RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza 28.11.2016, la Corte d'appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del GIP/Tribunale di Roma del 17.03.2015, appellata dal C., dichiarava non doversi procedere nei confronti del medesimo in ordine ai reati al medesimo ascritti ai capi e), f) e g) della rubrica (emissione di fatture per operazioni inesistenti relativamente all'anno di imposta 2007 e 2008), rideterminando per l'effetto la pena per il residuo reato di cui al capo h), in 1 anno di reclusione, così confermando la dichiarazione di responsabilità penale nei confronti del medesimo unicamente per il delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti in relazione al periodo di imposta 2009, in relazione a 13 fatture l'ultima delle quali emessa il 10.06.2009.
2. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, iscritto all'Albo speciale previsto dall'art. 613 c.p.p., articolando due motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Deduce, con il primo motivo, violazione di legge in relazione all'art. 8 c.p.p. con riferimento al combinato disposto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8 e art. 18, comma 1, e art. 25 Cost., comma 1, in ordine alla competenza territoriale del giudice a quo e correlato vizio di manifesta contraddittorietà e/o illogicità della motivazione sul punto.
Premesso che nella richiesta di rinvio a giudizio, l'imputato era chiamato a rispondere di cinque episodi di emissione di fatture per operazioni inesistenti, commessi tra il 2006 ed il 2009, senza che nella rubrica fosse indicato il vincolo della continuazione, rileva il ricorrente che i fatti contestati nella richiesta di rinvio a giudizio risultavano contestati quanto ai capi d) ed e) in Roma, luogo rientrante nel circondario del tribunale della Capitale, e quanto ai capi f), g) ed h), in (OMISSIS), luogo rientrante nel circondario del tribunale di Velletri. Rileva quindi il ricorrente di aver eccepito la incompetenza territoriale davanti al GUP/tribunale di Roma all'ud. 17.03.2015, individuando quale giudice competente territorialmente il tribunale di Arezzo, in quanto giudice del luogo in cui il reato risultava accertato, atteso che le fatture contestate come emesse dalla ditta dell'imputato per operazioni inesistenti erano state sequestrate dalla p.g. di Arezzo con verbale 3.05.2010, presso la sede dell'impresa utilizzatrice, avente sede in (OMISSIS), essendo stata svolta peraltro l'attività d'indagine dalla GdF di Arezzo e dalla Procura aretina ed essendo altresì stata individuata la p.o. dal reato nella Direzione provinciale dell'Agenzia delle Entrate di Arezzo. Il primo giudice aveva rigettato l'eccezione in base al rilievo che, trattandosi di reati in continuazione tra loro, in base al combinato disposto degli artt. 8 e 16 c.p.p., il luogo di commissione del primo reato in contestazione era da individuarsi in Roma. Si censura quindi la mancanza di accertamento dell'unicità del disegno criminoso tra i reati contestati, dunque il mero giudizio prognostico, non avendo il giudice motivato in ordine alla competenza derivante dalla connessione ex art. 12 c.p.p., lett. b). Si sostiene che l'eccezione di incompetenza territoriale, rigettata dal giudice e cui era seguita la richiesta di ammissione del rito abbreviato condizionato, trovava fondamento nel fatto che i fatti contestati rientravano nell'ipotesi di plurime fatture per operazioni inesistenti emesse o rilasciate in diversi periodi di imposta, dal 2006 al 2009, ed in luoghi rientranti in diversi circondari, quantomeno (OMISSIS). In ogni caso, si sostiene che la competenza per territorio, in consimili ipotesi, deve essere individuata nel luogo di accertamento del reato, giusta il disposto del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 18, comma 1, che deve essere inteso come quello in cui gli ufficiali ed agenti di p.g. hanno proceduto alle opportune indagini in funzione della scoperta del reato nella sua materialità ed alla raccolta delle relative prove, da individuarsi nel tribunale di Arezzo per le ragioni dianzi evidenziate. Non sarebbero peraltro applicabili le regole ordinarie di determinazione della competenza ex artt. 8 e 16 c.p.p., in quanto derogate dall'art. 18 c.p.p. citato, che si porrebbero in termini di specialità rispetto a quelle generali previste dal codice di rito, dovendosi peraltro precisare che nella competenza per territorio determinata dalla connessione ex art. 12 c.p.p., lett. b), la persona deve essere imputata e non giudicata come responsabile di più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso. Diversamente, nel caso di specie, la continuazione tra i reati è stata riconosciuta solo in sentenza e non contestata dal PM nella richiesta di rinvio a giudizio, donde non poteva essere applicata la relativa disciplina, come sarebbe desumibile da un'attenta lettura della sentenza delle Sezioni Unite Orlandelli.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, e correlato vizio di motivazione, sotto il profilo dell'illogicità della ricostruzione in fatto e contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto alla ritenuta responsabilità dell'imputato per i periodi di imposta 2007, 2008 e 2009.
Si sostiene che la sentenza sarebbe censurabile in quanto ha affermato la responsabilità dell'imputato per fatti contestati in periodi di imposta successivi alla cessazione dell'attività, accertata in data 30.12.2006, non essendosi fornita prova della riconducibilità della materiale formazione delle fatture asseritamente emesse. La responsabilità dell'imputato sarebbe stata affermata su una sorta di prova logica non sufficiente ad attribuire al reo la consumazione del reato per i periodi di imposta successivi, tra cui quello di cui si discute (anno 2009). La motivazione della Corte d'appello sarebbe intrinsecamente contraddittoria non tenendo debito conto dell'evidente reversibilità dell'argomentazione quando nel verbale di contestazione della GdF di Arezzo 16.06.2011 si afferma che la ditta dell'imputato, sottoposto a perquisizione, non risultava in possesso di alcun documento contabile nè extracontabile riconducibile ala stessa ditta. In sostanza si sarebbero addebitati all'imputato fatti di incerta ed assai scarsa plausibilità perchè oggettivamente impossibili, salvo una prova contraria del tutto inesistente. Infine, sarebbe stato omesso qualsiasi apprezzamento circa la non meno logica inverosimiglianza delle reiterazioni di condotte illecite da parte del ricorrente in un arco temporale che i capi di imputazione estendono sino al 2009 alla luce del fatto che le ultime 13 fatture erano state sequestrate dalla GdF in data 3.05.2010.
3. L'udienza, originariamente fissata per il 22.11.2018, veniva rinviata a nuovo ruolo per adesione del difensore all'astensione collettiva dalle attività di udienza proclamata dalla categoria professionale di appartenenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Deve, anzitutto, premettersi che il difensore del ricorrente, Avv. Ballarini F., ha depositato presso la cancelleria di questa Corte in data 9.05.2019 la dichiarazione di aderire all'astensione proclamata dall'UCPI.
La dichiarazione non ha tuttavia effetto in quanto tardivamente depositata rispetto al termine perentorio stabilito dall'art. 3 del Codice di autoregolamentazione.
Ed invero, è stato più volte affermato da questa Corte che in tema di astensione dalle udienze proclamata dai competenti organismi della categoria, l'adesione del difensore dell'imputato, qualora formulata in forma scritta, deve pervenire nella cancelleria del giudice procedente entro il termine di almeno due giorni prima della data stabilita per l'udienza - previsto dall'art. 3 del Codice di "Autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati", adottato il 4 aprile 2007 difettando, in caso di mancato rispetto di detto termine, una condizione necessaria all'esercizio del diritto all'astensione (da ultimo: Sez. 5, n. 42575 del 26/06/2018 - dep. 27/09/2018, T, Rv. 274117; sulla natura perentoria di tale termine, v.: Sez. 6, ordinanza n. 11419 del 05/03/2018 - dep. 13/03/2018, D'Angelo, Rv. 272527).
5. Tanto premesso, quanto al "merito" delle questioni poste con i motivi di ricorso, deve, poi, evidenziarsi che questi ultimi, complessivamente, hanno in comune un vizio di fondo, prestando il fianco al giudizio di genericità per aspecificità, non tenendo conto delle ragioni esposte dai giudici di primo grado e di appello a confutazione delle identiche doglianze esposte nei motivi di appello, che vengono per così dire "replicate" in sede di ricorso per cassazione, senza alcun apprezzabile elemento di novità critica.
Deve quindi essere fatta applicazione del principio, già affermato da questa Corte, secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
6. I motivi si appalesano, peraltro, manifestamente infondati.
Ed infatti, la Corte d'appello indica in maniera puntuale e immune dai denunciati vizi le ragioni per le quali, anzitutto, non poteva essere accolta l'eccezione di incompetenza per territorio sollevata dalla difesa dell'imputato.
Ed invero, precisano i giudici territoriali che il luogo di commissione dei reati andava individuato in quello di emissione delle fatture per operazioni inesistenti, normalmente coincidente con la sede dell'emittente, nel caso in esame Roma. Osservavano a tal proposito i giudici di appello che il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 18, prevede che, salvo quanto previsto dai commi 2 e 3 dello stesso articolo, se la competenza per territorio per i delitti previsti dal decreto non può essere determinata a norma dell'art. 8 c.p.p., è competente il giudice del luogo di accertamento. Ai sensi dell'art. 8 c.p.p., la competenza per territorio è determinata dal luogo in cui il reato è stato consumato, e, nella fattispecie, richiamata giurisprudenza di questa Corte (il riferimento è a sez. 3, n. 25816 del 21.04.2016), osserva come quantomeno il primo reato risulta commesso in (OMISSIS); essendo a (OMISSIS) la sede della ditta emittente, donde, facendo applicazione dell'art. 16 c.p.p., la competenza per territorio era da ritenersi radicata davanti all'A.G. di Roma.
7. Si tratta di soluzione giuridicamente condivisibile.
Ed infatti, già in precedenti occasioni questa Corte ha avuto modo di chiarire che in via generale e salvo talune deroghe, il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 18, comma 1, rinvia, per determinare la competenza territoriale in tema di reati tributari, ai criteri previsti dall'art. 8 c.p.p..
Ne consegue che, in siffatta materia, il criterio principale determinativo della competenza per territorio è quello del locus commissi delicti, divenendo sussidiario il criterio fondato sul luogo dell'accertamento del reato ed al quale si potrà fare riferimento solamente nel caso in cui sia impossibile individuare il luogo di consumazione del reato tributario.
Ne deriva che, con riferimento ai reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, va esclusa l'operatività delle regole suppletive di cui all'art. 9 c.p.p..
Una deroga ai principi generali in materia di competenza territoriale è tuttavia prevista con riferimento all'ipotesi di emissione plurima di fatture, fattispecie disciplinata dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, comma 2, nel senso che "ai fini dell'applicazione della disposizione prevista dal comma 1, l'emissione o il rilascio di più fatture o documenti per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si considera come un solo reato". A tale proposito, il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 18, comma 3, - che mutua, con gli opportuni temperamenti, il criterio suppletivo ordinario previsto rispettivamente all'art. 9 c.p.p., comma 3, e art. 10 c.p.p., comma 2, - dispone che, con esclusivo riferimento alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, comma 2, "è competente il giudice di uno di tali luoghi in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall'art. 335 c.p.p.". Con riguardo al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 18, comma 3, la Relazione governativa di accompagnamento del decreto legislativo precisa che il suddetto criterio ha "di mira la fattispecie (...) dell'emissione di più fatture o documenti per operazioni inesistenti da parte del medesimo soggetto nel corso dello stesso periodo d'imposta: ipotesi che (...) è stata configurata come integrativa di un unico reato. Stante la particolare strutturazione dell'ipotesi criminosa, nella quale confluiscono più episodi distinti, si è reso necessario dettare uno specifico criterio di individuazione del giudice competente nel caso, ben configurabile, in cui i plurimi documenti siano stati emessi in località diverse (e, più precisamente, in località comprese nelle circoscrizioni di diversi tribunali). Al riguardo, si è scartata, per vero, la soluzione di privilegiare il luogo di emissione del maggior numero di documenti o dei documenti di maggiore importo: soluzione che avrebbe inevitabilmente alimentato e trascinato nel tempo le questioni di competenza, specie nel caso - tutt'altro che infrequente - di scoperta in fasi successive delle fa/se fatturazioni. La competenza è stata di contro attribuita a quello fra i giudici dei diversi luoghi di emissione dei singoli documenti, presso il quale ha sede l'ufficio del pubblico ministero che per primo ha provveduto ad iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall'art. 335 c.p.p.: criterio che ripete, con gli opportuni adattamenti, quello previsto dall'art. 9 c.p.p., comma 3, e art. 10 c.p.p., comma 2".
Ne deriva che, con la regula iuris di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 18, comma 3, il legislatore si è preoccupato di stabilire un criterio legale nel caso di emissione plurima di fatture nel medesimo periodo d'imposta, con la conseguenza che il criterio del luogo di iscrizione nel registro degli indagati del primo procedimento penale opera unicamente nel caso di plurima emissione di fatture nell'ambito del medesimo periodo d'imposte, sicchè la disposizione non è, invece, applicabile nel caso di emissione di fatture in diversi periodi d'imposta.
8. Posto che nel caso di specie si verte in tema di plurima emissione di fatture nell'ambito di diversi periodi di imposta (dal 2007 al 2009), è appena il caso di rilevare come non sia applicabile la regola stabilita nel D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 18, comma 2 (in base alla quale il reato si considera consumato nel luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale) che è prevista solo per i delitti di cui al capo 1 - titolo 2, mentre quello per cui si procede è inserito nel capo 2.
Il caso, di cui al presente procedimento, è dunque interamente disciplinato dal comma 1 del richiamato art. 18 in base al quale la competenza, se non può essere determinata a norma dell'art. 8 c.p.p., è attribuita al Giudice del luogo di accertamento del reato. E' ben vero che, ai fini della determinazione della competenza per territorio, nel caso di reato tributario, "per luogo di accertamento del reato", secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, deve intendersi quello in cui gli ufficiali ed agenti di polizia tributaria hanno proceduto alle opportune indagini in funzione della scoperta del reato nella sua materialità ed alla raccolta delle relative prove (Sez. 1, n. 29667 del 17/06/2003, Confl. Comp. In proc. Prevosti, Rv. 226141); ma è altrettanto indubbio che tale regola opera, per l'espressa previsione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 18, comma 1, solo se la competenza "non può essere determinata a norma dell'art. 8 c.p.p."; esclusivamente in tal caso, dunque, la competenza per territorio è attribuita al Giudice del luogo di accertamento del reato (v., in senso conforme: Sez. 3, n. 20505 del 19/02/2014 - dep. 19/05/2014, Maccarrone, Rv. 259680).
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno correttamente ritenuto l'A.G. di Roma competente territorialmente a giudicare sul delitto D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 8, commesso in più circondari ((OMISSIS)), sul rilievo che il primo reato risultava commesso in (OMISSIS), in quanto a (OMISSIS) aveva sede la ditta emittente, facendo quindi applicazione del disposto dell'art. 16 c.p.p..
9. Nè, peraltro, può accedersi alla tesi difensiva, pur suggestiva secondo cui non sarebbero applicabili alla materia dei reati tributari le regole della competenza per connessione dettate dall'art. 16 c.p.p..
Ed invero, questa Corte ha già affermato (Sez. 3, n. 37858 del 04/06/2014 - dep. 16/09/2014, Piccioni, Rv. 260115, in motivazione) come il D.Lgs. n. 74 del 2000 pur prevedendo una propria e specifica disciplina, rispetto a quella codicistica, diretta a regolare la competenza per territorio - non contenga, quanto alla competenza per territorio derivante dalla connessione, principi diversi rispetto a quelli fissati nel codice di rito. Ne consegue che, nei reati tributari, la competenza per territorio derivante dalla connessione è disciplinata dall'art. 16 c.p.p..
Il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 18, detta le regole per la determinazione della competenza per territorio in relazione al "singolo reato tributario" e stabilisce un criterio di carattere generale, ossia valido ratione materiae per tutti i reati tributari, che sopporta, come reso evidente dalla clausola di salvezza contenuta nel D.lgs. n. 74 del 2000, art. 18, comma 1, due eccezioni. Stabilisce, come criterio di carattere generale, che la competenza per territorio nei reati tributari si determina ai sensi dell'art. 8 c.p.p., (ossia secondo le regole generali valide per i reati comuni) e che, qualora la competenza per territorio non possa essere determinata ai sensi dell'art. 8 c.p.p., è competente il giudice del luogo di accertamento del reato. Logico corollario di tali principi è che, nei reati tributari, non si applicano le regole suppletive di cui all'art. 9 c.p.p., perchè l'unica regola suppletiva applicabile è quella del luogo di accertamento del reato.
Ed allora, in base ai suesposti principi si ricava in logica successione che, vertendosi nel caso di specie in una ipotesi di connessione di reati tributari, occorre avere riguardo per la determinazione del giudice territorialmente competente all'art. 16 c.p.p. e, siccome i giudici diversi sarebbero ugualmente competenti per materia, dunque al giudice competente per il reato più grave. I reati contestati, nel caso di specie (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8) sono tuttavia di pari gravità. Quando più giudici sono ugualmente competenti per materia ed i reati sono di pari gravità, la competenza per territorio appartiene al giudice del luogo dove è stato commesso il primo reato (art. 16 c.p.p.): dunque, nel caso di specie, la competenza correttamente è stata individuata dal GUP/tribunale di Roma, con valutazione condivisa dalla Corte territoriale, nel luogo in cui è stato commesso il primo reato in relazione al periodo di imposta 2006, ossia (OMISSIS), sede dell'emittente delle fatture.
10. Nè, infine, ha pregio l'eccezione difensiva secondo cui le regole di determinazione della competenza per territorio ex art. 16 c.p.p. non sarebbero state applicabili nel caso di specie in quanto la continuazione non sarebbe stata "contestata" dal PM in sede di richiesta di rinvio a giudizio, ma solo ipotizzata dal GUP all'atto del rigetto dell'eccezione, vincolo della continuazione successivamente riconosciuto in sentenza.
Sul punto a destituire di fondamento l'eccezione difensiva milita la pacifica giurisprudenza di questa Corte, che rende quindi vieppiù inammissibile il motivo di ricorso, secondo cui ai fini della sussistenza di un'ipotesi di continuazione idonea a determinare lo spostamento della competenza per connessione ex art. 12 c.p.p., comma 1, lett. b), è sufficiente l'astratta configurabilità - sulla base di elementi plausibili - del vincolo della medesimezza del disegno criminoso tra i reati contestati, essendo rimessa alla sentenza ogni valutazione circa l'effettiva esistenza di detto vincolo; conseguentemente, rispetto alla decisione sulla competenza, è irrilevante l'eventuale mancata contestazione della continuazione nei capi d'imputazione enunciati nel decreto che dispone il giudizio (Sez. 1, n. 17458 del 30/01/2018 - dep. 18/04/2018, Confl. comp. in proc. Liccardi, Rv. 273129).
11. Generico e manifestamente infondato è infine il secondo motivo di ricorso. Generico per aspecificità per le ragioni già evidenziate a proposito di esame del primo motivo. Manifestamente infondato in quanto nessun "salto logico" è stato posto in essere dalla Corte territoriale laddove ha ritenuto sussistente il reato contestato in relazione ai fatti di emissione di fatture per operazioni inesistenti commessi in periodi di imposta successivi alla cessazione della società emittente le fatture, intervenuta in data 30.12.2006. Ed infatti, sul punto la Corte d'appello motiva (pag. 3) evidenziando come per gli anni di imposta dal 2007 al 2009 le fatture per operazioni inesistenti venivano emesse dall'imputato sempre in favore della Scuderia Proteam Motorsport s.r.l., per come accertato dalla GdF di Arezzo in cui si confermava il ruolo di "cartiere" delle ditte riferibili all'imputato. Si legge ancora in sentenza che le tredici fatture emesse nell'anno 2009 - per cui ancora si procede - in favore della predetta "Scuderia" dall'imputato, quale legale rappresentante dell'Autofficina CAR s.a.s. di C.A., venivano sequestrate dalla GdF di Arezzo con verbale del 3.05.2010. Orbene, precisano i giudici di appello come nessuna prova risulta essere stata fornita dall'imputato in ordine all'effettività delle prestazioni fatturate, anzi risultando proprio dalla documentazione prodotta dalla difesa che questi, con sentenza GUP/tribunale di Velletri 21.03.2012, aveva patteggiato la pena per il reato di occultamento e distruzione di documenti contabili D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 10, in particolare per aver distrutto od occultato la documentazione dell'Autofficina Car s.a.s., in modo da non consentire, come osservato dal primo giudice, l'esatta ricostruzione dell'attuale vicenda nonchè per il delitto di omessa dichiarazione.
12. Orbene, è di palmare evidenza come le doglianze difensive si risolvano in una articolata censura, puramente contestativa, della ricostruzione dei fatti e del risultato della valutazione degli elementi probatori acquisiti da parte della Corte d'appello, traducendosi nel mero dissenso, al cospetto dell'apparato argomentativo della Corte d'appello che indica, sinteticamente ma lucidamente e con motivazione non manifestamente illogica, le ragioni per le quali l'imputato avrebbe dovuto essere ritenuto responsabile del delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, per i periodi di imposta successivi al momento della cessazione della società da lui amministrata alla data del 30.12.2006.
A fronte di tali motivazioni, le deduzioni difensive non hanno pregio.
A ciò peraltro va aggiunto che il denunciato vizio di illogicità motivazionale sarebbe ravvisabile quando l'asserito errore valutativo del compendio probatorio è idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio, fermi restando il limite del "devolutum" in caso di cosiddetto "doppia conforme" e l'intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (v., tra le tante: Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007 - dep. 21/06/2007, Musumeci, Rv. 237207).
E, nel caso di specie, tale vizio non è certamente ravvisabile, atteso che in realtà si risolve nella diversa valutazione delle risultanze cui è pervenuta la Corte d'appello e non certo nella mancata, contraddittoria o manifestamente illogica valutazione di un elemento di prova avente carattere di decisività, dovendosi rilevare invece come, del tutto logicamente, i giudici di merito hanno tratto la prova della responsabilità penale proprio dal comportamento dell'imputato il quale, pur essendo cessata la società da lui amministrata alla data del 30.12.2006, ha inteso patteggiare la pena in relazione al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10, proprio per aver distratto od occultato i documenti contabili della società predetta, con lo scopo evidente di impedire la ricostruzione del movimento degli affari facendo sparire le fatture emesse successivamente alla cessazione dell'attività, la cui inesistenza oggettiva risultava ictu oculi, atteso che, cessata l'attività della società, le operazioni fatturate successivamente al 30.12.2006 erano evidentemente inesistenti proprio perchè documentate da fatture emesse da soggetto che non avrebbe potuto porre in essere la relativa attività in quanto cessato in data antecedente.
13. Non rileva, infine, la circostanza che il reato sub h) sia estinto per prescrizione alla data odierna. Ed infatti, tenuto conto che si tratta di plurimi episodi commessi nel medesimo periodo di imposta, il dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione si individua nel momento di emissione dell'ultima di esse (10.06.2009).
Ne discende, pertanto, che, tenuto conto del termine di prescrizione massima di anni 7 e mesi 6, in assenza di sospensioni del corso della prescrizione, la stessa è maturata alla data del 10.12.2016, data successiva alla deliberazione della sentenza d'appello (28.11.2016). Trova quindi applicazione il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. (Nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 - dep. 21/12/2000, D. L, Rv. 217266).
14. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di duemila Euro in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della Suprema Corte di Cassazione, il 10 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2019