RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 20 settembre 2022, il Tribunale di Brescia, confermando la gravità indiziaria per i reati oggetto d'indagine (la partecipazione ad un'associazione dedita alla commissione, tra l'altro, di reati fiscali concernenti l'emissione e l'utilizzo di fatture di compravendita di materiali ferrosi relative ad operazioni inesistenti e alcuni reati-fine) e la sussistenza delle esigenze cautelari, ha parzialmente accolto le istanze di riesame proposte nell'interesse degli odierni ricorrenti, sostituendo le misure loro applicate dal g.i.p. con le meno gravose misure degli arresti domiciliari, quanto a L.G., e dell'obbligo di dimora, quanto a P.R..
2. Avverso l'ordinanza, a mezzo dei rispettivi difensori fiduciari, i suddetti indagati hanno proposto ricorso per cassazione.
3. Con il primo motivo del ricorso proposto da L.G., si deduce la nullità dell'ordinanza genetica per contraddittorietà ed opacità dell'imputazione provvisoria e la conseguente nullità dell'ordinanza confermativa resa in sede di riesame per vizio di motivazione e violazione del principio ne procedat iudex ex officio.
Si lamenta, in particolare, che la contestazione di partecipazione all'associazione per delinquere di cui al capo 1) poggi sul contraddittorio addebito di aver "acquistato stabilmente materiale ferroso e non ferroso in nero dalle cartiere" e che l'ordinanza impugnata, nel riconoscere l'improprietà della contestazione, abbia proceduto ad una vera e propria riformulazione dell'accusa, argomentando che la contestazione doveva intendersi nel senso che l'indagato avrebbe acquistato materiale in nero non già dalle società indicate come cartiere, avendo queste soltanto provveduto a rilasciare una fittizia copertura documentale di quegli acquisti con fatture per operazioni inesistenti.
Lo stesso sarebbe accaduto con riguardo alle contestazioni di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2 e 8 formulate, rispettivamente, ai capi 30) e 32), per le quali l'addebito concernente fatture per operazioni oggettivamente inesistenti era stato dal Tribunale del riesame trasformato in fatture per operazioni soltanto soggettivamente inesistenti.
Essendosi il giudice indebitamente sostituito al pubblico ministero nella riformulazione dei capi di accusa, abdicando al suo ruolo di dichiarare la nullità di un atto fondato su addebiti enunciati in termini opachi e contraddittori, l'ordinanza impugnata sarebbe nulla ai sensi dell'art. 178 c.p.p., lett. c), per violazione degli artt. 111 Cost., comma 3, e art. 6, p.. 3, lett. a), CEDU.
3.1. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta l'erronea applicazione dell'art. 416 c.p. con riguardo al necessario elemento dell'affectio societatis, essendosi argomentato un errato parallelismo con il reato previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 rispetto ai sistematici acquisti di droga dall'associazione. Nel caso di transazioni lecite come quelle qui avvenute - si argomenta - il rafforzamento del sodalizio potrebbe al più integrare gli estremi del dolo eventuale, non bastevole per ritenere l'affectio societatis.
3.2. Con il terzo motivo si deduce l'erronea applicazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2.
Premesso che il tribunale aveva ricostruito l'accusa in termini di fatturazione soggettivamente inesistente quanto al 90% del prezzo ed oggettivamente inesistente quanto al residuo 10%, si lamenta che, trattandosi di fatture emesse senza IVA, stante il particolare settore di riferimento, non era configurabile l'evasione di detta imposta, mentre con riguardo alle imposte dirette la mera inesistenza soggettiva non poteva integrare il reato addebitato, diversamente da quanto ritenuto dall'ordinanza impugnata, che aveva erroneamente richiamato giurisprudenza di legittimità contraria ritenendola addirittura maggioritaria. Nel caso si ravvisasse sul punto un contrasto di giurisprudenza, si richiede la rimessione del ricorso alle Sezioni unite della Corte.
3.3. Con il quarto e il quinto motivo si lamenta il vizio di motivazione, ed anche l'erronea applicazione dell'art. 273 c.p.p., con riguardo alla ritenuta gravità indiziaria del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 per essere stata la stessa fondata su indizi concernenti un'unica fattura - emessa dalla Ecometal e dunque estranea al capo di imputazione 32), che riguarda 202 fatture emesse da altre due società - tratti da una conversazione ambientale intercettata alla quale era estraneo il ricorrente e con contraddittoria affermazione che la restituzione del denaro versato in pagamento della fattura sarebbe avvenuta in favore dell'effettivo venditore (com'e' logico che sia, anche in transazioni in nero) anziché all'acquirente (come invece dovrebbe essere se si ipotizzasse l'inesistenza dell'operazione).
Immotivatamente, poi, si era argomentato che il 10% dell'importo della fattura avrebbe costituito il "prezzo" per l'emissione del documento fiscale, anziché il guadagno per la mediazione, e che le società emittenti fossero cartiere anziché cloni della Ecotrav, che gestiva ed amministrava quelle società senza che gli acquirenti potessero accorgersene.
3.4. Con il sesto motivo di ricorso si lamenta ulteriore vizio della motivazione nella parte in cui, sia pur in termini dubitativi e senza elementi di prova circa congruità di quantitativi e prezzi, si è ritenuto che gli importi delle transazioni fossero oggetto di sovrafatturazione.
3.5. Con l'ultimo motivo di ricorso, relativo al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8 contestato al capo 32), si richiamano le censure concernenti il vizio di motivazione dedotto con riguardo alla vicenda della fattura emessa dalla Ecometal e si argomenta, inoltre, come l'emissione di fatture soggettivamene inesistenti rispondesse all'interesse di Ecotrav di sottrarsi al pagamento delle imposte e non fosse finalizzata ad un risparmio d'imposta per le società clienti.
4. Con il primo motivo di ricorso, P.R. - indagato per analoghi reati: la partecipazione al reato associativo, capo 1); l'utilizzo in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti, capo 21); il concorso nell'emissione di fatture inesistenti, capo 23) - deduce il vizio di motivazione in punto ritenuta sussistenza della gravità indiziaria. Si osserva che gli unici elementi a carico sarebbero costituiti da due conversazioni telefoniche intercettate tra lui e il dominus dell'associazione, R. - ritenute confermative del fatto che il primo si rivolgeva al secondo per vendere materiali in nero - e due videoregistrazioni che riprenderebbero l'indagato mentre ritira denaro contante presso la sede delle Eco-Trav, società del R.. Da questi unici elementi - si lamenta - si era illogicamente tratta la conclusione che l'indagato fosse pienamente consapevole della distinta attività criminosa svolta da R. e dai suoi sodali, consistente nella gestione di un sistema di false fatturazioni tramite il ricorso a società cartiere a quello riferibili, le quali avevano emesso le fatture per gli acquisti di materiale effettuato dal P. e oggetto delle contestazioni di inesistenza delle relative prestazioni. Il Tribunale del riesame aveva bensì affermato che le due condotte addebitate al ricorrente - da un lato, la vendita di materiale in nero e, d'altro lato, l'utilizzo di fatture di acquisto fittizie - costituiscono azioni distinte e non sovrapponibili, ma aveva illogicamente affermato che dalla prova della prima condotta potesse ricavarsi la prova della consapevolezza della seconda.
4.1. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell'art. 309 c.p.p., comma 9 e art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c), per omessa declaratoria di nullità dell'ordinanza genetica conseguente all'assenza di autonoma valutazione delle esigenze cautelari ravvisate con riguardo al ricorrente. Il g.i.p. - si allega aveva argomentato la sussistenza delle esigenze cautelari riferendosi indiscriminatamente a tutti i numerosi indagati, senza specificamente valutare la posizione di P.R. e riferendo illegittimamente anche a lui elementi fattuali ravvisabili soltanto nei confronti dei coindagati. Secondo il ricorrente, l'insufficiente piattaforma indiziaria fatta oggetto di censura con il primo motivo di ricorso farebbe emergere l'estraneità del medesimo rispetto all'illecito contesto oggetto di indagine e l'assenza di consapevolezza circa l'apporto di un contributo causale all'esistenza e operatività del sodalizio criminale. Nessun concreto elemento era stato evocato dal g.i.p. a sostegno dell'affermata spregiudicatezza e professionalità del P. rispetto alle contestate condotte illecite e si era trascurato di valutare il considerevole lasso di tempo trascorso dalla commissione dei fatti addebitati (risalente a circa due anni prima) e dalla stessa richiesta di applicazione di misura cautelare avanzata dal pubblico ministero, con conseguente omessa valutazione della sussistenza di un concreto e attuale pericolo di reiterazione del reato.
4.2. Con il terzo motivo di ricorso - per le ragioni appena esposte - si lamenta altresì l'inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in relazione all'art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c), da parte del Tribunale del riesame, quanto alla ritenuta conferma dei requisiti di concretezza e attualità del pericolo di reiterazione del reato. In particolare, l'ordinanza, con ragionamento astratto e ipotetico, aveva desunto tale pericolo dalla mera circostanza che il ricorrente opera in un mercato "a rischio" (quello della cessione dei rottami) illogicamente argomentando dagli inconferenti elementi riepilogati, e senza tener conto dei segnalati elementi a discarico emergenti dagli atti, una pretesa sistematicità di condotte illecite e consapevolezza del meccanismo fraudolento di emissione di fatture per operazioni inesistenti. Non si era considerato, inoltre, che l'ultimo episodio oggetto di contestazione risaliva al novembre 2020 e che per P., a differenza di altri indagati, vi era in atti evidenza del fatto che non avesse successivamente commesso alcuna condotta illecita.
4.3. Richiamando gli argomenti sopra esposti, con l'ultimo motivo di ricorso si deduce il vizio di motivazione in punto affermazione delle esigenze cautelari, ulteriormente osservandosi la contraddittorietà dell'assunto con le ragioni che avevano indotto lo stesso Tribunale ad attenuare la misura cautelare disposta dal g.i.p. sul rilievo che la condotta contestata e la personalità dell'indagano non consentono di ritenere sussistenti elementi di significativo allarme. Per espressa ammissione dei giudici del riesame - si lamenta - la misura custodiale attenuata dell'obbligo di dimora non sarebbe volta a neutralizzare il pericolo di reiterazione del reato, ma ad espletare la diversa funzione, ritenuta eccentrica, di monito per il ricorrente e di monitoraggio dei suoi movimenti.
5. Con requisitoria scritta il Procuratore generale ha richiesto dichiararsi l'inammissibilità dei ricorsi e la difesa del ricorrente P., con memoria datata 10 gennaio u.s., ha replicato a tali conclusioni, ribadendo gli argomenti addotti in ricorso a sostegno dei motivi e insistendo per la loro ammissibilità e fondatezza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo del ricorso proposto nell'interesse di L.G. è infondato.
1.1. E' ben vero che nel procedimento in materia di riesame esula dai poteri del Tribunale la modifica della originaria contestazione mossa dal pubblico ministero con la richiesta di applicazione della misura (Sez. 6, n. 24481 del 26/05/2009, Olivieri, Rv. 244195), ma, tenendo anche conto della fluidità della contestazione cautelare, nulla vieta che la gravità indiziaria del reato ipotizzato sia dal giudice meglio precisata, pur restando nell'ambito dell'addebito provvisoriamente mosso. Del resto, diversamente da quanto richiesto per la formulazione dell'imputazione - che esige l'enunciazione del fatto "in forma chiara e precisa" (v. art. 417 c.p.p., lett. b, art. 429 c.p.p., comma 1, lett. b, art. 552 c.p.p., comma 2, lett. c) - nell'ordinanza applicativa di misure cautelari personali basta la "descrizione sommaria del fatto con l'indicazione delle norme di legge che si assumono violate".
1.2. Nel caso di specie tale disposizione non può ritenersi violata, sia con riguardo alla contestazione del reato associativo, sia quanto ai reati fiscali, dovendosi peraltro osservare che l'ordinanza impugnata sostanzialmente non differisce da quella genetica nella ricostruzione dei profili di addebito ricondotti ai reati fatti oggetto di contestazione cautelare e rispetto ai quali è stata ravvisata la gravità indiziaria.
In particolare, quanto al reato associativo, non vi è stata alcuna sostanziale violazione del diritto di difesa, essendosi i giudici del merito cautelare limitati a rilevare che la contestazione del provvisorio addebito, pur formulato in modo infelice, era chiara e non equivocabile sin dall'inizio, né il ricorrente ha fondatamente allegato che vi era invece stata la rielaborazione di un'accusa diversa da quella oggetto di iniziale contestazione. Già davanti al tribunale del riesame egli ha proposto compiute difese di merito rispetto all'accusa di partecipazione ad un sodalizio finalizzato ad emettere, attraverso società cartiere, fatture per operazioni inesistenti relative alla vendita di materiali ferrosi e non, per consentire agli apparenti acquirenti di utilizzarle fiscalmente e così evadere le imposte, avendo egli svolto il ruolo di stabile acquirente e, quindi, di utilizzatore delle fatture stesse.
Quanto ai reati-fine di cui ai capi 30 e 32, l'ordinanza ha esattamente osservato che la provvisoria contestazione si riferiva all'emissione e all'utilizzo di fatture per operazioni in tutto o in parte oggettivamente inesistenti e, come di seguito meglio si dirà (p.p., 3 e 5), la gravità indiziaria è stata ricostruita anche con riguardo alla parziale inesistenza oggettiva. In ogni caso, rispetto alla ricostruzione anche della (parziale) inesistenza soggettiva delle fatture fatta nell'ordinanza impugnata, basti osservare come neppure nel giudizio di cognizione può parlarsi di immutazione dell'accusa quando l'imputato, accusato di avere, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, indicato elementi passivi fittizi nella dichiarazione, avvalendosi di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, sia stato condannato per l'utilizzo di fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti, in quanto il reato di dichiarazione fraudolenta, previsto dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 2 nel riferirsi all'uso di fatture o altri documenti concernenti operazioni inesistenti, non distingue tra quelle che sono tali dal punto di vista oggettivo o soggettivo (Sez. 3, n. 30874 del 02/03/2018, Hugony, Rv. 273728).
Tanto meno è stato violato il principio ne procedat iudex ex officio, posto che l'azione cautelare è stata esercitata dal pubblico ministero con riguardo ad addebiti la cui qualificazione giuridica è stata esattamente confermata dal giudice della cautela con riguardo alla contestazione di fatti nella sostanza mai modificati alla luce di quanto più sopra osservato.
2. Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di associazione per delinquere, la esplicita manifestazione di una volontà associativa non è necessaria per la costituzione del sodalizio, potendo la consapevolezza dell'associato essere provata attraverso comportamenti significativi che si concretino in una attiva e stabile partecipazione (Sez. 2, n. 28868 del 02/07/2020, De Falco, Rv. 279589; Sez. 3, n. 20921 del 14/03/2013, Conte, Rv. 255776). In modo non illogico, dunque, l'ordinanza impugnata ha argomentato che la consapevole adesione del ricorrente, e degli altri stabili acquirenti di materiale ferroso (i c.d. "annotanti"), al pactum sceleris promosso dai coniugi R. e F. per la commissione, tra l'altro, di una indeterminata serie di reati fiscali connessi all'emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti emesse da società cartiere appositamente costituite al fine di dare copertura documentale a vendite effettuate in nero da un diverso fornitore, si ricavasse dalla loro stabile disponibilità ad essere parte di quel meccanismo fraudolento. La loro stabile condotta quale oggetto di contestazione, protrattasi nel corso degli anni e per ingentissimi volumi di affari (a L. sono contestati reati-fine fiscali commessi nel triennio 2018-2020 per acquisti pari ad un complessivo importo di oltre 14 milioni e mezzo di Euro: cfr. ord. pagg. 17-18) consentiva, da un lato, di realizzare lo scopo criminale per cui l'associazione era stata costituita alimentandone l'operatività e, d'altro lato, di far conseguire al sodalizio i profitti illeciti (non illogicamente quantificati nel 10% del valore di ciascuna transazione) necessari per sostenere i costi della complessa struttura organizzativa illecita descritta nell'ordinanza (e dal ricorrente in alcun modo contestata) e di remunerare i promotori e gli affiliati dediti a mansioni operative nell'ambito del sodalizio.
Del tutto condivisibile è il riferimento fatto nell'ordinanza all'analoga situazione concernente gli stabili acquirenti di sostanze stupefacenti commercializzate da un'associazione dedita al narcotraffico, che, secondo un consolidato orientamento interpretativo, vengono considerati partecipi del sodalizio ove sussista la consapevolezza che la stabilità del rapporto instaurato garantisce l'operatività dell'associazione, rivelando in tal modo la presenza del cd. affectio societatis tra l'acquirente ed i fornitori (Sez. 1, n. 30233 del 15/01/2016, Giaquinto e a., Rv. 267991). Diversamente da quanto opina il ricorrente, ai fini di cui qui si discute non costituisce significativa differenza il fatto che nell'ambito del narcotraffico è illecito l'acquisto di stupefacente in sé, mentre nella vicenda qui in esame l'acquisto di materiale ferroso non costituisce invece reato, rilevando il consapevole contributo causale in entrambi i casi apportato all'esistenza ed all'operativa del sodalizio criminoso. Ed invero, così com'e' stato di recente ribadito con riguardo alla condotta di partecipazione ad un'associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, va affermato che integra la condotta partecipativa il costante e continuo ricorso alla copertura fiscale assicurata dal rilascio di fatture per operazioni inesistenti da parte di società cartiere costituite ed organizzate da un'associazione per delinquere la cui operatività sia finanziata dalle illecite provvigioni versate dagli apparenti acquirenti su ogni transazione, trattandosi di condotta che determina uno stabile affidamento del gruppo sulla disponibilità all'utilizzo del pianificato meccanismo fraudolento mediante la costituzione di un vincolo reciproco durevole che supera la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale delle singole operazioni e si trasforma nell'adesione dell'acquirente al programma criminoso (cfr., mutatis mutandis, Sez. 5, n. 33139 del 28/09/2020, Manzari, Rv. 280450). L'ordinanza ha parimenti correttamente richiamato il consolidato principio, pure questo affermato con riguardo al reato associativo di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e che ben si attaglia anche al caso qui in esame, giusta il quale l'esistenza di interessi conflittuali tra i singoli componenti del sodalizio non è ostativa al riconoscimento dell'associazione, in quanto nell'ambito della struttura organizzata non assumono rilievo gli scopi soggettivi e personali, perseguiti da ciascun partecipe, atteso che ciò che distingue la fattispecie associativa è il mezzo con cui le diverse finalità personali vengono perseguite (Sez. 6, n. 22046 del 13/12/2018, dep. 2019, Morabito, Rv. 276068-02).
Irrilevante, dunque, è che L. come gli altri clienti che fruivano stabilmente del "servizio" di rilascio delle fatture per inesistenti operazioni di acquisto da parte delle società cartiere - perseguisse, nota l'ordinanza a pag. 29, un proprio, autonomo, beneficio fiscale e concorrenziale dal sistema fraudolento messo a punto dall'organizzazione.
3. Il terzo motivo del ricorso di L.G. è inammissibile per manifesta infondatezza, genericità e difetto di interesse quanto al tema giuridico sollevato e sul quale si sollecita l'eventuale rimessione alle Sezioni unite per la decisione della questione sulla quale sussisterebbe l'evidenziato contrasto.
Ed invero, posto che, secondo quanto precisa la stessa ordinanza, si trattava di fatture concernenti transazioni che non recavano applicazione dell'IVA, il loro utilizzo nelle dichiarazioni fiscali della società acquirente amministrata dall'indagato ha consentito l'abbattimento della base imponibile con riguardo alle sole imposte dirette. L'ordinanza attesta che non vi è prova della corrispondenza tra i costi portati dalle fatture ricevute dalle società cartiere e quelli sostenuti per gli acquisti delle merci in nero che necessitavano di copertura documentale e, in ogni caso, che, sulla base della grave piattaforma indiziaria acquisita (ciò di cui immediatamente infra si dirà), quantomeno il 10% degli importi fatturati costituiva il prezzo del "servizio" di illecita fatturazione e, dunque, un costo certamente non deducibile. Nessuno dubbio, dunque, che, quantomeno nei termini da ultimo richiamati - sufficienti ai fini del giudizio cautelare e peraltro conformi, come più sopra si evidenziato (p. 1.2), alla provvisoria contestazione dell'addebito - siano ravvisabili i gravi indizi di colpevolezza del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2.
4. Il quarto ed il quinto motivo di ricorso - da esaminarsi congiuntamente in quanto obiettivamente connessi - sono in parte inammissibili per genericità e comunque infondati. Reputa, infatti, il Collegio che la motivazione addotta nell'ordinanza per ravvisare i gravi indizi di colpevolezza nei confronti del ricorrente in ordine al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 al medesimo provvisoriamente addebitato non sia manifestamente illogica.
4.1. Va al proposito premesso, in diritto, che, secondo orientamenti interpretativi da tempo consolidati che vanno qui senz'altro ribaditi, il sindacato di legittimità sulla motivazione del provvedimento cautelare personale è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti: 1) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l'assenza di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine del provvedimento (Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, Merja, Rv. 248698; Sez. 6, n. 3529 del 12/11/1998, dep. 1999, Marseglia, Rv. 212565). L'ordinamento non conferisce alla Corte di cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende
indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo ed insindacabile del giudice cui è stata richiesta l'applicazione della misura cautelare e del tribunale del riesame (Sez. 4, n. 2050 del 17/08/1996, Marseglia, Rv. 206104).
Ne deriva che il ricorso per cassazione che deduca l'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, Di Iasi, Rv. 269884). In particolare, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, un vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460). Il vizio di mancanza della motivazione dell'ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza deve risultare "prima facie" dal testo del provvedimento impugnato, restando estranea al sindacato del giudice di legittimità la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto (Sez. 2, n. 56 del 07/12/2011, Siciliano, Rv. 251761).
4.2. Nel caso di specie, il ricorrente concentra l'attenzione sulla ricostruzione che l'ordinanza fa della conversazione ambientale, intercorsa il 16 giugno 2020, nella quale F.S. (promotore del sodalizio insieme al marito R.), D.V.S. (partecipe quale amministratore della società cartiera Ecometal Srl) e tale V.S. (venditore del materiale) concordano la fornitura di merce in nero da parte del V., con fattura di copertura emessa dalla cartiera Ecometal Srl, alla società amministrata da L.G., e pagamento al V. dopo il ricevimento del bonifico da parte dell'acquirente, ciò che puntualmente si verificherà (il 23 giugno Ecometal Srl emette fattura nei confronti della L.M. Srl ed il successivo 30 giugno V. riceve il denaro per la fornitura in nero, previa decurtazione del 10% dell'importo fatturato, quale profitto dell'attività svolta dal sodalizio).
La censura svolta in ricorso circa il fatto che l'ordinanza qualifichi il pagamento della fornitura in nero al V. quale "restituzione" è del tutto irrilevante, essendo chiaro il meccanismo descritto ed essendo lo stesso certamente rappresentativo del collaudato meccanismo fraudolento oggetto delle ascritte imputazioni. L'alternativa, fantasiosa, spiegazione fattuale proposta in ricorso non può evidentemente costituire oggetto di vaglio in questa sede di legittimità, a fronte della non illogica ricostruzione operata nell'ordinanza impugnata.
Indipendentemente dal fatto che tale fattura sia stata o meno indicata nel capo d'imputazione provvisorio, poi, il meccanismo che emerge dai riferiti elementi indiziari è stato non illogicamente ritenuto esplicativo degli abituali rapporti che intercorrevano tra l'indagato L. ed il sodalizio, posto che il primo, come già ricordato, ha ricevuto dalle società cartiere del gruppo, nel triennio 2018-2020, fatture per operazioni inesistenti per oltre 14 milioni e mezzo di Euro: con quest'ultima ricostruzione fattuale, che costituisce la vera, e principale, piattaforma indiziaria a carico del L. per il reato associativo e i reati fiscali a lui provvisoriamente ascritti il ricorrente in alcun modo si confronta. Del pari l'ordinanza attesta (pag. 19) l'utilizzo da parte del L. di utenze telefoniche dedicate per parlare delle transazioni illecite con gli altri sodali - tra cui T.C., incaricato dal R. di gestire i rapporti dei clienti concernenti l'emissione delle fatture da parte delle società cartiera (cfr. pagg. 4 e 5) - ciò che ulteriormente rafforza la logicità della ritenuta piena consapevolezza dell'indagato di essere parte dell'associazione criminale.
5. Il sesto motivo del ricorso proposto da L.G. è inammissibile per genericità e difetto d'interesse. Come già argomentato supra, sub p.. 3, la gravità indiziaria circa l'oggettiva inesistenza parziale delle prestazioni riportate dalle fatture oggetto di contestazione è senza dubbio riferibile - giusta le non illogiche argomentazioni già esaminate - quantomeno al 10% dell'importo delle fatture, ciò che, ai fini del presente giudizio cautelare, è sufficiente per ritenere la gravità indiziaria dei reati provvisoriamente ascritti e giustificare le disposte misure.
Vale, dunque, il principio secondo cui è affetto da difetto di specificità, con violazione dell'art. 581 c.p.p., il ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola delle rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove siano entrambe autonome ed autosufficienti (Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, dep. 2018, Bimonte, Rv. 272448; Sez. 3, n. 30021 del 14/07/2011, F., Rv. 250972; Sez. 3, n. 30013 del 14/07/2011, Melis e Bimonte, non massimata); sotto altro angolo visuale, ricorre negli stessi casi il difetto di concreto interesse ad impugnare, in quanto l'eventuale apprezzamento favorevole della doglianza non condurrebbe comunque all'accoglimento del ricorso (Sez. 6, n. 7200 del 08/02/2013, Koci, Rv. 254506).
6. Parimenti inammissibile è l'ultimo motivo del ricorso proposto da L.G., posto che anche questo poggia su un'alternativa spiegazione dei fatti rispetto alla non illogica ricostruzione datane nell'ordinanza impugnata, alla luce delle cui condivisibili e non specificamente contestate ragioni certamente sussiste la gravità indiziaria del concorso dell'indagato nel reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. per il rilascio delle fatture per operazioni inesistenti che egli avrebbe poi utilizzato nella dichiarazione fiscale della società, figurante come acquirente, da lui amministrata. Il fatto che ciò non sia avvenuto perché la condotta illecita è stata interrotta all'esito e a causa delle indagini in corso ha bensì impedito la consumazione del relativo reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, sì che, non operando la deroga prevista dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 9, deve farsi applicazione dell'ordinaria disciplina sul concorso di persone nel reato di emissione di f.o.i. (cfr. Sez. 3, n. 41124 del 22/05/2019, Grossi, Rv. 277978).
7. Il primo motivo del ricorso proposto nell'interesse di P.R. è in parte inammissibile per genericità e, comunque, infondato.
Il ricorso è generico nella parte in cui non si confronta in alcun modo con la principale piattaforma indiziaria posta a base della ritenuta sussistenza dei reati ascritti al ricorrente, posto che al medesimo sono contestati reati-fine fiscali, commessi nel triennio 2018-2020, per acquisti effettuati in nero rispetto ai quali sono state emesse fatture per operazioni inesistenti, secondo il meccanismo fraudolento in precedenza illustrato, pari ad un complessivo importo di oltre 11 milioni e mezzo di Euro da ben tre società cartiere riconducibili al sodalizio criminoso (cfr. ord. pag. 25). L'ordinanza descrive in termini identici il ruolo degli abituali acquirenti che si avvalevano delle fittizie fatture di copertura emesse dal sodalizio e - posto che il ricorrente P. non muove al proposito alcuna specifica contestazione - ci si limita in questa sede a rimandare all'ordinanza impugnata e, per quanto di ragione, ai rilievi sulla correttezza in diritto e sulla non illogicità della motivazione svolti nei precedenti paragrafi analizzando le contestazioni mosse dal ricorrente L..
A fronte della gravità indiziaria dei tre reati provvisoriamente ascritti al ricorrente - sul piano oggettivo non contestata né in sede di riesame, né nel presente giudizio - ci si duole unicamente delle ragioni indicate nell'ordinanza impugnata a sostegno della sua consapevolezza del descritto meccanismo fraudolento. Reputa, tuttavia, il Collegio, che le stesse non possano dirsi manifestamente illogiche.
E' ben vero - lo riconosce espressamente la stessa ordinanza impugnata - che gli elementi indiziari raccolti a carico di P.R. circa i suoi rapporti con R.G. ed i suoi sodali si riferiscono non già ad acquisti di materiale ferroso da parte sua, con rilascio nei suoi confronti di fatture di copertura per operazioni inesistenti, bensì a transazioni, governate dal R. secondo il consueto schema fraudolento più sopra descritto, in cui P. assumeva il ruolo di venditore in nero di materiali ferrosi e riceveva da quello in contanti il pagamento del prezzo a fronte di fatture emesse dalle sue società cartiere nei confronti degli stabili acquirenti (v. pagg. 25 e 26 dell'ordinanza, ed in particolare le nt. 8, 9 e 10). Da quei contatti registrati e monitorati, che denotano confidenza e consuetudine, tuttavia, l'ordinanza ha non illogicamente argomentato la chiara consapevolezza del P. circa l'esistenza, il funzionamento e la stabile operatività del descritto sodalizio criminoso riconducibile al R. (si noti l'affermazione da lui fatta a R. nella telefonata intercettata del 28 novembre 2019 riportata in nt. 9 con riguardo all'offerta da parte sua di materiale da vendere in nero: "il primo acquisto che devono fare gli dai quella"). A fronte, dunque, di acquisiti da parte sua di materiali ferrosi in nero "coperti" da fatture per operazioni certamente inesistenti perché rilasciate dalle (differenti) società cartiere riconducibili al sodalizio capeggiato dal R., per gli elevati importi complessivi e nel non breve periodo più sopra indicato, non è certo manifestamente illogica la ritenuta consapevolezza di P.R. circa il meccanismo fraudolento, né la ritenuta intraneità del medesimo al sodalizio in forza delle argomentazioni sull'affectio societatis di cui più sopra si è dato conto (p.. 2) e che il ricorrente P. neppure specificamente contesta.
8. Il secondo motivo del ricorso proposto da P.R. è inammissibile per manifesta infondatezza.
Basta leggere la corposa doglianza, in cui si dà atto delle ragioni addotte dal g.i.p. a sostegno della sussistenza delle esigenze cautelari e delle argomentate critiche al proposito mosse al fine di sostenerne l'inadeguatezza e l'illogicità, per rendersi conto che il ricorrente confonde due piani che in concreto possono, e nel caso di specie debbono, rimanere distinti: quello della mancanza di motivazione, o di autonoma motivazione, sulle esigenze cautelari (che ai sensi dell'art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c e art. 309 c.p.p., comma 9, u.p., determina la nullità dell'ordinanza genetica e impone al giudice del riesame il suo annullamento); quello del mero vizio di motivazione sulle esigenze cautelari, che il tribunale del riesame può colmare ai sensi dello stesso art. 309 c.p.p., comma 2, secondo periodo, (cfr. Sez. 6, n. 10590 del 13/12/2017, dep. 2018, Liccardo e aa., Rv. 272596) e che può eventualmente costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).
Nel caso di specie, dalla piana lettura del motivo di ricorso in cui si riportano le ragioni addotte dal g.i.p. a sostegno delle ritenute esigenze cautelari (v., in particolare, pagg. 17-19) emerge che l'ordinanza genetica conteneva l'esposizione e l'autonoma valutazione di quell'indispensabile requisito della disposta misura, mentre le critiche svolte dal ricorrente a tale conclusione (diffuse ed articolate alle pagg. da 19 a 32 del ricorso) rendono evidente che ciò di cui ci si duole è l'illogicità della motivazione, anche per travisamento per omissione di elementi di fatto favorevoli.
9. Deve ritenersi infondato il terzo motivo di ricorso, con cui - per ragioni sostanzialmente analoghe a quelle esposte nel motivo che precede (ciò che conferma la bontà della conclusione più sopra raggiunta) - si lamenta formalmente l'inosservanza dell'art. 274 c.p.p., lett. c), (ma, sostanzialmente, ci si duole dell'illogicità della motivazione) con riguardo al requisito della concretezza e attualità del pericolo di reiterazione del reato posto a base della disposta misura.
9.1. Ed invero, incongruamente - e anche genericamente - il ricorrente insiste nel rilevare che gli unici indizi a suo carico sarebbero da ravvisarsi negli irrilevanti elementi di prova concernenti l'offerta di vendita di materiali in nero da lui fatta al R. di cui si è dato conto supra, sub p.. 7, omettendo di confrontarsi con l'effettiva gravità dal compendio indiziario a suo carico rappresentata, come già rilevato, dall'utilizzo (o dal concorso nell'emissione) di fatture per operazioni inesistenti rilasciate dalle società cartiera nel corso nel triennio 2018-2020 per l'elevatissimo importo complessivo di oltre 11 milioni e mezzo di Euro. Da questa considerazione - certo non inficiata dai pretesi elementi favorevoli di valutazione indicati in ricorso sub nota 10, che, per un verso, fanno emergere soltanto le rimostranze di un impiegato amministrativo, evidentemente non consapevole degli illeciti, circa la difficoltà di effettuare i pagamenti alle società cartiere e, per altro verso, rappresentano un dato neutro - l'ordinanza impugnata, come già il g.i.p., ha non illogicamente affermato, con considerazioni certamente spendibili anche per il ricorrente P., la sistematica condotta illecita tenuta per un significativo periodo di tempo con riguardo ad innumerevoli fatture per operazioni inesistenti per diversi milioni di Euro, tale da poter essere considerata come un ordinario modus operandi nella gestione dell'attività imprenditoriale svolta. Proprio per P., poi, è vieppiù comprovato il rilievo dell'essere il medesimo aduso ad operare (anche) nel circuito del mercato "nero", essendosi dato conto del fatto che non soltanto egli acquistava con tali modalità, ma che pure vendeva, sì che non è assolutamente illogica l'argomentazione. giusta la quale, pur non risultando evidenze di un coinvolgimento dell'indagato nel meccanismo fraudolento oggetto del presente procedimento dopo le ultime condotte del novembre 2020 (benché l'attività d'indagine si proseguita sino al giugno 2021), il concreto ed attuale pericolo di reiterazione del reato va ritenuto, in relazione a contesti analoghi e replicabili, in considerazione del fatto che egli continua ad operare nel medesimo mercato imprenditoriale e commerciale che lo ha visto per anni protagonista di reiterati e gravi delitti fiscali.
9.2. Il Tribunale del riesame - reputa il Collegio - ha dunque fatto buon governo dei condivisibili e più recenti principi interpretativi giusta i quali l'attualità delle esigenze cautelari richiesta dall'art. 274 c.p.p., lett. c), nel testo introdotto dalla L. 16 aprile 2015, n. 47, richiede una prognosi in ordine alla continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, purché fondata su elementi concreti, quali la personalità dell'accusato, desumibile anche dalle modalità del fatto per cui si procede, e l'esame delle sue concrete condizioni di vita (Sez. 4, n. 47837 del 04/10/2018, C., Rv. 273994; Sez. 5, n. 33004 del 03/05/2017, Cimieri, Rv. 271216; Sez. 2, n. 11511 del 14/12/2016, dep. 2017, Verga, Rv. 269684; Sez. 2, n. 47891 del 07/09/2016, Vicini e aa., Rv. 268366; Sez. 2, n. 47619 del 19/10/2016, Esposito, Rv. 268508), avendo altresì riguardo alla vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell'indagato, ovvero alla presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a realizzare (Sez. 1 n. 14840 del 22/01/2020, Oliverio, Rv. 279122). Ciò che si richiede al giudice della cautela, in ultima analisi, è una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un'analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, la quale deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza (Sez. 5, n. 11250 del 19/11/2018, dep. 2019, Avolio, Rv. 277242). Alla data di emissione dell'ordinanza cautelare (luglio 2022), del resto, la pur non breve distanza temporale dai fatti non era tale da annullare la valenza del descritto periculum libertatis.
9.3. Quanto al fatto che l'ordinanza impugnata abbia invece ritenuto di sostituire gli arresti domiciliari con l'obbligo di dimora, rilevando l'insussistenza di profili di significativo allarme tali da giustificare il mantenimento della misura custodiale e l'idoneità della meno grave misura disposta a fungere da monito e a consentire il monitoraggio dei movimenti dell'indagato (obiettivi affatto eccentrici alla funzione delle misure), non è ravvisabile alcun profilo di contraddittorietà, avendo il Tribunale del riesame fatto prudente, e doveroso, uso del potere discrezionale attribuito al giudice della cautela per realizzare nella massima misura i principi di adeguatezza e proporzionalità sanciti nell'art. 275 c.p.p., commi 1 e 2.
10. I ricorsi, entrambi nel complesso infondati, debbono pertanto essere rigettati con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2023.
Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2023