruolo dinamico né un suo contributo causale, stabile e fattivo, alla vita del sodalizio mafioso. 15.3. Violazione di legge, in relazione agli artt. 62-bis e 133 c.p., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità, per avere la Corte di appello disatteso la richiesta di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, nonostante la presenza di elementi positivi connessi alla vita antecedente al reato ed al ruolo marginale assunto dall'imputato nelle vicende di causa. 15.4. Con memoria trasmessa il 6 giugno 2023, la difesa del L. ha formulato nuovi motivi - deducendo la violazione ed erronea applicazione degli artt. 110,56 e 629 c.p., art. 416-bis, c.p., art. 62-bis c.p., art. 129 c.p.p., e il vizio di motivazione - sostanzialmente in gran parte reiterativi dei motivi già proposti con il ricorso; segnalando, in particolare: 15.4.1. la inadeguatezza della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui è stata confermata la sussistenza delle aggravanti contestate al capo 47), in specie di quelle relative alle modalità e alla agevolazione mafiose (primo nuovo motivo); 15.4.2. la incongruità di una motivazione che ha collegato le vicende del presente processo a quelle del precedente processo "Aemilia", nel quale non era mai emersa la figura del L.: che era risultato poi interessato solo alla vendita di un esercizio commerciale facente capo al coimputato D. (secondo nuovo motivo); 15.4.3. la irragionevolezza del diniego delle attenuanti generiche, considerato che gli atti processuali avevano escluso che il L. fosse stato coinvolto "in tutte le attività della cosca", come gli era stato formalmente addebitato, e, anzi, avevano dimostrato la propria estraneità a molte di quelle vicende, quanto meno a partire dal 2015: dato rilevante quale condotta susseguente al reato (terzo nuovo motivo). 16. M.A. deduceva i seguenti motivi. 16.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 512-bis c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte di appello confermata la condanna dell'imputato per i reati dei capi 7), 9) e 10), contraddittoriamente sostenendo che M.A. era stato inizialmente "soggetto estorto" dal sodalizio mafioso, poi divenendone partecipe: talché non poteva escludersi che, all'epoca della commissione dei reati sopra indicati, il prevenuto era stato vittima di quel clan mafioso; e ciò tanto più considerato che egli era stato assolto da altre analoghe imputazioni, riportate nei capi dal 39-bis) al 39-quinquies), talché rimane indimostrato che sapesse di essere destinatario di una richiesta di applicazione di misure di prevenzione. 16.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 416-bis.1 c.p., e vizi di motivazione, per avere la Corte territoriale confermata la condanna anche con riferimento all'aggravante dell'agevolazione mafiosa, benché le emergenze processuali avessero dimostrato che gli imputati avevano agito per soddisfare interessi personali dei singoli concorrenti; ciò senza neppure trascurare che, con riferimento alla vicenda delle "discoteche", era irragionevole sostenere che la relativa impresa fosse mafiosa e che gli interessati l'abbiano comunque "lasciata fallire". 16.3. Violazione di legge, in relazione all'art. 512-bis c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte distrettuale confermata la condanna dell'imputato per il reato del capo 39-sexies), nonostante non fosse stato provato che, all'epoca della commissione di quel reato, il prevenuto fosse stato a conoscenza dell'esistenza delle indagini a suo carico nel procedimento c.d. "Aemilia", nell'ambito del quale le misure cautelari erano state applicate solo nel 2015; non potendosi escludere che, nel novembre 2013, M.A. avesse trasferito l'intestazione delle quote della società Cospar solo per fare fronte ad esigenze di "riapertura delle linee di credito bancarie", le stesse ragioni che avevano giustificato la sua assoluzione per le altre analoghe imputazioni sopra richiamate. 16.4. Violazione di legge, in relazione all'art. 416-bis.1 c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte di merito confermata la condanna anche con riferimento all'aggravante dell'agevolazione mafiosa contestata al capo 39-sexies), erroneamente ponendo in collegamento l'attività della società Cospar con quella di altre imprese asseritamente interessate alle vicende dell'associazione mafiosa: come confermato dalla mancata contestazione ad M.A. di altri reati "mafiosi", addebitati invece ad ulteriori coimputati; e dal fatto che il predetto è stato condannato nel processo "Aemilia" per il reato di cui all'art. 416-bis c.p. commesso fino al gennaio 2015, dunque in un periodo precedente alla costituzione della Cospar; sicché è ragionevole ritenere che il prevenuto avesse agito non per agevolare le attività di quel gruppo criminale. 17. M.C. deduceva i seguenti motivi. 17.1. Vizio di motivazione, per manifesta illogicità, per avere la Corte di appello confermata la condanna dell'imputato per il reato del capo 7), commesso il (Omissis), con argomenti apodittici e valorizzando dati indiziari, asseritamente comprovanti per M.C. (peraltro, mai menzionato da alcun collaboratore di giustizia) l'elemento soggettivo del delitto, riferibili a fatti cronologicamente accaduto due o tre anni dopo: elementi, dunque, irrilevanti rispetto ad un reato che è istantaneo con effetti permanenti, che non escludono, anche in ragione della assoluzione per le successive cessioni delle quote della C-Project, che M.C. avesse agito esclusivamente per investire risorse economiche proprie. 17.2. Mancanza di motivazione, per avere la Corte territoriale omesso di valutare le questioni che erano state poste dalla difesa in ordine alla assenza di prova circa la sussistenza dell'aggravante speciale soggettiva dell'agevolazione mafiosa contestata al capo 7), per l'assenza di indizi che l'intestazione fittizia fosse stata finalizzata da M.C. a soddisfare gli interessi economici dell'associazione: aggravante che, se esclusa, dovrebbe portare a dichiarare estinto il reato per prescrizione. 17.3. Vizio di motivazione, per manifesta illogicità, per avere la Corte distrettuale confermata la condanna dell'imputato per il reato del capo 39-sexies), riguardante l'addebito di intestazione fittizia, il 19 novembre 2013, delle quote della Cospar s.r.l., anche aggravata dall'agevolazione mafiosa, ponendo in connessione le vicende di tale società a quelle della M. Logistica e Trasporti s.r.l., per fatti (collegati alla "vicenda R.") mai contestati a M.C. e, comunque, successivi di oltre due anni rispetto al momento della consumazione del reato. 17.4. Violazione di legge, in relazione all'art. 442 c.p.p., per avere la Corte di merito determinato la pena inflitta a M.C. senza operare la riduzione finale nella prescritta misura di un terzo, in ragione del rito abbreviato; nonché per avere introdotto, in relazione al trattamento sanzionatorio, una ragione di contrasto tra il contenuto della motivazione e quello del dispositivo, emendabile con il procedimento di rettifica ex art. 619 c.p.p., comma 2. 17.5. Mancanza di motivazione, per avere la Corte bolognese omesso di pronunciarsi sulle questioni che erano state poste dalla difesa con l'atto di appello in ordine alla conferma della disposta confisca della Cospar s.r.l.: censure con le quali ci si era doluti della mancata indicazione del titolo legittimante la confisca (essendo rimasto incerto se disposta ai sensi dell'art. 240 c.p., comma 1, o dell'art. 240-bis c.p.); nonché dell'assenza di prova circa la sproporzione tra capacità reddituali dell'imputato e somme utilizzate per l'acquisto delle quote di quella società (che non può essere considerata corpo del reato), e la verifica della connessa ragionevolezza temporale tra tali due fattori. 17.6. Violazione di legge, in relazione all'art. 29 c.p., per avere la Corte di appello omesso di eliminare la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici applicata in primo grado, benché l'imputato fosse stato in secondo grado condannato alla pena della reclusione inferiore a tre anni. 18. M.F., con un unico punto, deduceva la violazione di legge e il vizio di motivazione, per avere la Corte di appello confermata la condanna dell'imputato per i reati dei capi 1) e 18), benché non fosse stato provato che lo stesso aveva svolto un qualche ruolo nell'associazione mafiosa oggetto di addebito o che aveva economicamente fruito delle iniziative poste in essere da altre persone nel contesto nel quale viveva. 19. M.L., con un unico punto, deduceva la violazione di legge, in relazione agli artt. 125,533,546 e 192 c.p.p., art. 111 Cost., nonché in relazione alle norme di diritto penale sostanziale oggetto di addebito, e vizio di motivazione, per avere la Corte di appello confermata la condanna dell'imputato per il reato del capo 44), benché difettassero le prove di un suo coinvolgimento nella fase genetica e organizzativa della truffa, poi commessa ai danni dello Stato: la Corte di merito aveva valorizzato le dichiarazioni accusatorie rese dai collaboratori di giustizia V.A. e M.S., in realtà scarsamente attendibili perché offerte de relato e dopo aver conosciuto il contenuto delle intercettazioni e delle informative relative ad altro giudizio penale, comunque generiche ed imprecise su genesi, modalità esecutive e tempi di quella truffa; ha contraddittoriamente assolto altri imputati ( V.L. e G.A.N.) che avevano avuto una posizione analoga a quella del ricorrente, che nella vicenda era intervenuto solo nel maggio 2011, dopo la consumazione della truffa; ha eluso l'onere motivazionale circa la sussistenza dell'aggravante della agevolazione mafiosa. 19.1. Con memoria trasmessa il 9 giugno 2023 i difensori di M.L. hanno formulato i seguenti nuovi motivi. 19.1.1. Violazione dell'art. 157 c.p., e segg., per avere la Corte territoriale omesso di dichiarare la estinzione per prescrizione del reato del capo 44), benché alla data di emissione della sentenza di secondo grado fosse oramai decorso il termine massimo di legge. 19.1.2. Con riferimento al motivo esposto nell'atto di impugnazione, i patrocinatori sono tornati a sottolineare come il proprio assistito fosse intervenuto nella vicenda di causa in epoca successiva alla data di commissione della truffa: essendo rimaste, al riguardo, prive di riscontri estrinseci le dichiarazioni accusatorie del collaboratore di giustizia V.. 20. S.N. deduceva, con due distinti punti, la violazione di legge, in relazione all'art. 640 c.p., e la mancanza di motivazione, per avere la Corte territoriale confermata la condanna dell'imputato per i reato del capo 44), omettendo di esaminare uno dei motivi aggiunti all'atto di appello, con il quale la difesa aveva evidenziato come le dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia non coincidessero sulle persone che aveva deciso di attuare il programma truffaldino, avendo solo M.S. riferito che a quel "tavolo" sedeva anche il S.; mancando elementi di prova circa un coinvolgimento del prevenuto nella fase precedente a quella della consumazione del reato, databile al 20 luglio 2010. 21. S.D. deduceva i seguenti motivi. 21.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 521 c.p.p., artt. 110 e 640 c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte di appello riqualificato in termini di usura aggravata il fatto contestato al capo 17) come ipotesi di estorsione aggravata, senza consentire all'imputato di difendersi sul diverso fatto ritenuto rispetto alla ipotesi di accusa contestata in termini di minaccia, con riferimento alla quale era stata calibrata la strategia difensiva: tenuto anche conto che nell'imputazione vi era l'indicazione di un accordo usurario al quale G.A.S. era rimasto estraneo. 21.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 597 c.p.p., comma 3, per avere la Corte territoriale rideterminato la pena calcolando anche l'aumento per la aggravante speciale del metodo mafioso, che il giudice di primo grado aveva ritenuto di non dover computare. 21.3. Violazione di legge, in relazione all'art. 512-bis c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte distrettuale confermata la condanna dell'imputato per il reato del capo 10), valorizzando elementi di prova riguardanti il periodo successivo a quello della esecuzione della operazione di intestazione fittizia delle quote societarie, in cui vi era stata la consumazione del reato che, pacificamente, è reato istantaneo con effetti permanenti. 22. S.A. deduceva i seguenti motivi. 22.1. Vizio di motivazione, per apparenza, per avere la Corte di appello confermata la condanna dell'imputato per il reato del capo 49), benché le dichiarazioni delle due persone offese, C.A. e O.C., non fossero collimanti su punti essenziali della vicenda. 22.2. Mancanza di motivazione, per avere la Corte territoriale omesso di rispondere alla richiesta con la quale la difesa aveva domandato l'assoluzione dell'imputato dal reato del capo 49-bis) o, quanto meno, la riqualificazione del fatto in termini di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in considerazione delle telefonate che il S. aveva fatto alle vittime, che non avevano avuto una portata intimidatoria. 22.3. Violazione di legge, in relazione all'art. 416-bis.1 c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte distrettuale confermata la sussistenza dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa con un generico riferimento al coinvolgimento nella vicenda della società "La Cavalleria" e con un apodittico richiamo al contesto ambientale, ritenuto sufficiente a provare la presenza del richiesto elemento psicologico. 22.4. Violazione di legge, in relazione all'art. 62-bis c.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte di merito rigettato la richiesta difensiva di riconoscimento delle attenuanti generiche, senza tenere conto del comportamento processuale dell'imputato e la risalenza nel tempo dei fatti di causa. 23. S.D., con un unico punto, deduceva la violazione di legge, in relazione all'art. 416-bis c.p., e il vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità, per avere la Corte di appello confermata la condanna dell'imputato per il reato associativo contestatogli al capo 1), riqualificato in termini di concorso esterno in associazione mafiosa; benché non fosse stato provato un suo contributo essenziale ai fini della conservazione o del rafforzamento degli scopi di quel sodalizio criminale, e fosse stato, invece, dimostrato il coinvolgimento del prevenuto in un unico episodio delittuoso al quale aveva preso parte esclusivamente per realizzare un proprio tornaconto personale. 24. V.P. deduceva i seguenti motivi. 24.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 416-bis c.p., e vizio di motivazione, per mancanza, illogicità e contraddittorietà, per avere la Corte di appello confermata la condanna dell'imputato per il reato associativo del capo 1), nonostante non fosse provato un suo stabile inserimento nel clan mafioso diretto da G.A.S., né che lo stesso ne aveva fatto consapevolmente parte favorendone le iniziative con un suo contribuito causalmente rilevante, nell'ottica della metodologia sopraffattoria che deve qualificare un siffatto sodalizio. 24.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 416-bis.1 c.p., e vizio di motivazione, per mancanza, illogicità e contraddittorietà, per avere la Corte territoriale confermata la sussistenza dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa con riferimento alle imputazioni dei capi 18) e 19), in assenza di prova circa un suo contributo all'intero sodalizio mafioso anziché singolarmente a G.A.S.. 24.3. Vizio di motivazione, per mancanza, illogicità e contraddittorietà, per avere la Corte distrettuale confermata la condanna del V. per il reato del capo 46), nonostante la versione del prevenuto, di aver prelevato alcune mattonelle dal capannone di Gr.Ar.Ro., senza essere consapevole di commettere un furto, fosse stata accreditata dal contenuto delle intercettazioni in atti. 24.4. Violazione di legge e vizio di motivazione, per mancanza, illogicità e contraddittorietà, per avere la Corte bolognese ingiustificatamente negato il riconoscimento all'imputato delle circostanze attenuanti generiche nella sua massima estensione diminuente, benché il prevenuto sia incensurato e in passato abbia svolto attività lavorative lecite. 25. V.L. deduceva i seguenti motivi. 25.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 192 c.p.p., artt. 416-bis e 512-bis c.p., e vizio di motivazione, per contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte di appello confermata la condanna dell'imputato per i reati dei capi 1) e 6), benché non fosse risultato comprovato un suo stabile inserimento nel clan mafioso diretto da G.A.S., né che lo stesso ne aveva fatto consapevolmente parte, favorendone le iniziative con un suo contributo causalmente rilevante, anziché avere un rapporto personale e monosoggettivo con il predetto capo di quel sodalizio, ispirato più ai caratteri della mera "vicinanza" o "contiguità"; peraltro, tenendo un comportamento non punibile ai sensi di una norma incriminatrice, quella del citato art. 512-bis c.p., entrata in vigore nel 2018, in epoca successiva ai fatti di causa. 25.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 416-bis c.p., commi 4 e 6, e vizio di motivazione, per contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte confermata anche la sussistenza delle due circostanze aggravanti contestate al capo 1), nonostante non vi sia prova della consapevolezza dell'imputato degli aspetti integranti quelle circostanze, peraltro in motivazione riferite agli affiliati "più risalenti" al clan G.A.. 25.3. Violazione di legge, in relazione all'art. 62-bis c.p., e vizio di motivazione, per contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte distrettuale ingiustificatamente negato al V. il riconoscimento delle attenuanti generiche, facendo riferimento alla mancanza di una forma di collaborazione che non era dovuta dall'imputato. 26. Z.N., con un unico punto, deduceva la violazione di legge, in relazione all'art. 512-bis c.p., e il vizio di motivazione, per avere la Corte di merito confermata la condanna della imputata per i reati dei capi 3) e 10) commessi rispettivamente il 30 luglio e il 18 dicembre 2008, con riferimento alle quote della "Immobiliare San Francisco" s.r.l., e tra il 27 marzo e il 18 dicembre 2008 con riferimento alle quote della "Monreale" s.r.l. valorizzando dati indiziari, asseritamente comprovanti l'elemento soggettivo del delitto (intento elusivo) e riferibili a fatti cronologicamente successivi, dunque, irrilevanti rispetto ad un reato che è istantaneo con effetti permanenti. Diritto CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Prima di passare ad esaminare i singoli ricorsi - che, per quelli degli imputati, verranno scrutinati secondo l'ordine dell'intestazione, passando poi a considerare gli atti di impugnazione proposti dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Bologna con riferimento alla posizione dei relativi imputati ritiene questa Corte di cassazione di dover formulare una premessa, tendenzialmente valida per la gran parte delle posizioni dei ricorrenti. 1.1. Il presente processo ha ad oggetto fatti di reato strettamente connessi a quelli di cui si era già interessata l'autorità giudiziaria emiliana in altro processo (gergalmente noto come "Aemilia"), definito dalla Cassazione con sentenza del 7 maggio 2022 (v. Sez. 2, n. 39774 del 07/05/2022, Aiello, Rv. 283989). Dal contenuto di tale pronuncia è corretto partire nella disamina delle questioni poste nel presente giudizio di legittimità, non solo perché della decisione adottata dai giudici di merito in quel processo vi sono ampi richiami sia nella sentenza impugnata in questo processo, sia anche negli atti di impugnazione delle parti; ma soprattutto perché, valorizzati dalla Corte di appello di Bologna i relativi risultati conoscitivi, nessuno degli odierni ricorrenti privati ha messo in discussione le principali conclusioni accertative in fatto offerte in quella precedente decisione. In specie nella parte in cui - anche in collegamento con altre precedenti pronunce ugualmente passate in giudicato - è stata confermata, sulla base dell'attendibile contributo conoscitivo offerto principalmente dai collaboratori di giustizia G.G., V.A. e M.S., riscontrato dagli esiti delle investigazioni e di un ampio materiale tratto dalle intercettazioni, l'esistenza di una associazione per delinquere di stampo ‘ndranghetistico operante da molti anni in alcune province dell'(Omissis) e in zone limitrofe. Ed allora, è opportuno rammentare - anche per comodità espositiva - come, proprio sulla base della indicata sentenza di condanna divenuta irrevocabile il 7 maggio 2022, sia risultato accertato che, fin dagli anni Novanta, alcune cellule di ‘ndranghetisti provenienti dalla Calabria si erano trasferite e radicate nella zona di (Omissis) e in altri paesi delle province confinanti. A seguito di scontri tra gruppi rivali e della consumazione di taluni omicidi, avevano finito per assumere un ruolo dominante gli affiliati al clan mafioso diretto da G.A.N., che, già "vincitori" negli scontri con gli appartenenti a gruppi contrapposti nell'originaria zona di influenza calabrese di (Omissis), avevano affermato la prevalenza anche nelle zone del Nord Italia dove erano state create quelle strutture organizzative delocalizzate. Il gruppo criminale emiliano, oramai qualificato dalla stabilità del vincolo associativo e dalla capacità di attuare i propri programmi nella zona emiliana con i tipici metodi mafiosi, aveva nel tempo acquisito una propria autonomia organizzativa rispetto alla "casa madre" di (Omissis), pur mantenendo con la stessa vari collegamenti operativi. In tale "nuova" e distinta associazione ‘ndranghetistica, pienamente operante dal 2004, un ruolo direttivo era stato assunto da S.N., L.F. e D.A., che avevano beneficiato dell'"avallo" del boss cutrese G.A.N. e che a quest'ultimo avevano offerto un determinante contributo; e in tale clan, oramai già delineato nei suoi tratti essenziali alla metà degli anni Duemila, erano entrati a far parte anche esponenti delle preesistenti cosche risultate "perdenti". L'associazione era risultata, così, caratterizzata dalla presenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie prevista dall'art. 416-bis c.p., perché, lungi dall'avvalersi della sola capacità intimidatoria della "casa madre", era stata in grado di impiegare in via autonoma e così di "esteriorizzare" i tipici metodi della mafiosità nel "nuovo" territorio interessato da quel fenomeno di "colonizzazione": in dettaglio, tra il 2010 e il 2012, nelle province di (Omissis), erano stati registrati ben 124 episodi di danneggiamento e incendio, con una palese forza intimidatoria riscontrata dal diffuso atteggiamento omertoso delle persone offese. Tale sodalizio era stato qualificato da un programma criminoso che prevedeva, in particolare, l'"infiltrazione" in taluni nevralgici gangli della vita imprenditoriale emiliana, in specie nei settori dell'autotrasporto e dell'edilizia, oltre che nei settori politico-amministrativi di quella regione: le iniziative di quel gruppo erano state così segnate da una chiara vocazione affaristico-economica, da un ampio fenomeno di riciclaggio di capitali illeciti, in particolare attuato con l'impiego di false fatture, nonché dalla consumazione di specifiche azioni delittuose che, volta per volta, avevano integrato gli estremi dei "tradizionali" reati mafiosi di estorsione, danneggiamento ed usura. 1.2. Nella valutazione dei ricorsi questa Corte di cassazione terrà conto anche del sistema motivazionale posto a base della sentenza emessa in primo grado dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna, in tutti i casi in cui la relativa decisione risulta confermata dalla Corte di appello. Rappresenta, infatti, espressione di un consolidato orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la cd. "doppia conforme" quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (così, tra le molte, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615). 2. Il ricorso presentato nell'interesse di A.G. è inammissibile. 2.1. Il primo motivo del ricorso non supera il vaglio preliminare di ammissibilità perché proposto per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge. 2.1.1. Così come è accaduto anche per le impugnazioni proposte per altri imputati di questo processo (per i quali valgono, perciò, le considerazioni generali qui esposte), il ricorrente solo formalmente ha indicato, come motivo della sua impugnazione, vizi della motivazione della decisione gravata, senza, però, prospettare alcuna reale contraddizione logica, intesa come implausibilità delle premesse dell'argomentazione, irrazionalità delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni; né il prevenuto ha lamentato una effettiva incompletezza nella descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione, intesa come non corrispondenza dei dati informativi desumibili dalle carte del procedimento. Il ricorrente, invero, si è limitato a criticare il significato che la Corte di appello di Bologna aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite durante le indagini, divenute pienamente utilizzabili in ragione della ammissione al rito abbreviato. In tale ottica, bisogna rilevare come il ricorso, lungi dal proporre un "travisamento delle prove", vale a dire una incompatibilità tra l'apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell'intera motivazione, è stato presentato per sostenere, in pratica, una ipotesi di "travisamento dei fatti" oggetto di analisi, sollecitando un'inammissibile rivalutazione dell'intero materiale d'indagine, rispetto al quale è stata prospettata dalla difesa una spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale nell'ambito di un assetto motivazionale logicamente completo ed esauriente. Questa Corte, pertanto, non ha ragione di discostarsi dal consolidato principio di diritto secondo il quale, a seguito delle modifiche dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ad opera della L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, mentre è consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di "travisamento della prova", che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale, non è affatto permesso dedurre il vizio del "travisamento del fatto", stante la preclusione per il giudice di legittimità a sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, qual è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (in questo senso, tra le tante, Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Chen, Rv. 284556). Ne' il discorso è destinato a mutare in relazione alla sollecitata rivalutazione del contenuto di conversazioni o colloqui captati dagli inquirenti: resta, infatti, un mero problema di interpretazione delle frasi e del linguaggio usato dai soggetti interessati a quelle intercettazioni, che è questione di fatto, rimessa all'apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al giudizio di legittimità se - come nella fattispecie è accaduto - la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (così, ex multis, Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715). 2.1.2. Alla luce di tali premesse va rilevato come la motivazione contenuta nella sentenza impugnata possieda una stringente e completa capacità persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di manifesta illogicità. La Corte bolognese ha analiticamente e convincentemente spiegato come una delle vicende che aveva interessato l'operatività del sodalizio criminale mafioso in argomento era stata quella dell'"affare O.", di cui al capo d'imputazione 44), concretizzatosi nella consumazione, il 20 luglio 2010, di una truffa ai danni del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che, indotto in errore dalla formazione di una falsa sentenza irrevocabile con la quale una sezione civile della Corte di appello di Napoli aveva condannato quel Ministero al pagamento di una somma di denaro in favore della O.G. & C. s.r.l., aveva (per il tramite del Provveditorato interregionale delle opere pubbliche per la Campania e il Molise, che aveva emesso il relativo mandato di pagamento), liquidato la somma di 2.248.120,55 Euro in favore di tale società, che si era procurato il relativo ingiusto profitto con danno patrimoniale allo Stato di rilevante gravità. Le indagini avevano permesso di accertare che l'intera operazione era stata ideata e programmata da D.S.R. (funzionario dell'ufficio contenzioso e legale del suddetto Provveditorato, ma conosciuto dagli altri concorrenti come "l'avvocato campano") il quale, per il tramite del nipote F.G., all'epoca funzionario di una filiale romagnola di una banca, aveva contattato e ottenuto da M.L. la disponibilità a curare l'esecuzione del piano delittuoso: M.L. che, interessato in quanto esponente della cosca G.A. operante nella zona di (Omissis), aveva a sua volta chiesto ed ottenuto l'autorizzazione operativa dai "maggiorenti" di quella organizzazione, ai quali sarebbe stata garantita una parte del profitto della truffa, con la conseguente configurabilità della aggravante speciale dell'aver agito per agevolare l'attività di quella associazione di stampo mafioso. In tale contesto, nel quale è significativo come la difesa dell' A. non abbia posto in discussione gli elementi costitutivi dell'ipotesi accusatoria, ma si sia limitata a sostenere che il prevenuto era intervenuto solamente in una fase successiva a quella della consumazione della truffa, per essersi occupato del "recupero" di parte di quel profitto, che l' O. aveva inizialmente incassato e trattenuto integralmente per sé, le doglianze difensive hanno finito per risolversi in hszparria4taltrettante censure in fatto, con una impropria sollecitazione alla rilettura delle emergenze processuali. La Corte territoriale ha chiarito al riguardo come le, sufficientemente concordanti, dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia V.A. e M.S. - che (per avere vissuto la vicenda solo in parte direttamente ed aver appreso altri dettagli da affiliati a quel clan ‘ndranghetistico) avevano indicato A.G., genero del boss G.A.N., come uno dei "capi" dell'organizzazione che, pur non essendo stato in grado di individuare personalmente la ditta che avrebbe dovuto formalmente incassare l'oggetto della truffa ("no, non riesco"), era stato fin dall'inizio contattato per "patrocinare" l'operazione (precisando a M.L. la necessità di un "avallo" dei tre dirigenti dell'organizzazione, S.N., L.F. e D.A.; e pure sostituendo quest'ultimo in una successiva riunione per definire i dettagli della iniziativa) e che già in quel momento era stato individuato come il destinatario del riparto della somma che sarebbe stata indebitamente percepita fossero state riscontrate non solo dall'interessamento dello stesso A., come da costui parzialmente riconosciuto (v. pag. 355, sent. impugn.), al "recupero" della parte del provento spettante all'organizzazione criminale, ma anche dalle parziali ammissioni di O.D. e del D.S., e dal contenuto della registrazione della conversazione in ambientale intercettata nella casa di G.A.N.. Ne' profili di incongruità ovvero di contraddittorietà sono desumibili dal fatto che, a differenza dell' A., il suocero G.A.N. è stato mandato assolto dal reato del capo d'imputazione 44), in quanto i giudici di merito hanno spiegato come tale decisione fosse obbligata in ragione del fatto che, a differenza degli altri coimputati (e anche dell' A.), per G.A.N. mancava la prova di un effettivo e diretto coinvolgimento nella fase anteriore a quella della commissione della truffa de qua (v. pagg. 340-357 sent. impugn.; pagg. 1206-1236, sent. primo grado). 2.2. Il secondo e il terzo motivo del ricorso, oltre che generici e in parte reiterativi degli argomenti posti a base del già considerato primo motivo, sono manifestamente infondati. Il ricorrente ha preteso che in questa sede si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalità mediante le quali il giudice di merito aveva esercitato il potere discrezionale a lui concesso dall'ordinamento ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della quantificazione della pena da infliggere all'imputato: esercizio che deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudice in ordine all'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Nella specie, del tutto legittimamente la Corte territoriale aveva ritenuto ostativo al riconoscimento delle attenuanti generiche e giustificativo della entità della pena irrogata la oggettiva gravità del reato commesso, anche in considerazione della rilevante entità della somma indebitamente percepita con la truffa: trattandosi di parametro considerato dall'art. 133 c.p., applicabile anche ai fini dell'art. 62-bis c.p.. 3. Il ricorso presentato nell'interesse di B.C. va accolto, sia pur nei limiti e con gli effetti di seguito precisati. 3.1. Il primo motivo, il secondo, il sesto, il settimo e l'ottavo dei motivi sopra elencati del ricorso, nonché il motivo nuovo, nella parte in cui è stata denunciata la violazione degli artt. 192 e 546 c.p.p., non superano il vaglio preliminare di ammissibilità, in quanto è pacifico, nella giurisprudenza di legittimità, che la violazione degli artt. 192,530 o 546 c.p.p., non comporta ex se la operatività di alcuna delle sanzioni processuali previste dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c); mentre in presenza di censure che riguardano la ricostruzione del fatto e non anche una reale assenza della motivazione, le relative questioni refluiscono nell'esame dei prospettati vizi di motivazione (in questo senso, tra le tante, Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027-04). 3.2. Il primo e il sesto degli elencati motivi del ricorso, nonché il motivo nuovo, - strettamente connessi tra loro e, perciò, esaminabili congiuntamente - nella parte in cui è stata dedotta la violazione dell'art. 416-bis c.p., sono manifestamente infondati. La difesa del B. ha sostenuto che, sulla base dei principi enunciati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, come anche compendiati nella recente sentenza "Modaffari" delle Sezioni Unite del 2021, difetterebbero i presupposti per qualificare la condotta del B. come di partecipazione all'associazione per delinquere di stampo mafioso diretta da G.A.S.. In tale pronuncia le Sezioni Unite della Cassazione, nell'illustrare specificamente quali sono le condizioni per riconoscere rilevante, ai fini del riconoscimento di una condotta partecipativa ad un siffatto sodalizio criminale, la circostanza della rituale affiliazione del soggetto interessato all'organizzazione (profilo, questo, che non interessa nel caso di specie), hanno chiarito, più in generale, che la condotta di partecipazione ad un'associazione di tipo mafioso si caratterizza per lo stabile inserimento dell'agente nella struttura organizzativa dell'associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua "messa a disposizione" in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi: potendo, a tal fine, valorizzare quegli elementi fattuali, idonei a comprovare l'esistenza di un patto reciprocamente vincolante e produttivo di un'offerta di contribuzione permanente tra affiliato ed associazione (in questo senso Sez. U, Sentenza n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 281889-01, 02). In dettaglio, le Sezioni Unite, richiamando le argomentazioni valorizzate da altra precedente pronuncia (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231670) - nel confermare che la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno "status" di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l'interessato "prende parte" al fenomeno associativo - hanno sottolineato che "se il presupposto che "lega" l'adepto alla consorteria è il suo stabile inserimento nella stessa, è innegabile come questo vincolo possa realizzarsi...(anche)... con il compimento di azioni, preventivamente assegnate, teleologicamente orientate alla realizzazione degli scopi associativi....(A tal fine)... la giurisprudenza di legittimità ha (...) riconosciuto piena validità all'utilizzo delle massime di esperienza quali strumenti di interpretazione dei risultati probatori nell'interpretazione delle condotte riconducibili alle mafie storiche, con un costante invito al prudente apprezzamento e alla rigida osservanza del dovere di motivazione da parte del giudice" (Sez. U, Sentenza n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, in motivazione). Di tali criteri ermeneutici la Corte di appello di Bologna ha fatto corretta applicazione sostenendo che, al di là della mancata dimostrazione di una sua formale affiliazione al clan ‘ndranghetistico in argomento (rituale che, secondo un collaboratore di giustizia, l'interessato aveva mostrato di non voler rispettare: rituale che, però, i collaboratori di giustizia V.A. e M.S. avevano concordemente ricordato non essere indispensabile per entrare a far parte di quel gruppo criminale), la partecipazione di B.C. a quel sodalizio criminale mafioso fosse stata comprovata da una serie di elementi di conoscenza univocamente indicativi del suo stabile e funzionale contributo alla realizzazione dei propositi criminosi di tale associazione: oltre a frequenti relazioni con vari soggetti risultati direttamente coinvolti nelle vicende di quel gruppo criminale, il B. era risultato assiduo concorrente con G.A.S. nella commissione dei più significativi illeciti espressione delle iniziative dell'omonimo clan ‘ndranghetistico, quali quelli del "recupero crediti" posti in essere con modalità intimidatorie ed estorsive (oltremodo significativo è l'episodio delle minacce rivolte, con metodo mafioso, a tal T. da due "ragazzi" inviati dal G.A.S., che poi aveva commentato l'accaduto proprio con il B.); era risultato direttamente interessato nell'attività di raccolta di "voti di scambio" in favore di un candidato alle elezioni a Parma unitamente a tal A.M., ad un cui parente erano state poi significativamente destinate, per volontà di uno dei suoi capi, S.N. (come era risultato nel processo "Aemilia"), risorse dell'organizzazione criminale per poter sostenere le spese legali per un processo; aveva condiviso con G.A.S. altre operazioni commerciali, qualificate da evidenti aspetti di illegalità, come quelle concernenti la truffa a tal S., l'"affare Viesse" e la tentata truffa ai danni della "AK Informatica"; aveva svolto un ruolo di primaria importanza nella gestione dell'"affare R." (che in quel periodo aveva costituito il principale nucleo delle iniziative delittuose dell'associazione in parola, nell'interesse della quale il B. aveva, così, fornito uno stabile e duraturo contributo), in particolare nella cura dei rapporti tra il capo clan G.A.S. e gli emissari di questo all'interno della azienda "Riso R.", i fratelli C.A. e G.; si era occupato di affrontare personalmente, e con piena consapevolezza delle dinamiche relazionali tra gruppi criminali mafiosi rivali, il contrasto che, in quel medesimo lasso temporale, era sorto tra due clan ‘ndranghetisti contrapposti, quello di G.A.S. interessato a garantire una "protezione" alla ditta dei R., e quello operante nella zona di (Omissis), che aveva "preso le difese" del fornitore del riso A. (v. pagg. 416-417, 447-451 sent. impugn.; pagg. 661-683, sent. primo grado). 3.3. In tale contesto - nel quale non è riconoscibile alcun profilo di contraddittorietà per il fatto che il ricorrente sia stato assolto dal reato di estorsione in danno dei R., tenuto conto che i giudici di merito avevano accertato come questi ultimi, lungi dall'essere persone offese della iniziativa degli appartenenti al clan di G.A.S., fossero risultati imprenditori direttamente "collusi" con gli interessi di quel sodalizio - le censure formulate dalla difesa del B. con il primo e il sesto degli elencati motivi del ricorso, nonché con il motivo nuovo, si muovono esclusivamente nell'ottica di sollecitare una rivalutazione delle emergenze processuali, cosa non consentita in questa sede di legittimità per le ragioni già innanzi esposte nel punto 2.1.1, valide anche per la posizione del prevenuto, al cui contenuto si fa rinvio. 3.4. Inammissibili sono anche il secondo e il settimo degli elencati motivi del ricorso, afferenti all'imputazione del capo 51), contenenti la formulazione di rilievi che si muovono nella prospettiva di accreditare una diversa lettura delle risultanze istruttorie e si risolvono, quindi, in non consentite censure in fatto argomentativo seguito dalla sentenza di merito, nella quale, peraltro, vi è puntuale risposta a detti rilievi, in tutto sovrapponibili a quelli già sottoposti all'attenzione della Corte territoriale. La sentenza impugnata ricostruisce in fatto la vicenda con motivazione esaustiva, immune da vizi logici e strettamente ancorata alle emergenze processuali, sicché può ritenersi definitivamente acclarato il concorso del B. nella commissione della tentata truffa ai danni della "AK informatica" s.r.l.: non avendo i giudici di merito ritenuto, in maniera più ragionevole, attendibile la versione offerta dal prevenuto - che aveva pure curato i rapporti con colui, P.M., che avrebbe poi utilizzato la falsa fideiussione e che degli esiti della operazione di tentato raggiro avrebbe fornito un resoconto a G.A.S., capo clan ‘ndranghetistico - di essersi limitato a dare un aiuto ad un amico, senza essere consapevole della natura delittuosa dell'iniziativa (v. pagg. 417-425 sent. impugn.; pagg. 1187-1192, sent. primo grado). 3.5. Mere questioni in fatto, come tali inammissibili, sono state proposte con il terzo e l'ottavo degli indicati motivi del ricorso, con i quali la difesa ha provato ad ottenere una diversa lettura dei dati probatori compiutamente valutati dalla Corte di appello: che ha spiegato, senza alcuna incongruenza o vizio di manifesta illogicità, perché P.S., nonostante la sua relazione personale con il B., fosse stata vittima dell'usura contestata con il capo d'imputazione 53) (v. pagg. 425-426, sent. impugn.; pagg. 1193-1205, sent. primo grado). Manifestamente infondata e', al riguardo, la doglianza inerente all'asserita mancata motivazione sulla richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, istanza che formalmente non è stata enunciata nell'atto di appello se non con un indeterminato ed incomprensibile riferimento all'espletamento di una "perizia balistica". 3.6. Il quarto e il nono degli elencati motivi sono manifestamente infondati, oltre che generici, per le doglianze concernenti il diniego di concessione delle attenuanti generiche: decisione espressamente motivata dai giudici di merito con riferimento alla obiettiva gravità dei fatti accertati, che aveva reso irrilevante il fatto che il B. avesse confessato la commissione di un reato minore, già ampiamente provato, ed essendo pacifico in giurisprudenza che per giustificare l'esercizio di quei poteri discrezionali è sufficiente che il giudice prenda in considerazione anche uno solo degli elementi indicati dall'art. 133 c.p. (v. pagg. 425, 463-464, sent. impugn.). 3.7. E', invece, fondato il quinto motivo del ricorso, in quanto, a fronte di specifiche censure formulate dalla difesa con l'atto di appello in ordine alle ragioni della quantificazione della pena sia per il reato più grave, sia per i reati "satellite" dei capi 51) e 53) posti in continuazione, non è evidentemente sufficiente il mero rinvio operato dalla Corte territoriale ai criteri utilizzati dal giudice di primo grado per la determinazione della misura di quegli aumenti di pena (v. pagg. 461 e 464 sent. impugn.; pag. 1264, sent. primo grado). Ciò in ossequio al principio di diritto secondo il quale, in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269). 3.8. La sentenza impugnata va, dunque, annullata nei confronti di B.C. limitatamente alla determinazione della pena, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna che, nel nuovo giudizio sul punto, si atterrà alla appena richiamata regula iuris. 4. Il ricorso presentato nell'interesse di C.A. va rigettato. 4.1. Il primo motivo del ricorso è inammissibile perché in parte manifestamente infondato e in parte presentato per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge. Premesso che, nonostante le peculiarità del ruolo di C.A., la sua posizione è assimilabile a quella del fratello C.G. - per il quale, perciò, valgono molte delle considerazioni qui esposte, che è possibile rappresentare nella forma duale della condotta dei prevenuti - va rilevato come proprio alla luce dell'orientamento interpretativo oramai prevalente nella giurisprudenza di legittimità in ordine alle condizioni per la definizione della partecipazione ad un'associazione per delinquere di tipo mafioso (indirizzi esegetici per la cui disamina si fa rinvio a quanto sopra tratteggiato nel punto 3.2), risultano prive di pregio le doglianze difensive formulate in termini di violazione di legge: avendo la Corte di appello di Bologna illustrato in maniera analitica le ragioni per le quali i fratelli C.A. e G. dovessero considerarsi partecipi del sodalizio criminale ‘ndranghetistico diretto da G.A.S.. E' ben vero che, come si è rimarcato nella sentenza impugnata, il contributo offerto dai due germani al clan mafioso in argomento si è concentrato nella gestione della vicenda della "Riso R.", ma i giudici di merito hanno fatto buon governo dei principi di diritto enunciati dalla Corte di cassazione in materia: chiarendo come quelle loro prolungate e stabili iniziative, lungi dall'aver avuto come obiettivo la salvaguardia degli interessi degli imprenditori R., fossero state attuate principalmente nell'interesse del gruppo criminale in questione, in forma e maniere tali da consentire fondatamente di affermare che vi era stata una organica compenetrazione dei due C. con il tessuto organizzativo di quel sodalizio ed un loro integrale "prendere parte" all'attuazione del relativo programma delittuoso, che proprio in quella operazione " R." aveva trovato il principale "focus" dell'azione degli associati. Sotto questo punto di vista, le censure mosse dai difensori del ricorrente, lungi dal riuscire a porre in discussione la corretta applicazione della norma incriminatrice oggetto di addebito, si sono tradotte in una non consentita sollecitazione ad operare una "incursione" nei fatti, con l'attribuzione di un nuovo e diverso significato delle emergenze processuali rispetto a quello scelto dai giudici di merito. I quali, con motivazione completa e logicamente non censurabile, hanno chiarito come i fratelli C. avessero garantito, nel periodo considerato di oltre due anni, il rapporto continuativo tra G.A.S. e i germani R.: questi ultimi, a causa delle difficoltà finanziarie nelle quali si erano venuti a trovare nella gestione della loro importante azienda mantovana interessata alla commercializzazione di ingenti quantitativi di riso, avevano affidato la cura di larga parte delle loro iniziative imprenditoriali agli affiliati al clan ‘ndranghetistico del G.A., ai quali, in una forma collusiva, avevano chiesto una continuativa "protezione" per le loro attività; il G.A. e gli appartenenti al suo sodalizio criminale mafioso avevano, a loro volta, compreso l'importanza di un diretto coinvolgimento nella gestione di quella azienda, con il dichiarato proposito di trarre da quella infiltrazione nel tessuto imprenditoriale "linfa" vitale per l'attuazione del programma dell'associazione. In un siffatto contesto era risultato che i due fratelli C. avevano agito non in autonomia, bensì sempre seguendo le direttive di G.A.S. ( C.G. aveva dichiarato, in una conversazione intercettata, di avere "parlato chiaramente con S.", che il loro intento non era quello di "affogare ‘sta azienda", ma quello di "pigliare la minna e succhiare"), prospettando ai R. l'utilità di affidarsi alla "cura" e alle "attenzioni" di quel gruppo criminale, che nei rapporti con gli imprenditori essi C. avevano sistematicamente rappresentato ( C.G. aveva riconosciuto, parlando con altro associato, che il loro piano era quello di "mettere una persona dentro la società", di "far saltare i R." e di "prendersi la società per pulire i soldi"). I C. avevano gestito in prima persona la vicenda che aveva visto contrapposta l'impresa dei R. alla società United Keepersi per la fornitura di una rilevante partita di riso risultata avariata, vicenda che aveva finito per registrare lo "scontro" tra due clan ‘ndranghetistici rivali, quello reggiano diretto da G.A.S. e quello vogherese capeggiato da A. e F.: contrasto definito con un incontro-confronto tra gli affiliati ai due gruppi criminali contrapposti, al quale significativamente avevano preso parte i due fratelli C. ( C.G. aveva, in seguito, confidato ad altro sodale "che comandavano loro" e che gli antagonisti "si erano cagati tutti e due"). I germani C. avevano ammesso di essere pienamente consapevoli delle logiche mafiose di quel sodalizio criminale, che avevano fatto proprie (eloquente è quella conversazione intercettata nel corso della quale A., a causa dell'inadempimento degli imprenditori mantovani, aveva proposto al fratello G. di "bruciare vivi" i R. oppure "di rapire il figlio di S.", suocero dei loro debitori), e che la loro "missione" era quella di "agire in incognita", per evitare di far apparire all'esterno l'associazione e di rischiare "di andare tutti dentro"; pure occupandosi di favorire la commercializzazione del riso dei R. significativamente in Calabria (v. pagg. 220-313, 439-442, sent. impugn.; pagg. 6-416, sent. primo grado). 4.2. Il secondo motivo del ricorso è manifestamente infondato. Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte di cassazione il principio secondo il quale, ai fini dell'integrazione della circostanza attenuante della minima partecipazione di cui all'art. 114 c.p., non è sufficiente una minore efficacia causale dell'attività prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri, in quanto è necessario che il contributo dato si sia concretizzato nell'assunzione di un ruolo di rilevanza del tutto marginale, ossia di efficacia causale così lieve rispetto all'evento da risultare trascurabile nell'economia generale dell'"iter" criminoso (così, tra le molte, Sez. 6, n. 34539 del 23/06/2021, I., Rv. 281857;). In applicazione di tale criterio interpretativo, va considerata immune da censure la decisione della Corte di appello di negare il riconoscimento dell'attenuante della minima partecipazione ad C.A., il quale, lungi dall'aver svolto un ruolo di mero accompagnatore del fratello G., aveva avuto - come si è già avuto modo di porre in evidenza - un ruolo tutt'altro che di secondo piano nella commissione dei reati riconosciuti a suo carico (v. pag. 442, sent. impugn.). 4.3. Il terzo motivo del ricorso è in parte inammissibile e in parte infondato. Quanto alla ricostruzione della vicenda, le censure difensive attingono direttamente al fatto, proponendo una diversa lettura degli elementi di prova raccolti, cosa non consentita nel giudizio di legittimità: ciò a fronte di una motivazione, contenuta nella sentenza impugnata, nella quale non è riconoscibile alcun vizio di manifesta illogicità, con la quale la Corte di appello di Bologna ha efficacemente spiegato come la responsabilità dei fratelli C.A. e G. nella commissione della truffa aggravata ai danni dell'Agea e nell'interesse della "Riso R.", di cui al capo 37) (consistita nel chiedere e ottenere, per evitare il pagamento di penali e la risoluzione del contratto di finanziamento proveniente dall'Unione Europea, una proroga del termine per la consegna di una grossa partita di riso, ottenuta mediante la trasmissione di un falso verbale di intervento, con relativa falsa fattura, per dimostrare una inesistente rottura di un compressore), fosse desumibile dal contenuto delle conversazioni telefoniche che i germani avevano avuto con la sorella e di quelle che C.G. aveva avuto con il responsabile della ditta C., cui era stata domandata la redazione di quella falsa documentazione (v. pagg. 237-251, sent. impugn.; pagg. 6-416, sent. primo grado). Prive di pregio sono le doglianze formulate in termini di violazione di legge, con riferimento alla qualificazione giuridica dei fatti, in quanto la Corte territoriale ha fatto buon governo dei principi enunciati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, in base ai quali si è puntualizzato che il reato di indebita percezione di pubbliche erogazioni si differenzia da quello di truffa aggravata, finalizzata al conseguimento delle stesse, per la mancata inclusione, tra gli elementi costitutivi, della induzione in errore dell'ente erogatore - di cui è stata accertata l'esistenza nel caso di specie - il quale si limita a prendere atto dell'esistenza dei requisiti autocertificati dal richiedente, senza svolgere una autonoma attività di accertamento, la quale è riservata ad una fase meramente eventuale e successiva (così, tra le molte, Sez. F, n. 44878 del 06/08/2019, Aldovisi, Rv. 279036-03; Sez. 2, n. 49464 del 01/10/2014, Gattuso, Rv. 261321; Sez. 2, n. 46064 del 19/10/2012, Santannera, Rv. 254354; nonché Sez. U, n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, non mass. sul punto). 4.4. Alla stregua delle considerazioni esposte nei punti precedenti, tutte tese a rimarcare la oggettiva gravità delle condotte accertate, non censurabile in questa sede appare la determinazione della Corte di assise di appello di disattendere la richiesta difensiva di concessione delle attenuanti generiche, peraltro contestata dal ricorrente, con il quarto motivo del suo atto di impugnazione, con un generico riferimento al comportamento tenuto post factum (v. pag. 464, sent. impugn.). 5. Anche il ricorso presentato nell'interesse di C.G. va rigettato. 5.1. Il primo e il secondo motivo del ricorso - strettamente connessi tra loro e, perciò, esaminabili congiuntamente - non superano il vaglio preliminare di ammissibilità perché manifestamente infondati ovvero presentati per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge, per gli argomenti già sopra esposti nel punto 4.1., da intendersi qui integralmente riprodotti. E' appena il caso di aggiungere che del tutto infondate sono le ulteriori doglianze difensive, dato che l'assoluzione dei fratelli C. dai reati commessi in danno dei R., di cui ai capi d'imputazione 38) e 39), non si pone in contraddizione con l'affermazione della colpevolezza dei prevenuti in ordine al reato associativo dell'art. 416-bis c.p., tenuto conto che i R. sono stati considerati non vittime ma imprenditori "collusi" con il clan diretto da G.A.S. (motivazione, questa, con la quale deve ritenersi che i giudici di merito abbiano implicitamente risposto anche alla questione posta dal ricorrente in relazione al rapporto tra le imputazioni dei capi 37) e 38), con conseguente manifesta infondatezza del quarto motivo dell'odierno ricorso e del connesso primo motivo nuovo). E che la esclusione delle aggravanti di cui all'art. 416-bis c.p., commi 4 e 6 è stata congruamente motivata dalla Corte distrettuale con l'affermazione di aver ritenuto insussistenti quelle circostanze per gli affiliati al sodalizio mafioso in argomento che sono risultati aver aderito al gruppo criminale in epoca successiva a quello di operatività dell'associazione mafiosa come già riconosciuta, con sentenza irrevocabile, nel processo "Aemilia". 5.2. Il terzo motivo del ricorso è infondato per le ragioni già esposte nel punto 4.3., in relazione alle analoghe questioni che sono state dedotte dal coimputato C.A.. 5.3. Il quinto, il sesto e il settimo motivo del ricorso, ed il connesso secondo motivo nuovo - tutti afferenti all'imputazione del capo 40) - sono manifestamente infondati, oltre che in parte generici. 5.3.1. Preliminarmente va detto che è inammissibile l'eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni che, con riferimento a questo capo d'imputazione, è stata formulata dalla difesa solo nel corso della discussione finale nell'odierna udienza. Il motivo, oralmente enunciato in maniera indeterminata, è stato dedotto per la prima volta solo in questo giudizio di legittimità: ed è pacifico che, in tema di ricorso per cassazione, grava sulla parte che deduce l'inutilizzabilità di un atto l'onere di indicare specificamente i documenti sui quali l'eccezione si fonda e altresì di allegarli, qualora essi non facciano parte, come nel caso in esame, del fascicolo trasmesso al giudice di legittimità: principio, questo, giustappunto enunciato con riferimento ad una fattispecie nella quale l'imputato aveva eccepito, senza tuttavia documentarlo, che le intercettazioni telefoniche erano state disposte in un procedimento diverso e per un reato non connesso a quello per il quale aveva riportato condanna (così Sez. 5, n. 23015 del 19/04/2023, Bernardi, Rv. 284519; Sez. 6, n. 18187 del 14/12/2017, dep. 2018, Nunziato, Rv. 273007; in senso conforme v. anche Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416, per la quale è onere della parte che eccepisce l'inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l'inammissibilità del ricorso per cassazione per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato). 5.3.2. La Corte di appello di Bologna ha operato una corretta lettura delle emergenze processuali e, conseguentemente, fatto corretta applicazione dell'art. 319 c.p., congruamente chiarendo l'esistenza di un diretto collegamento tra la somma di denaro percepita dal pubblico ufficiale C.G., nella sua veste di funzionario dell'Agenzia delle dogane di (Omissis), e il compimento, da parte dello stesso agente pubblico, dell'atto contrario ai propri doveri di ufficio consistente nello "sdoganare" merce importata dalla Cina con tre "container" dalla "Chero Piping" s.p.a., con l'indicazione di beni di natura diversa da quella effettiva, società che aveva così beneficiato di un sostanzioso risparmio nel pagamento delle relative imposte. Al riguardo è sufficiente richiamare l'analitica disamina del contenuto delle conversazioni telefoniche e ambientali intercettate ed i risultati dei successivi accertamenti documentali - che avevano permesso di appurare che la merce contenuta in quei tre "container" era stata "sdoganata" dal C. con l'applicazione del favorevole dazio del 3,7% del valore della merce, anziché di quello dovuto del 58,6% (v. pagg. 321-331, sent. impugn.; pagg. 1072-1085, sent. primo grado) - contestati dal ricorrente in forma molto confusa e generica. Altrettanto indeterminate sono le doglianze difensive riguardanti l'asserita archiviazione del procedimento penale che a suo tempo era stato avviato nei confronti dei privati corruttori, in considerazione della loro mancata precisa identificazione, essendo stata fornita adeguata motivazione sulla esistenza del patto corruttivo. Quanto poi alla qualificazione giuridica dei fatti, la decisione della Corte di merito si pone esattamente in linea con il consolidato orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale il meno grave delitto di corruzione per l'esercizio della funzione pubblica di cui all'art. 318 c.p. si differenzia da quello di corruzione propria di cui all'art. 319 c.p., in quanto ha natura di reato di pericolo, sanzionando la presa in carico, da parte del pubblico funzionario, di un interesse privato dietro una dazione o promessa indebita, e solo laddove non sia individuato il compimento di uno specifico atto contrario ai doveri di ufficio (in questo senso, tra le molte, Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Rv. 279555-04; Sez. 6, n. 32401 del 20/06/2019, Monaco, Rv. 276801; Sez. 6, n. 33828 del 26/04/2019, Massobrio, Rv. 276783). 5.4. L'ottavo motivo del ricorso è inammissibile, in quanto, a fronte di una generica richiesta, formulata dalla difesa con l'atto di appello, di riduzione della pena inflitta, deve considerarsi adeguata la motivazione contenuta nella sentenza impugnata con la quale la Corte territoriale, operando un rinvio recettizio, aveva fatto propri i criteri puntualmente seguiti dal giudice di primo grado nel quantificare la pena per ciascuno dei reati per i quali C.G. era stato giudicato colpevole (v. pagg. 461 sent. impugn.; e 1273 sent. di primo grado). 5.5. Il nono, il decimo e l'undicesimo motivo del ricorso, nonché il connesso terzo nuovo motivo, sono manifestamente infondati. Il ricorrente ha preteso che in questa sede si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalità mediante le quali il giudice di merito ha esercitato il potere discrezionale a lui concesso dall'ordinamento ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della quantificazione della pena inflitta: esercizio che deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudice in ordine all'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva dei reati ed alla personalità del reo. Nella specie, del tutto legittimamente la Corte di merito ha negato il riconoscimento delle attenuanti generiche e quantificato la pena staccandosi dai minimi edittali, avendo ritenuto ostativi al riguardo la posizione non "marginale" ma primaria di C.G. all'interno della organizzazione criminale di stampo mafioso più volte richiamata, ed il fatto di essere stato autore di comportamenti delittuosi tanto più censurabili in quanto posti in essere da un soggetto con incarichi di rilevanza pubblicistica (v. pagg. 331 e 464, sent. impugn.): trattandosi di parametri considerati dall'art. 133 c.p., applicabile anche ai fini dell'art. 62-bis c.p.. 6. Il ricorso presentato nell'interesse di C.M. è inammissibile per la tardività della sua presentazione. Ed infatti, la sentenza della Corte di appello di Bologna è stata pronunciata il 16 giugno 2022 ed è stata depositata il 2 settembre 2022, nel rispetto del termine di novanta giorni fissato nel dispositivo a norma dell'art. 544 c.p.p., comma 3; la sentenza non doveva essere notificata alle parti; il termine di quarantacinque giorni previsto dall'art. 585 c.p.p., comma 1, lett. c), e comma 2, lett. c), per la proposizione dell'impugnazione decorreva, dunque, da giovedì 15 settembre 2022 e scadeva sabato 29 ottobre 2022, mentre il ricorso risulta essere stato depositato il 25 novembre 2022, come da attestazione della cancelleria. 7. Il ricorso presentato nell'interesse di D.S.R. è inammissibile. 7.1. Il primo motivo del ricorso, oltre che in parte generico, è manifestamente infondato, in quanto, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il provvedimento impugnato non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti ed a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive (anche quelle indicate personalmente dall'imputato con proprie memorie) che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (in questo senso Sez. 4, n. 26660 del 13/05/2011, Caruso, Rv. 250900; Sez. 2, n. 13151 del 10/11/2000, Gianfreda, Rv. 218590). 7.2. Il secondo motivo del ricorso, nella parte in cui è stata dedotta la violazione di legge, è inammissibile per le ragioni indicate nel punto 3.1, cui si fa rinvio. Lo stesso motivo, nella parte in cui sono stati denunciati vari vizi di motivazione, è manifestamente infondato, in quanto la Corte di appello di Bologna ha compiuto una adeguata valutazione della attendibilità soggettiva ed intrinseca delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (v. pag. 40): deposizioni, peraltro, la cui affidabilità era stata già saggiata dalla medesima Corte territoriale nell'ambito del più volte richiamato processo "Aemilia" riguardante reati connessi e che, nel presente processo, è risultata riscontrata, in più punti essenziali, da elementi oggettivi estrinseci che i giudici di merito hanno avuto cura di evidenziare, contestati dalla difesa in maniera aspecifica. 7.3. Il terzo, il quarto e il quinto motivo del ricorso - strettamente connessi tra loro e perciò esaminabili congiuntamente - non superano il vaglio preliminare di ammissibilità perché in parte manifestamente infondati e in parte presentati per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge. La difesa del ricorrente ha prospettato una violazione di legge, in relazione agli artt. 522 e 604 c.p.p., che è del tutto infondata, in quanto la Corte distrettuale ha adeguatamente chiarito come le doglianze che erano state formulate con l'atto di appello erano prive di fondamento, tenuto conto che gli atti del processo avevano comprovato come non fosse affatto vero che il D.S. si fosse interessato alla vicenda " O." solo nella fase iniziale e senza occuparsi della falsificazione della sentenza utilizzata come "strumento" per consumare la truffa. Al riguardo, per comodità espositiva, è possibile considerare qui trascritte le valutazioni generali sopra tratteggiate nel punto 2.1.2.) in tale contesto, il tentativo della difesa è stato quello di provare a rileggere l'intera vicenda, pur in presenza di un convincente apparato argomentativo che sorregge la decisione di conferma della condanna dell'imputato, basata sulla valorizzazione di circostanze dotate di notevole capacità dimostrativa e di una ragionevole forza probatoria, non disarticolata dalle critiche difensive. Ed infatti, nella motivazione della sentenza gravata è stata portata in rassegna una rilevante quantità di dati informativi idonei a dimostrare la fondatezza dell'ipotesi accusatoria per i reati riportati nei capi 44) e 45), per cui l'intera operazione truffaldina era stata ideata e programmata da D.S.R. (funzionario dell'ufficio contenzioso e legale del suddetto Provveditorato, ma conosciuto dagli altri concorrenti come "l'avvocato campano") il quale, per il tramite del nipote F.G., all'epoca funzionario di una filiale romagnola di una banca, aveva contattato e ottenuto da M.L. la disponibilità a curare l'esecuzione del piano delittuoso, al fine di agevolare l'associazione mafiosa in parola; M.L. che, interessato in quanto esponente della cosca G.A. operante nella zona di (Omissis), aveva a sua volta chiesto ed ottenuto l'autorizzazione operativa dai "maggiorenti" di quella organizzazione, ai quali sarebbe stata garantita una parte del profitto della truffa. Era così risultato - si legge nella perspicua motivazione della sentenza impugnata - che le dichiarazioni accusatorie dei collaboratori V.A. e M.S., che avevano identificato nell'"avvocato napoletano", tal D.S., il vero "deus ex machina" dell'intera operazione delittuosa, erano state corroborate dai seguenti fatti: a) l'odierno ricorrente era all'epoca funzionario dell'ufficio che aveva "convalidato "la falsa sentenza utilizzata per truffare la pubblica amministrazione e conseguire l'indicato ingiusto profitto, con rilevante danno per lo Stato; b) l' O. ha ammesso di aver avuto rapporti con il D.S. fin dal marzo 2010, quando gli era stato presentato dal nipote F.G., cioè prima della data di consumazione della truffa, aggiungendo di essere stato minacciato dallo stesso D.S. di consegnargli la metà del rilevante importo che era stato bonificato sul conto della sua società; c) dopo la consumazione della truffa, il D.S. era stato "prelevato" da M.L. e condotto "coattivamente" in Calabria per rendere conto al boss G.A.N. della circostanza che l' O. non aveva distribuito il provento della truffa secondo le intese che erano state raggiunte; d) il D.S. ha ammesso di aver conosciuto M.L. per il tramite del nipote F., e di aver partecipato ad una riunione, alla quale avevano preso parte anche gli O., M.L. e il medesimo nipote F., allo scopo di "risolvere" la questione, dato che gli O. avevano sostenuto di non aver incassato alcuna somma provento di quella truffa; e) M.L., sentito in udienza, aveva confessato che le ragioni dei suoi incontri con il D.S. avevano riguardato "questo bonifico, questi soldi che erano arrivati agli O."; f) le intercettazioni avevano riscontrato l'esistenza di reiterate relazioni in quel periodo tra il D.S. e il nipote F. da una parte, V.R. dall'altra, che dai responsabili del clan G.A. avevano ricevuto l'incarico di seguire la vicenda per trovare quella "soluzione"; g) le captazioni telefoniche avevano comprovato che nella vicenda avevano avuto un ruolo anche alcuni pregiudicati di Caserta, così confermando le dichiarazioni dei collaboratori che avevano ricordato il coinvolgimento nell'operazione anche del clan camorristico dei casalesi. Elementi di conoscenza, questi, che avevano consentito di appurare come il D.S. avesse agito nella piena consapevolezza di "collaborare", oltre che con soggetti rimasti non identificati che si erano occupati della materiale redazione della sentenza contraffatta (operazione anch'essa coordinata dal prevenuto, dei cui effetti, quindi, era legittimo dovesse rispondere a titolo di concorso morale), con gli affiliati al clan ‘ndranghetistico del G.A., la cui attività era risultata in tal modo agevolata anche dalla commissione di tale delitto contro il patrimonio (v. pagg. 340-357, sent. impugn.; pagg. 1206-1236, sent. primo grado). La decisione di condannare il D.S. anche per il reato del capo 45) si pone, dunque, in piena sintonia con il consolidato indirizzo interpretativo secondo il quale l'affermazione della responsabilità a titolo di concorso morale in un delitto può fondarsi su plurimi e convergenti indizi in ordine al pieno coinvolgimento dell'imputato nella realizzazione dell'azione criminosa - posta in essere con modalità tali da richiedere la compartecipazione dello stesso con esclusione di possibili interventi di terzi - ancorché non sia stato possibile individuare l'autore materiale dell'azione tipica (in questo senso, tra le altre, Sez. 1, n. 12309 del 18/02/2020, Mazzara, Rv. 278628; Sez. 2, n. 48029 del 20/10/2016, Siesto, Rv. 268177). 7.4. Il sesto e ultimo motivo del ricorso è manifestamente infondato con riferimento al diniego delle attenuanti generiche e alle scelte in ordine all'entità della pena irrogata. Statuizioni in relazione alle quali i giudici di merito hanno evidenziato, con valutazione esente da vizi logici e, dunque, incensurabile in questa sede, che il D.S., nonostante il suo stato di formale incensuratezza, non fosse meritevole di una riduzione della pena inflitta, essendo stato il principale ideatore e propulsore della vicenda truffaldina realizzata in danno di quella pubblica amministrazione della quale il prevenuto era funzionario: considerato che è affermazione costante di questa Corte che, per giustificare detto diniego, è sufficiente che il giudice prenda in considerazione anche uno solo degli elementi indicati dall'art. 133 c.p., al quale attribuisca rilevanza decisiva. 7.5. In presenza di un atto di impugnazione inammissibile diventa irrilevante la tematica concernente l'asserito sopravvenuto decorso del termine di prescrizione del reato accertato. 8. Il ricorso presentato nell'interesse di D.F. è inammissibile. 8.1. Il primo e il secondo motivo dell'atto di impugnazione, connessi tra loro, sono generici dal momento che il ricorrente non si confronta con lo specifico apparato argomentativo della sentenza impugnata, con il quale è stato congruamente illustrato come la responsabilità del ricorrente, anche sotto il profilo soggettivo, in ordine alla commissione del reato di riciclaggio di un escavatore (provento di un furto consumato all'interno di una delle aziende di G.A.S.), fosse stata comprovata dal contenuto delle conversazioni intercettate dagli inquirenti: da cui era stato possibile desumere che il D. - abituale frequentatore del capo clan G.A.S. aveva discusso per telefono con G.P. manifestando la disponibilità a svolgere il ruolo di intermediatore della vendita di quell'escavatore, che il coimputato C.M. aveva riconosciuto che gli interessati ben sapevano essere stato rubato; e che all'acquisto di quel mezzo si era interessato tal T.G., il quale aveva ammesso che la persona che accompagnava G.A.P., e che si era falsamente presentato come il proprietario dell'escavatore, assomigliava alla persona raffigurata nella fotografia del D., mostratagli dagli ufficiali di polizia giudiziaria (v. pagg. 363-371, sent. impugn.; pagg. 1106-1120, sent. primo grado). 8.2. Il terzo motivo del ricorso è manifestamente infondato. Nella sentenza gravata vi e', in effetti, una difformità tra il contenuto della motivazione e quello del dispositivo: nella prima la Corte di appello di Bologna ha sostenuto che, per effetto della esclusione della circostanza aggravante speciale, la pena inflitta all'imputato doveva essere ridotta di mesi due di reclusione ed Euro 2.000 di multa, calcolo evidentemente errato; nel secondo, invece, la pena finale è indicata in anni tre di reclusione ed Euro 4.000 di multa, con un calcolo corretto, perché il risultato è stato determinato riducendo di un terzo la pena che era stata irrogata dal giudice di primo grado, pari ad anni quattro mesi sei di reclusione ed Euro 6.000 di multa. Ed è pacifico nella giurisprudenza di legittimità che, salvo casi eccezionali nei quali la motivazione, che conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni per cui il giudice è pervenuto alla decisione, dovesse contenere elementi certi e logici che facciano ritenere errato il dispositivo o parte di esso (così, tra le molte, Sez. 4, n. 43419 del 29/09/2015, Forte, Rv. 264909), laddove sussista una difformità tra motivazione e dispositivo di una sentenza, quest'ultimo prevale, costituendo esso l'atto con il quale il giudice estrinseca la volontà della legge nel caso concreto, a differenza della motivazione che ha, invece, solo funzione strumentale (in questo senso, ex multis, Sez. 4, Sentenza n. 12929 del 04/12/2012, dep. 2013, Florea, Rv. 255421; Sez. 6, n. 35802 del 27/04/2007, Manzi, Rv. 237422; Sez. 2, n. 23489 del 09/06/2005, Gasparrini, Rv. 231886). 9. Il ricorso presentato nell'interesse di D.A. è inammissibile. 9.1. Il primo, il secondo, il quarto, il quinto e il sesto motivo del ricorso strettamente connessi tra loro e, perciò, esaminabili congiuntamente - non superano il vaglio preliminare di ammissibilità perché presentati per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge. Per l'inquadramento in fatto della vicenda si fa rinvio a quanto già sopra tratteggiato nei punti 2.1.2 e 7.3. Il concorso del D. nella commissione del reato del capo 44) è stato giustificato dalla Corte di appello con un percorso argomentativo dettagliato e congruo, nel quale non è riconoscibile alcuno strappo logico né alcuno dei vizi di illogicità prospettati dalla difesa del ricorrente con una inammissibile "incursione" nei fatti, con l'attribuzione di un nuovo e diverso significato delle emergenze processuali rispetto a quello scelto dai giudici di merito. I quali hanno chiarito come - in un contesto probatorio in relazione al quale la difesa, senza porre in discussione gli elementi costitutivi dell'ipotesi accusatoria, si era limitata a sostenere che il D. era intervenuto in una fase successiva a quella della consumazione della truffa - le sufficientemente concordanti dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia V.A. e M.S. (quest'ultimo con margini di maggiore precisione), che avevano indicato il D. come uno dei "capi" dell'organizzazione che, lungi dall'essere stati solamente "messi a conoscenza", avevano "approvato" l'operazione truffaldina "veicolata" da M.L., fossero state riscontrate dal fatto che, al momento di dividere i proventi di quel delitto, una parte consistente di quel denaro era stata versata proprio all'odierno ricorrente; dalle indicazioni del collaboratore di giustizia G.G., il quale aveva rammentato che era stato proprio il D. a condurre l' O. a Cutro, al cospetto di G.A.N., per giustificare la mancata consegna della somma dovuto agli affiliati al clan ‘ndranghetistico; nonché dalle parziali ammissioni di O.D. e del D.S., e dal contenuto della registrazione della conversazione in ambientale intercettata in casa di G.A.N.. Ne' profili di contraddittorietà sono desumibili dal fatto che, a differenza del D., G.A.N. e V.R. sono stati assolti dal reato in questione, in quanto i giudici di merito hanno spiegato come tale epilogo fosse stato determinato del fatto che, a differenza degli altri coimputati, per i due predetti mancava la prova di un effettivo e diretto coinvolgimento nella fase anteriore a quella della commissione della truffa de qua. Conforme ai parametri della logica è anche la scelta della Corte territoriale di assolvere il D. dal reato connesso del capo 45), non essendo stato provato un suo diretto coinvolgimento nella consumazione del falso materiale in atto pubblico (v. pagg. 340-357 sent. impugn.; v. pagg. 1211-1218, sent. primo grado). 9.2. Il terzo motivo del ricorso è inammissibile perché, oltre ad essere stato formulato in termini molto generici, è manifestamente infondato per le ragioni già indicate nel punto 7.2, al cui contenuto si fa rinvio. 10. Il ricorso presentato nell'interesse di F.G. è inammissibile per aspecificità del suo contenuto. Il ricorrente si è doluto della mancata considerazione di un elemento di prova favorevole, asseritamente decisivo nei suoi riguardi perché idoneo a smentire la narrazione accusatoria dei collaboratori di giustizia, dimostrando che, allorquando nel 2010 aveva "messo in contatto" lo zio D.S.R. con l' O., egli non sapeva quale fosse la natura della relazione che i due avrebbero intrattenuto, dunque che non era in quel momento, né sarebbe stato in seguito, a conoscenza del programma truffaldino. La difesa dell'imputato ha, però, sostanzialmente omesso di confrontarsi con la motivazione della sentenza gravata nella quale - anche considerando le deduzioni difensive formulate con una apposita memoria (v. pag. 351-352, nota 22, sent. impugn.) - era stato congruamente spiegato come l'affermazione di responsabilità del prevenuto non derivasse solo dalle dichiarazioni accusatorie rese dai due collaboratori di giustizia, ma anche dal contenuto di alcune intercettazioni che avevano comprovato come il F. fosse pienamente a conoscenza delle ragioni dell'affare illecito programmato e attuato dallo zio D.S., unitamente a M.L. e all' O.. In tale ottica, qui richiamati i risultati degli accertamenti in fatto compiuti dai giudici di merito riguardo tale vicenda (si veda sopra il contenuto dei punti 2.1.2 e 7.3), devono ritenersi significativi: a) il fatto che il F. prese parte agli incontri con gli appartenenti al clan ‘ndranghetistico dei G.A. per dirimere le controversie sulle modalità di divisione dei proventi della truffa; b) la circostanza di aver ammesso di aver avuto, sempre in relazione alla fase attuativa di questa truffa, rapporti con affiliati al clan camorristico dei (Omissis); c) il fatto che il D.S. abbia confessato che era stato proprio il nipote F. a presentargli M.L., cioè colui che avrebbe curato, per conto del gruppo criminale del G.A., l'intera operazione truffaldina (1v. pagg. 340-357, sent. impugn.; pagg. 1206-1236, sent. primo grado). Altrettanto generica e comunque inammissibile è la richiesta del ricorrente di esclusione della riconosciuta aggravante speciale oggetto di addebito: il che è oggi sufficiente a disattendere la collegata richiesta di declaratoria di estinzione del reato, per essere asseritamente decorso il relativo termine di prescrizione. 11. Il ricorso presentato nell'interesse di G.D. è inammissibile. 11.1. Il primo motivo del ricorso è stato presentato per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge. Il G. non ha denunciato alcun reale travisamento della prova né altro vizio di manifesta illogicità, ma ha cercato di convincere come fosse erronea la valenza dimostrativa data alle emergenze processuali: dunque, si è trattato di una mera denuncia di un presunto travisamento dei fatti, come tale non esaminabile in sede di legittimità. Il problema è solo quello di verificare se la scelta ricostruttiva privilegiata dai giudici di merito risponda alle regole della logica inferenziale e se siano corrette le relative massime di esperienza che governano il metodo deduttivo: in questo senso, deve ritenersi convincente l'apparato argomentativo che sorregge la decisione di conferma della condanna dell'imputato, in quanto basata sulla valorizzazione di circostanze dotate di notevole capacità dimostrativa e di una ragionevole forza probatoria, rimasta intaccata dalle critiche difensive. Ed infatti, nella motivazione della sentenza gravata è portata in rassegna una rilevante quantità di dati informativi (desumibili dal materiale offerto dalle intercettazioni e dalle dichiarazioni di alcune persone offese) idonei a comprovare tanto l'esistenza degli elementi costitutivi del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro contestato al capo 48), quanto il pieno e consapevole concorso del G. nella consumazione di quel delitto, commesso dal prevenuto assieme a G.A.S. attraverso l'assunzione di numerosi lavoratori italiani trasferiti in Belgio e "gestiti" per l'esecuzione di opere nel settore della edilizia in favore di un imprenditore albanese: lavoratori che, trovandosi in stato di bisogno, erano stati sfruttati perché avevano accettato di svolgere la loro attività sulla base di corrispettivi di gran lunga inferiori a quelli dovuti, soldi spesso non versati o pagati in ritardo, senza beneficiare di alcun sostegno per il vitto e per la trasferta all'estero, lavorando pure nei giorni festivi e oltre all'orario ordinario. In tale ottica, diversamente da quanto prospettato nel ricorso, è stato accertato che il G., lungi dallo svolgere il suo ruolo di "caporalato" nell'interesse dei lavoratori, aveva agito - anche quando aveva dovuto affrontare i datori di lavoro albanesi che volevano pagare meno di quanto si erano impegnati a fare - nell'esclusivo interesse proprio e di quello del G.A., sempre seguendo le direttive e le indicazioni del correo, in logica coerente alla operatività del clan ‘ndranghetistico di riferimento (v. pagg. 375-395, sent. impugn.; pagg. 1126-1186, sent. primo grado). 11.2. Il secondo motivo del ricorso, oltre che contenere ulteriori mere censure in fatto, è manifestamente infondato. Con una motivazione che resta esente da dubbi di illogicità, la Corte di appello ha chiarito come il G. avesse avuto nella vicenda de qua un ruolo tutt'altro che secondario, mostrando piena condivisione del programma criminoso di G.A.S., e che per questo - come probatoriamente riscontrato dalle risultanze delle intercettazioni in atti - egli è stato chiamato a rispondere anche dell'aggravante del reclutamento di un numero di lavoratori superiore alle tre unità (v. pag. 467, sent. impugn.). 12. Il ricorso presentato nell'interesse di G.A.R. è inammissibile. 12.1. I primi quattro motivi del ricorso - tra loro collegati e, dunque, esaminabili unitariamente - affrontano mere questioni di fatto, senza riuscire a porre in luce alcun reale travisamento della prova. Se dal punto di vista metodologico per l'approccio alla verifica delle doglianze difensive valgono le considerazioni innanzi esposte nel punto 2.1.1, da intendersi qui integralmente trascritte, va rilevato come le censure proposte dalla difesa della prevenuta risultino fondamentalmente indeterminate, dal momento che non si confrontano adeguatamente con l'apparato motivazionale della sentenza impugnata: nella quale, con adeguati richiami al materiale probatorio in atti, la Corte di merito ha chiarito come la responsabilità della ricorrente in ordine ai reati a lei ascritti fosse desumibile essenzialmente dal fatto che gli atti processuali avevano oggettivamente dimostrato che ella aveva agito, nei rapporti sia con i terzi che con gli altri affiliati all'organizzazione criminale del capo 1), come "rappresentante" e "portavoce" del padre G.A.F.: dati informativi che al riguardo avevano finito per riscontrare le puntuali dichiarazioni accusatorie rese dai collaboratori di giustizia. Basti ricordare che - come acclarato dai giudici di merito - nel 2004 G.A.F., già condannato in uno dei primi processi avviati dall'autorità giudiziaria emiliana nei confronti degli appartenenti all'omonimo clan ‘ndranghetistico operante in quella Regione, e nuovamente arrestato l'anno precedente, cedette le sue quote della società "Eurogrande" alla figlia R., incensurata ma del tutto priva di redditi; che nel 2008 l'odierna ricorrente era stata intercettata mentre si occupava di alcune operazioni commerciali nell'interesse della società "Immobiliare Santa Maria", le cui quote erano all'epoca intestate al padre e nella cui gestione erano coinvolti altri affiliati al clan diretto dal boss G.A.N.; che vari testimoni avevano riferito che G.A.R. si occupava degli affari delle società del padre. Dati, questi, dai quali è stato fondatamente desunto che ella fosse consapevole delle iniziative di prevenzione patrimoniale alle quali il genitore, in quanto coinvolto, in posizione apicale, nelle attività di un sodalizio di stampo mafioso, poteva essere destinatario e della funzione che avrebbero potuto svolgere le indicate operazioni di trasferimento fraudolento di valori (v. pagg. 151-156, 162, 164-166, sent. impugn.; pagg. 689-698, sent. primo grado). 12.2. Il secondo motivo del ricorso e', oltre che inammissibile per il suo tenore indeterminato, manifestamente infondato, in quanto, con motivazione sintetica ma sufficientemente adeguata, la Corte di appello di Bologna ha spiegato quali erano le ragioni per le quali doveva considerarsi negativo il giudizio prognostico circa la commissione in futuro di altri reati da parte di una imputata che, nelle vicende delittuose de quibus, aveva avuto un ruolo particolarmente attivo in contiguità con alcuni componenti dell'associazione per delinquere di tipo mafioso in argomento (v. pag. 466, sent. impugn.). 13. Il ricorso presentato nell'interesse di G.A.S. va accolto, sia pur nei limiti e con gli effetti di seguito precisati. 13.1. I primi due motivi del ricorso ed il primo nuovo motivo - tra loro connessi e, perciò, esaminabili congiuntamente - non superano il vaglio preliminare di ammissibilità, in quanto le doglianze formulate si traducono sostanzialmente in non consentite censure di fatto, essendosi il ricorrente limitato, senza invero mettere in luce alcuna effettiva inosservanza delle norme di diritto penale oggetto di contestazione, a pretendere una diversa e alternativa interpretazione dei risultati delle indagini preliminari, tutti pienamente utilizzabili in ragione dell'instaurato rito abbreviato. La difesa di G.A.S. ha genericamente contestato l'addebito di partecipazione del prevenuto all'associazione di tipo mafioso addebitatagli al capo 1), concentrando, invece, le censure sulla contestazione dell'aggravante del ruolo di direzione e organizzazione di quel sodalizio criminale. In tale contesto - nel quale la Corte di merito ha spiegato come siano irrilevanti le frasi pronunciate dal predetto imputato nel corso di alcuni colloqui con la moglie, chiaramente tendenti a "sminuire" il suo ruolo nell'ambito di quel gruppo criminale, perché affermazioni formulate ragionevolmente in un momento in cui il prevenuto era consapevole che le sue conversazioni erano intercettate dagli inquirenti - va detto che con una perspicua e convincente motivazione, nella quale non sono ravvisabili gli estremi di alcun vizio di manifesta illogicità, la Corte di appello ha illustrato le ragioni per le quali il ricorrente dovesse essere considerato soggetto posto, almeno dal 2015, in posizione apicale all'interno dell'associazione per delinquere di tipo ‘ndranghetistico operante nella zona di (Omissis) e nelle province limitrofe. Richiamato al riguardo quanto sopra esplicitato nel punto 1.1, va rilevato come gli atti processuali delineano nettamente la figura di G.A.S. come capo dell'omonimo gruppo delinquenziale in epoca successiva all'arresto di D.A. - che nel processo "Aemilia" è stato condannato, con sentenza divenuta irrevocabile, per il reato di cui all'art. 416-bis c.p., quale responsabile del clan di G.A.N. per la zona di (Omissis) (in continuità con le iniziative criminose poste in essere dal padre G.A.F.). Mentre è ininfluente - hanno spiegato i giudici di merito - che G.A.S. non sia stato imputato nel più volte menzionato processo "Aemilia", è ragionevole datare al 2008 l'adesione del predetto all'associazione mafiosa in argomento allorquando egli si recò a (Omissis) per affrontare il problema dell'incendio di automezzi di cui era rimasto vittima C.A., affiliato al clan ‘ndranghetitisco attivo in quella zona calabrese. Altrettanto significativi sono due episodi: quello verificatosi nel 2013 nella vicenda c.d. della "(Omissis)", nella quale, nell'ambito di un contrasto tra i sodali S.A. e F.M., determinato dall'inadempimento dei suoi obblighi da parte del secondo, il primo aveva relazionato degli esiti di quella contrapposizione parlando proprio con G.A.S. e con S.N., ai quali il S. aveva chiesto "il permesso di massacrare" il F.. E quello verificatosi nel 2015, quando l'odierno ricorrente dimostrò di essere ben a conoscenza delle ragioni che diversi anni prima avevano caratterizzato l'operazione di recupero di auto blindate necessarie per poter affrontare la "guerra" che all'epoca aveva visto contrapposte fazioni rivali della ‘ndrangheta attive nelle province emiliane. E' certo, poi, che G.A.S., che svolse un ruolo di primaria importanza tanto nella vicenda " O." quanto soprattutto in quella di "Riso R.", nella quale gli affiliati al clan operarono, anche in contrapposizione ad altro gruppo criminale, seguendo le sue direttive (vicende a proposito delle quali si veda quanto sopra delineato nei punti 2.1.2, 3.2 e 4.1), gestisse una serie di imprese nei settori delle discoteche e dell'edilizia anche nell'interesse della cosca mafiosa di riferimento; e mantenne sempre relazioni fattive con lo zio G.A.N., come dimostrano le reazioni dallo stesso avute in occasione della scarcerazione del parente. In tale quadro probatorio, correttamente la Corte distrettuale ha valorizzato le dichiarazioni accusatorie rese dai collaboratori di giustizia in questo processo, rammentando: a) che il collaboratore V.A. non aveva menzionato in precedenza G.A.S. perché lo stesso non era imputato nel processo "Aemilia", mentre aveva indicato il predetto come affiliato alla cosca in posizione subordinata a quella di D.A., riferendo tale circostanza al periodo nel quale quest'ultimo era ancora in libertà; b) che il collaboratore D.G.V. aveva parlato di una iniziativa concernente l'importazione di droga dal Sud America, alla quale era stato pure interessato G.A.S., iniziativa che non era stata poi attuata e che, perciò, non aveva avuto rilievo nel presente processo (v. pagg. 428-436, sent. impugn.; pagg. 541-591, sent. primo grado). In questo contesto - nel quale non conduce a differenti conclusioni l'intervenuta recente pronuncia adottata in altro processo dal Tribunale di Reggio Emilia nei riguardi di G.A.F., di cui è stato prodotto dalla difesa il solo dispositivo - la decisione della Corte di appello di Bologna si è posta esattamente in linea con le indicazioni offerte in materia dalla giurisprudenza di legittimità, in base alle quali si è reiteratamente puntualizzato che, in tema di associazione di tipo mafioso, risponde del più grave delitto di cui all'art. 416-bis c.p., comma 2, il reggente di una cosca di ‘ndrangheta nominato sostituto dal capo cosca detenuto ed incaricato delle trattative con gli esponenti di altri gruppi criminali per la spartizione dei profitti illeciti ovvero di portare a termine le attività estorsive indicategli, rivestendo concretamente le funzioni di guida e di comando proprie del capo, nonché quelle dell'organizzatore che provvede ad assicurare il funzionamento e l'operatività del sodalizio criminale (in questo senso, tra le molte, Sez. 2, n. 4822 del 15/11/2022, dep. 2023, Cristiano, Rv. 284389-04; Sez. 2, n. 20098 del 03/06/2020, Buono, Rv. 279476-03; Sez. 6, n. 40530 del 31/05/2017, Abbinante, Rv. 271482; Sez. 1, n. 3137 del 19/12/2014, dep. 2015, Terracchio, Rv. 262487). 13.2. Il terzo motivo del ricorso è infondato. Con una mera elencazione di massime giurisprudenziali la difesa ha cercato di mettere in discussione la determinazione dei giudici di merito che, con motivazione che resta esente da dubbi di logicità, ha chiarito che le aggravanti della disponibilità delle armi e dell'aver finanziato con proventi di delitti le attività economiche di cui l'associazione mafiosa intendeva acquisire o mantenere il controllo, di cui all'art. 416-bis c.p., commi 4 e 6, sono state giudicate sussistenti nei riguardi degli affiliati al sodalizio criminale contestato al capo 1) - come G.A.S. - che risulta dimostrato abbiano fatto parte di quel gruppo criminale a far data dal 2004, dunque del clan come già riconosciuto esistente dalla sentenza irrevocabile del processo "Aemilia", rispetto al quale l'associazione diretta dall'odierno ricorrente si è posta in diretta continuità (v. pagg. 458-461, sent. impugn.). 13.3. Il quarto motivo del ricorso e il connesso secondo nuovo motivo sono manifestamente infondati per le ragioni già innanzi esposte nella valutazione delle analoghe doglianze formulate per la sorella R., riportate nel punto 12.1, al cui tenore si fa rinvio. E' sufficiente rammentare come G.A.S., pur essendosi prestato a svolgere la significativa funzione di soggetto interposto e poi, qualche anno dopo, di soggetto interponente nella cessione delle quote delle due società dei capi 2) e 3), è risultato - sulla base delle motivazioni delle due conformi ò sentenze di merito - direttamente interessato alla gestione delle relative attività economiche in periodi nei quali è stato dimostrato che lo stesso avesse aderito all'associazione di stampo mafioso in argomento, nel cui interesse quelle iniziative imprenditoriali erano svolte. Le definitive cessioni della titolarità delle quote societarie sono eloquentemente avvenute nel 2008, nel momento in cui il padre F. era imputato nel processo "Edilpiovra" per reati collegati alla operatività di quel clan mafioso e dopo che erano intervenuti periodi di detenzione cautelare e la condanna in primo grado (v. pagg. 151-161, sent. impugn.; pagg. 689-704, sent. primo grado). 13.4. Il quinto motivo del ricorso è manifestamente infondato, avendo la Corte di appello di Bologna correttamente disatteso l'eccezione difensiva di violazione del divieto di bis in idem con riferimento all'imputazione del capo 7): essendo stato puntualizzato, con argomentazioni con le quali la difesa ha omesso di confrontarsi, come la condotta di intestazione fittizia delle quote societarie della "C-Project", di cui G.A.S. risponde nella sua veste di amministratore di fatto di quella società, costituisce un fatto ontologicamente diverso dalla ipotesi di bancarotta fraudolenta distrattiva, oggetto di altro processo nel quale il prevenuto è stato giudicato, cronologicamente di molto successiva al momento della intestazione fittizia delle quote societarie; condotte, peraltro, aventi differenti finalità (v. pagg. 169-175, sent. impugn.; pagg. 741 e segg., sent. primo grado). Determinazione, questa, con la quale i giudici di merito hanno fatto buon governo del pacifico principio giurisprudenziale secondo il quale, ai fini della preclusione connessa al principio del "ne bis in idem", l'identità del fatto sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, da considerare in tutti i suoi elementi costitutivi sulla base della triade condotta-nesso causale-evento, non essendo sufficiente la generica identità della sola condotta (così, tra le tante, Sez. 3, n. 21994 del 01/02/2018, Pigozzi, Rv. 273220). 13.5. Il sesto motivo del ricorso, nei termini posti in tale atto di impugnazione con una stretta interrelazione tra i capi d'imputazione 9) e 10), è inammissibile perché contenente censure formulate per la prima volta solo con il ricorso per cassazione. L'inammissibilità si estende anche al connesso secondo nuovo motivo. L'art. 606 c.p.p., comma 3, prevede, infatti, espressamente come causa speciale di inammissibilità la deduzione con il ricorso per cassazione di questioni non prospettate nei motivi di appello: situazione, questa, con la quale si è inteso evitare il rischio di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello. 13.6. Il settimo motivo del ricorso è generico, perché, nel porre in discussione la legittimità della decisione di riconoscere sussistente l'aggravante speciale contestata nei capi 18) e 19), la difesa ha omesso di confrontarsi con le specifiche argomentazioni - connesse alle confessioni del coimputato V.P., riscontrate dagli accertamenti sull'impiego dei conti delle società de quibus per far transitare e "ripulire" somme di provenienza sospetta valorizzate dalla Corte di appello per sostenere, con motivazione non manifestamente illogica, come le attività elusive fossero state finalizzate a favorire l'intero sodalizio criminale e non anche il solo ricorrente, singolarmente considerato (v. pagg. 195-198, sent. impugn.; pagg. 819-838, sent. primo grado). 13.7. Mere censure in fatto, come tali inammissibili, contiene l'ottavo motivo del ricorso in relazione alle imputazioni dei capi 20) e 21), con riferimento alle quali risulta indeterminata l'affermazione difensiva secondo la quale G.A.S. non avrebbe svolto alcun ruolo effettivo nella gestione delle due società, richiamate negli addebiti, alle quali si sarebbe rivolto solo per poter avere formalmente un titolo necessario per far partecipare le proprie imprese alle gare di appalto pubblico. In realtà, la Corte distrettuale aveva replicato in maniera adeguata all'analogo rilievo a suo tempo mosso dalla difesa con l'appello, ricordando che era stato il contenuto delle intercettazioni ambientali a comprovare che G.A.S. gestiva di fatto quelle due compagini sociali, la "Holding" s.r.l. e la "Generali Edile" s.r.l., disponendo direttamente dei relativi conti bancari, presentandosi ai terzi come "il proprietario" e impartendo direttive per conto di quelle imprese: società le cui quote erano state, dunque, fittiziamente intestate dal prevenuto a mere "teste di legno" solo per evitare che potessero essere sequestrate a fini di confisca di prevenzione (v. pagg. 198-200, sent. impugn.; pagg. 839-849, sent. primo grado). 13.8. Il nono motivo del ricorso è manifestamente infondato per le ragioni già in parte esposte nel punto 8.1. a proposito del coinvolgimento nella ricettazione di un mezzo rubato in un capannone sottoposto a sequestro giudiziario. La responsabilità di G.A.S. nella commissione del furto di materiale edile di cui al capo 46) è stata accertata in termini inequivoci dai giudici di merito, i quali, con motivazione che resta esente da censure di illogicità, hanno chiarito come le dichiarazioni confessorie del coimputato V.P., chiamante in correità, fossero state riscontrate dalle verifiche compiute dalla Polizia giudiziaria sui movimenti degli autori del furto e dal contenuto della intercettazione ambientale che avevano consentito di registrare "in diretta" i colloqui dei tre giovani che avevano eseguito il reato su commissione dell'odierno ricorrente (v. pagg. 358-363, sent. impugn.; pagg. 1101-1105, sent. primo grado). 13.9. Il decimo motivo del ricorso è generico. Nella giurisprudenza di legittimità si è avuto modo ripetutamente di chiarire che il requisito della specificità dei motivi implica non soltanto l'onere di dedurre le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di consentire al giudice dell'impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (così, tra le tante, Sez. 3, n. 5020 del 17/12/2009, Valentini, Rv. 245907). Nel caso di specie il ricorrente si è limitato ad enunciare, in forma indeterminata, il dissenso rispetto alle valutazioni compiute dalla Corte territoriale, senza specificare gli aspetti di criticità dei passaggi giustificativi della decisione, così omettendo di confrontarsi realmente con la motivazione della sentenza gravata: pronuncia con la quale erano stati analiticamente indicati gli elementi di prova idonei ad integrare gli estremi del delitto oggetto di addebito, per le ragioni che sono state già esplicitate nel trattare le analoghe doglianze formulate dal coimputato G. (v. supra il punto 11.1). 13.10. L'undicesimo motivo del ricorso è manifestamente infondato, oltre che indeterminato. Con motivazione congrua, nella quale non è riconoscibile alcuno dei denunciati vizi di illogicità, la Corte territoriale ha indicato le ragioni che permettono non solamente di ritenere G.A.S. concorrente morale nella commissione del reato di minacce ai danni di T.F. (il quale era stato costretto a definire la vendita di un immobile a L.P., che significativamente aveva sollecitato l'aiuto dell'odierno ricorrente, il quale si era impegnato a "mandare qualcuno" e che in seguito era stato informato di quanto accaduto, sicché il destinatario dell'iniziativa aveva accettato di "firmare l'atto"); ma anche di considerare integrati gli estremi dell'aggravante speciale del metodo mafioso, tenuto conto che la persona offesa aveva ammesso di aver ricevuto quelle pesanti minacce da quei due soggetti che si erano presentati come "calabresi", così evocando la forza intimidatrice del gruppo criminale di riferimento (v. pagg. 411-417, sent. impugn.; pagg. 1169-1186, sent. primo grado). 13.11. Il quattordicesimo motivo è manifestamente infondato. Le doglianze difensive, formulate peraltro in termini aspecifici, relative alla mancata concessione delle attenuanti generiche sono prive di pregio, in quanto la Corte territoriale, con motivazione incensurabile in questa sede, ha sottolineato come la oggettiva gravità delle condotte delittuose accertate e il ruolo rivestito dall'interessato nella consorteria mafiosa avessero legittimato la decisione di negare all'imputato il riconoscimento di quelle attenuanti; e come un diverso giudizio non potesse essere espresso in considerazione del comportamento processuale, posto che il prevenuto aveva ammesso la responsabilità per fatti oramai accertati, senza mostrare alcuna reale forma di resipiscenza per le condotte tenute (v. pagg. 461-462, sent. impugn.). 13.12. Il quindicesimo motivo del ricorso è inammissibile per le ragioni già indicate nell'esame delle analoghe doglianze poste nell'atto di impugnazione di altro imputato, sicché è sufficiente far rinvio al contenuto del punto 5.4 (con l'aggiunta che per G.A.S. i riferimenti sono quelli evidenziati a pag. 461, sent. impugn., ed a pagg. 1293-1294, sent. primo grado). 13.13. Sono, invece, fondati il dodicesimo e il tredicesimo motivo di ricorso. 13.13.1. Con il capo d'imputazione 17) a G.A.S. (ed al S.) era stato contestato il reato di estorsione aggravata per avere, dopo che tal P.G. aveva praticato un prestito usurario ai danni di T.L. applicando il tasso mensile dell'8%, rilevato nel 2010 il credito del P. e minacciato e così costretto il T. ad accettare il debito residuo versando 10.000 Euro al mese, per un totale di 323.000 Euro, rimanendo debitore di 77.000 Euro. La Corte di appello di Bologna, rilevato che il T. aveva negato di aver subito una minaccia da parte del G.A., ha ritenuto di riqualificare il fatto addebitato in termini di usura aggravata, condannando il prevenuto per tale reato. La decisione impugnata va cassata per violazione dell'art. 522 c.p.p.. E' ben vero che nel capo d'imputazione si parla di "rilevazione", da parte di G.A.S., del credito vantato dal P. verso il T., quasi a disegnare una ipotesi di novazione soggettiva del rapporto obbligatorio, ma nella contestazione formale, tutta incentrata sulla condotta di costrizione dell'odierno ricorrente nei confronti della persona offesa (considerata poi insussistente), difetta del tutto ogni riferimento fattuale alla esistenza di una condotta di dazione o di promessa in favore del G.A. di "interessi o altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro": è cioè assente la completa descrizione del fatto usurario, essendo stata descritta nell'addebito esclusivamente una forma di generico subentro nella riscossione di un credito, senza alcun espresso riferimento alla riscossione, da parte dell'imputato, di interessi dopo una illecita pattuizione, che costituisce l'"in sé" del delitto di usura. Il fatto accertato e', perciò, ontologicamente diverso da quello contestato, rispetto al quale si pone come fatto nuovo. La sentenza impugnata va, dunque, annullata ai sensi dell'art. 620 c.p.p., comma 1, lett. f), per violazione dell'art. 522 c.p.p., limitatamente al reato di cui al capo 17), con trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna per quanto di competenza. In presenza dell'accoglimento di un motivo non esclusivamente personale, ai sensi dell'art. 587 c.p.p., comma 1, l'impugnazione produce l'effetto estensivo anche in favore del coimputato S.D., al quale è stato contestato il medesimo reato in concorso con G.A.S.. 13.13.2. E' meritevole di accoglimento anche il tredicesimo motivo del ricorso, in quanto la Corte territoriale, dopo avere in motivazione espressamente escluso l'aggravante speciale dell'agevolazione mafiosa per il reato del capo 38), non ha chiarito se e in che misura ha operato la doverosa riduzione della pena inflitta per tale delitto "satellite", posto in continuazione con gli altri reati riconosciuti a carico di G.A.S. (v. pagg. 313 e 461-462, sent. impugn.). La sentenza gravata va, dunque, annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna che, nel nuovo giudizio sul punto, porrà rimedio a tale vizio motivazionale. 14. Con riferimento alla posizione dell'imputato G.A.S. va considerato anche il secondo atto di impugnazione, datato 27 ottobre 2022, proposto dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Bologna: ricorso i cui due motivi, esaminabili congiuntamente, vanno considerati fondati in relazione alla posizione del prevenuto. 14.1. La motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui è stata esclusa la ricorrenza dell'aggravante speciale dell'agevolazione mafiosa contestata nei capi d'imputazione 12), 13) e 14) - con conseguente declaratoria di estinzione dei reati per prescrizione - appare gravemente contraddittoria: tenuto conto che le operazioni di intestazione fittizia oggetto di addebito avevano riguardato compagini societarie con caratteristiche analoghe ad altre, pure facenti capo al G.A., per le quali il trasferimento fraudolento di valori era stato considerato aggravato da quella medesima circostanza. Incompatibilità logica, questa, che è risultata tanto più evidente in ragione della espressa attribuzione della qualifica di "imprese mafiose" alle altre società gestite, per il tramite di "prestanomi", dal G.A.; dei collegamenti personali, funzionali e di sede riconosciuti tra tutte le imprese collettive gestite dal prevenuto; del coinvolgimento, nelle vicende delle società oggetto dei capi di imputazione in questione, di altri affiliati al clan mafioso del capo 1) (v. pagg. 153, 156 e 159, sent. impugn.). Ciò senza neppure trascurare che, per il consolidato orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimità, la circostanza aggravante dell'aver agito al fine di agevolare l'attività delle associazioni di tipo mafioso ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe: sicché è irrilevante che per uno o alcuni compartecipi del reato lo scopo dell'operazione sia stato quello di aver perseguito un vantaggio personale o familiare (in questo senso Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, Chioccini, Rv. 278734-01). In accoglimento del ricorso del Pubblico Ministero, la sentenza impugnata va, dunque, annullata nei confronti di G.A.S. relativamente ai reati di cui ai capi 12), 13) e 14, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna che, nel nuovo giudizio sui predetti capi, dovrà eliminare l'indicata incongruenza motivazionale pure uniformandosi al richiamato principio di diritto. 14.2. Il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello e', invece, inammissibile con riferimento alla posizione dei coimputati P.C. e P.P. per genericità del suo contenuto) in quanto i prevenuti sono stati menzionati solo nell'intestazione dell'atto di imputazione, senza alcuno specifico e puntuale richiamo nella parte espositiva dei motivi di doglianza. 15. Il ricorso presentato nell'interesse di L.G. è inammissibile. 15.1. Il primo motivo del ricorso ed il connesso primo motivo nuovo, concernenti l'imputazione di tentata estorsione aggravata del capo 47) commessa ai danni di A.U., titolare dello stabilimento balneare "(Omissis)", non supera il vaglio preliminare di ammissibilità perché presentato per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge. La Corte di appello di Bologna, con motivazione completa e logicamente coerente, ha posto a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale del L. non solo la circostanza che, in occasione dell'intervento delle forze dell'ordine, il prevenuto, senza dare una plausibile giustificazione circa la sua presenza (anzi ammettendo di essersi recato nei locali dell' A. "per riprendersi quanto di sua proprietà"), era stato trovato in compagnia di D.A. ed altri (già condannati per tale reato con sentenza definitiva), in occasione dell'ennesima visita minatoria che i predetti avevano fatto alla persona offesa (che, nonostante le gravissime minacce ricevute "di essere impiccato e di vedersi incendiato lo stabilimento", aveva coraggiosamente deciso di denunciare l'accaduto ai carabinieri del luogo); ma anche il contenuto delle dichiarazioni rese dall' A., il quale, nel riferire ai militari quanto accaduto, aveva raccontato che "i calabresi" autori di quella tentata estorsione, fermati dai pubblici ufficiali operanti, erano gli stessi che si erano presentati nei giorni precedenti con la minacciosa pretesa che egli cedesse la gestione dello stabilimento balneare (v. pagg. 371-375, sent. impugn.; pagg. 1121-1126, sent. primo grado). 15.2. Il secondo motivo del ricorso e il connesso secondo motivo nuovo sono manifestamente infondati. Valgono per il L. le considerazioni giuridiche di ordine generale sopra esposte nel punto 3.2 a proposito dell'analoga posizione di altro ricorrente: criteri alla luce dei quali va rilevato come debba andare esente da qualsivoglia censura di legittimità la decisione della Corte territoriale di confermare la condanna del L. per la partecipazione all'associazione per delinquere di stampo mafioso contestata al capo 1). Va tenuto conto che il prevenuto, al di là della mancata dimostrazione di una sua formale affiliazione al clan ‘ndranghetistico in argomento, oltre a concorrere nella commissione della significativa estorsione aggravata dal metodo mafioso esaminata nel punto che precede, aveva di fatto dimostrato di essere partecipe di quel sodalizio criminale mafioso: come confermato dalle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia V., C. e L., che avevano ricordato come il L. fosse soggetto "a disposizione" del gruppo; nonché dal contenuto delle conversazioni intercettate nel processo "Aemilia" che avevano comprovato come, fin dal 2009, il L. aveva fornito uno stabile ausilio ai capi di quel gruppo criminale, quali S.N., D.A. e G.A.S., fornendo loro documentazione, sim telefoniche e informazioni su vicende giudiziarie in corso; offrendo, anche per il tramite della sorella, la disponibilità a fare da "prestanome", e ricevendo l'intestazione delle quote di società commerciali gestite di fatto nell'interesse del gruppo criminale. Elementi di conoscenza, quelli su indicati, che, al di là delle perplessità manifestate dal G.A. (che, in una intercettazione, aveva riferito dell'atteggiamento non remissivo dell'odierno ricorrente), sono stati giudicati univocamente indicativi del suo stabile e funzionale contributo alla realizzazione dei propositi criminosi di tale associazione per delinquere (v. pagg. 451-455 sent. impugn.; pagg. 645-660, sent. primo grado). 15.3. Manifestamente infondate sono le doglianze contenute nel terzo motivo del ricorso e nel terzo motivo nuovo, concernenti il diniego di concessione delle attenuanti generiche e le scelte sulla dosimetria della pena. Tali scelte sono state motivate, in maniera non sindacabile in questa sede, dai giudici di merito con riferimento alla obiettiva gravità dei fatti e al pieno inserimento del prevenuto nella vita del gruppo criminale mafioso almeno fino al 2015: essendo pacifico in giurisprudenza che per giustificare l'esercizio di quei poteri discrezionali al riguardo è sufficiente che il giudice prenda in considerazione anche uno solo degli elementi indicati dall'art. 133 c.p. (v. pag. 463, sent. impugn.). 16. Il ricorso presentato nell'interesse di M.A. è inammissibile. I quattro motivi del ricorso - connessi tra loro e, perciò, esaminabili congiuntamente - non superano il vaglio preliminare di ammissibilità perché diretti esclusivamente a sollecitare una diversa lettura dei dati informativi a disposizione: laddove, con motivazione completa e non viziata da manifesta illogicità, la Corte di appello ha approfonditamente esaminato le emergenze processuali e congruamente spiegato come le stesse avessero dimostrato, senza tema di smentita, la colpevolezza del prevenuto in relazione ai delitti di fraudolento trasferimento di valori aggravati, addebitatigli nei capi d'imputazione 7), 9), 10) e 39-sexies), con riferimento a compagini sociali strettamente collegate tra loro. I giudici di merito hanno congruamente e logicamente spiegato che M.A. - già condannato, con sentenza irrevocabile emessa nel processo "Aemilia" (v. sopra il punto 1.1.), per il reato di partecipazione all'associazione mafiosa in argomento fino al 2015 (il che rendeva irrilevante che in un precedente passato egli fosse stato vittima di altre iniziative estorsive) - pur occupandosi personalmente e direttamente della gestione delle società su indicate, aveva avuto come socio di fatto G.A.S., a favore del quale aveva così svolto per un certo periodo il ruolo di "copertura" e di "schermo" per impedire che le quote di quelle imprese e i relativi beni aziendali potessero essere "aggrediti" con l'applicazione di misure di prevenzione patrimoniali; successivamente divenendo soggetto interponente nel momento in cui, con la medesima finalità elusiva, aveva deciso di trasferire anche le sue quote al "prestanome" B. e, nel caso della Cospar" s.r.l., al "prestanome" P. (v. pagg. 169-183, 316-321, sent. impugn.; pagg. 741 e segg., sent. primo grado). In tale ottica - che, in ragione della natura istantanea dei delitti contestati, comportava la ininfluenza del fatto che molti anni dopo le aziende avessero avuto difficoltà economiche e bancarie - le doglianze difensive risultano pure aspecifiche, poiché non si confrontano con i passaggi argomentativi della sentenza gravata, nei quali sono state valorizzate le concordi dichiarazioni accusatorie di cinque collaboratori di giustizia (i già richiamati V., L., C., C. e G.), giudicate attendibili perché riscontrate dal contenuto delle intercettazioni e delle testimonianze, i quali avevano riferito dell'acquisto della discoteca, gestita dalla società "C-Project", da parte di G.A.S. e M.A., nella cui attività erano stati reinvestiti i proventi delle attività delittuose della cosca; né con il tenore di quella conversazione intercettata nel 2008 da cui era stato possibile desumere che, già in quel periodo, G.A.S. era consapevole del rischio di subire un sequestro dei propri beni, dunque della finalità elusiva che avevano avuto quelle operazioni di intestazione fittizia di quote (v. pagg. 173-174, sent. impugn.). 17. Il ricorso presentato nell'interesse di M.C. va accolto, sia pur nei limiti e con gli effetti di seguito precisati. 17.1. Il primo e il secondo motivo del ricorso sono fondati. Con una motivazione basata su indicazioni meramente assertive, la Corte di appello di Bologna ha confermato la pronuncia di primo grado nella parte relativa alla condanna del prevenuto per il reato del capo 7), a lui sostanzialmente estendendo, in maniera impropria, valutazioni e considerazioni che attenevano al di lui fratello A.. I giudici di merito hanno sottaciuto la circostanza che, con riferimento al periodo di commissione del reato de quo, risalente agli anni 2006 e 2009, i collaboratori di giustizia non avevano menzionato il predetto ricorrente, né vi erano elementi di conoscenza valorizzati nel collegato processo "Aemilia": cioè, non sono stati richiamati dati probatori riferibili a M.C. idonei a comprovare che lo stesso avesse agito con la chiara consapevolezza che la finalità elusiva delle operazioni di intestazione di quote societarie avessero avuto come scopo quello di agevolare le attività del sodalizio criminale mafioso diretto da G.A.S.. Vi è solo un cenno ad una intercettazione riguardante una telefonata intercorsa tra M.C. e G.A.S., riguardante tal V., ma il suo contenuto non è stato preso in considerazione dalla Corte distrettuale. Tale valutazione è rilevante perché, laddove per M.C. dovesse essere esclusa l'aggravante speciale in parola, il reato del capo 7) dovrebbe essere dichiarato estinto per intervenuta prescrizione. La sentenza impugnata va, dunque, annullata nei confronti del prevenuto limitatamente al reato di cui al capo 7) con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna che, nel nuovo giudizio, colmerà l'indicata lacuna motivazionale. 17.2. Il terzo motivo del ricorso è inammissibile in quanto presentato per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge ovvero ragioni manifestamente infondate. Valgono, con riferimento al capo. d'imputazione 39-sexies), le considerazioni in precedenza esposte in occasione della valutazione delle analoghe doglianze formulate dal coimputato M.A.. Anche per M.C. le censure appaiono aspecifiche, non essendosi il ricorrente confrontato con i passaggi motivazionali della sentenza nei quali, senza prestarsi a dubbi di manifesta illogicità, i giudici di merito avevano chiarito come la sussistenza della finalità elusiva della contestata operazione di intestazione fittizia e dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa fosse stata provata dal fatto che, all'epoca della commissione del reato, G.A.S. (con il quale M.C. si interfacciava) era stato già condannato per reati di mafia e M.A. era indagato nel procedimento penale "Aemilia"; oltre che dalla circostanza che la " M. Logistica" era stata già raggiunta da una misura amministrativa interdittiva antimafia (v. pagg. 316-321, sent. impugn.). 17.3. Il quarto motivo del ricorso è fondato, anche se esso, riguardando solo un errore in motivazione e non nel dispositivo, non avrebbe condotto all'annullamento della sentenza, ma ad una sua correzione. La puntualizzazione motivazionale potrà essere effettuata dal giudice di rinvio all'esito delle sue determinazioni in ordine all'imputazione del capo 7) ed a quelle dei capi d'imputazione oggetto dell'impugnazione, accolta, proposta dal Procuratore generale presso la Corte di appello. 17.4. Del pari al giudice del merito, cui spetta la rivalutazione della posizione dell'imputato con riferimento anche ad altri capi d'imputazione e, perciò, ogni decisione finale sul trattamento sanzionatorio, va riservata ogni determinazione in ordine al mantenimento della pena accessoria dell'art. 29 c.p., cui si riferisce il sesto motivo del ricorso, allo stato formalmente fondato. 17.5. L'atto di impugnazione va, altresì, accolto in relazione al quinto motivo del ricorso, tenuto conto che la Corte territoriale ha omesso di pronunciarsi sulle questioni poste dalla difesa con l'atto di appello in merito alla statuizione di conferma delle misure di confisca. 18. Con riferimento alle posizioni degli imputati M.A. e M.C. va considerato anche il primo atto di impugnazione, datato 28 settembre 2022, proposto dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Bologna: ricorso i cui motivi, esaminabili congiuntamente, vanno considerati fondati in relazione alla posizione dei due prevenuti. 18.1. La motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui è stata esclusa la ricorrenza dell'aggravante speciale dell'agevolazione mafiosa contestata nei capi d'imputazione 39-bis), 39-ter), 39-quater) e 39-quinquies) con conseguente declaratoria di estinzione dei reati per prescrizione - appare gravemente contraddittoria, tenuto conto che le operazioni di intestazione fittizia oggetto di addebito avevano riguardato compagini societarie con caratteristiche analoghe a quelle per le quali il trasferimento fraudolento di valori era stato considerato aggravato da quella medesima circostanza. Incompatibilità logica che è risultata tanto più evidente in ragione: a) della espressa attribuzione della qualifica di "imprese mafiose" alle altre società gestite, per il tramite di "prestanomi", dal G.A.; b) dei collegamenti personali e funzionali riconosciuti tra le imprese collettive gestite dal prevenuto in collaborazione con i due fratelli M.; c) del coinvolgimento anche nelle vicende delle società dei capi di imputazione in questione di altri affiliati al clan mafioso del capo 1); d) e soprattutto della collocazione cronologica delle operazioni di trasferimento fraudolento di valori, riferibili al 2012, cioè ad un periodo nel quale, come si è già avuto modo di sottolineare, tanto G.A.S. quanto M.A. erano stati destinatari di iniziative giudiziarie e amministrative con addebiti di contiguità mafiosa (v. pagg. 169 e segg., 313-315, sent. impugn.). Ciò senza neppure trascurare che, per il consolidato orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimità, la circostanza aggravante dell'aver agito al fine di agevolare l'attività delle associazioni di tipo mafioso ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe: sicché è irrilevante che per uno o alcuni compartecipe del reato lo scopo dell'operazione sia stato quello di aver perseguito un vantaggio personale (in questo senso Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, Chioccini, Rv. 278734-01). In accoglimento del ricorso del Pubblico Ministero, la sentenza impugnata va, dunque, annullata nei confronti di M.A. e di M.C. relativamente ai reati sopra elencati, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna che, nel nuovo giudizio sui predetti capi, dovrà eliminare l'indicata incongruenza motivazionale, pure uniformandosi al richiamato principio di diritto. 18.2. Il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello e', invece, inammissibile con riferimento alla posizione dei coimputati P.D., P.R., L.R. e C.D.A., per genericità del suo contenuto, in quanto i prevenuti sono stati menzionati solo nell'intestazione dell'atto di impugnazione, senza alcuno specifico richiamo nella parte espositiva dei motivi di doglianza. 19. Il ricorso presentato nell'interesse di M.F. è inammissibile per la indeterminatezza del suo contenuto. Come già anticipato per altra impugnazione, questa Corte di cassazione ha puntualizzato che il requisito della specificità dei motivi implica non soltanto l'onere di dedurre le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di consentire al giudice dell'impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (così, tra le tante, Sez. 3, n. 5020 del 17/12/2009, Valentini, Rv. 245907). Nel caso di specie il ricorrente si è limitato ad enunciare, in forma indeterminata, il dissenso rispetto alle valutazioni compiute dalla Corte territoriale, senza specificare gli aspetti di criticità di passaggi giustificativi della decisione, cioè omettendo di confrontarsi realmente con la motivazione della sentenza gravata: pronuncia con la quale erano stati analiticamente indicati gli elementi di prova idonei a giustificare per M.F. la conferma della condanna di primo grado per i reati dei capi d'imputazione 1) e 18) (v. pagg. 193-198, 445-447, sent. impugn.; pagg. 630-634, 819 e segg., sent. primo grado). 20. Il ricorso presentato nell'interesse di M.L. è inammissibile. 20.1. I motivi dedotti con l'unico punto dell'atto di impugnazione ed il collegato secondo nuovo motivo non superano il vaglio preliminare di ammissibilità perché aspecifici. Nel cercare di convincere che M.L. era stato erroneamente condannato per il reato del capo 44) perché le sue iniziative si erano concretizzate in interventi posti in essere in epoca successiva alla commissione della contestata truffa (sicché egli doveva essere mandato assolto come era accaduto per i computati G.A.N. e V.L.), la difesa ha in pratica omesso di confrontarsi con le articolate fonti di prova che, al di là dell'apporto conoscitivo offerto dagli attendibili collaboratori di giustizia V. e M.S., avevano comprovato il pieno e diretto coinvolgimento dell'odierno ricorrente nella preparazione e nella esecuzione della vicenda " O." oggetto di addebito. Al riguardo è sufficiente richiamare quanto già considerato, nell'esame delle analoghe doglianze formulate da coimputati chiamati a rispondere del medesimo delitto, nei punti 2.1.2, 7.3 e 9.1., con argomenti validi anche per M.L.) che pertanto devono intendersi qui integralmente trascritti. E' appena il caso di aggiungere che la narrazione dei due citati accusatori è stata riscontrata in maniera significativa - oltre che dalla verificata partecipazione di M.L. agli incontri organizzati per cercare di "recuperare" la parte del provento della truffa che l' O. aveva mancato di "girare" ai suoi correi e dai reiterati contatti che, a questo riguardo, M.L. aveva avuto con D.S.R. e F.G. (che di quella iniziativa delittuosa erano stati i primi ideatori) - dalle ammissioni di taluni degli interessati: il F., che, pur prospettando una non meglio definita operazione immobiliare, aveva riconosciuto di essersi rivolto, prima della consumazione della truffa, a M.L., cliente della filiale della banca in cui lavorava, per avere informazioni sulla affidabilità degli O., e di averlo messo in contatto con lo zio D.S.; lo stesso D.S., che aveva confessato di aver conosciuto M.L. proprio per il tramite del nipote F.; e il medesimo odierno ricorrente, che pur provando a postdatare il suo intervento, aveva ammesso di essere stata la persona che aveva permesso l'instaurazione del rapporto tra gli O. da una parte, il F. e il D.S. dall'altra (v. pagg. 340-357, sent. impugn.; pagg. 1206-1236, sent. primo grado). 20.2. Il primo motivo nuovo, con il quale la difesa ha sollecitato la declaratoria di estinzione del reato contestato a M.L. per un asserito decorso del termine di prescrizione, è manifestamente infondato in ragione della circostanza aggravante speciale contestata e ritenuta a carico del prevenuto. Sul punto è sufficiente richiamare il consolidato indirizzo esegetico di questa Corte di cassazione in base al quale si è affermato che, in tema di reati aggravati ex art. 416-bis.1. c.p., trova applicazione la disciplina della prescrizione disposta dall'art. 160 c.p., comma 3, che, per i reati di cui all'art. 51 c.p.p., commi 3-bis e 3-quater, non prevede un termine massimo, sicché, in questi casi la prescrizione matura soltanto se, da ciascun atto interruttivo, sia decorso il termine minimo fissato dall'art. 157 c.p. e pertanto, in presenza di plurimi atti interruttivi, è potenzialmente suscettibile di ricominciare a decorrere all'infinito (così, ex multis, Sez. 2, n. 4822 del 15/11/2022, dep. 2023, Cristiano, Rv. 284389-02; Sez. 2, n. 40855 del 19/04/2017, Giampà, Rv. 271164). 21. Il ricorso presentato nell'interesse di S.N. è inammissibile, perché i relativi motivi di doglianza sono manifestamente infondati ovvero presentati per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge. Nei punti 2.1.2, 7.3, 9.1 e 20.1, relativi ai motivi proposti da altri ricorrenti, sono stati portati in rassegna i passaggi della motivazione della sentenza gravata nei quali i giudici di merito hanno evidenziato con chiarezza il contesto nel quale doveva essere inquadrata la vicenda relativa alla truffa aggravata ai danni dello Stato. Il concorso del S. nella commissione del reato del capo 44) è stato giustificato dalla Corte di appello con un percorso argomentativo dettagliato e congruo, nel quale non è riconoscibile alcuno strappo logico né alcuno dei vizi di illogicità prospettati dalla difesa del ricorrente con una inammissibile "incursione" nei fatti, con l'attribuzione di un nuovo e diverso significato delle emergenze processuali rispetto a quello privilegiato dalla Corte distrettuale. In particolare, i giudici di merito hanno chiarito come - in un quadro probatorio in relazione al quale la difesa, senza porre in discussione gli elementi costitutivi dell'ipotesi accusatoria, si era limitata a sostenere che il S. era intervenuto in una fase successiva a quella della consumazione della truffa - le sufficientemente concordanti dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia V.A. e M.S. (quest'ultimo con margini di maggiore precisione), che avevano indicato il S. come uno dei "capi" dell'organizzazione che, lungi dall'essere stati solamente "messi a conoscenza", avevano "approvato" l'operazione truffaldina "veicolata" da M.L., fossero state riscontrate dal fatto che, al momento di dividere i proventi di quel delitto, il S. fosse effettivamente intervenuto; nonché dalle parziali ammissioni di O.D. e del D.S., e dal contenuto della registrazione della conversazione in ambientale intercettata nella casa di G.A.N.. Ne' profili di contraddittorietà sono desumibili dal fatto che, a differenza del S., G.A.N. e V.L. sono stati assolti dal reato in questione, in quanto i giudici di merito hanno spiegato come tale epilogo fosse stato determinato dalla circostanza che, a differenza degli altri coimputati, per i due predetti mancava la prova di un effettivo e diretto coinvolgimento nella fase anteriore a quella della commissione della truffa de qua (v. pagg. 340-357 sent. impugn.; v. pagg. 1211-1218, sent. primo grado). 22. Il ricorso presentato nell'interesse di S.D. va accolto, sia pur nei limiti di seguito precisati. 22.1. Il primo motivo del ricorso è fondato per le ragioni già delineate nel punto 13.13.1, al cui contenuto è sufficiente fare rinvio. Nell'accoglimento del primo motivo resta assorbito il secondo motivo (che, in ogni caso, era manifestamente infondato, avendo la Corte di appello fatto corretta applicazione dell'art. 63 c.p., comma 4, tenendo conto della sola residua circostanza aggravante speciale, senza violare, così, il divieto di reformatio in peius). 22.2. Il terzo motivo del ricorso è inammissibile perché riguardante una questione che, nei termini illustrati, è stata dedotta dalla difesa solo con il ricorso per cassazione. Ciò in applicazione della disposizione dettata dall'art. 606 c.p.p., comma 3, che - come già in precedenza specificato - prevede espressamente come causa speciale di inammissibilità la deduzione con il ricorso per cassazione di questioni non prospettate nei motivi di appello: situazione, questa, con la quale si è inteso evitare il rischio di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello. 22.3. La Corte di appello dovrà provvedere, pertanto, alla rideterminazione della pena per il reato di cui al capo 10), atteso il parziale accoglimento del ricorso per il solo reato di cui al capo 17), con la conseguente declaratoria di irrevocabilità dell'accertamento della penale responsabilità riguardo al reato sub capo 10). 23. Il ricorso presentato nell'interesse di S.A. è inammissibile. 23.1. I primi tre motivi del ricorso, tra loro connessi, non superano il vaglio preliminare di ammissibilità perché presentati per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge, in quanto riguardanti questioni di fatto già definite dalla Corte di merito con motivazione logicamente ineccepibile. In dettaglio, la Corte di appello ha chiarito come la configurabilità dei delitti contestati ai capi 49) e 49-bis) e la responsabilità a titolo di concorso del S. nella commissione della usura aggravata e della estorsione aggravata ai danni dei coniugi C.A. e O.C., fossero state comprovate dalle risultanze processuali, che avevano permesso di accertare che le dichiarazioni accusatorie delle due persone offese, coincidenti sugli elementi essenziali della vicenda, erano state riscontrate dalla documentazione acquisita, dalle intercettazioni e dalle parziali ammissioni dell'imputato; che il calcolo del tasso di interesse praticato permetteva di certo di ritenere la percentuale sempre usuraria; che la sussistenza dell'aggravante del metodo mafioso non era stata messa in discussione dal ricorrente, sicché vi era una carenza di interesse a mettere in discussione la statuizione della sola aggravante dell'agevolazione mafiosa, peraltro con censure generiche, considerato il convincente rinvio operato alla sentenza del processo "Aemilia" quanto alla riferibilità al clan mafioso de quo della società "La Cavalleria", impresa che quella sentenza irrevocabile aveva appurato essere stata funzionale agli interessi della cosca ‘ndranghetistica del G.A. (v. pagg. 395-411, sent. impugn.; pagg. 1236-1256 sent. primo grado). Ne' è riconoscibile la denunciata violazione di legge in ordine alla qualificazione giuridica del capo 49-bis), tenuto conto che la decisione della Corte distrettuale si pone esattamente in linea con il consolidato indirizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e quello di estorsione si differenziano tra loro in relazione all'elemento psicologico, da accertarsi secondo le ordinarie regole probatorie; e il concorso del terzo nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone è configurabile nei soli casi in cui questi si limiti ad offrire un contributo alla pretesa del creditore, senza perseguire alcuna diversa ed ulteriore finalità (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027-02, 03; in senso conforme, tra le molte, Sez. 2, n. 42940 del 25/09/2014, Conte, Rv. 260474, per la quale il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona e quello di estorsione si distinguono non per la materialità del fatto, che può essere identica, ma per l'elemento intenzionale che, qualunque sia stata l'intensità e la gravità della violenza o della minaccia, integra la fattispecie estorsiva soltanto qualora miri all'attuazione di una pretesa non tutelabile davanti all'autorità giudiziaria). Criteri di cui nel caso di specie è stato fatto buon governo, essendo stato precisato che il S. aveva agito per recuperare un credito collegato ad un prestito usurario, diritto per il quale, perciò, non avrebbe potuto fare valere le proprie ragioni dinanzi all'autorità giudiziaria civile; concorrendo così alla realizzazione di un proposito delittuoso che si inscriveva nella realizzazione del programma criminoso della associazione per delinquere di stampo ‘ndranghetistico più volte menzionata. 23.2. Manifestamente infondato e', infine, il terzo e ultimo motivo del ricorso presentato nell'interesse del S., il quale ha preteso che in questa sede si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalità mediante le quali il giudice di merito aveva esercitato il potere discrezionale a lui concesso dall'ordinamento ai fini del riconoscimento o del diniego delle circostanze attenuanti: esercizio che deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudice in ordine all'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Nella specie, del tutto legittimamente la Corte di merito aveva ritenuto ostativi al riconoscimento delle attenuanti generiche l'elevata capacità criminale manifestata dall'imputato ed i suoi negativi precedenti penali (v. pagg. 411 e 467, sent. impugn.). 24. Il ricorso presentato nell'interesse di S.D. va accolto. Alla luce dei parametri interpretativi tratteggiati nel punto 3.2, cui si fa rinvio, la motivazione della sentenza impugnata appare gravemente deficitaria nella parte in cui è stata affermata la colpevolezza dello S. in ordine al reato associativo addebitatogli al capo 1) della rubrica, nella forma del concorso esterno ai sensi dell'art. 110 c.p.. Pronuncia nella quale la partecipazione al sodalizio criminale in parola è stata esclusa ed è stato considerato provato un suo contributo essenziale alla vita di quell'associazione in ragione del fatto che egli, considerato "contiguo" agli ambienti criminali di quel gruppo, aveva partecipato ad un episodico ed isolato incontro tra affiliati a due clan ‘ndranghetistici rivali per definire le ragioni di contrasto circa una specifica operazione commerciale: lo S., infatti, era stato invitato a quella riunione in considerazione della "sua notevole stazza fisica", dunque per spaventare gli avversari, e per quell'incarico era stato poi specificamente remunerato. Si tratta obiettivamente di dati troppo scarni per ritenere integrati gli estremi di quella forma di concorso al delitto de quo che, come è stato precisato dalla giurisprudenza di legittimità, è configurabile laddove un soggetto, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell'associazione e privo dell'"affectio societatis", fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo esplichi un'effettiva rilevanza causale e quindi si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative dell'associazione e sia diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima, prescindendo dalle condizioni di eventuale "fibrillazione" o crisi strutturale del sodalizio: efficienza causale in merito alla concreta realizzazione del fatto criminoso collettivo di cui è necessario un apprezzamento "ex post", in esito al quale sia dimostrata, alla stregua dei comuni canoni di "certezza processuale", l'elevata credibilità razionale dell'ipotesi formulata in ordine alla reale efficacia condizionante della condotta atipica del concorrente (in questo senso Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231671; conf., in seguito, tra le molte, Sez. 1, n. 49744 del 07/12/2022, Petrillo, Rv. 283840; Sez. 1, n. 49067 del 10/07/2015, Impastato, Rv. 265423; Sez. 6, n. 33885 del 18/06/2014, Marcello, Rv. 260178). La sentenza impugnata va, dunque, annullata per lo S. con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna che, nel nuovo giudizio, si atterrà agli indicati principi di diritto. 25. Il ricorso presentato nell'interesse di V.P. è inammissibile. 25.1. Il primo motivo del ricorso non supera il vaglio preliminare di ammissibilità perché presentato per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge, in quanto riguardante questioni di fatto già definite dalla Corte di merito con motivazione che resta esente da qualsivoglia censura di illogicità. La Corte territoriale ha, infatti, illustrato quali sono gli elementi di prova desumibili dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, dal contenuto delle intercettazioni di comunicazioni e dagli esiti delle osservazioni dirette compiute dal personale della polizia giudiziaria - in base ai quali poter affermare che il V. si trovava in un rapporto di stabile ed organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio capeggiato da G.A.S., tale da implicare un ruolo dinamico e funzionale in esplicazione del quale egli aveva "partecipato" al fenomeno associativo. Peraltro, le censure difensive si presentano aspecifiche, dal momento che il ricorrente non si è confrontato con la principale e più significativa prova a carico costituita dalla conversazione captata dagli inquirenti nel corso della quale i sodali C.A. e G., discutendo delle "appartenenze all'associazione", avevano commentato le imprudenze commesse dal V., detto " P.", che aveva "la mente solo alla cosca" (v. pagg. 436-439, sent. impugn.; pagg. 617-618, sent. primo grado). 25.2. Il secondo motivo del ricorso è manifestamente infondato, oltre che generico, considerato che la difesa non si rapporta con le articolate valutazioni compiute dalla Corte di merito in ordine alla responsabilità del V. per il concorso nella commissione dei reati contestatigli ai capi 18) e 19). Peraltro, l'aver riconosciuto la piena adesione del prevenuto al programma delittuoso dell'associazione mafiosa diretta da G.A.S., priva di qualsivoglia margine di fondatezza le doglianze con le quali la difesa ha messo in dubbio, in maniera indeterminata, che il V. avesse dato la disponibilità ad occultare la effettiva titolarità delle quote di società la cui attività era risultata pienamente funzionale alla gestione degli affari dell'inteso clan mafioso (v. pagg. 193-198, sent. impugn.; pagg. 819-838, sent. primo grado). 25.3. Il terzo motivo del ricorso è manifestamente infondato per le ragioni analiticamente esposte nel punto 13.8 - trattando le analoghe questioni che erano state poste da altro ricorrente - che, valide anche per il V. (che aveva concorso nel furto con la piena consapevolezza di impossessarsi di materiale non più nella disponibilità della azienda oramai sottoposta a sequestro penale), devono intendersi qui integralmente riprodotte. 25.4. Anche il quarto e ultimo motivo è del tutto infondato, in quanto il prevenuto ha preteso che in questa sede si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalità mediante le quali il giudice di merito aveva esercitato il potere discrezionale a lui concesso dall'ordinamento ai fini dell'applicazione delle circostanze attenuanti generiche: esercizio che deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudice in ordine all'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Nella specie, del tutto legittimamente e con motivazione congrua, dunque non censurabile in questa sede, la Corte di merito ha ritenuto ostativi al riconoscimento delle attenuanti generiche nella loro massima estensione applicativa il coinvolgimento del V. in numerosi episodi delittuosi e la sua posizione all'interno del sodalizio mafioso, "ancillare" rispetto a quella del capo G.A.S. ma caratterizzata da una sempre pronta disponibilità all'esecuzione degli ordini da lui impartiti (v. pagg. 465-466, sent. impugn.). 26. Il ricorso presentato nell'interesse di V.L. è inammissibile. 26.1. Il primo motivo del ricorso e', nella sua prima parte, estremamente generico, essendosi la difesa limitata ad una mera elencazione di massime giurisprudenziali; e, nella seconda parte, manifestamente infondato, poiché è notorio che la norma incriminatrice dettata dal contestato art. 512-bis c.p. è stata introdotta dal D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, art. 4, comma 1, lett. b), "trasferendo" nel codice la disposizione già prevista dal D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12-quinquies, convertito nella L. 7 agosto 1992, n. 356, vigente all'epoca della commissione del reato del capo d'imputazione 6). 26.2. Il secondo motivo del ricorso è infondato per le ragioni già sopra esposte nel punto 13.2, al cui tenore si fa rinvio: con l'aggiunta che a carico di V.L. erano emersi elementi di prova circa gli stretti legami e le sue cointeressenze commerciali tanto con G.A.N. e G.A.F. ("a disposizione" dei quali si era posto, soprattutto per la realizzazione di operazioni commerciali illecite di varia natura, secondo quanto precisato dai collaboratori di giustizia), quanto con i fratelli V. (altri esponenti apicali del sodalizio de quo), già durante il periodo di operatività dell'associazione per delinquere di stampo ‘ndranghetistico contestata nel processo "Aemilia" (v. pagg. 455-459, sent. impugn.; pagg. 635-645, sent. primo grado). 26.3. Il terzo e ultimo motivo del ricorso è manifestamente infondato, oltre che generico, con riferimento al mancato riconoscimento delle richieste attenuanti generiche: a fronte della specifica e congrua motivazione valorizzata dalla Corte di merito, che ha ricordato la gravità del contributo dato dal V. alla vita e alla operatività del gruppo criminale in argomento, in ragione della prolungata e reiterata spendita di qualificate competenze professionali, e dell'assenza di una sua presa di distanza da quel contesto associativo, le doglianze contenute nel ricorso si presentano formulate con un elevato grado di aspecificità. 27. Il ricorso presentato nell'interesse di Z.N. è inammissibile. Le doglianze formulate con l'unico punto dell'atto di impugnazione, oltre che in gran parte generiche, contengono la rappresentazione di ragioni diverse da quelle consentite dalla legge. La Z., infatti, ha formulato una serie di censure che si muovono nella prospettiva di accreditare una diversa lettura delle risultanze istruttorie e si risolvono, quindi, in non consentite censure in fatto all'"iter" argomentativo seguito dalla sentenza di merito, nella quale è presente una adeguata replica a quei rilievi. In dettaglio la Corte distrettuale, con motivazione logicamente esauriente e con una rigorosa e condivisibile esegesi delle emergenze processuali, ha chiarito che la responsabilità della prevenuta, stretta collaboratrice di G.A.S., in ordine ai reati a lei ascritti nei capi 3) e 10) - commessi rispettivamente il 30 luglio e il 18 dicembre 2008 con riferimento alle quote della "Immobiliare San Francisco" s.r.l., e tra il 27 marzo e il 18 dicembre 2008 con riferimento alle quote della "Monreale" s.r.l. - fossero desumibili da dati informativi che avevano permesso di collegare cronologicamente le singole operazioni di cessione e di intestazione fittizia di quote societarie alle vicissitudini pubbliche in sede giudiziaria che avevano interessato prima G.A.F. e poi il suddetto G.A.S.: così dimostrando, in via di prova indiretta, come quelle iniziative avessero avuto una finalità elusiva di cui la Z., di volta in volta soggetto interposto o interponente, era stata pienamente consapevole; in particolare preoccupandosi di trovare i "prestanome" (come il P. e il M.), gestendo i rapporti con gli intermediari, accompagnandoli a sottoscrivere i contratti e dando loro istruzioni minime per giustificare l'assunzione formale delle cariche sociali; ed ancora commentando con G.A.S. dettagli inerenti alle vicende che avevano visto coinvolti altri affiliati al gruppo criminale, quali G.A.N. e L.G., così dimostrando di essere ben a conoscenza delle "dinamiche" interne a quella cosca (v. pagg. 156-159, 178-190, sent. impugn.; pagg. 699-704, 741 e segg., sent. primo grado). Nel corso della discussione nella odierna udienza il difensore della Z. ha pure lamentato un erroneo riferimento, nella motivazione della sentenza impugnata, alla società "C-Project" in relazione alla posizione della predetta imputata. Si tratta, tuttavia, di un falso problema, avendo i giudici di merito illustrato come nella "gestione delle discoteche" da parte di G.A.S. e altri componenti dell'omonimo clan ‘ndranghetistico, vi era stata una sostanziale continuità gestionale tra le varie società che, nel tempo, si erano occupate di quell'attività imprenditoriale mediante il reinvestimento dei proventi di altre attività delittuose poste in essere dagli affiliati al considerato clan mafioso. 28. Gli imputati i cui ricorsi sono stati rigettati o dichiarati inammissibili vanno condannati al pagamento delle spese processuali; quelli i cui atti di impugnazione non hanno superato il vaglio di ammissibilità vanno condannati anche al pagamento di una somma che per ciascuno si stima equo determinare nella misura indicata nel dispositivo. Tutti i predetti imputati vanno, infine, condannati alla rifusione - in favore delle parti civili che si sono costituite in giudizio rispettivamente nei loro confronti - delle spese di costituzione e difesa sostenute nel presente giudizio di legittimità, che, in ragione dell'attività effettivamente svolta, si stima legittimo fissare nella entità pure precisata nel dispositivo che segue. PQM P.Q.M. In parziale accoglimento dei ricorsi del P.M., annulla la sentenza impugnata nei confronti di M.A. e M.C. relativamente ai reati di cui ai capi 39-bis), 39-ter), 39-quater) e 39-quinquies), nonché nei confronti di G.A.S. relativamente ai reati di cui ai capi 12), 13) e 14), con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna per nuovo giudizio sui predetti capi. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi del P.M.. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di G.A.S. limitatamente al reato di cui al capo 17) ai sensi dell'art. 522 c.p.p. e dispone la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna per quanto di competenza. Annulla, altresì, la sentenza impugnata nei confronti del predetto imputato relativamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Bologna. Rigetta nel resto il ricorso di G.A.S.. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di S.D. limitatamente al reato di cui al capo 17) ai sensi dell'art. 522 c.p.p. e dispone la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna per quanto di competenza. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di S.D. e dispone trasmettersi gli atti ad altra sezione della Corte di appello di Bologna per la rideterminazione della pena. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di B.C. limitatamente alla determinazione della pena e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Bologna. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso del predetto imputato. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di M.C. limitatamente al reato di cui al capo 7), alla determinazione del trattamento sanzionatorio e alla confisca, rinviando per nuovo giudizio sui predetti capi ad altra sezione della Corte di appello di Bologna. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso del predetto imputato. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di S.D. e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna. Rigetta i ricorsi di C.A. e C.G. e condanna i predetti imputati al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi di A.G., C.M., D.S.R., D.F., D.A., F.G., G.D., G.A.R., L.G., M.A., M.F., M.L., S.N., S.A., V.P., V.L. e Z.N., e condanna i predetti imputati al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende. Condanna A.G., C.A., C.G., C.M., D.S.R., D.F., D.A., F.G., G.D., G.A.R., L.G., M.A., M.F., M.L., S.N., S.A., V.P., V.L. e Z.N. alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute in questo grado dalle parti civili Libera associazione nomi e numeri contro le mafie aps, Cisl regione (Omissis), Camera del lavoro CGIL di (Omissis), Camera del lavoro territoriale di (Omissis), Cgil (Omissis), Comune di (Omissis), Comune di (Omissis), Comune di Piacenza, Regione (Omissis), rispettivamente costituite nei confronti dei predetti imputati, che liquida in Euro 5.500 per ciascuna di esse, oltre accessori di legge. Così deciso in Roma, il 27 giugno 2023. Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2023
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