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Insolvenza fraudolenta: il silenzio come strumento di dissimulazione

Insolvenza fraudolenta

Cassazione penale sez. II, 15/11/2022, n.3499

Ai fini della configurabilità del reato di insolvenza fraudolenta, può assumere rilievo anche il silenzio dell'agente, quale forma di dissimulazione del proprio stato di insolvenza, nel caso in cui tale condizione non sia stata manifestata all'altra parte contraente al momento della stipula del contratto, con il preordinato proposito di non adempiere alla prestazione scaturente dal rapporto contrattuale.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 20/04/2021, la Corte d'appello di Catania, in parziale riforma della sentenza del 16/03/2017 del Tribunale di Catania, dichiarava non doversi procedere nei confronti di S.S.M. per il reato di insolvenza fraudolenta continuata e aggravata (dall'avere cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità), per essere lo stesso reato estinto per prescrizione, mentre confermava la condanna di C.A. e di S.C. per il medesimo reato. Secondo il capo d'imputazione, lo stesso era stato contestato alle due imputate, in concorso anche con S.S.M., "perché, in concorso tra loro, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso ed in tempi diversi, S.S.M. quale amministratore dell'omonima società esercente commercio di carni bovine, C.A. e S.C. quali soci della suddetta società, stipulando con la società ASAG un contratto di fornitura di carni per un importo settimanale di Euro 40.000,00, subentrando in tale rapporto alla società gestita dal S.A., padre di S.S.M., dissimulando il proprio stato di insolvenza (segnatamente affermando che era cambiata solo la denominazione sociale della ditta ed affermando che la loro società era solida ed in forte crescita), contraevano obbligazioni con la società ASAG col proposito di non adempierle, omettendo pagamenti per importo complessivo di Euro 632.246,51. Con l'aggravante di avere cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità. In Catania sino al 06.08.2010". 2. Avverso l'indicata sentenza della Corte d'appello di Catania, hanno proposto ricorsi per cassazione, con un unico atto, C.A. e S.C., per il tramite del proprio difensore, affidati a un unico motivo. Con tale motivo, le ricorrenti deducono, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p., l'erronea applicazione dell'art. 641 c.p., nonché "Contraddittorietà intratestuale della motivazione - Vizio di travisamento della prova e di illogicità della motivazione desumibile dal testo del provvedimento impugnato e dagli atti processuali", con riguardo alla motivazione della sentenza impugnata in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di insolvenza fraudolenta della dissimulazione dello stato di insolvenza e del preordinato proposito di non adempiere le obbligazioni contratte. Quanto al primo elemento della dissimulazione dello stato di insolvenza, le ricorrenti rappresentano che, diversamente da quanto affermato dalla Corte d'appello di Catania, "(I)a corretta lettura delle deposizioni testimoniali" smentiva che gli imputati - in particolare, S.C. (unica imputata sentita in dibattimento) - avessero dichiarato di essere a conoscenza che, già nel 2007, quando iniziarono le forniture di carne, S.A. (marito di C.A. e padre di S.S.M. e di S.C.) era gravato da ingenti debiti e che le due ricorrenti avevano rinunciato all'eredità dello stesso S.A. in ragione di ciò. Quanto al secondo elemento del preordinato proposito di non adempiere le obbligazioni contratte, le ricorrenti rappresentano che le dichiarazioni dei testimoni S.F. (amministratrice unica di ASAG s.p.a.) e L.A. (responsabile delle vendite di ASAG s.p.a.) smentivano l'affermazione della Corte d'appello di Catania che "soltanto le iniziali forniture venivano pagate regolarmente nei 40 giorni successivi alla emissione della fattura", atteso che i predetti testimoni e, in particolare, S.F., avevano affermato che "per i primi anni" S.S.M. aveva pagato le forniture ricevute da ASAG s.p.a. Le ricorrenti rappresentano altresì "l'evidente erroneo sillogismo determinato dalla Corte del merito, la quale considera il "pagare in ritardo" equiparabile al "non pagare" e, con ulteriore salto logico, alla prova del preordinato intento - al momento di contrarre l'obbligazione - di non adempiere al proprio impegno". CONSIDERATO IN DIRITTO 1. L'unico motivo è fondato. 2. Preliminarmente, è opportuno rammentare alcuni principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo all'elemento materiale e psicologico del reato di insolvenza fraudolenta. La Corte di cassazione ha anzitutto definito la linea di confine tra tale reato e il mero inadempimento contrattuale, statuendo che integra il reato di insolvenza fraudolenta la condotta di chi tiene il creditore all'oscuro del proprio stato di insolvenza al momento di contrarre l'obbligazione, con il preordinato proposito di non adempiere la dovuta prestazione, mentre si configura solo un illecito civile nel mero inadempimento non preceduto da alcuna preordinazione (Sez. 2, n. 39890 del 22/05/2009, Cuccinotto, Rv. 245237-01; Sez. 2, n. 34192 del 11/07/2006, Leopaldi, Rv. 234774-01). In quest'ultima pronuncia, la Corte ha chiarito che la prova della preordinazione può essere desunta anche da argomenti induttivi seri e univoci, ricavabili dal contesto dell'azione, nell'ambito del quale anche il silenzio può acquistare rilievo come forma di preordinata dissimulazione dello stato di insolvenza, quando fin dal momento della stipula del contratto sia già maturo, nel soggetto, l'intento di non far fronte agli obblighi conseguenti. Sempre con riguardo alla rilevanza del silenzio, è stato ribadito che, ai fini della configurabilità del reato di insolvenza fraudolenta, può assumere rilievo anche il silenzio dell'agente, quale forma di dissimulazione del proprio stato di insolvenza, nel caso in cui tale condizione non sia stata manifestata all'altra parte contraente al momento della stipula del contratto, con il preordinato proposito di non adempiere alla prestazione scaturente dal rapporto contrattuale (Sez. 2, n. 8893 del 03/02/2017, Ferri, Rv. 269682-01). Quanto alla prova del preordinato proposito di non adempiere alla prestazione dovuta sin dalla stipula del contratto, dissimulando lo stato di insolvenza, essa può essere desunta anche da argomenti induttivi seri e univoci, ricavabili dal contesto dell'azione e dal comportamento successivo all'assunzione dell'obbligazione (Sez. 2, n. 6847 del 21/01/2015, Spalanzino, Rv. 262570-01). In senso analogo, Sez. 5, n. 30718 del 18/06/2021, Di Gennaro, Rv. 28186801, secondo cui, in tema di insolvenza fraudolenta, la prova della condizione di insolvenza dell'agente, al momento dell'assunzione dell'obbligazione, può essere desunta dal comportamento precedente e successivo all'inadempimento, assumendo rilievo anche il mero silenzio dell'agente, quale forma di dissimulazione del proprio stato. E' qui utile rammentare anche l'orientamento della Corte di legittimità relativo al rapporto con il delitto di truffa. In proposito, è stato affermato che il delitto di truffa si distingue da quello di insolvenza fraudolenta perché nella truffa la frode è attuata mediante la simulazione di circostanze e di condizioni non vere, artificiosamente create per indurre altri in errore, mentre nell'insolvenza fraudolenta la frode è attuata con la dissimulazione del reale stato di insolvenza dell'agente (Sez. 5, n. 44659 del 21/10/2021, Cavanna, Rv. 282174-01; Sez. 7, n. 16723 del 13/01/2015, Caroli, Rv. 263360-01; Sez. 2, n. 45096 del 11/11/2009, Perfili, Rv. 245695-01; Sez. 2, n. 10792 del 23/01/2001, Delfino, Rv. 218672-01). La distinzione tra i due reati è ampiamente analizzata da Sez. 2, n. 32055 del 04/07/2017, Arosio, che, richiamando Sez. U, n. 7738 del 09/07/1997, Gueli, ha ribadito che "(I)'insolvenza fraudolenta si distingue dalla truffa perché la frode non viene attuata mediante i mezzi insidiosi dello artificio o del raggiro ma con un inganno rappresentato dello stato di insolvenza del debitore e della dissimulazione della sua esistenza finalizzato all'inadempimento dell'obbligazione, in violazione di norme comportamentali. Si è evidenziato in dottrina che l'essenza della frode nel reato di cui all'art. 641 c.p. postula che, al momento della stipulazione, come giudizio di verosimiglianza, il creditore confida nella solvibilità del debitore. Tale convincimento, derivante dalla prassi commerciale o dall'abituale modo di svolgersi di determinati tipi di affari e di convenzioni negoziali tanto più facilmente può formarsi - trovando ingresso al riguardo le massime di esperienza - quanto più modesta sia l'entità economica del negozio. Deve pertanto ritenersi che la dissimulazione attenga ad un convincimento, precostituito, del creditore di solvibilità del debitore riflettente un dato di conoscenza o di costume che lo qualifica come un affidamento ben riposto. La dissimulazione, dunque, è una forma minore di inganno in quanto con esso non si induce il soggetto passivo in errore ma lo si mantiene in tale stato". 3. Tornando al caso in esame, il Collegio reputa che, alla luce delle risultanze processuali, difettino elementi univoci, ricavabili dal contesto delle azioni e dal comportamento delle imputate, anche successivo all'assunzione delle obbligazioni di pagamento delle forniture di carne, che consentano di ritenere provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che le stesse imputate abbiano agito con il preordinato proposito di non adempiere alle predette obbligazioni sin dalla conclusione dei contratti di fornitura, dissimulando lo stato di insolvenza della propria impresa familiare. In vero, già sotto il profilo dell'elemento materiale della dissimulazione dello stato di insolvenza di tale impresa, la circostanza, evidenziata dalla stessa Corte d'appello di Catania, che "soltanto le iniziali forniture vennero) pagate regolarmente", atteso che, "sin da subito, eccetto le prime forniture di carne, i pagamenti avvenivano con ritardo", appare contrastare con il fatto che ASAG s.p.a. e, per essa, l'amministratrice unica S.F. e il responsabile delle vendite L.A., al momento di concludere i successivi contratti di fornitura di carne, ignorassero le difficoltà economiche in cui versava l'impresa familiare delle due imputate e che, quindi, queste le avessero tenute nascoste, cioè le avessero dissimulate. Quanto all'elemento psicologico, la circostanza, pure evidenziata dalla Corte d'appello di Catania, che le due imputate proposero a ASAG s.p.a. di concordare un piano di rientro dai debiti che si erano progressivamente accumulati induce a ritenere ben possibile che le due imputate abbiano assunto le obbligazioni di pagamento delle forniture di carne nella ragionevole convinzione di potere superare uno stato di insolvenza transitorio e, dunque, di potere eseguire le prestazioni dovute, ciò che induce a escludere la sussistenza di elementi univoci che consentano di ritenere provato l'elemento soggettivo del reato del preordinato proposito di non adempiere le stesse prestazioni. 4. Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di entrambe le imputate perché il fatto non costituisce reato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di entrambe le imputate perché il fatto non costituisce reato. Così deciso in Roma, il 15 novembre 2022. Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2023
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