RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 9 novembre 2018 la Corte di Appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del 2 ottobre 2017 del Tribunale di Brescia, ha dichiarato non doversi procedere nei riguardi di T.L.M., per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione limitatamente alla fattura del (OMISSIS), confermando la condanna ad anni uno mesi nove di reclusione per il reato - limitatamente all'anno 2011 - di cui agli artt. 81 cpv. e 110 c.p., D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 8 (capi A e D); D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 2, comma 1-bis convertito nella L. 11 novembre 1983, n. 638 (capo E), nella qualità di legale rappresentante della s.r.l. T. Immobiliare (capo D) ovvero di amministratore di fatto della s.r.l. GML Transport & Logistic (capi A e E).
2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione articolato su tre motivi di impugnazione.
2.1. Col primo motivo il ricorrente, deducendo erronea applicazione della legge penale, ha censurato il rigetto dell'eccezione di incompetenza per territorio, sul presupposto che doveva identificarsi in (OMISSIS) la sede effettiva, coincidente con quella legale, della s.r.l. GML, società realmente operante nel settore dei trasporti merci, per cui l'emissione delle contestate fatture doveva ritenersi avvenuta in (OMISSIS), con la conseguente competenza territoriale dell'Autorità giudiziaria di Monza.
Al contrario, in proposito era stato applicato il criterio suppletivo di cui al D.Lgs. n. 74 cit., art. 18 avente ad oggetto il luogo di accertamento del reato. In proposito, peraltro, la Corte territoriale non aveva giustificato le ragioni per le quali non era stata ritenuta convincente la collocazione in (OMISSIS) della sede anche effettiva della società.
2.2. Col secondo motivo è stata allegata l'erronea applicazione della legge penale quanto alla ritenuta sussistenza della responsabilità del ricorrente.
In particolare, quanto alla veste di amministratore di fatto e di effettivo gestore della GML, non risultava effettivamente motivato l'assunto secondo il quale il ricorrente fosse il reale gestore di detta società, nè l'invocata testimonianza dell'ispettore B. ciò aveva accreditato. Mentre il provvedimento impugnato aveva sostanzialmente sostenuto l'inaffidabilità dei testi introdotti a discarico, uno dei quali del tutto disinteressato alla vicenda, i quali avevano individuato in Ca.Ma. il dominus della società. Il ruolo del ricorrente, pertanto, non risaltava affatto al di là di ogni ragionevole dubbio.
2.3. Col terzo motivo, quanto alla pretesa attività di favorire l'evasione della s.r.l. GML, la norma di cui all'art. 8 in effetti era connotata dal dolo specifico di favorire l'evasione di terzi, ma nello specifico la società non presentava più da tempo le dichiarazioni fiscali.
2.4. La sentenza, data anche la mera apparenza della motivazione, andava pertanto annullata senza rinvio.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell'inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è inammissibile.
4.1. In ordine al primo profilo di censura, la competenza per territorio prevista dalla L. n. 74 del 2000, art. 18 per i reati tributari va determinata nel "luogo dell'accertamento", da individuarsi nella sede dell'ufficio in cui è stata compiuta una effettiva valutazione degli elementi che depongono per la sussistenza della violazione, essendo invece irrilevante a tal fine il luogo di acquisizione dei dati e delle informazioni da sottoporre a verifica (Sez. 3, n. 43320 del 02/07/2014, Starace, Rv. 260992; cfr. anche Sez. 3, n. 11978 del 09/01/2014, Peruzzo, Rv. 258732).
In specie, la sentenza impugnata - contrariamente ai rilievi del ricorrente ha dato analitico conto delle ragioni per le quali doveva dubitarsi dell'effettiva esistenza in (OMISSIS) della sede dell'apparente emittente GML, atteso il negativo esito degli accertamenti ivi compiuti dalla stessa p.g. (ancorchè nell'anno successivo alla data di emissione dei documenti contabili).
In proposito, peraltro, il provvedimento impugnato ha correttamente osservato che le informazioni assunte in sede testimoniale, che riferivano compiutamente anche dei sopralluoghi eseguiti da pubblici ufficiali, avevano comunque escluso che in (OMISSIS) vi fosse stata la sede principale della GML, ed in (OMISSIS) quella secondaria, e comunque l'oggettiva incertezza del luogo di emissione delle fatture giustificava il riferimento al criterio residuale di cui all'art. 18 cit..
Nè vi è contrasto tra quanto rispettivamente osservato dal Tribunale bresciano e dalla Corte territoriale, dal momento che in entrambe le prospettazioni viene sottolineato il complesso delle risultanze ("fondate su dati oggettivi non smentibili, nè smentiti", cfr. pag. 4 della sentenza del Tribunale di Brescia) circa la natura apparente della GML, quantomeno in relazione a tutto il periodo interessato dall'emissione delle fatture in contestazione.
4.2. In relazione al secondo motivo di censura, il ricorrente propone in realtà una lettura alternativa delle risultanze istruttorie, rispetto a quanto valutato dai Giudici del merito.
Al riguardo, il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che quest'ultima: a) sia "effettiva" ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica" perchè sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non sia intimamente "contraddittoria" ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico, non essendo deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo e di conseguenza, alla stregua di ciò, essendo inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965; da ult. Sez. 2, n. 17444 del 17/04/2019, R., non mass.).
4.2.1. Al riguardo, si registra invero differente e contrapposta lettura in ordine alla valutazione delle deposizioni testimoniali, al rilievo da attribuire alle deposizioni dei pubblici ufficiali ed all'interpretazione del ruolo dell'odierno ricorrente quale preteso gestore di fatto delle società di capitali, che comunque ruotavano attorno al medesimo imputato ed alla di lui moglie.
In proposito, è appena il caso di ricordare che è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che censura l'erronea applicazione dell'art. 192 c.p.p., comma 3, se è fondato su argomentazioni che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio, e non, invece, sulla denuncia di uno dei vizi logici, tassativamente previsti dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), riguardanti la motivazione della sentenza di merito in ordine alla ricostruzione del fatto (Sez. 6, n. 13442 del 08/03/2016, De Angelis e altro, Rv. 266924; Sez. 6, n. 43963 del 30/09/2013, Basile e altri, Rv. 258153; cfr. anche Sez. 6, n. 45249 del 08/11/2012, Cimini e altri, Rv. 254274). Mentre non può dirsi che la motivazione resa dal provvedimento impugnato non evidenzi il percorso argomentativo prescelto e le opzioni esegetiche privilegiate, laddove la palese intenzione del ricorrente si dirige proprio a contestare le scelte compiute dalla sentenza impugnata nell'interpretazione del materiale istruttorio, quanto alla dedotta inesistenza oggettiva ovvero soggettiva delle specifiche fatture recate in giudizio, attesa la necessità di impedire la divergenza tra realtà commerciale e relativa espressione documentale.
4.3. In relazione poi al terzo motivo di ricorso, è stato ripetutamente rilevato che il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti è integrato anche quando la condotta è commessa non soltanto al fine esclusivo di favorire l'evasione fiscale di terzi attraverso l'utilizzo delle stesse, ma anche per trarne un profitto personale (Sez. 3, n. 44449 del 17/09/2015, Colloca, Rv. 265442), dovendosi anzi affermare il principio per il quale il dolo del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8 deve essere ritenuto sussistente, in mancanza di elementi in contrario specificamente dedotti dalla difesa o desumibili dagli atti, ogniqualvolta l'emittente sia un soggetto Iva che emetta una fattura per operazioni inesistenti (così, in motivazione, Sez. 3, n. 44449 cit.), attesa la natura di reato di pericolo astratto, per la cui configurabilità è sufficiente il mero compimento dell'atto tipico (Sez. 3, n. 12719 del 14/11/2007, dep. 2008, Iannazzo, Rv. 239339).
4.3.1. In tal senso, quindi, va interpretata la motivazione addotta, quanto al vantaggio creato alle società gestite dal ricorrente anche in esito alla formazione di fatture nei confronti della GML, società fittizia.
Il ricorrente pertanto non coglie comunque nel segno, laddove intende censurare il principio di diritto evidenziato dalla Corte territoriale, in sè non in contrasto col principio appena richiamato.
4.4. I motivi di impugnazione, in definitiva, appaiono manifestamente infondati ovvero in sè inammissibili oppure, comunque, non si confrontano appieno con la ratio decidendi del provvedimento impugnato.
5.1. Ne consegue pertanto, alla stregua delle considerazioni svolte, la complessiva inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 24 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2019