RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza 10.02.2018, la Corte d'appello di Genova, in parziale riforma della sentenza del tribunale di Genova 10.07.2015, appellata da tutti gli attuali ricorrenti T., W., D.F., B. nonchè dal Pubblico Ministero, dichiarava non doversi procedere nei confronti di T., W. e B. in ordine ai reati loro ascritti ai capi g), h), i), l) ed o) - limitatamente, quest'ultimo, alle fatture emesse nell'anno 2008 -, e, nei confronti della D.F., in ordine al reato ascrittole al capo a), perchè estinti per prescrizione; rideterminava, per l'effetto, la pena inflitta a W. e B. in 1 anno, 6 mesi e 6 giorni di reclusione per i reati loro ascritti ai capi a), m) ed o), limitatamente per quest'ultimo alle fatture emesse nell'anno 2009; revocava la confisca per equivalente dell'importo di Euro 33.468,52 disposta per IVA fatture 2008 e riduceva l'importo della confisca disposta per IVA fatture carburante ad Euro 17.254,20; confermava, nel resto, l'appellata sentenza condannando tutti gli imputati, in solido tra loro, alla rifusione in favore delle parti civili delle spese di assistenza nel grado di appello, liquidate come da dispositivo.
2. Giova, in particolare, precisare, ai fini della migliore intelligibilità dei ricorsi proposti dagli attuali imputati, che si procede per i seguenti reati, di seguito sinteticamente illustrati.
2.1. Nei confronti di T., W. e B.:
a) per il reato di evasione dell'IVA all'importazione in concorso (capo a): art. 110 c.p., D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, in relazione al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 292, aggravato a norma del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 295, comma 3), perchè - il primo, quale comandante dello yacht (OMISSIS) e procuratore/rappresentante della Autumn Sailing Limited, il secondo, quale amministratore e legale rappresentante della predetta società e, il terzo, quale amministratore di fatto e proprietario della predetta società e, dunque, effettivo proprietario dello yacht (OMISSIS) - simulando lo svolgimento di un'attività commerciale di noleggio, in concorso tra loro, consentivano a B.F., cittadino comunitario, di utilizzare il predetto yacht, iscritto in un paese extra UE e di proprietà di un soggetto extracomunitario, per uso diportistico all'interno dell'UE, senza versare la dovuta IVA all'importazione; fatto contestato come commesso in acque territoriali italiane dal (OMISSIS) ed in altre località fino al (OMISSIS);
b) per il reato di indebita sottrazione al pagamento delle accise in concorso (capo m): art. 110 c.p., D.P.R. n. 504 del 1995, art. 40, comma 1, lett. c), e comma 4,), perchè nelle qualità predette, ed in concorso tra loro, mediante il rifornimento e l'introduzione nello yacht (OMISSIS) del carburante in assenza delle condizioni previste per l'esenzione dalle accise dal D.P.R. n. 43 del 1973, art. 2954, terzo periodo, destinavano il carburante acquistato come esente dalle accise ad usi soggetti ad imposta (in particolare in data (OMISSIS) venivano destinati ad usi soggetti ad imposta mediante l'inserimento nel predetto natante It. 96.565 di gasolio); fatto contestato come commesso in data (OMISSIS), con l'aggravante di aver destinato i prodotti petroliferi di cui sopra ad usi soggetti ad imposta in quantità superiore ai 2.000 kg.;
c) per il reato di emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti in concorso, limitatamente alle fatture emesse nell'anno 2009 (capo o): artt. 110,48 ed 81 cpv. c.p., D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8), perchè, nelle qualità predette ed in concorso tra loro, dopo aver indotto in errore i fornitori delle prestazioni di cui alle fatture indicate nell'elenco allegato, sul fatto di trattare con una società realmente esistente e realmente commerciale (società, invece, in realtà realizzata artificiosamente solo per dissimulare la destinazione non esclusivamente commerciale e prevalentemente da diporto del natante (OMISSIS)), si facevano così emettere le fatture indicate nell'elenco e relative ad operazioni soggettivamente inesistenti (in quanto intercorse tra soggetti diversi da quelli effettivi perchè la società Autumn Sailing Limited risultava appositamente realizzata per dissimulare la destinazione non esclusivamente commerciale del predetto natante di cui era unico e reale effettivo proprietario il B.F.); ciò al fine di evadere le imposte e con conseguente induzione in errore anche dell'Erario in ordine alla sussistenza dei presupposti per la non imponibilità IVA in relazione alle fatture di cui all'allegato elenco e con profitto ingiusto consistente nell'evasione dell'IVA per una somma complessiva di Euro 81.176,68 con pari danno per l'Erario; fatto contestato come commesso in (OMISSIS) ed altre località nelle date delle fatture dal (OMISSIS) e fino al (OMISSIS) nonchè aggravato dalla transnazionalità L. n. 146 del 2006, ex art. 3, comma 1, per essere stato posto in essere da un gruppo criminale organizzato (struttura di controllo e direzione del trust FB e delle società controllate in particolare dalla Autumn Salling Limited nonchè del predetto natante), o comunque con il coinvolgimento di tale gruppo, per essere avvenuta una parte sostanziale delle azioni di preparazione, pianificazione, direzione e controllo in territorio estero (Principato di Monaco, Confederazione Elvetica e Repubblica di Cipro.
2.2. Nei confronti di T., D.F. e B.:
a) per il reato di emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti in concorso (capo n): artt. 110,48 ed 81 cpv. c.p., D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8), perchè, nelle qualità predette ed in concorso tra loro, dopo aver indotto in errore i fornitori delle prestazioni di cui alle fatture indicate nell'elenco allegato, sul fatto di trattare con una società realmente esistente e realmente commerciale (società, invece, in realtà realizzata artificiosamente solo per dissimulare la destinazione non esclusivamente commerciale e prevalentemente da diporto del natante (OMISSIS)), si facevano così emettere le fatture indicate nell'elenco e relative ad operazioni soggettivamente inesistenti (in quanto intercorse tra soggetti diversi da quelli effettivi perchè la società Autumn Sailing Limited risultava appositamente realizzata per dissimulare la destinazione non esclusivamente commerciale del predetto natante di cui era unico e reale effettivo proprietario il B.F.); ciò al fine di evadere le imposte e con conseguente induzione in errore anche dell'Erario in ordine alla sussistenza dei presupposti per la non imponibilità IVA in relazione alle fatture di cui all'allegato elenco e con profitto ingiusto consistente nell'evasione dell'IVA per una somma complessiva di Euro 1.481.239,00 con pari danno per l'Erario; fatto contestato come commesso in (OMISSIS) ed altre località nelle date delle fatture e fino all'(OMISSIS) nonchè aggravato dalla transnazionalità L. n. 146 del 2006, ex art. 3, comma 1, per essere stato posto in essere da un gruppo criminale organizzato (struttura di controllo e direzione del trust FB e delle società controllate in particolare dalla Autumn Sailing Limited nonchè del predetto natante), o comunque con il coinvolgimento di tale gruppo, per essere avvenuta una parte sostanziale delle azioni di preparazione, pianificazione, direzione e controllo in territorio estero (Principato di Monaco, Confederazione Elvetica e Repubblica di Cipro).
3. Contro la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori di fiducia, iscritti all'Albo speciale ex art. 613 c.p.p., prospettando complessivamente trenta motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..
4. Ricorso T., con cui i difensori di fiducia del medesimo articolano i seguenti dieci motivi.
4.1. Deducono, con il primo motivo, violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 bis, art. 68, art. 4, comma 5, lett. a), e art. 70, e correlato vizio di motivazione.
In sintesi, dopo aver richiamato il percorso argomentativo della decisione sul punto, si censura la sentenza impugnata per essere pervenuta alla conclusione che l'utilizzo da parte del socio deve essere residuale rispetto all'attività commerciale vera e propria, ossia laddove i giudici affermano che, essendovi stato un uso prevalente del B., non vi sarebbe diritto al beneficio fiscale previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 68; diversamente, si sostiene, il beneficio è concesso se il bene è destinato ad un'attività economica quale quella prevista dall'art. 9 della Direttiva 112/2006/CEE che fornisce la definizione di attività economica valida per l'applicazione delle norme relative all'IVA; sarebbero estranei all'individuazione dell'attività economica, quale presupposto per la fruizione del beneficio fiscale, l'esclusività e la prevalenza che, invece, la sentenza ricaverebbe attraverso un'operazione ermeneutica che tralascia il dato letterale per far emergere un contenuto implicito ed univoco, richiamando il ricorrente, a sostegno di tale esegesi, alcune decisioni della giurisprudenza di legittimità in sede civile.
4.2. Deducono, con il secondo motivo, violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 bis, art. 68, art. 4, comma 5, lett. a), e art. 70, e correlato vizio di motivazione.
Richiamando alcuni dei profili di doglianza esposti nel primo motivo, si rileva che i giudici di appello hanno giustificato l'affermazione di responsabilità evidenziando, da un lato, l'uso prevalente del socio e, dall'altro, indicando altri fatti indicatori del non essere in presenza di un'attività commerciale; con particolare riferimento a questi ultimi, viene denunciato un "vistoso" vizio motivazionale sotto il profilo dell'illogicità, laddove la Corte territoriale, a differenza di quanto operato dal primo giudice, avrebbe omesso di valutarli e contestualizzarli; i giudici di appello avrebbero, peraltro, omesso di considerare i motivi di appello afferenti prove e ricostruzione del fatto, limitandosi a fare riferimento alla motivazione della sentenza di primo grado, richiamata integralmente, ma valorizzando fatti che il primo giudice aveva valutato come favorevoli alla ricostruzione difensiva circa l'effettività dell'esercizio di un'attività commerciale (il riferimento, in ricorso è: 1) ai lavori di refitting del natante, costati 6 min. di Euro a fronte di un risparmio IVA contestato i poco più di 2 min. di Euro, dato valorizzato dal primo giudice al fine di riconoscere la destinazione commerciale dell'imbarcazione e rispetto al quale viziata appare la motivazione della sentenza di appello secondo cui i predetti lavori avrebbero avuto come effetto quello di migliorare il comfort dell'imbarcazione e quello personale dei passeggeri, sicchè si sarebbero sostanziati in un vantaggio personale per lo stesso B.; 2) all'asserito condizionamento di B. circa il godimento dell'imbarcazione, dato che non avrebbe per il primo giudice alcun valore decisivo per affermare il carattere non commerciale dell'attività di gestione del natante, laddove invece i giudici di appello non avrebbero considerato i motivi di impugnazione in cui si evidenziava come il fatto secondo cui la nave non era disponibile per il noleggio a causa di esigenze personali del B. era risultato invece non rispondente al vero dall'analisi della documentazione dei noleggi effettuati, essendo emerso al contrario che il B. aveva rinunciato a noleggiare in proprio l'imbarcazione proprio per far posto ai charteristi terzi; 3) le modalità di contrattualizzazione diverse per il B. rispetto ai charteristi terzi, le quali erano state ritenute dal primo giudice come non aventi valenza accusatoria essendo possibile una lettura completamento opposta ed avente pari dignità logico-giuridica degli stessi elementi, circostanza rispetto alla quale nei motivi di appello si era evidenziato che in contratti in bianco rinvenuti sul natante non erano predisposti per il solo B. ma per tutti i charteristi, in quanto gli eventuali prolungamenti del contratto di noleggio decisi in corso di navigazione da parte di charteristi terzi presupponevano la presenza a bordo di contratti firmati in bianco, circostanza, tuttavia, che non sarebbe stata esaminata dalla sentenza impugnata; 4) l'asserita diversità di condizioni economiche praticate al B., il quale pur noleggiava l'imbarcazione effettivamente nei casi in cui intendeva utilizzarla personalmente, circostanza, questa, ritenuta indiziariamente rilevante anche se non risolutiva per il primo giudice, circostanza a fronte della quale nei motivi di appello si era contestato che il mancato pagamento di alcuni charter da parte del B. per un periodo complessivo di due settimane sarebbe stato frutto di un errore, avendo il primo giudice considerato come non pagato il noleggio dal 6 al 10.09, non effettuato dal B., come era stato ancora sottolineata la restituzione del pagamento del charter effettuato nel 2005, elementi rispetto ai quali si registra il silenzio della sentenza impugnata; 5) il cosiddetto cambio di classe o di destinazione, in relazione al quale, nei motivi di appello, si era evidenziato come detto cambio non fosse tipico dell'utilizzo privato e non commerciale dell'imbarcazione, aggiungendosi che lo stesso non era stato fatto esclusivamente per viaggi che interessavano il B., osservandosi come l'imbarcazione risultava essere stata noleggiata dal 12 al 26.01 per 369.000 Euro da Mr. S./ V. Holdin Ltd. E che nei periodi in cui risultano esservi stati cambi di destinazione, l'imbarcazione risultava essere stata noleggiata, come provato da contratti e pagamenti, elementi sui quali tuttavia la Corte d'appello avrebbe omesso di motivare.
4.3. Deducono, con il terzo motivo, violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 504 del 1995, art. 40, comma 1, lett. c), e art. 4, in relazione al delitto sub m) della rubrica, e correlato vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Si censura l'affermazione dei giudici di merito che hanno ritenuto configurata l'evasione dell'accisa sul carburante alla luce della ritenuta non commercialità dell'attività del natante (OMISSIS); a tal fine, il ricorso richiama le argomentazioni svolte nei primi due motivi a sostegno dell'erroneità giuridico-motivazionale sul punto della predetta non commercialità dell'attività.
4.4. Deducono, con il quarto motivo, violazione di legge in relazione agli artt. 43 e 110 c.p., D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, e anche in relazione al D.P.R. n. 43 del 1973, artt. 292 e 295, e correlato vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto all'affermata sussistenza dell'elemento soggettivo del contestato reato di evasione dell'IVA all'importazione.
Si censura la sentenza impugnata laddove ha confermato il giudizio di responsabilità del ricorrente, comandante dell'imbarcazione e rappresentante della stessa con i fornitori dal 21.03.2006, senza tener conto di quanto censurato nei motivi di appello, in cui si contestava che questi fosse consapevole dell'omesso pagamento dell'IVA all'importazione e del fatto che quest'ultima non poteva godere del beneficio fiscale; sul punto, si contesta l'erroneità dell'affermazione secondo cui il comandante era consapevole dell'evasione dell'IVA all'importazione, in quanto l'ingresso nelle acque comunitarie, nel momento in cui è nato l'obbligo di corrispondere il tributo, era avvenuto nell'anno 2005, quando comandante era tale D.T. e non il T.; quanto sopra non sarebbe stato considerato dai giudici di appello, limitatisi ad affermare che il dato probatorio dimostrava che il comandante partecipasse alla gestione dell'imbarcazione.
4.5. Deducono, con il quinto motivo, violazione della legge processuale in relazione all'art. 521 c.p.p., comma 2.
Si sostiene che, in relazione al capo o) della rubrica, il T. è stato condannato dal primo giudice ritenendo accertata una fattispecie concreta diversa da quella contestata, nullità che sarebbe stata dedotta nei motivi di appello; il primo giudice, avrebbe apertamente smentito il fatto storico descritto nell'imputazione, addivenendo ad una condanna per fatto diverso da quello contestato, in violazione della predetta norma processuale; in sostanza, il capo di imputazione si fonderebbe sul presupposto che la società fosse stata costituita con il solo intento di schermare il reale destinatario della prestazione fornita, ossia il vero soggetto passivo identificato nel B.; il tribunale, invece, avrebbe sovvertito la reale ricostruzione dei fatti, ritenendo che l'affermazione - contenuta nell'imputazione - secondo cui la società fosse stata appositamente costituita per dissimulare la destinazione non completamente commerciale del natante, risulta smentita dalle risultanze istruttorie; tale conclusione del primo giudice accoglieva la prospettazione difensiva tendente a dimostrare il carattere non fittizio della società, sicchè, l'affermazione di responsabilità del giudice di primo grado - non fondata sulla natura fittizia della società ma sul diverso fatto della mancata corrispondenza del destinatario sostanziale della fattura che sarebbe stato schermato da una società effettivamente esistente ed attiva nel settore dei natanti - avrebbe determinato la violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, sicchè il giudice di appello avrebbe dovuto dichiarare ex art. 604 c.p.p. la nullità della sentenza impugnata restituendo gli atti al PM.
4.6. Deducono, con il sesto motivo, violazione della legge processuale in relazione all'art. 125 c.p.p., comma 3.
Richiamando quanto esposto nel motivo sub 5), sostiene il ricorrente che la Corte d'appello avrebbe completamente omesso di rispondere sull'eccezione di nullità come proposta; i giudici di appello, in altri termini, quanto all'imputazione sub o), con riferimento al profilo della possibile inesistenza soggettiva delle operazioni, dopo aver prospettato due possibili interpretazioni della contestazione, avrebbero prescelto quella secondo cui l'aver attribuito alla società una qualità in realtà inesistente, equivaleva a dire l'essere soggetto esente IVA in quanto società svolgente attività commerciale di charter; i giudici, quindi, lungi dall'aver risposto all'eccezione di nullità come proposta, sarebbero caduti nello stesso errore del primo giudice, in quanto avrebbero omesso di rilevare che l'imputazione si fonda su un fatto naturalistico completamente diverso da quello per cui è intervenuta condanna, ossia l'effettiva inesistenza della società; nè potrebbe ritenersi sul punto un'implicita reiezione del motivo di appello, essendosi solo limitata la sentenza d'appello ad una diversa interpretazione dell'imputazione, inidonea a tal fine.
4.7. Deducono, con il settimo motivo, violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, e correlato vizio di motivazione.
Si censura la sentenza impugnata in quanto, pur avendo riconosciuto la non fittizietà della società, avrebbe confermato la sentenza di condanna nei confronti dell'imputato; l'interpretazione offerta dalla Corte d'appello - secondo cui l'inesistenza soggettiva poteva affermarsi con riguardo alla mancanza nell'acquirente/committente Autumn Sailing Limited della qualità di soggetto esente IVA, poichè nella fattispecie di cui all'art. 8, le qualità soggettive da prendere in considerazione sono quelle rilevanti "in base alle norme tributarie", donde l'indicazione della predetta società come soggetto esente IVA avrebbe finito per riferire l'operazione ad un soggetto diverso da quello effettivo, attribuendogli una qualità, decisiva ai fini della determinazione del trattamento impositivo, insussistente stravolgerebbe il significato giuridico della norma, e segnatamente, del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 1, che definisce le ff.00.ii. quelle fatture che, per quanto qui di interesse, riferiscono l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi, donde fattura soggettivamente inesistente è solo la fattura emessa verso un soggetto piuttosto che un altro, richiamandosi a sostegno dell'assunto quanto affermato da questa sezione con la sentenza n. 3203/2008 di cui vengono riportati ampi stralci della motivazione; in definitiva, dunque, sarebbero le stesse norme tributarie a suggerire l'interpretazione opposta, sostenuta dalla difesa, e, nel caso di specie, una volta esclusa la natura fittizia della società e l'esistenza della stessa, in ottemperanza alle norme tributarie la fattura non poteva che essere emessa verso la società, avendo la stessa, in quanto realmente operante, gestito il natante in questione, essendo stati dunque effettiva committente e destinataria delle prestazioni offerte dai soggetti emittenti; solo nel caso in cui fosse stata provata l'inesistenza della Autumn Sailing Limited, dunque, si sarebbe potuto affermare che il soggetto passivo della fattura non fosse la società ma il B., laddove, invece, essendo venuto meno tale presupposto, non è possibile affermare che la fattura sia stata emessa nei confronti di un soggetto piuttosto che di un altro; in sostanza, la fattura per non essere considerata soggettivamente inesistente dev'essere emessa in favore del soggetto reale che ha ricevuto la prestazione oggetto di fattura, in quanto l'interposizione soggettiva per essere penalmente rilevante ex art. 8, dev'essere fittizia, ossia dev'essere relativa ad un soggetto non realmente esistente.
4.8. Deducono, con l'ottavo motivo, violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, e correlato vizio di motivazione in relazione all'art. 125 c.p.p., comma 3.
Sotto diverso ed ulteriore profilo, si sostiene l'insussistenza del delitto de quo, come esposto nei motivi di appello su cui la Corte territoriale sarebbe rimasta silente; in sintesi, si afferma che per potersi configurare il delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti, la fattura dev'essere potenzialmente idonea ad essere utilizzata nella dichiarazione dei redditi con il fine evasivo, dunque suscettibile di essere utilizzata a fini fiscali; diversamente, nel caso di specie, le fatture risultano emesse nei confronti di un soggetto esente IVA, sicchè l'evasione dell'IVA si sarebbe verificata nel momento stesso del pagamento, senza alcuna finalità di utilizzazione ulteriore della fattura, in quanto non è la fattura a consentire l'evasione, ma la destinazione commerciale del natante; da qui, dunque, l'insussistenza del fatto contestato.
4.9. Deducono, con il nono motivo, violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, e correlato vizio di motivazione in relazione all'art. 125 c.p.p., comma 3.
Si contesta l'impugnata sentenza per non aver preso in esame i motivi di appello con cui si contestava l'insussistenza dell'elemento psicologico del delitto de quo, sub specie del dolo specifico; censurabile sarebbe l'affermazione del primo giudice secondo cui la gestione impropria del natante richiede il concorso consapevole del comandante, che, calcolando rispetto ad una data rotta, le necessità in termini di carburante, ne dispone l'acquisizione, il pagamento e la relativa fatturazione; diversamente, si osserva in ricorso, nei motivi di appello tale argomento era stato oggetto di censura, in particolare precisandosi come la consapevolezza da parte del ricorrente avrebbe dovuto ricomprendere tutti i fatti posti alla base della perdita di commercialità della società, ciò di cui in dibattimento non era emersa alcuna prova; a ciò era da aggiungersi come non solo la riscossione dei pagamenti e la fatturazione non erano attività di competenza del ruolo ricoperto dal comandante, ma anche che, a sostegno della mancanza di prova della consapevolezza in capo al T., che nel momento in cui era sorto l'obbligo di corresponsione del tributo, anno 2005, il comandante era tale D.T. e non il T.; tali argomentazioni, svolte nei motivi di appello, avrebbero dovuto essere valutate soprattutto in considerazione della natura del dolo, specifico, richiesto per la configurabilità del reato in esame, consistente nella coscienza e volontà di favorire l'evasione fiscale di terzi, difettando agli atti una prova di tale consapevolezza e volontà; ma su tale aspetto la sentenza sarebbe del tutto silente, con conseguente vizio di omessa motivazione.
4.10. Deducono, con il decimo ed ultimo motivo, violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, con riferimento alla affermata natura permanente del reato di evasione dell'IVA all'importazione.
Si censura la sentenza impugnata per aver respinto l'eccezione di prescrizione del reato di cui sopra, sollevata dall'allora appellante in base al rilievo per cui, essendo l'importazione avvenuta nel marzo 2005, il reato doveva ormai ritenersi estinto per prescrizione maturata prima della sentenza di primo grado; diversamente, i giudici di appello, richiamando una recente sentenza di questa sezione (il riferimento è alla sentenza n. 56264/2017, PG in proc. Elson ed altro) avrebbero ritenuto il reato di evasione dell'IVA all'importazione un reato permanente, in quanto l'antigiuridicità conseguente al fatto di aver importato un bene senza pagamento dell'IVA permane sul bene medesimo in tutte le vicende successive, cessando solo nel momento in cui viene meno l'antigiuridicità, in questo caso coincidente con la data del sequestro del natante, intervenuto in data (OMISSIS), sicchè, tenuto conto delle sospensioni del termine di prescrizione, intervenute nel giudizio di merito, non risultava ancora decorso alla data della sentenza d'appello; detta conclusione, a giudizio del ricorrente, sarebbe infondata, in quanto si baserebbe sull'errata interpretazione cui è pervenuta la c.d. sentenza Elson, contrastando con altra è più apprezzabile giurisprudenza di questa Corte (il riferimento è alla sentenza 28251/2015, ric. Kirichenko, non massimata) che, invece, ritiene correttamente che l'IVA all'importazione non dev'essere considerata un diritto di confine, con la conseguenza ciò che comporta inevitabili ricadute sul termine di prescrizione del reato; in particolare, dopo aver richiamato numerosi stralci di tale decisione, la difesa del ricorrente sostiene come l'analisi della stessa dimostrerebbe quanto sia ingiustificata l'affermazione opposta cui perviene la sentenza impugnata sulla scia della sentenza Elson, essendo quest'ultima basata sull'automatica, ma errata, trasposizione di un principio giurisprudenziale elaborato con riferimento ai reati di contrabbando alla diversa fattispecie di evasione dell'IVA all'importazione; difetterebbe, infatti, il presupposto normativo per affermare che l'IVA all'importazione, in quanto tributo gravante sulla merce, si trasmette anche ai successivi percettori, fino a quando la merce stessa rimane sottratta al controllo della P.A., ma anche la ratio delle norme sul contrabbando non potrebbe essere automaticamente estesa alla fattispecie di evasione dell'IVA all'importazione, non solo perchè l'IVA non è un tributo che grava sulla merce ma sull'operazione, ma anche perchè non è affatto detto che l'operazione di importazione venga tenuta nascosta all'Amministrazione finanziaria ed all'Autorità giudiziaria, anzi dimostrando le emergenze processuali come, nel caso di specie, tutto sia avvenuto alla luce del sole.
5. Ricorso D.F., con cui i difensori di fiducia articolano i seguenti due motivi.
5.1. Deducono, con il primo motivo, violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, quanto alla asserita natura permanente del reato di evasione dell'IVA all'importazione.
Richiamando argomenti già sostenuti nel decimo motivo di ricorso T., v. supra, rileva la ricorrente l'errore in cui è incora l'impugnata sentenza che, nell'aderire a quanto affermato dalla già richiamata sentenza Elson, ha ritenuto il reato de quo un reato permanente, e non invece, come sostenuto dalle difese degli imputati, al più un reato istantaneo con effetti permanenti; sul punto, dopo aver rilevato che ad opposta conclusione risultano essere pervenute altre decisioni di questa Corte (il riferimento, in ricorso, è alle sentenza n. 19514/2004 e n. 42462/2016), si sostiene che l'IVA all'importazione è un'imposta il cui presupposto è affatto diverso da quello dei dazi doganali, anche se la legge stabilisce, per mere ragioni di opportunità pratica, un medesimo meccanismo di riscossione ed un'equiparazione del solo regime sanzionatorio; attesa l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale sul punto, pertanto, si chiede la rimessione alle Sezioni Unite del ricorso, sottolineando l'interesse dell'imputata al ricorso, nonostante il proscioglimento per intervenuta prescrizione dal reato sub a), in quanto, ove il motivo venisse accolto, la maturazione del termine di prescrizione andrebbe a retrocedere a data anteriore all'avviso del procedimento penale, con conseguenziale revoca di tutte le statuizioni civilistiche.
5.2. Deducono, con il secondo motivo, violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, e D.P.R. n. 43 del 1973, art. 301, con riferimento alla disposta confisca del natante.
Si sostiene che, riferendosi l'art. 301 citato ai soli casi di "contrabbando", l'estensione in via analogica al caso in esame apparirebbe illegittima, non potendosi peraltro sostenere che il natante fosse servito o destinato a commettere il reato o che lo stesso ne costituisse il prodotto o il profitto; il tributo, infatti, andrebbe parametrato al valore del natante, in quanto il vero oggetto del reato è l'operazione dell'importazione; ove, peraltro, si ritenesse accoglibile il primo motivo, il reato sarebbe estinto per prescrizione in data anteriore all'intervenuto sequestro, e quindi all'apertura del procedimento, con conseguente impossibilità di disporre la confisca.
6. Ricorso W., con cui i difensori di fiducia articolano i seguenti dieci motivi.
6.1. Deducono, con il primo motivo, violazione di legge processuale in relazione all'art. 491 c.p.p., art. 178 c.p.p., lett. c), per la mancata dichiarazione di nullità del d.c. a giudizio con conseguente nullità degli atti conseguenti in relazione all'impedimento a comparire dell'imputato documentato all'ud. Preliminare, e correlata nullità delle ordinanze del GUP/Genova del 16.10.2013 e 19.11.2013.
Richiamata la sequenza procedimentale prodromica alla proposizione, sin dall'udienza preliminare, dell'eccezione di nullità per non aver l'imputato potuto partecipare scientemente al processo a causa dell'impedimento a comparire per gravi ragioni di salute causato dal grave incidente (OMISSIS) che, sin dal (OMISSIS)2013, avrebbe precluso al ricorrente di partecipare scientemente al processo, la difesa del ricorrente censure, anzitutto, l'ordinanza con cui il GUP aveva rigettato l'istanza difensiva con cui si eccepiva l'impossibilità dell'imputato a presenziare all'udienza preliminare del 16.1.2013, non ritenendo in base ad un'intervista televisiva rilasciata dal medesimo che fosse provato il carattere assoluto dell'impedimento (illogica sul punto sarebbe la motivazione del giudice di appello secondo cui la medesima udienza si sarebbe protratta per poche ore e non per l'intera giornata, ciò che avrebbe comportato il rischio per la salute paventato nel certificato medico della difesa, dovendosi valutare invece l'impedimento a comparire ex ante e non già al termine dell'udienza); in secondo luogo, si censurano le ordinanze del GUP del 16.10 e del 19.11.2013 che avrebbero rigettato l'eccezione sulla base della sola visione del filmato e senza mai disporre una perizia, essendo empirico il tentativo di superare la consistente documentazione medica in atti prodotta attraverso la semplice visione del programma televisivo; in terzo luogo, quanto all'ordinanza 18.11.2013, si censura l'ordinanza del GUP laddove, pur a fronte di un ricovero d'urgenza dell'imputato documentato con certificato medico del 15.11, aveva respinto l'eccezione di impedimento a comparire del ricorrente senza disporre alcun approfondimento, in base al rilievo che la diminuzione della capacità di concentrazione o di difficoltà di memoria non erano tali da impedirne la comparizione e che la certificazione, datata quattro giorni prima dell'udienza, non dava prova dell'attualità dell'impedimento; in quarto luogo, si censura per contraddittorietà la pronuncia dei giudici di appello laddove gli stessi riconoscono esente da vizi la perizia ex art. 70 c.p.p., redatta dal dott. T. (nominato dal tribunale, che, pur riconoscendo che l'imputato non era stato sottoposto a visita medica, aveva condotto la valutazione sulla scorta della sola documentazione disponibile, escludendo la incapacità di partecipare al processo e precisando che eventuali cadute delle capacità di attenzione nel corso delle udienze avrebbero potuto essere ovviate con brevi sospensioni delle udienze) in quanto la mera valutazione dei documenti senza visita medica non poteva certo ritenersi maggiormente attendibile da un punto di vista diagnostico rispetto a quanto attestato da una pluralità di specialisti nominati dal ricorrente che in tempi successivi lo avevano visitato e sottoposto ai relativi trattamenti, dovendosi peraltro rilevare come l'imputato, nel gennaio 2014, avesse avuto una grave ricaduta, ciò che privava di rilievo l'affermazione dei giudici di appello i quali avevano evidenziato come nel luglio 2013 lo stesso imputato avesse risposto ad uno dei medici circa il trattamento terapeutico adottato, atteso che la ricaduta successiva avrebbe dovuto indurre i giudici a valutare con maggior attenzione il suo stato di capacità.
6.2. Deducono, con il secondo motivo, violazione di legge processuale in relazione all'art. 143 c.p.p., per omessa traduzione della sentenza impugnata in una lingua comprensibile all'imputato.
Si duole il ricorrente della mancata traduzione in lingua francese della sentenza di appello, sostenendo che egli non conosce la lingua italiana e che nel corso del giudizio sia la sentenza di primo grado che l'informazione di garanzia erano state tradotte in francese, così come l'interrogatorio reso nella fase delle indagini preliminari era stato svolto con l'ausilio di un interprete francofono; ciò avrebbe comportato un'indebita limitazione del proprio diritto di difesa.
6.3. Deducono, con il terzo motivo, violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, e all'art. 68, con riferimento all'art. 8 bis, del citato decreto, quanto all'identificazione del presupposto dell'imponibilità dell'IVA all'importazione dell'imbarcazione (OMISSIS) e correlato vizio di manifesta illogicità della motivazione per travisamento della circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 43/E del 29.09.2011 o comunque vizio di carenza e/o illogicità manifesta della motivazione. Si censura la sentenza impugnata in quanto imperniata su un ragionamento inficiato dalla falsa premessa secondo cui la destinazione commerciale del natante debba essere apprezzata nella dimensione meramente quantitativa del suo esercizio e non già, come sarebbe corretto, nell'obiettiva natura di tale esercizio; la motivazione, dunque, sarebbe anche carente in quanto il giudice di appello non avrebbe nemmeno individuato in cosa consista la destinazione commerciale richiesta dalla norma e se il natante ne fosse munito; anzitutto, la sentenza non avrebbe correttamente considerato il presupposto genetico della norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 bis, che è di derivazione comunitaria (precisamente la VI Direttiva del Consiglio 17,05.1977 n. 77/388/CE), proponendone una singola interpretazione domestica, laddove invece avrebbe dovuto fornirne una lettura non contrastante con tale direttiva; essendo la finalità della direttiva quella di armonizzare i presupposti impositivi, l'interesse alla corretta applicazione dell'IVA come la sua esenzione hanno portata sovranazionale, donde la definizione di "attività commerciale" cui si riconnette l'imposizione fiscale, deve avere valore univoco nell'Unione, e dunque non può avere interpretazioni mutevoli da Stato a Stato; richiamata la definizione di cui alla Direttiva 2006/112/CE del 28.11.2006 che ha sostituito quella del 1977, evidenzia il ricorrente come è commerciale ogni operazione che comporti lo sfruttamento di un bene materiale per ricavarne introiti aventi un certo carattere di stabilità, nozione quindi priva di aggettivi o di qualsivoglia qualità, rilevando il concetto nella sua essenzialità; se, del resto, si osserva, la ratio dell'esenzione, è quella di favorire l'esercizio di attività commerciali all'interno UE, è all'attività commerciale come definita dal legislatore europeo che deve riconnettersi l'esenzione e non a modalità contingenti di esercizio della stessa, di cui non v'è alcuna traccia nella lettera della norma, che richiama l'attività commerciale senza aggettivi, senza cioè menzionare alcun concetto di esclusività o di prevalenza; in altri termini, secondo la direttiva del 2006, un'attività o è commerciale oppure non lo è: tertium non datur; l'interpretazione di cosa debba intendersi per "attività commerciale", dunque, è quella fornita dalla normativa comunitaria che coincide, peraltro, con il diritto nazionale; in tal senso, si osserva, opinabile è quanto sostenuto dal giudice di merito secondo cui, se è vero che l'art. 8 bis, citato, quando si riferisce alla destinazione commerciale delle navi (lett. a), non ne richiama alcun profilo quantitativo, la stessa norma, quanto agli aeromobili (lett. c), menziona invece il criterio della prevalenza, sicchè, in mancanza di specificazione, secondo il primo giudice, il requisito della destinazione commerciale dovrebbe essere inteso nel senso dell'esclusività, o quantomeno della prevalenza, come previsto sia per gli aeromobili che per l'autoconsumo D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 4, comma 5, lett. a); si tratterebbe, tuttavia, di argomento erroneo, sia perchè l'accostamento tra lo stato giuridico delle navi e quello degli aeromobili è del tutto arbitrario, in quanto non solo la lett. a) non richiama la lett. c) e viceversa non potendo conseguentemente l'una disposizione fungere da criterio interpretativo dell'altra, ma anche e soprattutto dalla lett. c) non può desumersi quanto affermato dal primo giudice, tenuto peraltro conto che lo stesso richiamo al concetto di "prevalenza" che sarebbe contenuto nella lett. c), sarebbe frutto di una forzatura semantica, non attenendo detta prevalenza al quantum o alla frequenza temporale dell'esercizio dell'impresa, ma all'esercizio dell'aeromobile passibile di imposta per tratte internazionali con prevalenza rispetto ai voli nazionali; in altri termini, si osserva, la ratio della norma riguardante gli aeromobili, invero, appare facilmente intuibile, atteso che le caratteristiche intrinseche del mezzo di trasporto, la sua velocità e la peculiarità del trasporto internazionale, rendendo difficile l'univoca individuazione del presupposto impositivo in un solo Paese, giustificherebbe l'esenzione; in sostanza la lett. a) e la lett. c) disciplinano beni del tutto differenti, altrimenti navi e aeromobili sarebbero stati regolati dal medesimo alinea, con la conseguenza che non vi sarebbero interpretazioni che consentono di allontanare plausibilmente il richiamo senza riferimenti quantitativi della lett. a) alla destinazione commerciale dal solco della definizione di attività commerciale, individuata in maniera coerente e convergente, in altri ambiti del diritto, sia civile (il riferimento è all'art. 2082 c.c.) che tributario (il riferimento è all'art. 9, direttiva del 2006 che definisce il soggetto passivo IVA); in altri termini, a connotare l'attività commerciale in modo tale da imprimere al bene la relativa destinazione, è l'organizzazione dell'impresa costituita attorno al bene, idonea a conferirgli una "potenzialità" reddituale, essendo l'effettivo conseguimento di utili un elemento puramente aleatorio ed accidentale, come del resto fatto proprio dalla stessa Cassazione in sede tributaria, laddove si è affermato che la nozione di destinazione ad attività commerciale cui si riferisce la lett. c) citata, si riferisce alle caratteristiche strutturali della nave e non a scelte soggettive del committente o dell'acquirente (il richiamo è a Cass., sez. T., n. 7142/2001); in definitiva, dunque, la com-mercialità è un requisito oggettivo che connota stabilmente il bene nella sua essenzialità, estranei restando eventuali aspetti soggettivistici che darebbero vita a inevitabili incertezze; ne discende, quindi, che individuato il requisito normativo della destinazione commerciale nella sua dimensione oggettiva, censurabile risulta la sentenza impugnata che ha negato la qualifica di "commerciale" del natante senza nemmeno precisare in cosa tale qualifica consistesse; il richiamo a una serie di profili (mancato pagamento di un noleggio da parte del B.; possibilità di quest'ultimo di godere di più o meno diuturne opzioni d'uso del mezzo pagandone il prezzo rispetto ad latri clienti; mancata pagamento di un noleggio o sconti sulla benzina) non avrebbero alcun rilievo ove la "commercialità" del natante debba essere come si propone, in senso oggettivo, a ciò aggiungendosi come la stessa pratica di qualche sconto al B. come cliente abituale non apparisse anomala o comunque tale da inficiare la stessa commercialità del (OMISSIS), tenuto conto del richiamo pubblicitario del noleggio a tale personaggio pubblico; si osserva, peraltro, che i giudici di merito non hanno negato la realtà ed effettività della società proprietaria del natante nè l'entità degli investimenti che il B. aveva effettuato sulla nave per migliorane il comfort, il che appare del tutto compatibile con il disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 5, sul c.d. autoconsumo, atteso che detta norma non statuisce che l'autoconsumo è ammesso solo se quantitativamente residuale nè conferma a contrario l'asserita regola della prevalenza dell'uso commerciale; la norma si limiterebbe ad affermare che l'autoconsumo è legittimo e non incide sulla sua destinazione commerciale del bene se avviene a prezzo normale, sicchè il giudice di appello avrebbe dovuto accertare se al B. fosse stato praticato un prezzo analogo a quello applicato ai noleggi stipulati con i terzi, e determinare anzitutto quale fosse stato il prezzo normale e non invece conteggiare quanti giorni all'anno il B. avesse noleggiato il natante; la conclusione secondo cui la norma dovrebbe essere interpretata nel senso che l'utilizzo del bene da parte del socio che paga il corrispettivo a valore normale può essere solo occasionale, è smentita dalla circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 43/E del 29.09.2011 che - in disparte il rilievo per cui la stessa non riveste nelle fonti del diritto rango superiore alle norme primarie - infatti stabilisce che qualora l'attività dell'impresa sia diretta anche al socio pur a prezzi di mercato, indica in particolare come non risolutivo in sè e per sè il requisito della prevalenza, dovendosi invece attingere ad altri criteri interpretativi quali l'utilizzo di un broker, la pubblicizzazione, la contrattazione con la clientela, etc.; inoltre, la sentenza apparirebbe carente laddove, limitandosi al mero conteggio algebrico dei noleggi, non ha operato alcuna comparazione tra gli incassi generati dai noli del B. e quelli sorti dal noleggio a terzi, cui pure la circolare faceva richiamo, con la conseguenza che la sentenza impugnata, pur riconoscendo che la sentenza era conforme agli altri requisiti imposti dalla circolare, sarebbe comunque censurabile laddove esclude che il natante potesse ritenersi commerciale per difetto del requisito della prevalenza; infine, il dedotto travisamento della circolare sarebbe ancora più grave ove si consideri che la Corte d'appello, spingendosi nel valutare l'esercizio del natante andando indietro di ben quattro anni, aveva concluso che il B. lo avesse noleggiato in una risicata maggioranza di casi (245 noli contro 221 dei terzi), il che a maggior ragione avrebbe imposto il ricorso ai criteri suppletivi menzionati nella circolare predetta, invece svalutati in maniera irragionevole del giudice di appello.
6.4. Deducono, con il quarto motivo, violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, con riferimento al divieto di doppia imposizione IVA previsto dall'art. 95, Trattato istitutivo UE e correlato vizio di motivazione per travisamento della documentazione attestante il pagamento, da parte del natante (OMISSIS), dell'imposta corrispondente presso il registro navale dello Stato delle Isole Cayman.
Si censura la sentenza impugnata per non aver tenuto conto della documentazione prodotta in dibattimento dalla difesa che attestava come, sin dal 2005, il natante in questione aveva assolto l'imposta prevista dalle isole Cayman, paese di registrazione; denunciando il c.d. travisamento per omissione, il ricorrente sottolinea che l'imposta pagata nello stato di registrazione costituisce un'imposta sulla proprietà dell'imbarcazione che viene riscossa dal registro navale nazionale delle Cayman, al momento dell'immissione del natante nella circolazione marittima; ne discende, pertanto, che avendo assolto l'imposta nel paese di registrazione, il natante non poteva essere soggetto ad una duplice imposizione, ossia sia nel paese di origine che in quello di importazione, con conseguenza di non debenza dell'IVA all'importazione; sul punto, ricorda il ricorrente che a far data dalla nota sentenza Drexl della CGUE del 1998, l'IVA all'importazione costituisce un tributo interno e non una tassa ad effetto equivalente ai dazi doganali, con la conseguenza che tale tributo è compatibile con il principio di neutralità dell'imposta previsto dall'art. 95, Trattato istitutivo UE; si tratta di una norma che è diretta a garantire la libera circolazione delle merci in ambito UE, con eliminazione dei tributi interni aventi caratteri discriminatori tra merci nazionali e comunitarie importate, pur subordinandola ad alcune condizioni; per tale ragione non è ammissibile una doppia imposizione ai fini IVA sulla stessa merce che abbia scontato analoga imposta nel paese di esportazione, pena la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70; del resto, si osserva, la giurisprudenza di legittimità ha ribadito che il divieto di doppia imposizione si applica anche all'IVA all'importazione, con conseguente inapplicabilità dell'art. 70 citato (il riferimento, in ricorso è alla sentenza n. 28251/2015 di questa Corte, che proprio in relazione ad un caso di importazione di un natante dalle isole Cayman, ha escluso la debenza dell'IVA all'importazione, pur richiedendo che la prova dell'avvenuto pagamento dell'imposta gravi sull'importatore; v. anche sentenza n. 429/2011 citata in ricorso); il predetto travisamento avrebbe valenza dirimente, atteso che la prova dell'avvenuto pagamento dell'imposta nel paese di esportazione rileva sullo stesso fatto dell'imposizione, comportando un ingiusto svantaggio per il bene che sconti una doppia imposizione rispetto ad un analogo bene che circoli sul territorio nazionale, comportando quindi la necessità di disapplicare il tributo di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, escludendo la configurabilità del reato di evasione dell'IVA all'importazione.
6.5. Deducono, con il quinto motivo, violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, art. 43 c.p., comma 1 e art. 47 c.p., quanto alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo di evasione dell'IVA all'importazione in capo al ricorrente, e correlato vizio di manifesta illogicità della motivazione sul punto.
La sentenza viene censurata sotto diversi profili per aver ritenuto sussistente il dolo del reato de quo; il ricorrente richiama anzitutto i passaggi argomentativi della sentenza impugnata che esclude la rilevanza della circolare n. 43/E del 2011, in primo luogo precisando che la circolare era stata emanata quando la nave era stata importata da tempo e che proprio l'interpretazione dell'Ufficio escludeva che la condotta degli imputati potesse ritenersi caratterizzata dalla "buona fede"; la circolare, in particolare, faceva richiamo alla necessaria prevalenza numerica dei noleggi stipulati con i terzi rispetto a quelli eseguiti per soci e/o familiari, questi ultimi ammissibili solo se svolti a prezzo di mercato e purchè aventi una rilevanza quantitativa marginale nell'ambito dell'attività di impresa, condizioni che per i giudici di appello l'imbarcazione non soddisfaceva; inoltre, si aggiungeva in sentenza, la stessa Circolare altro non avrebbe fatto che esplicitare anche mediante il ricorso ad esempi quanto disposto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 5, lett. a), non potendosi quindi ritenere esistente le equivocità della normativa di settore evocata dalle difese; a sostegno di tale esegesi, la sentenza richiama anche la vicenda di un charter in acque territoriali spagnole nel corso del quale il natante aveva mutato la sua classe da commerciai a pleasure (quindi denunciandosi come bene di puro godimento), al fine di non pagare l'IVA secondo la normativa vigente in quel paese, ciò a comprova del fatto che i ricorrenti erano perfettamente consapevoli dell'obbligazione tributaria insistente sulla nave e dell'intento elusivo che stavano perseguendo; nemmeno gli ingenti investimenti effettuati dal B. sul natante, ben sovrabbondanti rispetto all'importo dell'ipotetico obbligo fiscale ai fini IVA, secondo i giudici di appello non sarebbero valsi a contraddire l'intento doloso delle condotte contestate, tenuto conto dell'entità del tributo evaso e dei benefici comunque conseguiti dal B. per effetto degli investimenti; orbene, la motivazione dei giudici di appello è fatta oggetto di plurime censure: a) anzitutto, richiamando il travisamento della Circolare 43/E del 2001, i cui requisiti la (OMISSIS) soddisfaceva senza dubbio, on base a quanto dianzi esposto nel terzo motivo di ricorso, osservandosi come la condotta del contribuente che si adegui a quanto previsto dalle circolari dell'Ufficio, se non può considerarsi scriminata in senso tecnico, dovrebbe comunque ritenersi priva di dolo, documento la buona fede del contribuente medesimo; b) sul punto, l'argomento della sentenza secondo cui la circolare sarebbe stata emessa successivamente ai fatti sarebbe illogico, atteso che, da un lato, se è vero che le circolari non hanno l'effetto retroattivo di una norma scriminante, è tuttavia altrettanto indubbio che la circolare in questione avrebbe reso manifesta solo dopo la sua emissione l'illiceità di una condotta evidentemente prima non percepita come tale dall'ufficio, o su cui vi erano dei forti dubbi; il richiamo fatto dai giudici di appello alla posterità della circolare rispetto alla consumazione del reato costituisce argomento antitetico rispetto a quanto la sentenza di propone di dimostrare; le circolari, infatti, costituiscono un autorevole ausilio interpretativo nella cui essenza vi è il chiarimento di una situazione di dubbio che l'Ufficio si fa carico di fornire ai contribuenti, di iniziativa o, come nel caos in esame, su richiesta del contribuente; nel caso di specie, infatti, si trattava di una risposta ad un quesito posto da un contribuente sull'argomento; inoltre, non sarebbe logicamente nè giuridicamente accettabile motivare come fatto dalla Corte d'appello, atteso che è solo successivamente all'emissione di una Circolare che può affermarsi se il contribuente vi si è adeguato, mentre per tutto il tempo precedente lo stesso contribuente si trova ad operare anche in punto di vista di elemento psicologico, quantomeno in una situazione di obiettiva incertezza e, quindi, nel dubbio di come comportarsi; la sentenza, del testo, postula una intenzionalità dell'evasione sostenendo che gli imputati avevano eluso il contenuto di una circolare prima che fosse emessa; c) non sarebbe poi condivisibile l'assunto, secondo cui alla fine la circolare sarebbe confermativa della norma dell'art. 4, comma 5, lett. a), citato, essendosi limitata a fare qualche esempio sul tema; in realtà, riproducendo per estratto il contenuto della circolare, il ricorso evidenzia come la circolare in questione avrebbe invece fornito ausili interpretativi a rigore più restrittivi della stessa norma primaria che si era proposta di chiarire, tant'è che nella stessa argomentazione della sentenza impugnata l'esame della circolare assume un peso non indifferente, avendo dalla stessa desunto i giudici di appello il principio della necessaria prevalenza numerica dei noleggi a terzi, non richiesto invece dall'art. 4, comma 5, citato, escludendo la natura commerciale del bene; ne discende, quindi, che la sentenza in esame, tentando di ridimensionare la portata chiarificatrice della circolare in questione, per escludere l'esistenza di incertezze interpretative, finisce per smentire se stessa; da qui, dunque, la considerazione per cui o il natante in questione si era adeguato alla circolare ed allora ben difficilmente può postularsi una condotta dolosa, oppure se la circolare rileva solo successivamente alla sua emissione, allora le condotte antecedenti, non coperte dai chiarimenti novativi del Fisco, erano state perpetrate in regime di obiettiva incertezza, ciò che rende problematico configurare una condotta dolosa; d) altro profilo oggetto di censura è l'ulteriore travisamento in cui incorrerebbe la sentenza impugnata circa il contenuto di due documenti di prassi amministrativa, costituiti dalla risoluzione n. 94/E del 21.03.2002 e dalla risposta all'interpello del 27.07.2004 sulla nave Blue eyes; in sintesi, si osserva, sia il primo che il secondo atto si inserivano nel solco della circolare 43/e dianzi richiamata, in quanto la risoluzione del 2002 precisava che il noleggio di unità da diporto dà diritto all'esenzione IVA distinguendosi tale attività dal puro godimento del bene trattandosi di attività organizzata in forma di impresa cui corrisponde la destinazione commerciale del bene; la risposta all'interpello del 2004, poi, aveva ribadito che le stesse regole trovano applicazione allorquando i noleggiatori siano i medesimi soci della proprietà del natante, con l'aggiunta che D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 4, comma 5, il noleggio in autoconsumo deve avvenire al valore normale; proprio quest'ultimo documento, si osserva in ricorso, era stato alla base della decisione del GUP/tribunale di Lucca che, con sentenza 474/2014 aveva escluso la sussistenza del dolo di evasione; a tali concetti si richiamava la successiva circolare 43/E, che aveva in aggiunta introdotto alcuni parametri interpretativi per la sussunzione del mezzo entro il perimetro della destinazione commerciale anche in caso di autoconsumo a prezzo normale (prevalenza dei noleggi a clienti terzi; affidamento ad un broker; pubblicizzazione e negoziazione effettiva del servizio con i terzi anche in caso di non conclusione dell'accordo); conclusivamente, dal richiamo ai predetti documenti di prassi amministrativa, secondo il ricorrente, ne discenderebbe, anzitutto, che l'orientamento dell'Ufficio era rimasto costante nel tempo, anche prima dell'emissione della circolare 43/E, motivo per cui il richiamo dei giudici di appello alla rilevanza cronologica dell'adozione di detta circolare successiva ai fatti sarebbe manifestamente illogico e errato in diritto; in secondo luogo, la stessa esigenza del Fisco di pronunciarsi a più riprese sul tema, renderebbe palese il travisamento nella lettura della circolare 43/E, avendo il giudice di appello liquidato in maniera apodittica il tema come incontroverso e l'interpretazione della normativa di settore priva di equivocità attesa la sua chiarezza; sul punto, si conclude, è indubbio che il costante adeguamento del contribuente alle circolari dell'ufficio non esclude il reato, ma ne certifica indubbiamente la buona fede e la mancanza di dolo, con conseguente insussistenza dell'illiceità della condotta materiale; in ogni caso, quale che ne sia la valenza vincolante, sarebbe comunque indubbio che la circolare de qua avrebbe comunque l'effetto di escludere il dolo, sia nella forma dell'esclusione della colpevolezza in caso di incertezza sulla portata del precetto sia nella forma dell'errore sul fatto escludente il dolo ex art. 47 c.p.; e) proprio su tale ultimo profilo, il ricorrente osserva come sia intuitivo che la nozione di "destinazione commerciale" D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 8 bis, altro non è che un elemento normativo della fattispecie incriminatrice, definito da una norma extrapenale estranea al precetto, e che l'errore incolpevole sul fatto che un'imbarcazione abbia o meno la qualità di essere "commerciale" è tale da escludere il dolo; si osserva, in particolare, che la destinazione commerciale è un concetto del tutto estraneo al precetto dell'art. 70 citato, in quanto richiamato dalla norma extrapenale di cui all'art. 68 del medesimo D.P.R. n. 633 del 1972 che, elencando i casi di esenzione dal tributo, richiama a sua volta la norma tributaria di cui all'art. 8 bis, D.P.R. citato; ne discenderebbe, dunque, che il contribuente il quale, attenendosi alle circolari dell'ufficio che definiscono il concetto di commercialità dell'imbarcazione, incorra eventualmente in errore sulla qualità posseduta dal natante, si troverà nella situazione tipizzata dall'art. 47 c.p., rimanendo la sua condotta estranea al perimetro del dolo; trattasi, del resto, di principio conosciuto dall'ordinamento tributario da oltre venti anni, richiamandosi nel ricorso sia il D.Lgs. n. 472 del 199, art. 6, che l'art. 10 St. Contrib.; f) infine, si confuta in ricorso l'argomento esposto in sentenza e costituito dalla vicenda del noleggio in acque territoriali spagnole, osservandosi come anche in tal caso si sia in presenza di un fraintendimento del parere legale in atti versato, in cui invece si faceva chiarezza sulla natura del tributo che il (OMISSIS) tramite il cambio di registrazione aveva evitato di pagare al Fisco; si precisa, infatti, che non si trattava dell'IVA all'importazione, ma di una speciale imposta addizionale su lusso introdotta nel 1992 incidente sull'immatricolazione del natante, pari al 13%, imposta da cui erano esenti le imbarcazioni esercenti attività di noleggio fino a 15 metri, in cui non vi rientrava il natante in questione; detta imposta, si osserva in ricorso, era stata poi soppressa nel 2013 quando la Spagna, adeguandosi alla procedura di infrazione avviata dall'UE per contrasto di tale imposta con il principio di libertà di stabilimento colpendo la mera presenza del natante in acque spagnole a prescindere dalla sua durata, aveva esteso l'area dell'esenzione ai natanti di qualsiasi lunghezza esercenti il noleggio, sicchè l'elusione operata dal natante si era rivelata ex post perfettamente coerente con la normativa UE e in regola anche con l'attuale diritto spagnolo; quanto sopra avrebbe quindi l'effetto di privare di rilievo quanto sostenuto in sentenza, atteso che se i gestori del natante avevano deciso di mutare la classe del natante a fini elusivi modificando la destinazione da commercial a pleasure, lo avevano fatto perchè convinti che la destinazione del bene fosse stata sempre commerciale, ciò smentendo la tesi accusatoria della dolosità della condotta e dell'assenza di buona fede; infine, quanto agli investimenti sulla nave operati dal B., al di là dell'assurdità della tesi secondo cui egli avrebbe dato corso ad un investimento finanziario così elevato per risparmiare l'IVA, andrebbe aggiunto come ciò costituisca la prova più evidente della sua commercialità, avendo accessoriato il natante con finiture di particolare pregio e dotata di numerosi personale di bordo, proprio per attirare la clientela verso il natante, che infatti era pubblicizzato come un hotel galleggiante.
6.6. Deducono, con il sesto motivo, vizio di illogicità o comunque di carenza della motivazione quanto alla ritenuta responsabilità del ricorrente W. in ordine alla commissione del reato di cui al capo a) della rubrica.
Si censura la motivazione della sentenza nella parte in cui attribuisce un ruolo concorsuale consapevole nel reato di evasione dell'IVA all'importazione; richiamati i passaggi argomentativi sul punto della sentenza - nei quali, anzitutto, si afferma che il ricorrente, lungi dall'essere un amministratore inerte e inconsapevole, della società proprietaria del natante, sarebbe stato invece consapevole del ruolo di dominus del B. in seno alla società di cui questi rappresentava un autonomo centro decisionale; in secondo luogo, si afferma che il ricorrente, ricompensato lautamente dal B. per il suo ruolo di trustee e soggetto dotato di elevata qualificazione professionale in quanto avvocato, non poteva che avere concorso nel reato fornendo il contributo consistito nell'assunzione dell'incarico di trustee nel FB trust e amministratore di Autumn sailing e nello svolgimento di tali incarichi in attuazione delle decisioni del B.; infine, si afferma ancora in sentenza che "per quanto possa ammettersi che il W. non potesse avere una conoscenza particolarmente dettagliata dei modi di utilizzazione del (OMISSIS)", tuttavia la circostanza che questi fosse consapevole dell'intromissione indebita del B. nell'amministrazione della società e ei costi rilevanti richiesti per la gestione di tale natante per il cui contenimento era necessario anche destinarla al noleggio, non poteva portare ad escludere la responsabilità dell'imputato; la motivazione sarebbe censurabile in quanto, osserva il ricorrente, a fondamento della configurabilità del reato di evasione dell'IVA all'importazione vi è il fatto che l'imbarcazione non avesse una destinazione commerciale perchè nel corso della sua permanenza nelle acque territoriali italiane aveva effettuato 245 noleggi a favore del B. contro i 221 concessi a terzi, accordando per il resto condizioni di favore al medesimo B.; a fronte di ciò, quanto argomentato dai giudici di appello a sostegno del concorso del W., si osserva, risulterebbe essere inconferente rispetto alla condotta delittuosa di cui in sentenza, atteso che, diversamente, sarebbe stata proprio e solo una conoscenza particolarmente dettagliata dei modi di utilizzazione del (OMISSIS) a consentire al ricorrente di compartecipare alla condotta di reato, laddove invece è lo stesso giudici di appello che, contraddittoriamente, come visto, nega che tale approfondita conoscenza potesse attribuirsi automaticamente al W., ancora, che il ricorrente poi fosse consapevole del ruolo del B. quale amministratore di fatto o che questi utilizzasse il natante per i suoi noleggi, non implicherebbe necessariamente che il natante non fosse commerciale, posto che il noleggio concesso al socio che ne paghi il prezzo normale, non esclude tale qualità; infine, si osserva, la circostanza era inidonea a rafforzare il proposito criminoso del B. o degli altri concorrenti, atteso che un eventuale contributo del ricorrente avrebbe dovuto pur sempre presupporre che questi sapesse della natura non commerciale dell'imbarcazione, e inoltre ben poco sarebbe servito al B. avere un uomo di paglia cui affidare il (OMISSIS), se costui si era regolarmente pagato i noleggi; del resto, si conclude, a diverso approdo si sarebbe potuto giungere ove la società Autumn sailing fosse stata uno schermo atto ad eludere il pagamento dell'IVA, circostanza tuttavia esclusa in sentenza.
6.7. Deducono, con il settimo motivo, violazione di legge in relazione all'art. 70 citato attesa la natura di reato istantaneo con effetti permanenti, con conseguente consumazione all'atto dell'importazione del natante nelle acque territoriali comunitarie in data 13.03.2005.
Richiamando in larga parte argomenti già sviluppati nel decimo motivo di ricorso dell'imputato T., sostiene il W. che la soluzione cui è pervenuta la decisione di appello che ha ritenuto il reato di evasione dell'IVA all'importazione reato permanente non sia condivisibile; sul punto, dopo aver ricordato l'esistenza di un ampio dibattito, dottrinario e giurisprudenziale, circa la natura del reato de quo e sulla sua inquadrabile tra i reati permanenti istantanei ad effetti permanenti, il ricorrente richiama gli argomenti offerti a sostegno di entrambe le tesi; in particolare, una prima tesi sostiene la natura istantanea con effetti permanenti, osservando come il rinvio alla disciplina penale del contrabbando effettuato dall'art. 70 opererebbe solo quoad poenam, donde dalla natura permanente del contrabbando non potrebbe inferirsi la permanenza anche dell'evasione dell'IVA all'importazione, attesa la limitata portata del richiamo del legislatore al D.P.R. n. 43 del 1973; la stessa natura del tributo, poi, non assimilabile ad un dazio doganale, non presentando l'IVA all'importazione differenze ontologiche con l'Iva sugli scambi interni, renderebbe a maggior ragione evidente che a tale reato non possa applicarsi la disciplina sostanziale sul contrabbando; i fautori dell'opposta tesi, si evidenzia in ricorso, recentemente condivisa dalla già richiamata sentenza Elson, argomentano sulla natura permanete sostenendo l'esistenza di una stretta analogia tra i due tributi, trattandosi di fattispecie volte a tutelare tributi consimili; ciò sarebbe comprovato dal fatto per cui, come esattamente accade per i dazi doganali evasi, l'indebita introduzione della merce nel territorio comunitario comporterebbe la perpetuazione dell'illecito, e la corresponsabilità dei successivi aventi causa sul bene, stante l'antigiuridicità che permane oggettivamente sulla merce, come afferma la citata sentenza Elson; in sostanza, per tale tesi, l'IVA all'importazione sarebbe parte integrante della merce su cui il tributo si applica, venendo così l'evasione del tributo a gravare sulla merce medesima, sin dalla sua introduzione nell'UE, tanto da contaminare ogni successivo passaggio della stessa, permanendo la situazione di illegittimità così creatasi fin tanto che il tributo non venga versato ovvero la merce venga sequestrata per intervento dell'A.G.; la richiamata sentenza Elson, cui si rifà anche il giudice di appello, richiama alcune decisioni degli anni ottanta (sentenze Tallarini e Salin), ma appare contrastare, si precisa in ricorso, con altre recenti decisioni di questa Corte, richiamandosi a tal proposito la sentenza n. 19514/2004 - la quale precisa che la postulata corresponsabilità dei successivi possessori della merce che non ha scontato l'IVA all'importazione è frutto di un'indebita estensione analogica del criterio presuntivo previsto per i dazi doganali dal D.P.R. n. 43 del 1973, art. 25, comma 2, con la conseguenza, da un lato, che non può presumersi in capo ai successivi aventi causa una persistenza dell'illecito in seguito dell'indebita introduzione della merce nel territorio UE in evasione dell'IVA, e, dall'altro, che il reato di evasone di IVA all'importazione ha natura istantanea con effetti permanenti, non potendosi sostenere che a tale reato di applichi indiscriminatamente la disciplina vigente in tema di tributi doganali, atteso che coloro che ne sostengono la natura permanente, fondano tale assunto proprio sulla assimilazione tra l'evasione dell'IVA all'importazione e contrabbando, proprio in virtù del rinvio operato dall'art. 70 citato, nonchè muovendo dalla natura dei due tributi - nonchè altre decisioni che avevano via via superato la postulata equiparazione tra i dazi doganali e l'IVA all'importazione, tributi in realtà accomunati solo dalla mera attribuzione della potestà di accertamento, riscossione e repressione al medesimo organo, ossia l'Ufficio dogane territorialmente competente; richiamate alcune delle decisioni maggiormente significative a sostegno della non assimilabilità dei due tributi (il riferimento, in ricorso è alla sentenza n. 28251/2015) ricorda il ricorrente come altra decisione (la n. 42161/2010) era pervenuta a conclusioni opposte, tuttavia evidenziando come il decisum di quest'ultima non fosse stato condiviso da altra decisione successiva (la n. 42462/2016 sempre di questa Sezione), che ha ritenuto il reato in esame come reato istantaneo, chiarendo che laddove all'importazione non si applichino i diritti di confine ma la sola IVA all'importazione, la natura interna di quest'ultimo tributo evidenzierebbe l'istantaneità del reato; in sostanza, secondo la più avveduta giurisprudenza, l'inadempimento e dunque l'omesso versamento dell'IVA all'importazione sarebbe ascrivibile solo ed esclusivamente al soggetto passivo del rapporto, allo stesso modo in cui lo è l'omesso versamento dell'imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale o l'omessa presentazione della dichiarazione ai fini dell'IVA; quanto affermato dalla Corte in tale sentenza, non potrebbe peraltro ritenersi limitato solo ai rapporti UE-Svizzera in forza degli accordi sottoscritti tra le parti, esprimendo invece un principio di portata generale, tanto da essere stato invocato tale criterio interpretativo dalla stessa cassazione nella richiamata sentenza n. 28251/2015 proprio con riferimento ad un natante importato dalle isole Cayman; in definitiva, quindi, la giurisprudenza di legittimità più avveduta sarebbe orientata nel senso di ritenere che debba essere esclusa l'equiparazione tra IVA all'importazione e dazi doganali, con conseguente esclusione della legittimità di indiscriminate estensioni della disciplina del TULD (testo unico leggi doganali) o del CDC (codice doganale comunitario) all'IVA, sostanziandosi il rinvio operato dall'art. 70 citato ad una mera estensione del regime sanzionatorio del contrabbando senza che per ciò le due fattispecie incriminatrici debbano considerarsi sovrapponibili;
ne discenderebbe, dunque, che ogni indebita estensione della disciplina sostanziale del contrabbando all'IVA all'importazione rischia di violare il divieto di estensione analogica del precetto penale e che, dunque, non potendosi affermare la solidarietà passiva in capo ai successivi possessori della merce illegalmente importata, perde pregio l'unico argomento a sostegno della natura permanente del reato, ossia quello per cui l'omesso pagamento del tributo integra un illecito che si consustanzia al bene e si protrae nel tempo, tanto che i successivi possessori della merce indebitamente introdotta nel territorio UE concorrerebbero nel medesimo reato, in continuità con l'illecito perpetrato dall'importatore; da qui, dunque, la natura istantanea del reato, sebbene con effetti permanenti, sostanziantisi nell'effetto di danno arrecato all'Amministrazione finanziaria del paese di importazione, che si protrae sino all'assolvimento del tributo evaso; il ricorso dedica poi alcune riflessioni sulla difficile sostenibilità degli argomenti relativi all'assimilazione tra i due tributi ed alla compenetrazione tra IVA all'importazione e bene importato anche alla luce della giurisprudenza tributaria; tanto la Corte di Giustizia UE che la giurisprudenza di legittimità in sede civile, avrebbero infatti escluso l'assimilabilità tra i due tributi, precisando anzi che tra IVA all'importazione ed IVA "interna" non vi sarebbe alcuna differenza strutturale (il riferimento, in ricorso è a Cass., 16463/2016); l'assenza di differenza ontologica tra tali due ultimi tributi, non parrebbe quindi giustificare significative differenze sul piano sanzionatorio in particolare quanto alla natura permanente o meno dei rispettivi reati, essendo pacifico che il reato di omesso versamento IVA di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, è reato istantaneo; la sentenza sul caso "Limoncello" (n. 56264/2017), nel sostenere la natura permanente del reato, pur trattandosi di tributo interno, afferma che l'IVA all'importazione avrebbe la medesima finalità dei dazi doganali, ossia la tutela di interessi economici e fiscali non solo dello Stato ma anche dell'UE, facendo richiamo alla natura d risorsa propria UE dell'IVA all'importazione riscossa nel territorio UE; tale interesse economico sovranazionale giustificherebbe, dunque, l'assimilazione dell'IVA all'importazione ai dazi doganali, e, con questi, la maggior tutela approntata dal legislatore tramite l'introduzione di un reato permanente, la cui consumazione si protrarrebbe fin tanto che il tributo non sia recuperato a tassazione o il bene sequestrato dall'AG, all'evidente scopo di combattere con la massima efficacia l'evasione di un tributo di interesse sovranazionale; tale argomento, tuttavia, non è ritenuto dal ricorrente sufficiente a giustificare la permanenza del rato di cui all'art. 70 citato, per le seguenti ragioni: 1) anzitutto, perchè non sembra che il legislatore italiano non ha anteposto l'esigenza di recuperare in toto l'IVA all'importazione rispetto ai propri interessi di bilancio se - come confermato dalla circolare 4.03.2003, n. 10/D dell'Agenzia delle dogane, che non menzionava l'IVA all'importazione tra i tributi esclusi dal condono concesso con legge n. 289 del 2002 - anche una risorsa propria UE come l'IVA all'importazione è stata contemplata tra i tributi condonabili; 2) è dalla stessa modalità della condotta materiale di reato configurata nella fattispecie incriminatrice che può farsi dipendere la modalità, istantanea o permanente, della consumazione del reato, e non certo da astratte esigenze di politica criminale, non riflettentisi sulla struttura del reato, tanto più che la permanenza dell'effetto dannoso del reato esprime in egual modo l'esigenza di tutela del bene giuridico protetto dalla norma e, con esso, l'esigenza di recuperare a tassazione tributi di interesse comunitario; 3) il richiamo alla tutela degli interessi finanziari dell'UE, poi, non apparirebbe decisivo, in quanto, pur essendo vero che l'IVA all'importazione è risorsa propria dell'UE, è altrettanto vero che gli Stati sono chiamati a versare una quota sul valore complessivo delle transazioni commerciali a fini IVA a titolo di contribuzione diretta dello Stato, al bilancio UE ai sensi dell'art. 311 TFUE; ciò, quindi, comporta come conseguenza che, se fosse vero quanto argomentato dalla sentenza Elson, allora anche l'IVA interna in caso di evasione od omesso versamento dovrebbe essere assistita da sanzione penale a consumazione permanente, ciò che invece è stato sempre escluso; ne conseguirebbe, pertanto, che nè la natura del tributo nè gli interessi finanziari UE autorizzano a qualificare l'illecito di omesso versamento IVA all'importazione come permanente; conclusivamente, infine, il ricorso, muovendo dalla natura pacifica di tributo interno dell'IVA all'importazione identico all'IVA interna, e esclusa l'assimilabilità dell'IVA all'importazione ai dazi doganali per le ragioni sopra esposte, anche tramite il richiamo alla nota sentenza Equoland della CGUE, evidenzia la natura giuridica e la funzione dei dazi doganali, soffermandosi poi sulla natura dell'IVA, all'importazione ed interna, precisando come si tratti di un'imposta assai più complessa da qualificare, toccando il consumo ovvero lo scambio di merci, ossia la cifra degli affari interessanti la merce medesima; il ricorso, in particolare, focalizza l'attenzione sulla questione della asserita compenetrazione assoluta tra IVA e bene importato, sottolineando come ciò non trovi riscontro nella disciplina sanzionatoria in materia di IVA in quanto se ciò fosse vero, allora il legislatore avrebbe previsto ipotesi di solidarietà passiva tra cedente e cessionario del bene ovvero tra importatore e successivi acquirenti, così da recuperare a tassazione il tributo e scoraggiare la circolazione di un bene affetto irrimediabilmente da illiceità; pur non essendo stata la asserita "consustanziazione" tra IVA e bene importato oggetto di speculazione dottrinale, tuttavia gli stessi studiosi si sono sempre soffermati ad analizzare i concetti di imposta sui consumi o sulla cifra d'affari dell'IVA e non quindi non di imposta sul bene in sè; dopo aver richiamato le posizioni dottrinali a sostegno delle due tesi, il ricorrente evidenzia come la distinzione non è solo accademica ma comporta anche rilevanti conseguenze applicative, in quanto se l'IVA non può considerarsi imposta sui consumi, il tributo non solo non è dazio doganale, ma nemmeno può considerarsi quale diritto di confine, avendo incluso l'art. 34 TULD tra essi anche "ogni altra imposta o sovraimposta di consumo a favore dello Stato", definizione pertanto estranea all'evasione dell'IVA all'importazione; in sostanza, quindi, colpendo l'IVA all'importazione non il bene ma la concatenazione degli affari che ne hanno avuto ad oggetto, la natura dell'imposta renderebbe comprensibile il motivo per cui non può sostenersi che l'illecito da omesso versamento del tributo divenga coessenziale al bene al punto tale da generare una situazione di permanente illiceità che contagi ogni successiva cessione della merce, interpretazione certo sostenibile per i dazi doganali, ma giammai per l'Iva, sia essa interna o all'importazione, come sostenuto dalla più autorevole e avveduta giurisprudenza; in definitiva, quindi, il reato de quo in quanto istantaneo ad effetti permanenti, era già estinto per prescrizione alla data del marzo 2010, prima del sequestro del natante, in quanto consumatosi in data 13.03.2005, data dell'importazione nel territorio UE.
6.8. Deducono, con l'ottavo motivo, violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 504 del 1995, art. 40, comma 1, lett. c), e comma 4, in relazione al reato sub m) della rubrica.
Si premette che la Corte d'appello ha ritenuto sussistente l'evasione dell'accisa sul carburante contestata sub m) richiamandosi alla natura non commerciale dell'imbarcazione e sulla pretesa insussistenza dell'esenzione dall'IVA; oltre a quanto già argomentato a proposito del secondo e terzo motivo di ricorso, in ogni caso rileva il ricorrente che, pur tenendo conto delle sospensioni del termine di prescrizione per 1 anno, 1 mese e 4 giorni, il reato in esame si sarebbe estinto per prescrizione alla data del 1.04.2018, donde ne discenderebbe l'annullamento senza rinvio della sentenza in parte qua.
6.9. Deducono, con il nono motivo, violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 1, comma 1, lett. a) ed o), e art. 48 c.p., quanto al capo o) della rubrica e correlato vizio di illogicità o comunque di carenza della motivazione.
Richiamando argomenti già esposti nel motivo n. 7 del ricorso T. e riportando alcuni stralci della motivazione dell'impugnata sentenza, sostiene il ricorrente che l'effettiva destinazione commerciale del natante e la conseguente esenzione IVA escluderebbero la fittizietà delle fatture emesse alla società proprietaria, conclusione che sarebbe legittimata anche dalla novella del 2015 che, intervenendo sul D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, ha chiarito che gli elementi fittizi inseriti nella dichiarazione fiscale, per essere penalmente rilevanti, devono essere inesistenti dal punto di vista naturalistico, non potendosi più essere alcuno spazio per ritenere inesistente una fattura relativa ad un'operazione commerciale realmente intercorsa tra due soggetti realmente esistenti, atteso che solo l'inesistenza materiale di una componente reddituale dà luogo all'intervento penale; difetterebbe nella fattispecie in esame qualsivoglia alterazione del vero nella rappresentazione commerciale sottostante; inoltre, come già esposto dal ricorrente T., quanto argomentato dai giudici di appello sarebbe incoerente con l'imputazione (il riferimento è alla doppia interpretabilità dell'imputazione, riferibile o all'inesistenza delle fatture per la fittizia soggettività della società proprietaria dell'imbarcazione - nel qual caso il reato sarebbe insussistente avendo escluso la sentenza d'appello la natura di schermo della società in questione - oppure all'inesistenza ricadente sulla qualifica "commerciale" della società con esenzione dell'IVA, ciò che invece consentirebbe di ritenere sussistente il reato) che, infatti, contestava agli imputati, il delitto di emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti in concorso tra loro, "perchè la società Autumn sailing Limited risultava appositamente realizzata per dissimulare la destinazione non esclusivamente commerciale del natante (OMISSIS) di cui era unico reale ed effettivo proprietario il B.F."; chiaro è quindi che l'imputazione contestava il fatto che, in quanto mero schermo della titolarità del natante in capo al B., il quale utilizzando la nave a scopo diportistico sarebbe stato tenuto a pagare l'IVA, la fittizietà delle fatture risiedeva proprio nell'intestazione alla società di comodo Autumn sailing, in lungo del titolare occulto B.; è quindi evidente che l'interpretazione fornita dalla sentenza contrasterebbe con il capo di imputazione, essendo del resto l'interpretazione sostenuta nel ricorso (cioè che l'inesistenza soggettiva contestata nell'imputazione si riferisce a "soggetti diversi da quelli effettivi") maggiormente coerente sia con il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, che con la definizione fornita dall'art. 1, che qualifica come soggettivamente inesistenti quelle "che riferiscono l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi", essendo pertanto incriminata solo la diversità tra uno e entrambi i soggetti indicati in fattura rispetto a coloro che hanno posto in essere l'operazione indicata, diversità quindi che non riguarda qualifiche, qualità o altri elementi del soggetto, bensì la sua identità individuale, che lo identifichi rispetto a terze parti; quanto sopra troverebbe riscontro nella stessa relazione ministeriale al D.Lgs. n. 74 del 2000 che richiama il D.L. n. 429 del 1982, precedente art. 4, lett. d), riferendosi pertanto all'identità soggettiva di chi è menzionato in fattura e non già alla qualità posseduta dal soggetto, in quanto ciò comporterebbe un'inammissibile estensione analogica in malam partem della norma incriminatrice; ciò, dunque, non renderebbe ex se la fattura soggettivamente inesistente e dunque passibile di sanzione penale, nè rileverebbe il richiamo in sentenza al fatto che avrebbero rilievo D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 8, le qualità soggettive rilevanti in base alle norme tributarie, posto che il richiamo a tali norme operato dall'art. 1, D.Lgs. citato è, oltre che alle fatture, ai documenti che presentino analoga rilevanza formale/probatoria ai fini tributari; in definitiva, presupponendo l'inesistenza soggettiva della fattura l'immutazione dell'identità del o dei soggetti indicati in fattura, e non di una semplice qualità, il reato sarebbe insussistente; quanto, infine, al richiamo all'art. 48 c.p. (autore mediato), la motivazione sarebbe contraddittoria, in quanto al di là del fatto che di tale teoria in campo tributario si è fatta applicazione solo in qualche decisione di merito in cui si discuteva dell'emissione di fatture da parte di società cartiere, si sostiene che il richiamo nell'imputazione all'art. 48 c.p., si risolve nel tentativo di riproporre surrettiziamente l'originaria accusa di truffa, dichiarata insussistente per effetto della sentenza delle sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 1235 del 2011; in ogni caso, si osserva, qualora, come nel caso in esame, uno dei due soggetti indicati in fattura, inducesse l'altro ad emettere la fattura falsa per poi usufruire il decipiens stesso della falsa fattura, da un lato, difetterebbe a rigore il dolo specifico di consentire a terzi e non a sè stessi l'evasione dell'imposta, in quanto l'autore mediato è solo uno strumento della materiale commissione del reato, che deve essere ascrivibile in tutte le sue componenti oggettive e soggettive, al decipiens; peraltro, la sentenza sarebbe censurabile sotto il profilo motivazionale laddove, con riferimento alla posizione del W., e della sua compartecipazione al reato, non fornisce alcuna indicazione, apparendo del tutto apodittica, a fronte invece della circostanza per la quale l'imputato, avvocato ginevrino, non aveva alcun rapporto con i fornitori di cui alle fatture incriminate, rapporto che la sentenza ascrive al solo comandante T.; infine, come già esposto a proposito del capo o), si sostiene che anche per il capo m) il reato, nonostante i già computati e descritti periodi di sospensione del termine, si sarebbe estinto per prescrizione alla data del 4.04.2018.
6.10. Deducono, con il decimo ed ultimo motivo, violazione di legge in relazione all'art. 133, c.p. con riferimento alla commisurazione della pena e dal trattamento sanzionatorio adottato.
Premesso che la sentenza di appello ha irrogato la medesima pena agli imputati B., T. e W., si sostiene che l'omogeneità della pena inflitta determina l'incongruità del trattamento sanzionatorio quanto alla posizione del ricorrente, non essendo stata valutata la sua condotta processuale - avendo egli aderito all'invito a presentarsi all'interrogatorio senza mostrare reticenza - nè essendo stato considerato il limitato arco temporale in cui questi aveva svolto il suo incarico, nè la circostanza che il natante era già stato importato quando egli era divenuto amministratore della società, dovendosi considerare inoltre il ruolo meramente formale del ricorrente, completamente svuotato da ogni ruolo di gestione a vantaggio del B., come la sentenza afferma; da qui la necessità di un contenimento della pena nei minimi edittali, peraltro dovendosi evidenziare che, essendo intervenuta la prescrizione per i capi sub m) ed o), si imporrebbe la rideterminazione del trattamento sanzionatorio, che in ragione del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulla residua aggravante di cui all'art. 295 TULD, dovrebbe comportare l'applicazione della sola multa, come previsto dall'art. 292 TULD in assenza di aggravanti.
7. Ricorso B., con cui i difensori di fiducia articolano i seguenti otto motivi.
7.1. Deducono, con il primo motivo, violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 bis e 68, art. 4, comma 5, lett. a), art. 70, e correlato vizio di carenza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità dell'imputato per il reato di evasione dell'IVA all'importazione.
Riprendendo argomenti già sviluppati dagli altri ricorrenti nei propri motivi di ricorso e, segnatamente dal W. nel motivo n. 3, v. supra, il ricorrente ripropone la critica alla impugnata sentenza laddove la stessa ha ritenuto sussistere i requisiti previsti delle norme richiamate ai fini dell'applicazione all'imbarcazione (OMISSIS) del regime di esenzione dall'IVA previsto dalle predette disposizioni di legge; viene, pertanto, ripercorsa, come nel ricorso W., la questione dell'erroneità dell'interpretazione operata dai giudici di appello rispetto, in particolare al tema dell'autoconsumo, ribadendosi come quest'ultimo, se effettuato a condizioni di mercato, come nel caso in esame, rientra in base alle norme richiamate nel concetto di attività commerciale, donde non sarebbe dato comprendere sulla base di quale logica si dovrebbe ritenere che se, però, esso risulta prevalente rispetto all'attività di noleggio dell'imbarcazione a terzi estranei alla compagine societaria, esso perderebbe tale natura e non dovrebbe essere più considerato attività commerciale; vengono, a tal fine, richiamate sia le fonti normative, anche europee in materia (art. 9, Direttiva 112/2006/CEE, quanto alla definizione di attività economica), i riferimenti giurisprudenziali, anche eurounitari (in particolare, alcune significative sentenze della CGUE, emessi nei casi Enkler, Bakesi, Lennartz, Wollny, Seeling e soprattutto nei casi Kostov e Redlihs, da cui si trarrebbe il criterio fondamentale che ispira gli interventi interpretativi dell'UE in merito al concetto di attività economica, da intendersi nel senso più ampio possibile proprio al fine di realizzare in pieno gli scopi generali a cui tende il sistema relativo all'applicazione e alla riscossione dell'imposta sui consumi), osservandosi come se è ben vero che nel caso qui esaminato il problema interpretativo riguarda la disposizione dell'art. 4, comma 5, citato che esenta dall'IVA un particolare tipo di attività economica che, ove non vi fosse la norma, vi andrebbe assoggettata, è altrettanto vero che il concetto di attività economica da prendere in considerazione al fine di stabilire se, nel caos concreto, la singola attività considerata rientri o meno nel campo dell'esenzione non può che essere dettato dall'art. 9, comma 2, della Direttiva 112/2006/CEE, che fissa i principi generali, vincolanti tutti gli Stati membri, in tema di applicazione dell'IVA, che ovviamente non cambiano sia che si debba utilizzarli per identificare quali attività vi sarebbero normalmente soggette, sia che si debba utilizzarli per identificare quelle attività che non vengono colpite dall'IVA per effetto di una specifica esenzione in via legislativa; ed, allora, osserva il ricorrente, muovendo da tale riflessione, non può che ritenersi che l'Ufficio non avrebbe avuto alcun diritto ad assoggettare ad IVA tale attività, in quanto la stessa difettava dei requisiti previsto dall'art. 9, comma 2, della Direttiva richiamata, atteso che la società proprietaria del natante come emerso in maniera assolutamente chiara, aveva certamente diritto all'esenzione IVA svolgendo effettivamente un'attività commerciale; il ricorrente, a sostegno del proprio assunto, passa poi ad esaminare in rassegna una serie di decisioni della giurisprudenza tributaria (il riferimento è alle sentenza di questa Corte, sez. V: n. 25777/14, 5739/05) nonchè alle istruzioni di prassi amministrativa (in particolare, la Risoluzione dell'Agenzia delle Entrate 94/E del 21.03.2002, non correttamente citata dai giudici di appello, riguardante proprio l'ipotesi in esame, autorizzando l'applicazione dell'esenzione IVA anche nel caso di noleggio al solo socio purchè effettuato al valore normale di mercato; ancora, la risposta all'interpello 954.307/2004 fornita dall'Agenzia delle Entrate il 27.07.2004, relativa ad un caso analogo riguardante una società di charter che concedeva in locazione un'imbarcazione da diporto esclusivamente ad uno dei suoi soci), queste ultime segnatamente rilevanti per aver l'Ufficio chiarito che l'art. 8 bis citato è applicabile anche quando l'imbarcazione è destinata al noleggio in via esclusiva in favore del socio, atteso che ciò che rileva è che il socio corrisponda un canone di noleggio a prezzi di mercato, interpretazione che, si osserva, ha poi condotto all'assoluzione degli imputati con sentenza GUP/tribunale di Lucca 3.10.2014 allegata al ricorso; le censure, si appuntano, poi, sull'errata interpretazione condotta con riferimento alla Circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 43/E del 29.09.2001 (pag. 22 ss.) osservandosi come se fosse vero che solo nel 2011 l'Agenzia delle entrate fosse intervenuta con un'apposita circolare a risolvere i problemi interpretativi sollevati con il combinato disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8-bis e dell'art. 4, comma 5, ciò avrebbe comunque inevitabili conseguenze sul piamo soggettivo, atteso che ciò significherebbe che i dubbi circa l'esatto contenuto delle norme suddette sarebbero stati chiariti solo nel 2011, ossia numerosi anni dopo l'inizio delle condotte ritenute penalmente illecite dalla sentenza impugnata; richiamando quanto già esposto sul punto dal ricorrente W., anche il ricorso B. evidenzia come l'interpretazione dell'Agenzia di cui alla richiamata circolare coincide, quasi integralmente, con quella fornita dalla difesa dell'imputato, ossia sottolineandosi come la norma si limiti ad escludere che possa essere considerata attività commerciale quella che, dietro lo schermo di una struttura societaria, sia rivolta esclusivamente a permettere al socio o a soggetti riconducibili ai soci, l'uso personale di determinati beni; per ciò che interessa, dunque, quanto affermato dalla circolare circa il carattere commerciale dell'attività esercitata dalla società Autumn sailing rispetto alla gestione del (OMISSIS) sarebbe assolutamente indiscutibile, essendo fuori discussione che la predetta imbarcazione mai è stata adibita all'uso esclusivo del B. o dei suoi familiari, ma ripetutamente noleggiata a soggetti terzi, che, con carattere di stabilità nel tempo, hanno assicurato rilevantissimi introiti alla società di gestione; passando poi ad esaminare la questione del c.d. autoconsumo (pagg. 26 ss.) il ricorso, richiamando il ragionamento condotto nella circolare di cui sopra, ribadisce che quando all'autoconsumo, per giunta realizzato a condizioni di mercato, si accompagna un'effettiva e cospicua attività di noleggio a terzi, il carattere commerciale dell'attività non può essere messo in discussione ed è quindi certamente applicabile il regime di esenzione dell'IVA previsto dal richiamato art. 8-bis; si evidenzia come il criterio introdotto dalla predetta circolare sia di carattere "pratico" in quanto ove all'autoconsumo di accompagna il noleggio a terzi, il riferimento a titolo "esemplificativo" ad alcune condizioni (quali i giorni di utilizzo dell'imbarcazione; l'ammontare dei corrispettivi fatturati) facoltizza a ritenere il requisito della prevalenza dell'attività nei riguardi dei terzi utilizzabile per il periodo di imposta in corso, qualora nel biennio precedente, la percentuale delle operazioni rese a terzi rappresenti la maggioranza delle prestazioni effettuate, sulla base dei predetti due parametri; in disparte il rilievo che una circolare non può essere interpretata in malam partem, i giudici di appello non si avvedono del fatto che la circolare in questione non solo introduce un'interpretazione contra legem ove parla di percentuali, ma entra anche in contraddizione con sè stessa laddove afferma dapprima che l'attività di autoconsumo esercitata in via esclusiva ancorchè a valori di mercato, esclude l'applicazione del regime di non imponibilità e, successivamente, giunge a ritenere che tale regime vada escluso anche nel caso in cui l'autoconsumo non è esclusivo ma anche solo prevalente all'attività di noleggio in favore di terzi; inoltre, si osserva, la sentenza d'appello traviserebbe l'ultima e decisiva parte del passaggio interpretativo della circolare laddove non considera che è la stessa circolare ad affermare, proprio nella sua parte conclusiva, che il criterio della prevalenza del noleggio in favore di terzi non è l'unico da tenere in considerazione rispetto alle valutazioni da effettuare in merito all'applicazione del regime di esenzione, e che, anche quando dovesse evidenziarsi la prevalenza del c.d. autoconsumo, l'applicazione del predetto regime di esenzione ben potrebbe giustificarsi in base alla valutazione di alcuni requisiti indicati dalla stessa circolare (ossia, il fatto che l'unità da diporto sia affidata ad un broker indipendente per il noleggio e/o la locazione nei confronti di soggetti terzi a prezzi di mercato; il fatto che l'attività di noleggio e/o locazione dell'unità da diporto sia pubblicizzata su riviste specializzate, gratuite o a pagamento; la circostanza che sia dimostrato l'effettivo svolgimento di attività di negoziazione con soggetti terzi, indipendentemente dalla stipulazione di contratti, esempio dal buon esito delle trattative); proprio il caso della (OMISSIS) dimostrerebbe che l'applicazione dei predetti requisiti avrebbe consentito di pervenire al giudizio della natura commerciale dell'imbarcazione (il riferimento è alla sentenza di primo grado, v. pag. 31 del ricorso, in cui si dava atto dell'esistenza di tutti i predetti requisiti), donde si sarebbe verificato da parte della sentenza d'appello il travisamento del contenuto della circolare, atteso che, pur avendo evidenziato i giudici di appello che l'autoconsumo a prezzi di mercato era stato di poco superiore in termini di giorni di utilizzo al noleggio in favore di terzi (245 gg. contro 221), la sentenza giunge illogicamente a concludere come la ricorrenza dei requisiti indicati per la qualificazione "commerciale" dell'imbarcazione non avrebbe confutato la circostanza che vi fosse stato un uso prevalente della nave da parte del B., affermazione, questa, tacciata di apoditticità e nel contempo contraria allo stesso contenuto della circolare che un'equivocamente afferma che anche quando di vi sia una prevalenza dell'autoconsumo rispetto all'attività di noleggio in favore di terzi, la valutazione dei citati requisiti può far egualmente ritenere che l'attività svolta abbia carattere "commerciale" e rientri pertanto nel regime di esenzione, soprattutto laddove si consideri che proprio nel 2007 e nel 2008 i terzi avrebbero utilizzato la nave più del B., donde, seguendo l'illogica motivazione della Corte d'appello, dovrebbe darsi per provato che almeno in quei due anni la nave avesse avuto indubbia destinazione commerciale.
7.2. Deducono, con il secondo motivo, violazione di legge in relazione all'art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), e correlato vizio di carenza della motivazione per mancata assunzione in considerazione dei motivi di appello sviluppati dal ricorrente B..
Nelle pagine da 34 a 44 del ricorso, il ricorrente illustra alcune deduzioni difensive, sollevate con i motivi di appello, che sarebbero rimaste prive di riscontro da parte della Corte territoriale; il riferimento, è, in particolare: a) all'asserito condizionamento delle attività del natante alle esigenze del B., rispetto alle quali nei motivi di appello si era fatto riferimento a quanto dichiarato dai testi K. e R. da cui erano emerse una serie di circostanza che smentivano tale assunto, segnatamente che dall'analisi della documentazione era emerso che le uniche date certe in cui B. aveva avuto la disponibilità del natante coincidevano con quelle in cui vi erano stati i gran premi di formula uno, e che ad imporre l'uso della nave per tali finalità era F. Yacht, gestore operativo dell'imbarcazione, proprio per la particolare visibilità a livello internazionale che tale barca riceveva in quelle occasioni; b) alla questione dei costi sostenuti dalla società armatrice per il c.d. refitting del natante, rispetto ai quali con i motivi di appello non solo si era evidenziato come gli stessi ammontassero quasi al triplo rispetto all'IVA asserita-mente evasa - il che rendeva illogica la contestata evasione a fronte di costi così elevati -, ma era stato anche specificato come i predetti costi nulla hanno a che fare con quelli destinati all'abbellimento ovvero al comfort dei passeggeri, rientrandovi infatti anche quelli finalizzati a renderla più sicura per la navigazione al fine di iscriverla nella classe commerciale e stipulare contratti di noleggio con clienti di tutto il mondo; a fronte di tali rilievi sarebbero quindi del tutto apodittiche le affermazioni della sentenza impugnata laddove sostiene che i predetti lavori avrebbero avuto l'effetto di migliorare il comfort della barca e quello personale dei passeggeri, sostanziandosi quindi in un vantaggio per il B.; a ciò va aggiunto, si legge in ricorso, l'errore giuridico commesso dalla sentenza impugnata laddove fa riferimento anche ad oneri previdenziali e contributivi relativi al personale, su cui il regime di esenzione IVA avrebbe consentito di risparmiare, affermazione questa erronea in quanto tutti i lavoratori in servizio sull'imbarcazione essendo stipulati da una società che non è di diritto italiano, non seguono le norme italiane in tema di oneri previdenziali e contributivi; c) alla questione delle modalità di contrattualizzazione ritenute come "di favore" per il B. rispetto ai charteristi terzi, osservandosi non solo come il primo giudice avesse correttamente evidenziato che tale argomento non avesse valenza accusatoria ben potendo essere possibile una lettura opposta ed avente pari dignità giuridica e logica degli stessi elementi, ma soprattutto che era stato dimostrato documentalmente come i contratti in bianco rinvenuti sull'imbarcazione non erano predisposti per il solo B., ma per tutti charteristi indistintamente, in quanto gli eventuali prolungamenti del con-trato di noleggio decisi in corso di navigazione da parte dei noleggiatori terzi presupponevano la presenza a bordo di tali contratti in bianco; d) alla questione relativa all'asserita diversità di condizioni economiche praticate al B., rispetto alla quale si evidenzia come la sentenza d'appello avesse rinviato alla prima sentenza, la quale aveva attribuito a tale elemento valenza inconferente ed inidonea a rendere il dato indiziario seppur estremamente significativo, non risolutivo; e) ancora, alla questione relativa al mancato pagamento di alcuni noleggi da parte del B., rispetto alla quale la sentenza d'appello rinvia a quella di primo grado, senza tuttavia fornire risposta alle censure sollevate con i motivi di appello con cui si contestava l'affermazione contenuta nella prima sentenza, secondo cui due sarebbero state le settimane di charter non pagate dal B.; sul punto, osserva il ricorrente, nei motivi di appello erano stati sviluppati argomenti a confutazione di tale affermazione, evidenziandosi come erroneamente la prima sentenza aveva considerato come non pagati dal B. tra i charter non pagati quello relativo al periodo dal 6.09 al 10.09 che invece non vedeva il B. come noleggiatore, mentre, per quanto riguardava l'unico charter risultato non pagato, quello relativo ad un noleggio in Spagna effettuato nel 2008, si era dimostrato che fosse attribuibile ad un errore, come dimostrato dal fatto che sarebbe del tutto illogico, a fronte di spese di noleggio sostenute per oltre 8 min. di euro nel corso di sei anni dal B., quest'ultimo avrebbe voluto risparmiare su di un solo noleggio per l'importo di 180.000 Euro, nè l'essere il socio debitore del 2% di quanto dovuto potrebbe dal punto di vista logico - giuridico certamente trasformare un'attività commerciale in un'attività privata; f) ancora, quanto al pagamento/restituzione del pagamento del charter effettuato nel 2005, si osserva come la sentenza sia incorsa nel vizio di omessa motivazione, non avendo fornito risposta alle censure svolte in appello con cui si era chiarito per quale ragione l'operazione non fosse avvenuta con una formale compensazione, come chiarito dal teste D.F., la quale aveva spiegato che il credito ed il debito non figuravano nel bilancio della stessa società, ciò che impediva la compensazione; g) infine, analogo rilievo riguarda la questione del c.d. cambio di classe, su cui v. infra.
7.3. Deducono, con il terzo motivo, violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 504 del 1995, art. 40, comma 1, lett. c) e art. 4, in relazione al delitto contestato al capo m) della rubrica, e correlato vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Si osserva come la Corte d'appello ha ritenuto sussistere il reato di evasione dell'accisa sul carburante alla luce della ritenuta non commercialità dell'attività del natante in questione; ma, sul punto, le argomentazioni già svolte a sostegno della natura commerciale del bene, escluderebbero in toto la sussistenza del reato, rendendo peraltro viziata la motivazione sul punto.
7.4. Deducono, con il quarto motivo, violazione di legge in relazione agli artt. 43 e 110 c.p., al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, anche in relazione al D.P.R. n. 43 del 1973, artt. 292 e 295, e correlato vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto all'affermata sussistenza dell'elemento soggettivo del contestato reato di evasione dell'IVA all'importazione.
Si censura la sentenza impugnata anche per quanto concerne la motivazione sul punto della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato contestato, ove la sentenza, pur richiamando le deduzioni difensive che avevano argomentato in ordine alla equivocità della normativa che avrebbe reso incerto se il carattere non commerciale dell'attività potesse o meno sussistere anche nel caso di destinazione commerciale prevalente, proprio richiamando il contenuto della Circolare dell'Agenzia n. 94/E del 2002, sarebbe incorsa in una sequela di errori; anzitutto, laddove i giudici di appello escludono la buona fede degli imputati, sostenendo che il significato da attribuire all'interpretazione offerta dall'Agenzia delle Entrate era quello opposto rispetto a quanto sostenuto dagli allora appellanti perchè la circolare era entrata in vigore parecchi anni dopo l'importazione della nave atteso che nel 2011 il (OMISSIS) era stato sottoposto a sequestro preventivo; si tratterebbe di un'affermazione palesemente illogica proprio perchè di contro conferma come all'epoca in cui venne posta in essere la condotta non vi era alcuna certezza in merito alla normativa id riferimento, tant'è che fu necessario intervenire con una circolare, peraltro contra legem, a distanza di parecchi anni dopo; ancora, si osserva, la motivazione della Corte d'appello sarebbe vieppiù contraddittoria laddove afferma che la circolare in questione avrebbe esplicitato anche mediante il ricorso ad esempi, il senso della norma di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 5, lett. a), ciò in quanto se davvero tutto fosse stato chiaro ed inequivoco, certamente l'Agenzia delle Entrate non avrebbe varata una circolare apposita, che nel proprio preambolo chiarisce come la stessa fosse stata originata dal fatto che la questione "pone rilevanti questioni interpretative" a conferma del fatto che tanta chiarezza sul punto non vi era in effetti stata; la sentenza, peraltro, non avrebbe dedicato alcun passaggio della motivazione all'esame di quei precedenti della giurisprudenza interna ed europea nonchè delle norme di prassi amministrativa che legittimavano un'esegesi della normativa nel senso favorevole agli imputati; nessun dubbio, pertanto, che quand'anche si dovesse ritenere che la circolare 43/E del 2011 avesse introdotto da parte dell'Ufficio l'interpretazione corretta della normativa che esclude la legittimità dell'applicazione dell'IVA alle condotte contestate, in ogni caso non potrebbe negarsi l'esclusione della sussistenza dell'elemento soggettivo, con correlato errore scusabile sul precetto penale in cui gli imputati erano caduti in forza dell'interpretazione delle norme di prassi amministrativa e da decisioni giudiziarie che a tali pareri si erano conformate; a conferma di tale assunto, la difesa del B. allega (v. all. 15) tre diverse decisioni della giurisprudenza amministrativa che hanno disapplicato le sanzioni amministrative al B. per i fatti oggetto del presente giudizio, proprio la esistenza della confusione od incertezza normativa; non meno rilevante, peraltro, è l'argomento, affrontato alle pagg. 50 ss. del ricorso che fa leva sulla prospettata violazione dell'art. 7 della Convenzione EDU, laddove si sottolinea come la interpretazione del principio di legalità sancito dalla predetta norma convenzionale, è stato inteso dalla Corte di Strasburgo nel senso che non è possibile pronunciare una condanna nei confronti dell'imputato sulla base di un overruling giurisprudenziale (nella specie nemmeno verificatosi) che introduce un'interpretazione peggiorativa della norma penale di riferimento non prevedibile in base alla giurisprudenza consolidatasi sino al momento del fatto; in ogni caso, quand'anche quanto sostenuto in sentenza fosse vero, non si riuscirebbe a comprendere le ragioni per cui, nel valutare la sussistenza dell'elemento soggettivo in capo agli imputati, non si dovrebbe tener conto delle posizioni asseritamente difformi e più favorevoli espresse dall'Agenzia delle Entrate nel momento in cui le condotte sono state tenute, dovendosi invece affidare in via esclusiva ad un parere asseritamente peggiorativo emesso dall'Agenzia ben sei anni dopo l'inizio di tale attività criminosa e dopo che l'imbarcazione era già stata sequestrata; un ulteriore profilo di censura, poi, investe la questione, già evocata a proposito del secondo motivo di ricorso B. e del quinto motivo W., afferente il c.d. cambio di classe dell'imbarcazione, in particolare di quello verificatosi in occasione del noleggio in Spagna (v. pagg. 52 ss.); sul punto, si contesta come sulla questione dei cambi di classe dell'imbarcazione in sede di appello fosse stata depositata una memoria tecnica finalizzata a spiegare le ragioni per cui i cambi di classe, in numero di tre complessivamente nel contesto di cinque anni di attività, erano stati determinati non già dalla volontà di sottrarsi al pagamento dell'IVA all'importazione ma per ragioni diverse; in particolare: a) quanto al primo cambio di classe, verificatosi nel periodo 14.11.2006 - 12.02.2007, lo stesso era stato motivato dalla necessità di trasferire la nave per volere del gestore F. Yacht, in acque territoriali statunitensi, per partecipare al Boat Show di Antigua al fine di pubblicizzare l'imbarcazione, tant'è che dopo la partecipazione a tale evento l'imbarcazione era stata noleggiata, oltre che dal B. anche da tale Friedland con noleggi che avevano reso circa 1 milione di euro; poichè nei mari americani non esiste una categoria commerciai analoga a quella presente in Europa, ma solo la differenziazione tra navi private, c.d. categoria pleasure, e navi di linea, c.d. categoria merchiant ship, il cambio di classe era stato motivato dalla necessità di adeguarsi a tale normativa, avendo peraltro continuato ad esercitare in quel periodo attività commerciale; b) quanto al secondo ed al terzo cambio di classe, verificatisi in periodi in cui l'imbarcazione era stata noleggiata dal B. e trasferita per pochi giorni a Barcellona ed a Valencia in occasione di due gran premi di formula uno, si chiarisce, come già illustrato nell'analogo motivo W., che il cambio di classe era stato motivato per evitare il pagamento di una speciale tassa spagnola che nulla aveva a che fare con l'assolvimento dell'IVA ma che costituiva un'aliquota fiscale addizionale, ossia un dazio, da corrispondersi in caso di effettuazione di un'attività commerciale in Spagna da parte di soggetti non aventi nazionalità spagnola; detta tassa, come già evidenziato nel motivo W., era stata poi abrogata per effetto dell'intervento dell'UE; nel caso di specie, poichè la bandiera della nave consentiva il cambio di classe in Pleasure, la F. Yacht aveva optato per tale temporaneo cambio, possibile anche perchè era a bordo il Beneficiai Owner del Trust proprietario di Autumn Sailing, onde evitare tale sovraccarico di oneri; orbene, la sentenza non avrebbe dedicato alcuna attenzione al primo cambio mentre si sarebbe concentrata solo sui due cambi verificatisi in acque spagnole, peraltro confondendo il dazio esistente all'epoca in base alla normativa spagnola con il pagamento dell'IVA in caso di introduzione della nave in acque spagnole, laddove, invece, lo stesso non era stato effettuato per nascondere alle autorità iberiche l'irregolare iscrizione dell'imbarcazione in Italia alla classe commerciai, ma all'unico scopo di evitare il pagamento di una tassa iniqua tanto da essere successivamente abrogata con effetto retroattivo dal legislatore spagnolo per effetto dell'intervento UE; in ogni caso, si osserva, pur classata come pleasure, l'imbarcazione avrebbe continuato ad incassare proventi per attività di noleggio; ulteriore profilo di censura svolto in ricorso riguarda l'affermazione della sentenza con cui è stata confutata la tesi difensiva secondo cui sarebbe stato irragionevole per B. sostenere costi così elevati di ristrutturazione, prima e di gestione,poi, di una nave dalle caratteristiche del (OMISSIS), onde ottenere modesti vantaggi fiscali; la sentenza avrebbe liquidato gli argomenti difensivi con la semplice affermazione secondo cui i costi indubbiamente rilevanti di ristrutturazione avrebbero determinato un rilevante incremento di valore dell'imbarcazione non andando dispersi; si tratterebbe di argomentazione censurabile non confrontandosi con gli aspetti dell'argomento difensivo a sostegno, laddove si era precisato che i costi ammontavano a ben sei milioni di euro, ossia ad un importo corrispondente a più del doppio dell'IVA asseritamente evasa, ciò che rendeva incredibile l'ipotesi che la trasformazione della nave in classe commerciai costituisse solo il pretesto per ottenere agevolazioni dell'IVA non dovute, tenuto conto di quanto era stato dedotto dalla difesa circa la natura e ragione di tali costi di refitting, oltre che alle spese annuali connesse ai lavori necessari per tutte le richieste revisioni necessarie a mantenere la categoria commerciale, era quindi difficile negare le caratteristiche tipicamente commerciali del natante in questione, e dunque è del tutto insoddisfacente l'affermazione della sentenza secondo cui tali costi avrebbero consentito al B. di godere per sè e per i suoi ospiti di particolari condizioni di comfort; ciò in quanto gran parte dei costi sostenuti, quelli pari a circa sei milioni di euro, per inserire una nave in categoria commercial, non attengono affatto al comfort ma all'effettuazione di lavori di rafforzamento dello scafo e della struttura della nave, nonchè all'installazione di presidi di sicurezza idonei a consentirne la navigazione della nave in alto mare in condizioni di assoluta sicurezza; l'attenzione del ricorrente, poi, si sposta (v. pagg. 59 ss.) sull'analisi delle posizioni soggettive operata dalla sentenza di appello, laddove, con riferimento al B., i giudici territoriali affermano che questi era consapevole non solo del fatto che il trust era fittizio in quanto era lui ad amministrare il (OMISSIS) e che lo utilizzava prevalentemente per fini personali, ma anche del fatto conseguente che il trattamento fiscale di cui l'Autumn Sailing godeva in relazione al natante era indebito; tale affermazione oltre che viziata dall'errore giuridico già oggetto di esame nei precedenti motivi B.- W. circa il c.d. autoconsumo, sarebbe oltremodo errata laddove sostiene che dalla circostanza che il Trust fosse irregolare o fittizio dovrebbe discendere come fato conseguente che il trattamento fiscale di cui la società armatrice godeva in relazione all'imbarcazione fosse indebito; sul punto, in particolare, si osserva come le due cose non siano affatto correlate, ben potendo essere irregolare il Trust senza però che il trattamento fiscale attribuito al natante sia indebito, essendo quest'ultimo collegato all'effettiva destinazione commerciale dell'imbarcazione; in sostanza, si osserva, le circostanze di fatto sarebbero tutt'al più dimostrative di una consapevolezza da parte del B. dell'irregolarità del Trust, ma non sarebbero comunque collegate con il regime fiscale applicabile alla società armatrice, non potendosi trarre dalle stesse la prova che il B. fosse consapevole dell'irregolarità del regime di esenzione dall'IVA applicato alla gestione dell'imbarcazione; il ricorso passa poi ad esaminare le circostanze di fatto che sarebbero state oggetto di errata valutazione da parte dei giudici di appello o che non sarebbero state tenute nella dovuta considerazione dalla sentenza impugnata: a) il primo riferimento è ad una mail 23.05.2006 intercorsa tra uno dei legali del B. e la P., in cui il legale, consiglia di chiudere le vertenze con il precedente comandante della nave per evitare che le chiacchere possano sollevare l'attenzione degli organi inquirenti; sul punto, si osserva in ricorso, a parte il rilievo per cui in tale mail non si fa riferimento espresso alla questione dell'IVA, non sarebbe dato comprendere perchè le preoccupazioni esternate dal legale dovrebbero ritenersi rivolte a tale ultimo argomento e non invece alla questione della struttura societaria creata dal B.; che ciò risponda alla realtà, del resto, lo si trarrebbe dalla lunga disamina dedicata dalla sentenza alla posizione della D.F., amministratrice della Autumn sailing, richiamandosi in sentenza anche alcune mails a firma della D.F. medesima in cui emergeva la preoccupazione che i comportamenti del B. potessero far emergere l'irregolarità del Trust e non certo i problemi legati al regime fiscale applicabile alle navi Commercial; il riferimento è, in particolare, ad alcune mails (quella tra la D.F. ed un giornalista, tale Be., che doveva intervistare B.; quella tra P.R. e la e D.F. in cui quest'ultima si lamenta del fatto che B. in un'intervista si fosse rivolto al (OMISSIS) indicandolo come la mia marca; ancora, da altre mails emergerebbe l'idea della D.F. e di altri esponenti dell'entourage de B. di stipulare un contratto di sfruttamento dell'immagine fra questi ed Autumn sailing così da giustificare la presenza a bordo del B. e di non fare emergere che fosse questi l'effettivo proprietario della barca); si sottolinea, peraltro, come proprio a seguito della lettura di una di queste mails, quella tra tale W.D. e P.R., emergerebbe in maniera inconfutabile l'oggetto della preoccupazioni, ossia che se il B. avesse insistito nell'affermare che il (OMISSIS) era suo, potesse essere messa in discussione la struttura stessa creata per la gestione di tutto il patrimonio del B., ossia il c.d. trust discrezionale costituito in Inghilterra al fine di far apparire all'esterno che molte delle attività facenti capo al B. e gestite in vari paesi europei erano in realtà sotto il controllo di un trust indipendente localizzato a Londra; ed è altrettanto chiaro, si osserva in ricorso, che tale preoccupazione non aveva nulla a che fare con il problema dell'inserimento del (OMISSIS) nella classe Commerciai e della sua conseguente esenzione dal regime dell'IVA all'importazione e sui consumi; il fatto, infine, che la sentenza pretenda di collegare le preoccupazioni suddette al problema del regime fiscale applicabile al (OMISSIS) arrivando a sostenere che la preoccupazione di giustificare la presenza di B. a bordo della nave nascerebbe dal fatto che essa non poteva essere ricondotta alo svolgimento di contratti charter che tutti sapevano essere inesistenti è affermazione gratuita e contraddetta dalla stessa istruttoria, che aveva dimostrato come i giorni di noleggio del B. fossero di poco superiori a quelli degli altri charteristi nel periodo 2006/2009.
7.5. Deducono, con il quinto motivo, violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 1 e 8, artt. 43 e 48 c.p. e correlato vizio di contraddittorietà e carenza della motivazione in ordine all'affermata responsabilità penale per il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti.
Con riferimento, poi, al capo o) della rubrica, la difesa B. svolge sostanzialmente le medesime censure già articolate dalla difesa di W. con il nono motivo (v. supra); è quindi sufficiente richiamare integralmente in questa sede le relative considerazioni, già sviluppate al proposito.
7.6. Deducono, con il sesto motivo, violazione di legge in relazione agli artt. 191,511,335 e 407 c.p.p. per essere stati utilizzati quale prova i documenti acquisiti in esito ad attività di rogatoria, esperita quando già era spirato il termine delle indagini preliminari, e correlato vizio di illogicità e contraddittorietà della motivazione sul punto.
Si censura la mancata risposta della Corte d'appello al tema dedotto con i motivi in quella sede sollevati dalla difesa del B. sul punto; premesso che la data di iscrizione del registro degli indagati ((OMISSIS)) sarebbe successiva rispetto alla richiesta di sequestro preventivo (30.04.2010), poichè l'attività rogatoriale risulterebbe essere stata spedita in data 28.12.2010, era scaduto il termine legale delle indagini preliminari, sia per il contrabbando che per la violazione della norma sulle accise, non essendo mai stata richiesta una proroga del termine, posto che, da un lato, a fine ottobre 2010 detto termine era scaduto dovendosi considerare l'obbligo di iscrizione a far data dal 4.03.2010 e, dall'altro, il 15.12.2010 il termine era comunque scaduto ove si volesse considerare il 30.04.2010, data in cui il Procuratore della Repubblica aveva siglato la richiesta di sequestro dell'imbarcazione dando atto dell'esistenza del procedimento penale e dell'intervenuta iscrizione; ne discenderebbe l'inutilizzabilità degli atti di cui alle rogatorie, dichiarati ed impiegati in motivazione quali validamente acquisiti nel procedimento.
7.7. Deducono, con il settimo motivo, violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, in relazione all'affermata natura permanente del reato di evasione dell'IVA all'importazione.
Trattasi dell'analoga doglianza sviluppata nel settimo motivo del ricorso W., da cui si differenzia solo per leggere sfumature argomentative non incidenti sulla sostanza delle censure articolate sotto i medesimi profili; è sufficiente, pertanto, richiamare quanto supra illustrato, da intendersi in questa sede integralmente richiamato.
7.8. Deducono, con l'ottavo ed ultimo motivo, violazione di legge in relazione al predetto art. 70 e al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 301, e correlato vizio di carenza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla disposta confisca del (OMISSIS) (si tratta di censura analoga a quella svolta nel secondo motivo D.F., da intendersi in questa sede integralmente richiamata.
8. Infine, tenuto conto della complessità ed importanza delle questioni interpretative analizzate nei motivi di ricorso 7 ed 8, e in presenza di discordanti pronunce giurisprudenziali sulla natura dell'IVA all'importazione, e sulle conseguenze discendenti ai fini dell'applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, la difesa del B. chiede che il ricorso venga rimesso alle Sezioni Unite penali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
9. Ritiene il Collegio che la sentenza debba essere annullata senza rinvio perchè il fatto - contestato al capo sub n) della rubrica - non sussiste, cui consegue la revoca della confisca per equivalente degli importi relativi; diversamente, con riferimento ai residui reati, la sentenza merita di essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di Genova, ravvisandosi plurimi profili di criticità del percorso logico - argomentativo che meritano di essere riesaminati dal giudice del rinvio.
10. L'analisi verrà condotta per gruppi di censure, tenuto conto che alcuni dei motivi sono comuni a più ricorrenti e alcuni sono personali a ciascuno di essi. Per comodità espositiva, si muoverà dall'esame dei motivi comuni a più ricorrenti, così da affrontare cumulativamente i profili di doglianza esposti, anche perchè dall'eventuale accoglimento di uno o più dei profili di doglianza comuni ai ricorrenti può discenderne la superfluità dell'esame di uno o più dei motivi personali. Si muoverà, peraltro, dall'esame dei motivi di ricorsi afferenti il reato di concorso nell'emissione di fatture per operazioni inesistenti (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8), in relazione al quale dev'essere adottata, conformemente alle richieste difensive, sentenza di annullamento senza rinvio per insussistenza del fatto.
11. Con riferimento a tale primo gruppo di censure, rivolte all'affermazione di responsabilità per i reati di concorso nell'emissione di fatture per operazioni inesistenti (capi n) ed o) della rubrica), l'esame concerne i profili di doglianza sollevati con i motivi settimo, ottavo e nono del T., il nono motivo del W. ed il quinto motivo del B..
La sentenza motiva in relazione a tali reati alle pagg. 27/29.
Tale motivo è fondato.
11.1. Ed infatti, venuta meno la tesi articolata nella prima sentenza secondo cui la società armatrice Autumn sailing fosse una società schermo, appositamente costituita per consentire al B. di poter fruire della disponibilità dell'imbarcazione godendo delle agevolazioni fiscali derivanti dall'essere detta imbarcazione di apparente proprietà di una società in realtà non operante, la contestazione di emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti non è sostenibile giuridicamente.
Quanto argomentato dai giudici di appello è infatti del tutto incoerente con l'imputazione (il riferimento è alla doppia interpretabilità dell'imputazione, riferibile o all'inesistenza delle fatture per la fittizia soggettività della società proprietaria dell'imbarcazione - nel qual caso il reato sarebbe insussistente avendo escluso la sentenza d'appello la natura di schermo della società in questione - oppure all'inesistenza ricadente sulla qualifica "commerciale" della società con esenzione dell'IVA, ciò che invece consentirebbe di ritenere sussistente il reato) che, infatti, contestava agli imputati il delitto di emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti in concorso tra loro "perchè la società Autumn sailing Limited risultava appositamente realizzata per dissimulare la destinazione non esclusivamente commerciale del natante (OMISSIS) di cui era unico reale ed effettivo proprietario il B.F.". L'imputazione contestava il fatto che, in quanto mero schermo della titolarità del natante in capo al B., il quale utilizzando la nave a scopo diportistico sarebbe stato tenuto a pagare l'IVA, la fittizietà delle fatture risiedeva proprio nell'intestazione alla società di comodo Autumn sailing, in luogo del titolare occulto B..
L'interpretazione fornita dalla sentenza contrasta con il capo di imputazione, essendo del resto l'interpretazione sostenuta nel ricorso (cioè che l'inesistenza soggettiva contestata nell'imputazione debba riferirsi a "soggetti diversi da quelli effettivì) maggiormente coerente sia con il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, che con la definizione fornita dall'art. 1, che qualifica come "soggettivamente inesistenti" le fatture "che riferiscono l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi", essendo pertanto incriminata solo la diversità tra uno e entrambi i soggetti indicati in fattura rispetto a coloro che hanno posto in essere l'operazione indicata, diversità quindi che non riguarda qualifiche, qualità o altri elementi del soggetto, bensì la sua identità individuale, che lo identifichi rispetto a terze parti.
Quanto sopra trova del resto riscontro nella stessa Relazione ministeriale al D.Lgs. n. 74 del 2000 che richiama il D.L n. 429 del 1982, precedente art. 4, lett. d), riferendosi pertanto all'identità soggettiva di chi è menzionato in fattura e non già alla qualità posseduta dal soggetto, in quanto ciò comporterebbe un'inammissibile estensione analogica in malam partem della norma incriminatrice. Ciò, dunque, non rende ex se la fattura soggettivamente inesistente e dunque passibile di sanzione penale, nè rileva il richiamo in sentenza al fatto che avrebbero rilievo D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 8, le qualità soggettive rilevanti in base alle norme tributarie, posto che il richiamo a tali norme operato dall'art. 1, D.Lgs. citato è, oltre che alle fatture, ai documenti che presentino analoga rilevanza formale/probatoria ai fini tributari. In definitiva, presupponendo l'inesistenza soggettiva della fattura l'immutazione dell'identità del o dei soggetti indicati in fattura, e non di una semplice qualità, il reato sarebbe insussistente.
Si concorda, poi, con la difesa dei ricorrenti circa l'improprio richiamo all'art. 48, c.p. (autore mediato), in relazione al quale la motivazione è contraddittoria, in quanto il richiamo nell'imputazione all'art. 48, c.p., si risolve nel tentativo di riproporre surrettiziamente l'originaria accusa di truffa, dichiarata insussistente per effetto della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010 - dep. 19/01/2011, Giordano ed altri, Rv. 248865). Peraltro, risponde alla logica ed alla esegesi della norma che qualora, come nel caso in esame, uno dei due soggetti indicati in fattura, inducesse l'altro ad emettere la fattura falsa per poi usufruire il decipiens stesso della falsa fattura, da un lato, difetterebbe a rigore il dolo specifico di consentire a terzi e non a sè stessi l'evasione dell'imposta, in quanto l'autore mediato è solo uno strumento della materiale commissione del reato, che deve essere ascrivibile in tutte le sue componenti oggettive e soggettive, al decipiens.
11.2. In conclusione, non ha pregio la lettura operata dalla Corte territoriale secondo cui l'indicazione di Autumn sailing come soggetto esente IVA riferirebbe l'operazione ad un soggetto diverso da quello effettivo, attribuendogli una qualità decisiva ai fini della determinazione del trattamento impositivo. L'interpretazione più corretta, infatti, è quella offerta dalla difesa dei ricorrenti fondata sulla nozione di "operazioni soggettivamente inesistenti" contenuta nel D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 1, e nella stessa interpretazione offerta dalla Relazione ministeriale al D.Lgs. n. 74 del 2000, che fa leva sulla diversità soggettiva e non sulla semplice diversità della qualità del soggetto destinatario della fattura. Del resto, e conclusivamente, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti è sì configurabile anche in caso di fatturazione solo soggettivamente falsa, ma è altrettanto pacifico che per tale deve intendersi il caso in cui l'operazione oggetto di imposizione fiscale sia stata effettivamente eseguita e tuttavia non vi sia corrispondenza soggettiva tra il prestatore indicato nella fattura od altro documento fiscalmente rilevante e il soggetto giuridico che abbia erogato la prestazione (v., tra le tante: Sez. 3, n. 24307 del 19/01/2017 - dep. 17/05/2017, Cortella, Rv. 269986).
Deve quindi essere affermato il seguente principio di diritto:
"Il reato di emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti è configurabile esclusivamente in presenza di fatture che riferiscono l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi, assumendo rilevanza penale solo la diversità tra uno o entrambi i soggetti indicati in fattura rispetto a coloro che hanno posto in essere l'operazione indicata. Ne consegue che tale diversità non riguarda qualifiche, qualità o altri elementi del soggetto o dei soggetti dell'operazione inesistente, bensì la sola identità individuale, che identifica il soggetto rispetto a terze parti (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto errata la tesi secondo cui l'inesistenza soggettiva potesse affermarsi con riguardo alla mancanza nell'acquirente committente della qualità di soggetto esente IVA)".
11.3. L'accoglimento del relativo gruppo di motivi afferenti ai reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, determina l'assorbimento e la conseguente superfluità dell'esame dei motivi ad essi collegati.
Si tratta, in particolare, del quinto e del sesto motivo del T. (rispettivamente orientati a censurare un asserito vizio di violazione della legge processuale in relazione all'art. 521 c.p.p., comma 2 nonchè in relazione all'art. 125 c.p.p., comma 3, quanto al capo o).
12. Un secondo gruppo di censure attiene invece alle presunte violazioni della legge processuale articolate, sotto diversi profili, dagli attuali ricorrenti.
12.1. Anzitutto, meritano di essere esaminati il primo ed il secondo motivo W., con cui rispettivamente vengono dedotte censure quanto alla mancata declaratoria di nullità del decreto di citazione a giudizio per la mancata favorevole valutazione dell'impedimento a comparire dell'imputato - questione peraltro affrontata alle pagg. 2/4 della sentenza impugnata - nonchè in merito alla mancata traduzione ex art. 143, c.p.p. della sentenza d'appello in lingua comprensibile al ricorrente.
12.2. Quanto alla mancata declaratoria di nullità del decreto di citazione a giudizio per la mancata favorevole valutazione dell'impedimento a comparire dell'imputato, si richiama quanto argomentato dai giudici di appello alle pagg. 2/4 della sentenza impugnata. Sul punto i giudici di appello richiamano integralmente il provvedimento emesso dal GUP e l'ordinanza emessa dal tribunale all'ud. 26.06.2014, in particolare nella parte in cui ha evidenziato che la documentazione medica prodotta all'udienza preliminare non forniva prova dell'esistenza di un'impossibilità assoluta dell'imputato a comparire, alludendo esclusivamente al pregiudizio che sarebbe potuto derivare al suo stato di salute dalla partecipazione ad una giornata intera di udienza, mentre l'udienza preliminare si sarebbe conclusa n poche ore nella stessa mattinata. Trattasi di argomentazione non manifestamente illogica fondata sulle risultanze documentali, che, in quanto tale, non merita di essere sindacata da questa Corte. Del resto, questa Corte, nella sua più autorevole composizione, ha affermato che in tema di impedimento a comparire dell'imputato, il giudice, nel disattendere un certificato medico ai fini della dichiarazione di contumacia, deve attenersi alla natura dell'infermità e valutarne il carattere impeditivo, potendo pervenire ad un giudizio negativo circa l'assoluta impossibilità a comparire solo disattendendo, con adeguata valutazione del referto, la rilevanza della patologia da cui si afferma colpito l'imputato (Sez. U, n. 36635 del 27/09/2005 - dep. 11/10/2005, Gagliardi, Rv. 231810). E, nella specie, correttamente i giudici di merito avevano proceduto a valutare l'esistenza dell'impedimento a comparire, escludendone la natura "assoluta" rispetto all'udienza camerale che avrebbe impegnato cronologicamente una durata assai ridotta rispetto ad un'ordinaria udienza dibattimentale, tenuto conto delle indicazioni provenienti dalla certificazione medica prodotta che segnalava eventuali pregiudizi allo stato di salute derivanti dalla partecipazione, appunto, ad una "giornata intera di udienza".
12.3. Quanto, poi, alla censura, sviluppata in seno al medesimo motivo, circa la nullità della sentenza per essersi il giudizio svolto davanti al tribunale nonostante l'imputato non fosse in grado di partecipare coscientemente al processo, anche qui valgono le considerazioni esposte nella sentenza di appello alle pagg. 3 e 4.
I giudici di appello esprimono un giudizio di sussistenza della capacità del ricorrente a stare in giudizio, come dimostrato dal fatto che proprio nei giorni antecedenti all'udienza preliminare, questi avesse partecipato ad una trasmissione televisiva, durante la quale appariva lucido e consapevole.
I giudici di seconde cure si prendono carico peraltro di confutare le argomentazioni difensive, per così dire, replicate in sede di ricorso per cassazione, senza apprezzabili elementi di novità critica, esponendosi quindi il relativo motivo al vizio di genericità per aspecificità, atteso che non tiene conto delle ragioni esposte dai giudici di primo grado e di appello a confutazione, in particolare, delle identiche doglianze esposte nei motivi di appello. Deve quindi essere fatta applicazione del principio, già affermato da questa Corte, secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
12.4. In particolare, si legge in sentenza, come non potesse ipotizzarsi che la trasmissione non fosse indicativa dello stato di salute dell'imputato, in quanto forse registrata in precedenza ovvero in quanto avrebbero potuto essere state tagliate le scene in cui non appariva lucido, trattandosi di semplici congetture. Analogamente, prive di pregio sono considerate dai giudici di appello le critiche svolte dal ricorrente alle conclusioni cui era pervenuto il perito nominato dal tribunale al fine di valutare lo stato di salute del ricorrente, osservandosi in sentenza come il dott. T. avesse espresso il proprio giudizio (con cui riferiva non risultasse comprovato che il ricorrente "ad ora" fosse affetto da patologie idonee a impedirne la cosciente partecipazione al procedimento) fondandolo sulla documentazione medica prodotta dalla difesa e, in particolare, sul referto chirurgico della struttura sanitaria datato 3.01.2013, sul foglio di dimissioni rilasciato da un istituto di riabilitazione statunitense nel mese di maggio 2013, e sulla lettera di dimissioni datata 8.07.2013 da una clinica svizzera. Proprio in tale ultimo documento, si osserva in sentenza, valutando le condizioni del paziente in rapporto al trattamento antidepressivo cui lo stesso era sottoposto da lungo tempo, il medico dott. G., dava atto di come l'imputato, valutando con il sanitario gli effetti della sostituzione del farmaco Prozac con il farmaco Cymbalta, aveva ritenuto quest'ultimo meno efficace, giudicando utile il ritorno alla Fluoxetina; dunque, si legge in sentenza, il fatto che l'imputato avesse interloquito con il sanitario in modo lucido circa la minore efficacia del nuovo trattamento farmacologico, dimostrava come lo stesso si trovasse in condizioni di poter partecipare coscientemente al processo. A ciò andava aggiunto, si legge infine in sentenza, che altro medico, il dott. J., nel formulare le valutazioni neurologiche nelle quali si faceva riferimento ad un aggravamento neurologico con perdita di capacità di discernimento in conseguenza di una caduta subita dall'imputato nel gennaio 2014, non avesse indicato nei due certificati da lui emessi su quali esami strumentali o di altra natura si basasse tale giudizio.
Orbene, al cospetto di tale, pur sintetico apparato argomentativo, le doglianze del ricorrente quanto all'esistenza di presunti vizi logico - giuridici della sentenza impugnata (e delle ordinanze emesse dai giudici di merito nel corso del giudizio sul punto), sono del tutto prive di pregio, in quanto attraverso le relative censure il ricorrente, piuttosto che dolersi di effettive violazioni di legge o di presunti deficit argomentativi dei provvedimenti censurati tenta di ottenere da questa Corte una (ri)valutazione nel merito delle emergenze processuali, invece attentamente valutate dai giudici susseguitisi nel corso del processo, prive di aporie logiche e immuni da vizi logico - argomentativi. Del resto, deve qui essere ribadito che in tema di sospensione del processo per incapacità dell'imputato, ai fini dell'esclusione del requisito della sua cosciente partecipazione, non è sufficiente la presenza di una patologia psichiatrica, ma è necessario che l'imputato risulti in condizioni tali da non comprendere quanto avviene in sua presenza e da non potersi difendere (Sez. 6, n. 25939 del 17/03/2015 - dep. 19/06/2015, Zanetti, Rv. 263807). E, nella specie, non emergeva nelle sedi di merito un'evidenza probatoria tale da esprimere un giudizio di incapacità dell'imputato di partecipare coscientemente al processo, risultando invece elementi di segno contrario che deponevano per una sua partecipante cosciente e volontaria, senza che ne risultasse menomato il suo diritto di difendersi, anche alla luce delle risultanze peritali, non rivestendo invece i fatti cronologicamente successivi certo rilievo al fine di ritenere venuta meno tale capacità.
12.5. Quanto poi al motivo relativo alla mancata traduzione ex art. 143 c.p.p. della sentenza d'appello in lingua comprensibile al ricorrente, è sufficiente, al fine di rilevarne la mancanza di pregio, il rilievo che in tema di traduzione degli atti, ex art. 143 c.p.p., come modificato dal D.Lgs. n. 32 del 2014, il diritto all'assistenza all'interprete non discende automaticamente dallo "status" di straniero o apolide, ma richiede l'ulteriore presupposto indefettibile dell'accertata incapacità di comprensione della lingua italiana (Sez. 2, n. 30379 del 5/07/2018, Khadraoui, Rv. 273246). A ciò va aggiunto che la mancata traduzione della sentenza in una lingua nota all'imputato alloglotta non integra la nullità prevista dall'art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c) - sotto il profilo della lesione recata alla effettiva partecipazione al giudizio e alla completa esplicazione del diritto di difesa - qualora sia stata proposta tempestiva impugnazione da parte del difensore e non siano stati allegati elementi specifici in ordine al pregiudizio derivante dalla omessa traduzione, come avvenuto nel caso di specie (Sez. 3, n. 22261 del 09/12/2016 - dep. 09/05/2017, Zaroual e altro, Rv. 269982).
13. Devono poi essere affrontate le doglianze relative al sesto motivo B., con cui vengono svolte censure relative all'asserita inutilizzabilità dei documenti acquisiti in rogatoria, attesa la scadenza dei termini delle indagini preliminari sia per il reato di contrabbando che per la violazione della disciplina in tema di accise, con correlato vizio motivazionale.
Trattasi di eccezione affrontata dalla sentenza d'appello alle pagg. 4/6.
13.1. Il motivo è generico e manifestamente infondato.
E' anzitutto, generico in quanto mostra di non confrontarsi con quanto oggetto di puntuale argomentazione da parte dei giudici di appello, come anticipato, confutano le identiche doglianze difensive (che vengono, per così dire, replicate in sede di ricorso per cassazione, senza elementi di sostanziale novità critica), esponendosi pertanto al giudizio di inammissibilità per genericità.
Deve quindi essere fatta applicazione del principio, già affermato da questa Corte, secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
13.2. Il motivo si appalesa, peraltro, manifestamente infondato.
Ed infatti, la Corte d'appello, nel ritenere infondata l'eccezione difensiva (pagg. 5/6 della sentenza), evidenzia come dalla documentazione in atti l'iscrizione nel r.g.n.r. risulta avvenuta in data 20.05.2010, rilevando solo questo dato ai fini di verificare l'utilizzabilità o meno delle acquisizioni svolte con l'attività di indagine; si legge in sentenza, infatti, che il dato informatico acquisito agli atti è indicativo del fatto che l'iscrizione nel c.d. modello 21 delle generalità del B. è avvenuta in data (OMISSIS), dovendosi escludere la possibilità di un errore, posto che il giorno di iscrizione di tale dato nel registro informatico, si legge in sentenza, corrisponde alla data del provvedimento con cui il PM aveva disposto procedersi a tale adempimento. Detto provvedimento risulta redatto in pari data e riguarda il W., la D.F. ed il B., per i reati di contrabbando doganale ed evasione dell'IVA all'importazione, tutti dati - si specifica in sentenza - coincidenti con l'iscrizione nel mod. 21. Si aggiunge, poi, in sentenza, che il fatto che la richiesta di sequestro preventivo sia data 30.04.2010, non è indicativa di un errore materiale riguardante la data di iscrizione, ma più semplicemente di un adempimento tardivo dell'iscrizione stessa, irrilevante (si legge in sentenza), secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità ai fini della decorrenza del termine di durata delle indagini preliminari, a ciò aggiungendosi la riflessione, certamente rispondente alla realtà effettuale, per cui non è possibile che il registro informatico registri un'iscrizione in una data diversa da quella in cui l'iscrizione stessa è eseguita, ciò in quanto i dati relativi al momento in cui l'iscrizione avviene, sono prodotti in automatico dal sistema senza che sia possibile un intervento dell'operatore.
Trattasi di argomentazioni del tutto immuni dai denunciati vizi, tenuto conto infatti della giurisprudenza formatasi sul punto (v., ad es. Sez. 4, n. 2046 del 27/08/1996 - dep. 02/12/1996, Guddo, Rv. 206320), e del principio affermato da questa Corte, nella sua più autorevole composizione, secondo cui il termine di durata delle indagini preliminari decorre dalla data in cui il pubblico ministero ha iscritto, nel registro delle notizie di reato, il nome della persona cui il reato è attribuito, senza che al G.i.p. sia consentito stabilire una diversa decorrenza, sicchè gli eventuali ritardi indebiti nella iscrizione, tanto della notizia di reato che del nome della persona cui il reato è attribuito, pur se abnormi, sono privi di conseguenze agli effetti di quanto previsto dall'art. 407 c.p.p., comma 3, fermi restando gli eventuali profili di responsabilità disciplinare o penale del magistrato del P.M. che abbia ritardato l'iscrizione (Sez. U, n. 40538 del 24/09/2009 - dep. 20/10/2009, Lattanzi, Rv. 244376), mancando del resto una norma che consenta al giudice di esercitare sia il controllo sulla immediatezza dell'iscrizione, sia la facoltà di fissare autonomamente la data nella quale detta iscrizione avrebbe dovuto essere effettuata (Sez. 5, n. 11441 del 27/03/1999 - dep. 07/10/1999, PG in proc. Longarini E. ed altri, Rv. 214866).
14. Può quindi procedersi all'esame del secondo gruppo di censure che investe la sentenza impugnata laddove ha confermato il giudizio di responsabilità degli imputati con riferimento al delitto di evasione dell'IVA all'importazione contestato in concorso, ritenendo sussistere l'elemento oggettivo del reato. Vengono, in rilievo, in particolare, il primo ed il secondo motivo del T., il terzo motivo del W. ed il primo ed il secondo motivo del B..
15. La sentenza d'appello affronta il tema alle pagg. 11/20 e, quanto alle posizioni soggettive, alle pagg. 20/26.
Il motivo congiunto è fondato.
Ed infatti, la lettura del combinato disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 8 bis e 68, operata dalla difesa dei ricorrenti, alla luce non solo della giurisprudenza interna ed europea richiamata nei ricorsi degli imputati, ma anche della stessa interpretazione offerta dall'Agenzia delle Entrate (segnatamente dalla circolare relativa al caso analogo dell'importazione del natante dall'isola di Cayman, circa la questione dell'autoconsumo) avrebbe meritato ben più ampio approfondimento di quanto dedicato dalla sentenza d'appello.
Sono peraltro ravvisabili le aporie logiche, i silenzi motivazionali e le contraddizioni cui la sentenza impugnata mostra di andare incontro con riferimento ai singoli argomenti sviluppati in sede di appello e che sono rimasti o non confutati o non adeguatamente esaminati dai giudici territoriali. L'esegesi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 5, lett. a), per come condotta dalla Corte territoriale, poi, confligge con l'alternativa lettura, possibile e razionale, offerta dalla difesa dei ricorrenti, non potendo certo ritenersi razionale e conforme a logica interpretare una norma in contrasto con l'interpretazione dell'Agenzia delle Entrate (che all'epoca dei fatti era orientata a legittimare l'esenzione dall'IVA all'importazione per imbarcazioni del tipo del (OMISSIS)) utilizzando come strumento esegetico una circolare intervenuta a ben sei anni di distanza dai fatti e addirittura successiva al sequestro dell'imbarcazione.
15.1. Sul punto, ritiene il Collegio che non possa essere seguita la soluzione offerta dalla sentenza di questa Corte n. 14863/2012, resa nel procedimento cautelare a seguito del ricorso proposto dal T. e dal B., unitamente alla società Autumn sailing Limited, avverso il provvedimento del tribunale del riesame che aveva respinto gli appelli proposti contro l'ordinanza del GIP che aveva rigettato le istanze di dissequestro relative all'imbarcazione (OMISSIS).
In tale sentenza, resa come detto nella fase incidentale cautelare, come emerge a pag. 5 della motivazione, si muoveva, dandolo per "assodato" - allo stato degli atti - ciò che invece risulterebbe essere stato, in fatto, smentito dall'istruttoria dibattimentale successivamente svoltasi, ossia, da un lato, che la società proprietaria dell'imbarcazione in questione operasse in funzione di interposizione fittizia rispetto al reale dominus della stessa ( B.), e, dall'altro, che per molti dei periodi di utilizzo dell'imbarcazione non risultava che il B. avesse pagato corrispettivi alla società formale proprietaria.
Come, infatti, diversamente emerso in sede di istruttoria dibattimentale, risulterebbe essere venuto meno il principale elemento indiziario che aveva condotto questa Corte, allo stato degli atti, a ritenere provata la configurabilità di gran parte degli illeciti oggetto di contestazione, ossia la natura di società schermo della Autumn sailing.
A pag. 28 della sentenza impugnata tale dato sembrerebbe essere assolutamente smentito, ossia in quella parte della motivazione in cui i giudici di merito si soffermano sui reati d concorso in emissione di fatture per operazioni inesistenti.
Si legge infatti che Autumn sailing risulta una società regolarmente funzionante ed operante nel settore della nautica, costituita nel 2000 da B.; che la predetta società nel corso del periodo oggetto contestato ha esercitato regolarmente l'attività di noleggio a condizioni di mercato non solo al B., ma anche nei confronti di plurimi soggetti, come confermato dalla circostanza che a fronte di 245 noleggi da parte del B., se ne contano 221 da parte di terzi soggetti. Quanto, poi, all'affermazione contenuta nella sentenza di questa Corte, che il B. "per molti dei periodi di utilizzo" non avesse provveduto al pagamento, la stessa parrebbe essere stata smentita dagli atti, atteso che, per l'unico charter risultato non pagato, quello relativo ad un noleggio in Spagna effettuato nel 2008, la difesa aveva dedotto in sede di appello prova del fatto (senza che, sul punto, si ravvisi nella sentenza impugnata un benchè minimo accenno di esame di tale profilo) che ciò fosse attribuibile ad un errore, come logicamente dimostrato dal fatto che era del tutto illogico, a fronte di spese di noleggio sostenute per oltre 8 min. di euro nel corso di sei anni dal B., che quest'ultimo avesse voluto risparmiare su un solo noleggio per l'importo di 180.000 Euro, nè l'essere il socio debitore del 2% di quanto dovuto, poteva nell'ottica difensiva (certo non manifestamente illogica) dal punto di vista logico - giuridico certamente trasformare un'attività commerciale in un'attività privata.
15.2. Quanto al profilo di diritto, la sentenza di questa Corte, occupatasi della fase incidentale cautelare, confuta la tesi difensiva ritenendo erroneo l'assunto secondo cui il regime di non imponibilità di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 bis riguardi anche le unità di diporto svolgenti attività commerciale battenti bandiera non italiana, anche in caso di attività commerciale non esclusiva, perchè l'esclusività dell'attività commerciale non rientrerebbe tra i presupposti per l'applicabilità della norma. I giudici di legittimità pervengono a tale soluzione condividendo le argomentazioni dei giudici della cautela, ritenendo corretta l'affermazione secondo cui l'esclusione dell'imposizione riguarderebbe, testualmente, le "navi adibite alla navigazione in alto mare e destinate all'esercizio di attività commerciali o della pesca" (citato art. 8-bis, comma 1, lett. a), senza che la disposizione faccia alcun riferimento a una possibile non esclusività dell'attività commerciale. A conferma di tale esegesi, la richiamata sentenza di questa Corte osserva che all'argomento letterale si aggiungono considerazioni di carattere sistematico, di settore e generali. In particolare, quanto al settore rappresentato dalla disciplina dell'IVA per le cessioni all'esportazione non imponibili e operazioni assimilate, i giudici di legittimità ritengono che, dal tenore della successiva lett. c) del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8-bis, comma 1, - il quale dispone che "le cessioni di aeromobili destinati a imprese di navigazione aerea che effettuano prevalentemente trasporti internazionali" sono assimilate alle cessioni all'esportazione - emergerebbe che, laddove il legislatore ha inteso prendere in considerazione la non esclusività di un'attività ai fini dell'esclusione dell'imposizione, lo ha fatto espressamente, utilizzando il criterio della prevalenza.
Si tratta di un'affermazione certamente logica, seguita sostanzialmente dalla sentenza di appello, dovendosi peraltro rilevare che il mancato riferimento al criterio della "prevalenza" quanto alle "navi" è suscettibile di una lettura altrettanto logica, ossia quella fornita dalle difese dei ricorrenti.
Ed invero, esiste una profonda differenza, quanto al trattamento fiscale ai fini IVA in tema di cessioni non imponibili, tra cessione di "navi" e cessioni di "aeromobili", che emerge dalla piana lettura delle due disposizioni. Secondo il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 bis, lett. a) ed a-bis), letto in coordinamento con l'art. 15 della VI direttiva CEE (ora art. 148 della direttiva 112/2006) le navi che godono del regime di esenzione sono quelle individuate dall'art. 114 del codice della navigazione, ovvero, per quanto di interesse in questa sede, "le navi adibite alla navigazione in alto mare e destinate all'esercizio di attività commerciali o di pesca", senza alcun riferimento al criterio della "prevalenza" della destinazione all'attività commerciale. Sul punto, la Corte di Giustizia UE (CGUE, sentenza 14.9.2006 cause riunite C181/04, C-182/04 e C-183/04) ha stabilito che, ai fini della non imponibilità, le navi adibite alla navigazione d'alto mare devono essere utilizzate nel trasporto a pagamento di passeggeri, ovvero nell'esercizio di attività commerciali, industriali e della pesca, anche in questo caso senza operare alcun riferimento alla "prevalenza".
Di ben diverso tenore è, invece, la previsione sulle cessioni non imponibili di aeromobili. In particolare, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 bis, lett. c), non sono imponibili le cessioni di aeromobili effettuate nei confronti delle imprese di navigazione aerea che effettuano "prevalentemente" trasporti internazionali di persone o di beni. Relativamente al concetto di "prevalenza", la Circolare Ministeriale 3.8.79 n. 26/411138, confermata dalla successiva Risoluzione Ministeriale 13.3.92 n. 450016, ha chiarito che assumono rilevanza i corrispettivi dei trasporti effettuati parte nel territorio nazionale e parte in quello estero, nonchè tra due o più Stati esteri, in rapporto ai corrispettivi dei trasporti esclusivamente all'interno dello Stato (si veda anche Corte di Giustizia UE 16.9.2004, causa C-382/02, secondo cui le cessioni di beni e le prestazioni di servizi - contemplate dalle disposizioni dell'art. 15, punti 6, 7 e 9, della direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme - e destinate ad aeromobili che effettuano voli interni, ma sono utilizzati da compagnie aeree che praticano essenzialmente il trasporto internazionale a pagamento, sono esentate dall'IVA.).
15.3. Orbene, è evidente dalla lettura delle disposizioni del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 bis, lett. a) e lett. c), che diversi sono i presupposti dell'esenzione IVA per le navi e per gli aeromobili: nel caso di cessioni di aeromobili la non imponibilità dell'operazione, infatti, dipende da un criterio di tipo soggettivo (le caratteristiche del soggetto acquirente), mentre per le cessioni di navi si fa riferimento ad un criterio di tipo oggettivo (basato sul luogo e sulla modalità di utilizzo della nave).
L'argomento utilizzato dai giudici di appello, seguendo l'esegesi fornita dalla sentenza 14863/2012 si presta quindi ad una valutazione di opinabilità, sia perchè l'accostamento tra lo stato giuridico delle navi e quello degli aeromobili, pur non essendo del tutto arbitrario, consentirebbe l'alternativa lettura operata dalle difese dei ricorrenti. Ed infatti, da un lato, non solo la lett. a) non richiama la lett. c) e viceversa, non potendo conseguentemente l'una disposizione fungere da criterio interpretativo dell'altra; dall'altro, si osserva come dalla lett. c) non possa desumersi quanto affermato dal giudice di merito, tenuto peraltro conto che lo stesso richiamo al concetto di "prevalenza" contenuto nella lett. c), costituirebbe frutto di una forzatura semantica, non attenendo detta prevalenza al quantum o alla frequenza temporale dell'esercizio dell'impresa, ma all'esercizio dell'aeromobile passibile di imposta per tratte internazionali con prevalenza rispetto ai voli nazionali.
In altri termini, come osservato dalla difesa con la lettura alternativa, altrettanto logica rispetto a quella operata dalla sentenza di questa Corte seguita dalla sentenza d'appello, la ratio della norma riguardante gli aeromobili, invero, apparirebbe facilmente intuibile, atteso che le caratteristiche intrinseche del mezzo di trasporto, la sua velocità e la peculiarità del trasporto internazionale, rendendo difficile l'univoca individuazione del presupposto impositivo in un solo Paese, giustificherebbero l'esenzione.
In sostanza la lett. a) e la lett. c) disciplinano beni del tutto differenti, altrimenti navi e aeromobili - come evidenziato dalle difese dei ricorrenti - sarebbero stati regolati dal medesimo alinea, con la conseguenza che non vi sarebbero interpretazioni che consentono di allontanare plausibilmente il richiamo senza riferimenti quantitativi della lett. a) alla destinazione commerciale dal solco della definizione di attività commerciale, individuata in maniera coerente e convergente, in altri ambiti del diritto, sia civile (il riferimento è all'art. 2082 c.c.) che tributario (il riferimento è all'art. 9, direttiva del 2006 che definisce il soggetto passivo IVA). In altri termini, a connotare l'attività commerciale in modo tale da imprimere al bene la relativa destinazione, è l'organizzazione dell'impresa costituita attorno al bene, idonea a conferirgli una "potenzialità" reddituale, essendo l'effettivo conseguimento di utili un elemento puramente aleatorio ed accidentale, come del resto fatto proprio da questa stessa Corte di Cassazione in sede tributaria, laddove si è affermato che la nozione di destinazione ad attività commerciale cui si riferisce la lett. c) citata, si riferisce alle caratteristiche strutturali della nave e non a scelte soggettive del committente o dell'acquirente (Sez. 5, Sentenza n. 7142 del 25/05/2001, Rv. 547002 - 01).
A ciò, peraltro, va aggiunto che in tema di IVA, la nozione di esercizio di impresa commerciale, non coincide con quella civilistica, ma va ricavata dalla normativa comunitaria ed, in particolare, dalla sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, secondo cui si intende inerente all'esercizio dell'impresa ogni operazione che comporti lo sfruttamento di un bene materiale per ricavarne introiti aventi un certo carattere di stabilità, sicchè, ai fini dell'imposta, non vi è ragione di alterare, in un soggetto societario, la tendenziale simmetria tra attività, che danno luogo ad operazioni imponibili, e correlate operazioni passive, che danno luogo a detrazione d'imposta (Sez. 5, Sentenza n. 25777 del 05/12/2014, Rv. 634026 - 01). In definitiva, dunque, la commercialità è un requisito oggettivo che connota stabilmente il bene nella sua essenzialità, estranei restando eventuali aspetti soggettivistici che darebbero vita a inevitabili incertezze.
15.4. Si ritiene, infine, di non poter condividere nemmeno l'ulteriore argomentazione sviluppata a pag. 7 della sentenza di questa Sezione, laddove ritiene che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 5, lett. a), confermi la tesi della "prevalenza". Si legge infatti in sentenza che tale norma, nello stabilire che non sono considerati attività commerciale "il possesso e la gestione... di unità da diporto, di aeromobili da turismo o di qualsiasi altro mezzo di trasporto ad uso privato... da parte di società o enti, qualora la partecipazione ad essi consenta, gratuitamente o verso un corrispettivo inferiore al valore normale, il godimento, personale, o familiare dei beni e degli impianti stessi, ovvero quando tale godimento sia conseguito indirettamente dai soci o partecipanti, alle suddette condizioni, anche attraverso la partecipazione ad associazioni, enti o altre organizzazioni", troverebbe applicazione nel caso in esame, perchè - in base alla valutazione condotta all'epoca dai giudici del riesame - risultavano gravi indizi del fatto che l'imbarcazione oggetto di sequestro fosse stata utilizzata a fini privati dall'indagato, senza che nella contabilità della società proprietaria dell'imbarcazione risultasse alcun pagamento da parte di B. e in mancanza di gran parte delle fatture di pagamento, non potendosi attribuire rilievo, sul punto, alla nota dell'Agenzia delle entrate del 27 luglio 2004, richiamata nel ricorso di B., riferendosi tale atto al caso - ritenuto diverso da quello di specie - in cui vi sia l'effettivo pagamento di corrispettivi da parte dei soci a fronte del noleggio dell'imbarcazione da parte della società, pagamento che deve risultare dalla documentazione contabile della società stessa.
15.5. Tale affermazione, relativa alla questione del c.d. autoconsumo, risulterebbe essere stata infatti oggetto di puntuale confutazione da parte della difesa degli imputati nel corso del giudizio (senza che, ancora una volta, si registri un benchè minimo accenno di esame dei relativi argomenti difensivi nella sentenza di appello), e si appalesa, peraltro, contraria alla stessa esegesi operata dall'Agenzia delle Entrate nelle istruzioni di prassi amministrativa.
La norma in esame stabilisce, in particolare, che "non sono considerate, inoltre, attività commerciali, anche in deroga al secondo comma: a) il possesso e la gestione.....di unità da diporto....da parte di società o enti, qualora la partecipazione ad essi consenta, gratuitamente o verso un corrispettivo inferiore al valore normale, il godimento, personale, o familiare dei beni e degli impianti stessi, ovvero quando tale godimento sia conseguito indirettamente dai soci o partecipanti, alle suddette condizioni, anche attraverso la partecipazione ad associazioni, enti o altre organizzazioni".
Orbene, con il disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 5, sul c.d. autoconsumo, non si stabilisce che l'autoconsumo è ammesso solo se quantitativamente residuale nè si conferma a contrario l'asserita regola della prevalenza dell'uso commerciale. La norma si limita ad affermare che l'autoconsumo è legittimo e non incide sulla destinazione commerciale del bene se avviene a prezzo normale, come risulterebbe essere stato provato dalla difesa nel corso del giudizio (senza che di ciò però la sentenza di appello si prenda carico di svolgere una seppur minima argomentazione sul punto).
15.6. La conclusione secondo cui la norma dovrebbe essere interpretata nel senso che l'utilizzo del bene da parte del socio che paga il corrispettivo a valore normale può essere solo occasionale, parrebbe poi smentita dalla circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 43/E del 29.09.2011 che, infatti, stabilisce che qualora l'attività dell'impresa sia diretta anche al socio pur a prezzi di mercato, indica in particolare come non risolutivo in sè e per sè il requisito della prevalenza, dovendosi invece attingere ad altri criteri interpretativi per la sussunzione del mezzo entro il perimetro della destinazione commerciale anche in caso di autoconsumo a prezzo normale (prevalenza dei noleggi a clienti terzi; affidamento ad un broker; pubblicizzazione e negoziazione effettiva del servizio con i terzi anche in caso di non conclusione dell'accordo), tutti peraltro - secondo la prospettazione difensiva (su cui ancora una volta, non si registra una chiara presa di posizione confutativa della sentenza d'appello) - rispettati.
La circolare (p. 3.3.) puntualizza che in relazione alle operazioni rese dalla società nei confronti di soci o di soggetti riconducibili al soggetto imprenditore, ad un valore non inferiore a quello di mercato, occorre preliminarmente verificare se le stesse possano essere ricondotte nello schema della attività commerciale e non configurino, invece, la destinazione del bene a fini privati. A tal fine è necessario indagare la realtà aziendale attentamente, caso per caso, in particolare quando il destinatario finale effettivo della prestazione non sia un'impresa; ove si riscontri che la forma societaria si riduce di fatto ad uno strumento per acquistare senza IVA beni destinati esclusivamente ad essere messi a disposizione dei soci persone fisiche o dei loro familiari etc., si deve ritenere che non sia configurabile l'esercizio di una attività economica. A tale proposito occorre rilevare che ai sensi dell'art. 9 della direttiva IVA 112/2006 l'attività economica si caratterizza per essere diretta al conseguimento di introiti con carattere di stabilità e non può pertanto ravvisarsi il carattere commerciale nel caso in cui l'attività sia rivolta esclusivamente a permettere al socio (o a soggetti riconducibili ai soci) l'uso personale di determinati beni anche se a valore di mercato.
E, nel caso di specie, l'esclusività sarebbe stata "esclusa" proprio dal fatto che l'imbarcazione in questione risulterebbe stata utilizzata sì 245 volte dal B., a prezzo normale, ma ben 221 volte regolarmente noleggiata a terzi, non potendosi quindi dubitare della sua destinazione a fini commerciali.
15.7. La stessa circolare, sempre al p. 3.3., aggiunge poi quanto segue: "Il regime di non imponibilità di cui al richiamato articolo 8-bis, che si sostanzia, per l'acquirente del bene o committente del servizio, in una anticipazione del rimborso dell'eccedenza di IVA detraibile, è, infatti, riservato alle sole attività che abbiano natura sostanzialmente commerciale ed è finalizzato ad agevolare le operazioni tra operatori economici e non anche l'acquisto di beni e servizi utilizzati, seppure in parte, per fini privati. Per esigenze di semplificazione, si ritiene che nell'ipotesi considerata, in cui l'attività commerciale consistente nel noleggio o locazione di imbarcazioni da diporto sia resa sia nei riguardi dei soci (o di soggetti in qualche modo riconducibili al "soggetto imprenditore") a canoni di mercato che di altri soggetti, possa essere consentita l'applicazione del regime di non imponibilità solo qualora, risulti verificato, in base a criteri quantitativi, che l'attività è resa prevalentemente nei confronti di soggetti diversi dai soci. Qualora, viceversa, le prestazioni risultassero prevalentemente rese nei confronti dei soci (o di soggetti a questi collegati) non sarebbe applicabile il regime di non imponibilità di cui all'art. 8 bis bensì le ordinarie regole di applicazione dell'imposta, secondo le quali l'IVA deve essere assolta al momento dell'acquisto dei beni e dei servizi e detratta nei limiti consentiti dal D.P.R. n. 633 del 1972. Il riscontro della prevalenza dell'attività svolta nei riguardi di terzi si ritiene che possa avvenire sulla base di parametri oggettivi, quali i giorni di utilizzo dell'unità da diporto e l'ammontare dei corrispettivi fatturati.
Il requisito della prevalenza dell'attività nei riguardi di terzi può ritenersi sussistente, per il periodo d'imposta in corso, qualora nel biennio precedente la percentuale delle operazioni rese a terzi rappresenti la maggioranza delle prestazioni effettuate, sulla base di entrambi i seguenti parametri:
a) ammontare dei corrispettivi derivanti dall'attività svolta nei confronti di terzi;
b) giorni di utilizzo dell'unità da diporto da parte di soggetti terzi.
Esemplificando: se i corrispettivi delle operazioni rese a terzi nel biennio precedente risultino superiori rispetto a quelli percepiti per le prestazioni rese ai soci (parametro a)) e i giorni di utilizzo dell'unità, da parte di terzi, nel biennio precedente superino il periodo di utilizzo da parte dei soci (parametro b)), si può ritenere che per l'anno in corso la società di noleggio svolga attività commerciale ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 bis. I criteri indicati devono essere valutati relativamente a ciascuna imbarcazione, non risultando sufficiente il calcolo in riferimento alla totalità delle imbarcazioni complessivamente considerate. (omissis) Qualora dovesse riscontrarsi il mancato soddisfacimento del requisito della prevalenza secondo i criteri "quantitativi" sopra illustrati, potranno comunque essere valutati altri elementi la cui presenza, considerata insieme a tutte le circostanze riscontrate, può far ritenere legittima l'applicazione del regime di non imponibilità. In particolare si potrà verificare se: - l'unità da diporto sia affidata ad un broker indipendente per il noleggio e/o la locazione nei confronti di soggetti terzi a prezzi di mercato; - l'attività di noleggio e/o locazione dell'unità da diporto sia pubblicizzata su riviste specializzate (gratuite o a pagamento); - sia dimostrato l'effettivo svolgimento di attività di negoziazione con soggetti terzi, indipendentemente dall'effettiva stipulazione di contratti (es. dal buon esito delle trattative)".
Orbene, a ben vedere, in effetti è la stessa circolare ad affermare che il criterio della prevalenza del noleggio in favore di terzi non è l'unico da tenere in considerazione rispetto alle valutazioni da effettuare in merito all'applicazione del regime di esenzione, e che, anche quando dovesse evidenziarsi la prevalenza del c.d. autoconsumo, l'applicazione del predetto regime di esenzione ben potrebbe giustificarsi in base alla valutazione di alcuni requisiti indicati dalla stessa circolare (ossia, il fatto che l'unità da diporto sia affidata ad un broker indipendente per il noleggio e/o la locazione nei confronti di soggetti terzi a prezzi di mercato; il fatto che l'attività di noleggio e/o locazione dell'unità da diporto sia pubblicizzata su riviste specializzate, gratuite o a pagamento; la circostanza che sia dimostrato l'effettivo svolgimento di attività di negoziazione con soggetti terzi, indipendentemente dalla stipulazione di contratti, esempio dal buon esito delle trattative).
15.8. Orbene, proprio il caso della (OMISSIS) dimostrerebbe che l'applicazione dei predetti requisiti avrebbe consentito di pervenire al giudizio della natura commerciale dell'imbarcazione (il riferimento è alla sentenza di primo grado, v. pag. 31 del ricorso, in cui si dava atto dell'esistenza di tutti i predetti requisiti), donde, segnatamente con riferimento alla sentenza d'appello, emerge anche il denunciato travisamento del contenuto della circolare, atteso che, pur avendo evidenziato i giudici di appello che l'autoconsumo a prezzi di mercato era stato di poco superiore in termini di giorni di utilizzo al noleggio in favore di terzi (245 giorni contro 221), la sentenza giunge illogicamente a concludere come la ricorrenza dei requisiti indicati per la qualificazione "commerciale"dell'imbarcazione non avrebbe confutato la circostanza che vi fosse stato un uso prevalente della nave da parte del B.. Si tratta, all'evidenza, di affermazione non in linea allo stesso contenuto della circolare che inequivocamente afferma che anche quando vi sia una prevalenza dell'autoconsumo rispetto all'attività di noleggio in favore di terzi, la valutazione dei citati requisiti può far egualmente ritenere che l'attività svolta abbia carattere "commerciale" e rientri pertanto nel regime di esenzione, ciò soprattutto laddove si consideri che - come argomentato dalle difese senza che sul punto si registri un accenno motivazionale nella sentenza impugnata - proprio nel 2007 e nel 2008 i terzi avrebbero utilizzato la nave più del B., donde, seguendo l'illogica motivazione della Corte d'appello, dovrebbe darsi per provato che almeno in quei due anni la nave avesse avuto indubbia destinazione commerciale.
15.9. A ciò, infine, va aggiunto che l'affermazione contenuta nella sentenza n. 14863/2012 di questa Sezione, secondo cui la risoluzione dell'Agenzia delle Entrate del 2004 non sarebbe stata applicabile in quanto risultavano gravi indizi del fatto che l'imbarcazione oggetto di sequestro fosse stata utilizzata a fini privati dall'indagato, senza che nella contabilità della società proprietaria dell'imbarcazione risultasse alcun pagamento da parte di B. e in mancanza di gran parte delle fatture di pagamento, risulterebbe essere stata successivamente smentita dall'istruttoria dibattimentale, la quale avrebbe invece dimostrato che il mancato pagamento di alcuni charter da parte del B. per un periodo complessivo di due settimane sarebbe stato frutto di un errore, avendo il primo giudice considerato come non pagato il noleggio dal 6 al 10.09, in realtà, non effettuato dal B., mentre era stata fornita prova della restituzione del pagamento del charter effettuato nel 2005, essendosi chiarito per quale ragione l'operazione non fosse avvenuta con una formale compensazione, come precisato dalla teste D.F., la quale aveva spiegato che il credito ed il debito non figuravano nel bilancio della stessa società, ciò che impediva la compensazione.
Segnatamente, poi, per quanto riguardava l'unico charter risultato non pagato, quello relativo ad un noleggio in Spagna effettuato nel 2008, la difesa aveva fornito dimostrazione che ciò fosse attribuibile ad un errore, come logicamente evincibile, nell'ottica difensiva, dal fatto che sarebbe stato del tutto illogico, a fronte di spese di noleggio sostenute per oltre 8 min. di euro nel corso di sei anni dal B., che quest'ultimo avesse inteso risparmiare su un solo noleggio per l'importo di 180.000 Euro, nè, peraltro, l'essere il socio debitore del 2% di quanto dovuto, avrebbe potuto dal punto di vista logico - giuridico per le difese trasformare un'attività commerciale in un'attività privata.
16. Tanto premesso, tuttavia, è innegabile che la sentenza d'appello presenti un deficit argomentativo non colmabile in questa sede, costituito anzitutto dalla palese contraddittorietà interna su un punto centrale della vicenda, ossia la circostanza dell'utilizzo della società Autumn sailing quale società schermo, atteso che la normativa si limita ad escludere che possa essere considerata attività commerciale quella che, dietro lo schermo di una struttura societaria, risulta rivolta esclusivamente a permettere al socio o a soggetti riconducibili ai soci, l'uso personale di determinati beni. Sul punto, tuttavia, si registra un'insanabile contraddittorietà argomentativa nella sentenza impugnata, atteso che, mentre tale circostanza (ossia, la circostanza dell'utilizzo della società Autumn sailing quale società schermo) viene ad essere inequivocabilmente esclusa nella sentenza impugnata in quella parte della motivazione in cui la sentenza si sofferma a trattare il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, diversamente, la medesima circostanza appare invece essere il fondamento argomentativo su cui riposa la tesi della sussistenza del reato di evasione dell'IVA all'importazione. Solo, infatti, ipotizzando che la società proprietaria dell'imbarcazione fosse una società schermo della titolarità del natante in capo al B., il quale utilizzando la nave a scopo diportistico sarebbe stato tenuto a pagare l'IVA, può ipotizzarsi la configurabilità del reato oggetto di contestazione, dovendosi, infatti, solo in tale ultimo caso, ritenere del tutto ultronee le disquisizioni giuridiche circa la rilevanza del requisito della "prevalenza", una volta sciolta la contraddizione logica secondo cui, mentre per un reato (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8,) la tesi della società "schermo" viene ad essere esclusa, laddove, per l'altro reato (ovvero, per gli altri reati, tra loro collegati, sia il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, e il D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 40, comma 1, lett. c),), si da invece sostanzialmente per presupposto che la Autumn sailing avesse tale caratteristica di "schermo" della titolarità del natante in capo al B., il quale utilizzando la nave a scopo diportistico sarebbe stato tenuto a pagare l'IVA.
17. A tale deficit argomentativo non altrimenti colmabile in questa sede di legittimità, si aggiungono poi una serie di silenzi e di vuoti motivazionali correttamente fatti rilevare dalle difese. Segnatamente, vengono in rilievo alcune deduzioni difensive, sollevate con i motivi di appello, che sarebbero rimaste prive di riscontro da parte della Corte territoriale.
17.1. La prima di esse riguarda l'asserito condizionamento delle attività del natante alle esigenze del B., rispetto alle quali nei motivi di appello si era fatto riferimento a quanto dichiarato dai testi K. e R. da cui erano emerse una serie di circostanze che smentivano tale assunto, segnatamente che dall'analisi della documentazione era emerso che le uniche date certe in cui B. aveva avuto la disponibilità del natante coincidevano con quelle in cui vi erano stati i gran premi di formula uno, e che ad imporre l'uso della nave per tali finalità era F. Yacht, gestore operativo dell'imbarcazione, proprio per la particolare visibilità a livello internazionale che tale barca riceveva in quelle occasioni.
Sul punto non si ravvisa alcun accenno argomentativo nella sentenza impugnata.
17.2. La seconda concerne la questione dei costi sostenuti dalla società armatrice per il c.d. refitting del natante, rispetto ai quali con i motivi di appello non solo si era evidenziato come gli stessi ammontassero quasi al triplo rispetto all'IVA asseritamente evasa - il che rendeva illogica la contestata evasione a fronte di costi così elevati -, ma era stato anche specificato come i predetti costi nulla hanno a che fare con quelli destinati all'abbellimento ovvero al comfort dei passeggeri, rientrandovi infatti anche quelli finalizzati a renderla più sicura per la navigazione al fine di iscriverla nella classe commercial e stipulare contratti di noleggio con clienti di tutto il mondo.
A fronte di tali rilievi si appalesano del tutto apodittiche le affermazioni della sentenza impugnata laddove sostiene che i predetti lavori avrebbero avuto l'effetto di migliorare il comfort della barca e quello personale dei passeggeri, sostanziandosi quindi in un vantaggio per il B.. A ciò andrebbe aggiunto, come correttamente fatto rilevare dalle difese, l'errore giuridico commesso dalla sentenza impugnata laddove fa riferimento anche ad oneri previdenziali e contributivi relativi al personale, su cui il regime di esenzione IVA avrebbe consentito di risparmiare, affermazione questa erronea in quanto - ove i giudici di appello avessero preso in esame le deduzioni difensive - sarebbe emerso come tutti i lavoratori in servizio sull'imbarcazione, essendo stipulati da una società che non è di diritto italiano, non seguono le norme italiane in tema di oneri previdenziali e contributivi.
17.3. Il terzo punto è rappresentato dalla questione delle modalità di contrattua-lizzazione ritenute come "di favore" per il B. rispetto ai charteristi terzi.
Sul punto, si osserva non solo come il primo giudice aveva correttamente evidenziato che tale argomento non avesse valenza accusatoria, ben potendo essere possibile una lettura opposta ed avente pari dignità giuridica e logica degli stessi elementi, ma soprattutto che risulterebbe essere stato dimostrato documentalmente come i contratti in bianco rinvenuti sull'imbarcazione non erano predisposti per il solo B., ma per tutti i charteristi indistintamente, in quanto gli eventuali prolungamenti del contrato di noleggio decisi in corso di navigazione da parte dei noleggiatori terzi presupponevano la presenza a bordo di tali contratti in bianco. Sul punto non si ravvisa alcun accenno argomentativo nella sentenza impugnata.
17.4. Quarto punto concerne poi la questione relativa all'asserita diversità di condizioni economiche praticate al B..
Si evidenzia a tal fine come la sentenza d'appello avesse rinviato alla prima sentenza, la quale però aveva attribuito a tale elemento valenza inconferente ed inidonea a rendere il dato indiziario seppur estremamente significativo, non risolutivo. Sul punto non si ravvisa alcun accenno argomentativo autonomo nella sentenza impugnata.
17.5. Quinto punto riguarda la questione relativa al mancato pagamento di alcuni noleggi da parte del B..
Su tale punto, la sentenza d'appello rinvia a quella di primo grado, senza tuttavia fornire risposta alle censure sollevate con i motivi di appello con cui si contestava l'affermazione contenuta nella prima sentenza, secondo cui due sarebbero state le settimane di charter non pagate dal B.. Nei motivi di appello del B., peraltro, erano stati sviluppati argomenti a confutazione di tale affermazione, evidenziandosi come erroneamente la prima sentenza aveva considerato come tra i charter non pagati vi era quello relativo al periodo dal 6.09 al 10.09 (che invece non vedeva il B. come noleggiatore), mentre, per quanto riguardava l'unico charter risultato non pagato, quello relativo ad un noleggio in Spagna effettuato nel 2008, si era fornita dimostrazione che ciò fosse attribuibile ad un errore, come dimostrato dal fatto che era del tutto illogico, secondo la già citata prospettazione difensiva, a fronte di spese di noleggio sostenute per oltre 8 mln. di Euro nel corso di sei anni dal B., quest'ultimo avrebbe inteso risparmiare su di un solo noleggio per l'importo di 180.000 Euro, nè l'essere il socio debitore del 2% di quanto dovuto, poteva, sempre nell'ottica difensiva, dal punto di vista logico - giuridico certamente trasformare un'attività commerciale in un'attività privata.
Sul punto non si ravvisa alcun accenno argomentativo nella sentenza impugnata.
17.6. Ancora, nessun cenno argomentativo di registra nela sentenza impugnata quanto al pagamento/restituzione del pagamento del charter effettuato nel 2005.
La sentenza è incorsa nel vizio di omessa motivazione, non avendo fornito risposta alle censure svolte in appello con cui si era chiarito per quale ragione l'operazione non fosse avvenuta con una formale compensazione, come chiarito dal teste D.F., la quale aveva spiegato che il credito ed il debito non figuravano nel bilancio della stessa società, ciò che impediva la compensazione.
17.7. Infine, non minore importanza assume la questione del c.d. cambio di classe dell'imbarcazione, in particolare di quello verificatosi in occasione del noleggio in Spagna.
Orbene, sulla questione dei cambi di classe dell'imbarcazione in sede di appello era stata depositata una memoria tecnica finalizzata a spiegare le ragioni per cui i cambi di classe, in numero di tre complessivamente nel contesto di cinque anni di attività, erano stati determinati non già dalla volontà di sottrarsi al pagamento dell'IVA all'importazione ma per ragioni diverse. In particolare: a) quanto al primo cambio di classe, verificatosi nel periodo 14.11.2006 - 12.02.2007, lo stesso era stato motivato dalla necessità di trasferire la nave per volere del gestore F. Yacht, in acque territoriali statunitensi, per partecipare al Boat Show di Antigua al fine di pubblicizzare l'imbarcazione, tant'è che dopo la partecipazione a tale evento l'imbarcazione era stata noleggiata, oltre che dal B. anche da tale Friedland con noleggi che avevano reso circa 1 milione di euro; poichè nei mari americani non esiste una categoria commercial analoga a quella presente in Europa, ma solo la differenziazione tra navi private, c.d. categoria pleasure, e navi di linea, c.d. categoria merchiant ship, il cambio di classe era stato motivato dalla necessità di adeguarsi a tale normativa, avendo peraltro continuato ad esercitare in quel periodo attività commerciale; b) quanto al secondo ed al terzo cambio di classe, verificatisi in periodi in cui l'imbarcazione era stata noleggiata dal B. e trasferita per pochi giorni a Barcellona ed a Valencia in occasione di due gran premi di Formula uno, si evidenziava nei motivi di appello B. e W., che il cambio di classe era stato motivato per evitare il pagamento di una speciale tassa spagnola che nulla aveva a che fare con l'assolvimento dell'IVA ma che costituiva un'aliquota fiscale addizionale, ossia un dazio, da corrispondersi in caso di effettuazione di un'attività commerciale in Spagna da parte di soggetti non aventi nazionalità spagnola; detta tassa era stata poi abrogata per effetto dell'intervento dell'UE; nel caso di specie, poichè la bandiera della nave consentiva il cambio di classe in Pleasure, la F. Yacht aveva optato per tale temporaneo cambio, possibile anche perchè era a bordo il Beneficiai Owner del Trust proprietario di Autumn Sailing, onde evitare tale sovraccarico di oneri.
17.8. E' innegabile come la sentenza impugnata non abbia dedicato alcuna attenzione al primo cambio mentre si sarebbe concentrata solo sui due cambi verificatisi in acque spagnole, peraltro confondendo il dazio esistente all'epoca in base alla normativa spagnola con il pagamento dell'IVA in caso di introduzione della nave in acque spagnole, laddove, invece, lo stesso non era stato effettuato per nascondere alle autorità iberiche l'irregolare iscrizione dell'imbarcazione in Italia alla classe commercial, ma all'unico scopo di evitare il pagamento di una tassa iniqua tanto da essere successivamente abrogata con effetto retroattivo dal legislatore spagnolo per effetto dell'intervento UE. Peraltro, come evidenziato dalle difese dei ricorrenti, pur classata come pleasure, l'imbarcazione avrebbe continuato ad incassare proventi per attività di noleggio.
17.9. Ulteriore profilo, stavolta di illogicità argomentativa, riguarda l'affermazione della sentenza con cui è stata confutata la tesi difensiva secondo cui sarebbe stato irragionevole per B. sostenere costi così elevati di ristrutturazione, prima e di gestione, poi, di una nave dalle caratteristiche del (OMISSIS), onde ottenere modesti vantaggi fiscali.
La sentenza confuta sul punto gli argomenti difensivi con la semplice affermazione secondo cui i costi indubbiamente rilevanti di ristrutturazione avrebbero determinato un rilevante incremento di valore dell'imbarcazione non andando dispersi. Non può non condividersi quanto sostenuto dalle difese secondo cui si tratterebbe di argomentazione censurabile, non confrontandosi con gli aspetti dell'argomento difensivo a sostegno, laddove si era precisato che i costi ammontavano a ben sei milioni di Euro, ossia ad un importo corrispondente a più del doppio dell'IVA asseritamente evasa, ciò che rendeva poco credibile l'ipotesi che la trasformazione della nave in classe commercia costituisse solo il pretesto per ottenere agevolazioni dell'IVA non dovute, tenuto conto di quanto era stato dedotto dalla difesa circa la natura e ragione di tali costi di refitting, oltre che alle spese annuali connesse ai lavori necessari per tutte le richieste revisioni necessarie a mantenere la categoria commercial. Essendo quindi difficile, per le difese, negare le caratteristiche tipicamente commerciali del natante in questione, del tutto insoddisfacente si appalesa l'affermazione contenuta in sentenza secondo cui tali costi avrebbero consentito al B. di godere per sè e per i suoi ospiti di particolari condizioni di comfort, ciò in quanto gran parte dei costi sostenuti, quelli pari a circa sei milioni di Euro, per inserire una nave in categoria commercia, non attenessero affatto al comfort ma all'effettuazione di lavori di rafforzamento dello scafo e della struttura della nave, nonchè all'installazione di presidi di sicurezza idonei a consentirne la navigazione della nave in alto mare in condizioni di assoluta sicurezza.
Ma su tale deduzione difensiva, non si registra alcun accenno nella motivazione.
17.10. Ulteriore deficit argomentativo, poi, si registra sull'analisi delle posizioni soggettive operata dalla sentenza di appello, laddove, in particolare con riferimento al B., i giudici territoriali affermano che questi era consapevole non solo del fatto che il trust era fittizio in quanto era lui ad amministrare il (OMISSIS) e che lo utilizzava prevalentemente per fini personali, ma anche del fatto conseguente che il trattamento fiscale di cui l'Autumn Sailing godeva in relazione al natante era indebito.
Anche su tale aspetto non può non condividersi quanto argomentato dalle difese, registrandosi l'erroneità di tale affermazione laddove sostiene che dalla circostanza che il Trust fosse irregolare o fittizio dovrebbe discendere come fatto conseguente che il trattamento fiscale di cui la società armatrice godeva in relazione all'imbarcazione fosse indebito. Sul punto, in particolare, è evidente che le due cose non siano affatto correlate, ben potendo essere irregolare il Trust senza però che il trattamento fiscale attribuito al natante sia anche indebito, essendo quest'ultimo collegato all'effettiva destinazione commerciale dell'imbarcazione.
In sostanza, come argomentato dalle difese, le circostanze di fatto sarebbero tutt'al più dimostrative di una consapevolezza da parte del B. dell'irregolarità del Trust, ma non sarebbero comunque collegate con il regime fiscale applicabile alla società armatrice, non potendosi trarre dalle stesse la prova che il B. fosse consapevole dell'irregolarità del regime di esenzione dall'IVA applicato alla gestione dell'imbarcazione.
17.11. A quanto sopra, poi, si aggiungono evidenti travisamenti documentali che viziano la sentenza impugnata sotto il profilo dell'illogicità manifesta.
Anzitutto, quanto alla mail 23.05.2006 intercorsa tra uno dei legali del B. e la P., in cui il legale, consiglia di chiudere le vertenze con il precedente comandante della nave per evitare che le chiacchere possano sollevare l'attenzione degli organi inquirenti. Orbene, a parte il rilievo per cui in tale mail non si fa riferimento espresso alla questione dell'IVA, non è dato comprendere perchè le preoccupazioni esternate dal legale dovevano ritenersi rivolte a tale ultimo argomento e non invece alla questione della struttura societaria creata dal B.. Come evidenziato dalle difese, che ciò risponda alla realtà, del resto, lo si trarrebbe dalla lunga disamina dedicata dalla sentenza alla posizione della D.F., amministratrice della Autumn sailing, richiamandosi in sentenza anche alcune mails a firma della D.F. medesima in cui emergeva la preoccupazione che i comportamenti del B. potessero far emergere l'irregolarità del Trust e non certo i problemi legati al regime fiscale applicabile alle navi Commerciai. Ci si riferisce, in particolare, ad alcune mails (quella tra la D.F. ed un giornalista, tale Be., che doveva intervistare B.; quella tra P.R. e la D.F. in cui quest'ultima si lamenta del fatto che B. in un'intervista si fosse rivolto al (OMISSIS) indicandolo come la mia marca; ancora, da altre mails emergerebbe l'idea della D.F. e di altri esponenti dell'entourage de B. di stipulare un contratto di sfruttamento dell'immagine fra questi ed Autumn sailing così da giustificare la presenza a bordo del B. e di non fare emergere che fosse questi l'effettivo proprietario della barca). Proprio a seguito della lettura di una di queste mails, quella tra tale W.D. e P.R., sembrerebbe emergere in maniera inconfutabile l'oggetto della preoccupazioni, ossia che se il B. avesse insistito nell'affermare che il (OMISSIS) era suo, avrebbe potuto essere messa in discussione la struttura stessa creata per la gestione di tutto il patrimonio del B., ossia il c.d. trust discrezionale costituito in Inghilterra al fine di far apparire all'esterno che molte delle attività facenti capo al B. e gestite in vari paesi europei erano in realtà sotto il controllo di un trust indipendente localizzato a Londra. Ed è chiaro, come ben argomentato nel ricorso, che tale preoccupazione non aveva nulla a che fare con il problema dell'inserimento del (OMISSIS) nella classe Commerciai e della sua conseguente esenzione dal regime dell'IVA all'importazione e sui consumi. Il fatto, poi, che la sentenza pretenda di collegare le preoccupazioni suddette al problema del regime fiscale applicabile al (OMISSIS) arrivando a sostenere che la preoccupazione di giustificare la presenza di B. a bordo della nave nascerebbe dal fatto che essa non poteva essere ricondotta alo svolgimento di contratti charter che tutti sapevano essere inesistenti, sembrerebbe in effetti essere affermazione gratuita e contraddetta dalla stessa istruttoria, che aveva dimostrato come i giorni di noleggio del B. fossero di poco superiori a quelli degli altri charteristi nel periodo 2006/2009.
18. Alla stregua di tali, evidenti, deficit motivazionali l'impugnata sentenza dev'essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di Genova. Il giudice del rinvio colmerà, quindi, tali deficit, risolvendo, anzitutto, il profilo di contraddittorietà interna dianzi rilevato (ossia la natura o meno della Autumn sailing come società schermo del B.), per poi passare ad esaminare, ove negativamente risolto tale pregiudiziale quesito, tutte le richiamate deduzioni difensive dimostrative, nella prospettazione delle difese dei ricorrenti, della commercialità dell'imbarcazione.
19. Strettamente collegata alla questione relativa al reato di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, è quella, sollevata con un terzo gruppo di motivi, afferente al tema della configurabilità dell'elemento psicologico del reato. Si tratta del quarto motivo del T., del quinto motivo del W. e del quarto motivo del B..
19.1. Del tema dell'elemento soggettivo si occupa la sentenza impugnata alle pagg. 17/20.
Anche tale motivo è fondato.
Ed infatti, al di là delle singole posizioni soggettive, non può certamente porsi in dubbio che l'argomentazione articolata dalle difese (ossia la circostanza per cui l'Agenzia delle Entrate ritenne di dover intervenire, a distanza di anni, sulla questione con una circolare funzionale a risolvere "rilevanti questioni interpretative"), è invero destinata inevitabilmente ad incidere sulla sussistenza dell'elemento psicologico del reato, non potendo certo legittimarsi un giudizio di responsabilità penale, ritenendo sussistere l'elemento psicologico attraverso una valutazione, ora per allora, dei fatti, applicando retroattivamente, quale deciso parametro interpretativo, una circolare dell'Ufficio tendente a risolvere un caso dubbio, al punto tale da necessitare di un intervento interpretativo.
La questione dei c.d. cambi di classe su cui si sofferma la sentenza impugnata non rileva perchè di essa i ricorrenti sembrerebbero aver fornito adeguata spiegazione, di cui peraltro la sentenza, come detto supra, non risulta avere tenuto adeguatamente conto. Analogo discorso riguarda la posizione soggettiva del B. e i rilievi della sentenza circa la questione dell'irrilevanza dei costi di refitting (rispetto ai quali la difesa del ricorrente risulterebbe aver dedotto nei motivi di appello adeguata giustificazione), frutto di una non corretta e completa lettura degli atti processuali da parte dei giudici di appello, che sul punto hanno illogicamente motivato, come ben fatto rilevare dalla difesa del ricorrente.
19.2. Anche su tale punto, le argomentazioni contenute nella sentenza impugnata non superano il vaglio di legittimità, in quanto adeguatamente confutate dalle contrarie argomentazioni difensive, dovendosi peraltro confrontare con la natura dolosa del reato oggetto di contestazione, che pur non essendo un reato a dolo specifico, presuppone pur sempre che sia raggiunta la prova della volontà di introdurre la merce nel territorio dello stato fuori del controllo doganale al fine di evadere il pagamento dell'IVA, quale che sia la reale intenzione dell'agente in ordine alla destinazione finale di essa. Prova che, nel caso di specie, difficilmente potrebbe essere fondata su un'interpretazione retroattiva del contenuto di una circolare intervenuta a sei anni di distanza dalla messa in esercizio dell'imbarcazione. Anche su tale profilo, pertanto, il giudice del rinvio dovrà porre rimedio al deficit argomentativo della sentenza impugnata.
20. L'accoglimento dei profili di doglianza quanto al motivo tendente a censurare la sentenza per aver ritenuto sussistente il reato di evasione dell'IVA all'importazione, tanto sotto il profilo oggettivo che soggettivo, rende in questa fase superfluo l'esame dei profili di doglianza a quest'ultimo reato connessi e, segnatamente, del quarto gruppo di censure riguardanti la natura permanente o istantanea con effetti permanenti del reato di evasione dell'IVA all'importazione (primo motivo del T., primo motivo della D.F., settimo motivo del W. e settimo motivo del B.), del quinto gruppo di censure riferite alla confisca dell'imbarcazione per violazione del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 301 (secondo motivo della D.F. e ottavo motivo del B.) nonchè, quanto ai motivi personali a ciascun ricorrente, del quarto motivo del W. (riferito alla violazione del divieto di doppia imposizione e correlato vizio di travisamento probatorio) e del sesto motivo del W. (riferito al vizio di motivazione in ordine all'affermata responsabilità concorsuale nel reato in questione).
Si tratta, invero, di censure che presuppongono la preventiva risoluzione delle questioni afferenti la sussistenza del resto di evasione dell'IVA all'importazione, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, censure di cui comunque il giudice di rinvio dovrà tenere conto in caso di positivo riscontro del centrale quesito della sussistenza del reato di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70.
21. Ad analogo approdo deve pervenirsi quanto al sesto gruppo di censure comuni a più ricorrenti, in particolare relative alla violazione della disciplina in materia di accise D.P.R. n. 504 del 1995, ex art. 40.
Si tratta del terzo motivo del T., dell'ottavo motivo del W. e del terzo motivo del B..
21.1. La sentenza motiva, per sintesi, alla pag. 27.
Orbene, anche tale congiunto motivo non può essere esaminato in difetto della preliminare soluzione del quesito centrale della sussistenza del delitto di cui all'art. 70 citato. Ed infatti, se venisse meno il costrutto accusatorio che aveva condotto in sede di merito all'affermazione di responsabilità per il reato di evasione dell'IVA all'importazione, non potrebbe più ritenersi che il carburante oggetto dei rifornimenti da parte del (OMISSIS) sia stato indebitamente sottratto al pagamento delle accise. Il reato sub m), in tale ultima ipotesi, dovrebbe quindi ritenersi insussistente con conseguente annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza per tale causa. In difetto, non ricorrono, peraltro, le condizioni per pronunciare sentenza di annullamento senza rinvio per prescrizione, tenuto conto dell'esistenza delle statuizioni civili. Ed infatti, il rilevamento in sede di legittimità della sopravvenuta prescrizione del reato unitamente ad un vizio di motivazione della sentenza di condanna impugnata in ordine alla responsabilità dell'imputato comporta l'annullamento senza rinvio della sentenza stessa e, ove questa contenga anche la condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile, l'annullamento delle statuizioni civili con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello (Sez. 4, n. 29627 del 21/04/2016 - dep. 13/07/2016, Silva e altri, Rv. 267844). Tuttavia, chiare esigenze di economia processuale da un lato e l'altrettanto evidente interesse dei ricorrenti ad approdare ad una formula ampiamente liberatoria, rendono opportuno rimettere al giudice del rinvio l'esame della relativa questione, considerato che, ove si approdasse ad una pronuncia di insussistenza del reato collegato di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, ciò comporterebbe, quale conseguenza necessaria, l'adozione di analoga formula assolutoria quanto al reato di cui al D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 40,. Diversamente, il giudice di rinvio ben sarebbe legittimato ad adottare la formula di proscioglimento per prescrizione di tale ultimo reato, risultando infatti decorso interamente il termine di prescrizione alla data del 27.02.2017, beninteso motivando in ordine alla responsabilità dei tre ricorrenti ( T., W. e B.), ai fini delle statuizioni civili, onde evitare la proposizione di nuovo ricorso per cassazione, ciò che infatti imporrebbe a questa Corte l'annullamento della sentenza, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, a norma dell'art. 622 c.p.p. (Sez. U, n. 40109 del 18/07/2013 - dep. 27/09/2013, Sciortino, Rv. 256087).
22. Infine, allo stato attuale risulta del tutto superfluo l'esame del decimo motivo del W., diretto a censurare il trattamento sanzionatorio, essendo assolutamente preliminare la soluzione del terzo, quinto ed ottavo motivo da questi proposto.
23. Conclusivamente, l'impugnata sentenza dev'essere annullata senza rinvio per insussistenza del fatto quanto ai reati di concorso nell'emissione di fatture per operazioni inesistenti, e con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di Genova nel resto. All'annullamento senza rinvio, segue, peraltro, la revoca della disposta confisca per equivalente dell'importo relativo alle imputazioni sub n) ed o).
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati di concorso in emissione di fatture per operazioni inesistenti di cui ai capi n) ed o) della rubrica perchè il fatto non sussiste e con rinvio limitatamente ai capi a) ed m) della rubrica ad altra sezione della corte di appello di Genova.
Revoca la confisca per equivalente disposta con riferimento al profitto dei reati di cui ai capi n) ed o).
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 28 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2018