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Fatture emesse per operazioni inesistenti: sui rapporti con il reato di autoriciclaggio

Fatture per operazioni inesistenti

Cassazione penale , sez. II , 03/12/2019 , n. 9755

Il pagamento di fatture emesse per operazioni inesistenti, con successiva retrocessione dei relativi importi in contanti, integra il reato di autoriciclaggio, configurandosi un impiego in attività economiche e finanziarie dell'utilità di provenienza illecita. (In motivazione la Corte ha sottolineato la rilevanza economica e finanziaria, oltre che fiscale, di tali documenti contabili a seguito della loro annotazione nei prescritti registri, nonché dei relativi pagamenti, in quanto determinano la contabilizzazione di costi comportanti un abbattimento dei ricavi dell'imprenditore).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 5.4.2019 il GIP del Tribunale di Rovigo disponeva l'applicazione della misura degli arresti domiciliari nei confronti di Z.P. in ordine ai delitti di cui all'art. 416 c.p. (capo A), D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8 (capi B, C, D, I) e art. 648 ter1 c.p. (capo 3). Secondo la prospettazione accusatoria condivisa dalla pubblica accusa e dal gip, poi avallata dal tribunale del riesame, l'indagato è accusato di aver posto in essere, in concorso con G.D. e M.E., un'associazione per delinquere finalizzata all'evasione dell'imposta sul valore aggiunto e all'auto riciclaggio dei relativi proventi; il meccanismo illecito consisteva nell'utilizzare società di comodo gestite di fatto dal gruppo dei predetti, le quali si procuravano la disponibilità di beni (auto e generi alimentari) con il sistema della lettera di intenti (il quale consente a particolari categorie di soggetti di acquistare e importare beni e servizi evitando l'assoggettamento a imposta, in regime, così detto, di sospensione d'imposta) e provvedevano poi ad operare ripetute cessioni tra le società medesime dei beni stessi, nelle cui fatture veniva esposta cartolarmente l'IVA, che però di fatto non veniva mai pagata da alcuno anche se veniva portata in detrazione nelle dichiarazioni fiscali. Ogni società tratteneva poi una piccola percentuale dal ricavato delle vendite e tale profitto finiva a favore degli associati. L'autoriciclaggio infine veniva attuato tramite una società olandese (la Hans Visser Bloment BV di (OMISSIS)) che fatturava a carico di una società italiana gestita dagli indagati (la Digiemme) operazioni inesistenti, le quali tuttavia venivano realmente pagate tramite bonifici esteri con denaro che, successivamente, rientrava fisicamente in Italia in forma di contanti consegnati direttamente da un corriere nelle mani degli indagati; in particolare, la provvisoria imputazione di cui al capo J è relativa alla effettuazione, nel periodo 1.2.2018 - 9.5.2018, di 4 bonifici da parte della Digiemme (società che si occupa di commercio di prodotti alimentari) in favore della Hans Visser Bloment BV (società che opera il commercio all'ingrosso di fiori e piante), tutti aventi come causale la compravendita di veicoli inesistenti, per l'importo totale di Euro 86.800. 1.1. Avverso tale provvedimento proponeva istanza di riesame l'indagato, contestando la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari meritevoli di tutela attraverso la misura della custodia in carcere. 1.2. Il Tribunale di Venezia, sezione del riesame, con provvedimento del 3.5.2019, respingeva l'istanza proposta, confermando l'ordinanza impugnata. 2. Ricorreva per Cassazione l'indagato, tramite difensore, sollevando i seguenti motivi di gravame: 2.1 violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'ipotesi di auto riciclaggio; nel meccanismo sopra descritto difetta il requisito del trasferimento in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative del denaro, non potendosi ritenere tale il pagamento di fatture per operazioni inesistenti, posto che, anche secondo la prospettazione accusatoria, quel denaro rientrava in contanti che venivano suddivisi tra i coimputati e destinate a consumo personale e non ad investimento. 2.2 Vizio della motivazione, per illogicità, in relazione al rischio di reiterazione dell'attività illecita; invero in data 24 luglio 2018 veniva eseguito il sequestro preventivo a carico dell'indagato, con provvedimento che non contemplava l'ipotesi di auto riciclaggio -la quale invece compare nell'ordinanza genetica della misura personale, di quasi un anno successiva al sequestro -. Anche se figurano in atti fatturazioni della società olandese dell'agosto 2018, nessuna operazione illecita è proseguita dopo le perquisizioni e il sequestro del luglio 2018, sicchè difetta dimostrazione di protrazione delle attività illecite e di esigenze cautelari quale il pericolo di reiterazione. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è infondato. 1. E' anzitutto necessario chiarire i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei provvedimenti sulla libertà personale. Secondo l'orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, l'ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, nè alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell'indagato, ivi compreso l'apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l'applicazione della misura cautelare, nonchè del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all'esclusivo esame dell'atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l'altro negativo, la cui presenza rende l'atto incensurabile in sede di legittimità: 1) - l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) - l'assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (Sez. 6 n. 2146 del 25.05.1995, Tontoli, Rv. 201840; sez. 2 n. 56 del 7/12/2011, Rv. 251760). Inoltre il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell'apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell'indagato e, dall'altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l'attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell'ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti "prima facie" dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto. (Sez. 1 n. 1700 del 20.03.1998, Barbaro, Rv. 210566). Non possono essere dedotte come motivo di ricorso per cassazione avverso provvedimento adottato dal tribunale del riesame pretese manchevolezze o illogicità motivazionali di detto provvedimento, rispetto a elementi o argomentazioni difensive in fatto di cui non risulti in alcun modo dimostrata l'avvenuta rappresentazione al suddetto tribunale, come si verifica quando essa non sia deducibile dal testo dell'impugnata ordinanza e non ve ne sia neppure alcuna traccia documentale quale, ad esempio, quella costituita da eventuali motivi scritti a sostegno della richiesta di riesame, ovvero da memorie scritte, ovvero ancora dalla verbalizzazione, quanto meno nell'essenziale, delle ragioni addotte a sostegno delle conclusioni formulate nell'udienza tenutasi a norma dell'art. 309 c.p.p., comma 8, (Sez. 1 sent. n. 1786 del 5.12.2003, Marchese, Rv 227110). Tanto precisato, considerato che i rilievi difensivi si appuntano sulla sola configurabilità dell'ipotesi di autoriciclaggio, con riferimento al caso di specie deve rilevarsi quanto segue. 2. Il provvedimento impugnato non presenta i vizi denunciati con il ricorso. Giova ricordare che, secondo la ricostruzione del fatto contenuta nell'ordinanza genetica, l'addebito di riciclaggio trova sostegno indiziario negli esiti degli accertamenti contabili che hanno evidenziato il passaggio di denaro dalla Digiemme alla Hans Visser Bloemen e nelle risultanze dell'intercettazione ambientale del 20.4.2018, effettuata presso i locali di Via (OMISSIS), dalla quale risulta che il P. giunge nei luoghi dove è atteso da G. e M. portando con sè una busta contenente denaro contante che viene suddiviso tra i presenti secondo le quote convenute; dal contenuto del colloquio intercettato è dato altresì comprendere il meccanismo utilizzato dagli indagati, che vedeva la Digiemme (e altre società) effettuare bonifici in Olanda aventi come causale il pagamento di fatture per operazioni che si sapeva essere inesistenti e, successivamente, rientrare il denaro in Italia sotto forma di contante da spoartire tra i correi. Nell'ordinanza ora impugnata si dà atto adeguatamente della sussistenza del presupposto cautelare di cui all'art. 273 c.p.p., rilevandosi come il fatto enunciato nella provvisoria imputazione sub 3 emerga dall'analitica ricostruzione della vicenda contenuta nell'ordinanza applicativa della misura e riportata anche nel provvedimento impugnato; nello specifico dalla lettura della stessa non emerge alcuna contraddizione con gli elementi evidenziati nel ricorso, legittimamente ritenuti inidonei ad incidere sul quadro di gravità indiziaria emerso a carico dell'indagato. In particolare, il TDL (cfr. pag. 7 e segg.) ha valorizzato le emergenze tratte dall'incontro, monitorato dalla PG, svoltosi in data 20.4.2018, ravvisando in esso la descrizione agevolmente comprensibile dell'operazione di autoriciclaggio, che vedeva trasferire denaro dall'Italia in Olanda sulla base di apparenti transazioni commerciali che, nella sostanza, celavano la sola funzione di ripulitura del denaro frutto dei reati fiscali ascritti ai medesimi prevenuti. 2.1. Su tale sostrato fattuale si incentra il primo motivo di ricorso che, richiamando la tassativa formulazione contenuta nell'art. 648ter1 c.p., lamenta in primo luogo la carenza, nella fattispecie, dell'elemento costitutivo rappresentato dall'impiego, sostituzione o trasferimento, "in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative" del denaro proveniente dai delitti presupposti; e, secondariamente, deduce che il denaro contante spartito tra gli indagati era "all'evidenza" destinato al consumo personale. 2.2. Nessuno dei citati argomenti può essere condiviso. Giova al proposito ricordare che, secondo le previsioni del comma 1 della norma in questione (art. 648 ter1 c.p. - auto riciclaggio -), risponde del reato in parola chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa. L'art. 648 ter1 c.p., comma 4 dispone poi che, "Fuori dei casi predetti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale". 2.3. Come accennato, secondo la prospettazione accusatoria condensata nel capo J della provvisoria rubrica, l'indagato, tramite la concordata emissione di fatture per operazioni inesistenti da parte della società olandese, ha concorso nell'effettuazione del pagamento tramite bonifico degli importi fatturati, ottenendo poi la restituzione in contanti delle somme stesse. 2.4. Evidente dunque, nella prospettazione logicamente ritenuta condivisibile anche dal TDL, è la configurazione di un'attività di impiego/trasferimento, in attività economica/finanziaria/imprenditoriale, degli importi trasferiti, mediante bonifici all'estero, in pagamento di determinate fatture appositamente emesse dalla ditta straniera; evidente altresì appare che il successivo rientro degli importi in contanti, lungi dal comportare la perdita di idoneità della condotta, costituisce la parte conclusiva dell'iter criminis ed è indicativa del dolo di autoriciclaggio. 2.5. Nè può ritenersi che la descritta condotta concreta esuli dall'ambito della fattispecie normativa astratta per il solo fatto che le operazioni economiche (compravendite) rappresentate nelle fatture olandesi siano solo apparenti, dal momento che, ad avviso del Collegio, ben può rientrare nei concetti di attività economica/finanziaria/imprenditoriale anche il solo impiego di fatture per operazioni inesistenti, come pure l'effettuazione di operazioni finanziarie (quale l'emissione di un bonifico) aventi come causale il pagamento di una fattura contabilmente rilevante: invero, indubitabile appare che l'emissione, da parte di una impresa commerciale, di documenti contabili di sicura valenza economica (dovendo essere annotati nei prescritti registri) e fiscale (concorrendo alla formazione dei bilanci), come pure il pagamento di tali documenti, integrino forme di attività economica o finanziaria (basti solo pensare alla possibilità di utilizzare le fatture rappresentative di crediti commerciali per ottenere aperture di credito dal sistema creditizio e, dall'altro lato, alla annotazione dei bonifici rappresentativi di costi comportanti abbattimento del ricavo dell'imprenditore). 2.6. Nè dubbi possono ricorrere, considerando la modalità del rientro in Italia dei soldi (sotto forma di denaro contante) sulla ricorrenza dell'ulteriore requisito previsto dall'art. 648-ter.1 c.p., cioè sulla concreta idoneità dell'attività rispetto all'occultamento della provenienza delittuosa del denaro oggetto di reato. 2.7. Neppure sostenibile appare la ricorrenza di ipotesi di destinazione del denaro rientrato dall'Olanda "alla mera utilizzazione o al godimento personale", così da far scattare la clausola di esonero da responsabilità di cui all'art. 648 ter1 c.p., comma 4. A quest'ultimo riguardo, devesi effettivamente considerare che tale previsione, nella sua formulazione letterale, non risulta di agevole interpretazione, come del resto emerge chiaramente dall'ampio dibattito dottrinale registratosi sul punto. Tuttavia il Collegio, senza ripercorrere le tesi interpretative che da più parti sono state proposte, ritiene di condividere e richiamare l'accurata ricostruzione ermeneutica già operata da questa Corte nella sentenza n. 30399 del 2018, secondo la quale la norma va interpretata in base al significato proprio delle locuzioni utilizzate, e cioè nel senso che la suddetta clausola non si applica a tutte le condotte descritte nei commi precedenti del medesimo articolo (e quindi, per quanto di interesse in questa sede, a quelle previste dal comma 1). Dunque, l'espressione "fuori dei casi (....)", a livello semantico, null'altro significa che la fattispecie in essa considerata è diversa ed autonoma rispetto a quelle previste nei "commi precedenti". Con la conseguenza che, una volta che la fattispecie criminosa di cui all'art. 648 ter1 c.p., comma 1 sia integrata in tutti i suoi requisiti, l'agente è sanzionabile penalmente, restando del tutto indifferente che, alla fine delle operazioni di autoriciclaggio, egli abbia "meramente" utilizzato o goduto personalmente dei suddetti beni a titolo personale. In definitiva, richiamando per il resto la citata sentenza (Sez. 2, n. 30399 del 2018), in questa sede è sufficiente ribadirne il principio di diritto, secondo il quale "la clausola di non punibilità prevista nell'art. 648 ter1 c.p., comma 4 a norma della quale "Fuori dei casi di cui ai commi precedenti (...1" va intesa ed interpretata nel senso fatto palese dal significato proprio delle suddette parole, e cioè che la fattispecie ivi prevista non si applica alle condotte descritte nei commi precedenti. Di conseguenza, l'agente può andare esente da responsabilità penale solo e soltanto se utilizzi o goda dei beni provento del delitto presupposto in modo diretto e senza che compia su di essi alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa". Infatti il comma 4 in esame dispone la non punibilità delle sole condotte "per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale". In modo immediato si coglie la differenza rispetto alla condotta del comma 1, che sanziona, invece, l'impiego, la sostituzione o il trasferimento dei proventi illeciti nelle quattro ampie categorie di attività di cui si è detto, laddove connotati da concreta idoneità di camuffamento; forme di reimmissione della provvista nel circuito economico legale che, ovviamente, debbono anche essere necessariamente corredate dal corrispondente elemento psicologico. Invece, il comma 4, a differenza del comma 1, prevede la "destinazione" alla "mera utilizzazione o al godimento personale", situazione differente, anche sotto il profilo del corrispondente elemento soggettivo. 2.7.1. E comunque, con stretto riferimento alla vicenda di causa, nessun elemento concreto consente di affermare fondatamente la presenza di un impiego esclusivamente personale degli importi rientrati dall'Olanda. 3. Quanto al tema della ricorrenza delle esigenze cautelari, sul quale si incentra il secondo motivo di ricorso, ad avviso del TDL ritenute meritevoli. di tutela attraverso la misura della custodia domestica, nel provvedimento impugnato si è fatto, ragionevolmente, riferimento alla elevata professionalità e sistematicità delle condotte, poste in essere per almeno due anni mediante la realizzazione di un giro vorticoso di nuove società ed il reperimento di numerosi prestanome. Logica è dunque la deduzione del rischio di reiterazione delle condotte (e dunque delle esigenze cautelari) che, per la minima risalenza nel tempo delle condotte integrative degli illeciti, sono state anche giudicate attuali. Al proposito questa Corte ha già condivisibilmente affermato (si veda, Sez. 2, n. 55216 del 18/09/2018, Rv. 274085), in tema di esigenze cautelari, che laddove l'indagato sia dedito, per il suo "modus vivendi", a commettere delitti in modo continuativo e seriale, il giudizio sul pericolo di recidiva non richiede la previsione di una specifica occasione per delinquere, ma una valutazione prognostica fondata su elementi concreti, desunti dall'analisi della personalità dell'indagato, dall'esame delle sue concrete condizioni di vita, da dati ambientali o di contesto, nonchè dalle modalità dei fatti per cui si procede. Esattamente come avvenuto nella fattispecie. 4. Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 marzo 2019. Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2020
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