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Intercettazioni: utilizzabili anche per gli ulteriori fatti-reato legati dal vincolo della continuazione

Intercettazioni

Cassazione penale sez. VI, 22/06/2023, (ud. 22/06/2023, dep. 01/08/2023), n.33757

I risultati delle intercettazioni autorizzate per un determinato fatto-reato sono, infatti, utilizzabili anche per gli ulteriori fatti-reato legati al primo dal vincolo della continuazione ex art. 12 c.p.p., lett. b), senza necessità che il disegno criminoso sia comune a tutti i correi.

Utilizzazione dei risultati delle intercettazioni operate con captatore informatico: La Corte chiarisce l'ambito di applicazione dell'art. 270, comma 1-bis c.p.p.

Intercettazioni: omessa consegna dei files audio da parte del PM - Art. 268 c.p.p.

Intercettazioni con Trojan Horse: utilizzabilità senza necessità di attività criminosa - Art. 266 c.p.p.

Intercettazioni: onere della parte e rilevanza probatoria

Intercettazioni: l'inutilizzabilità per violazione del segreto professionale può intervenire in ogni stato e grado del giudizio

Intercettazioni: utilizzabili anche per gli ulteriori fatti-reato legati dal vincolo della continuazione

Intercettazioni e Riesame: PM e Trasmissione dei Decreti Autorizzativi - Art. 268 c.p.p.

Intercettazioni: Accesso ai Supporti Contenenti le Registrazioni e Obblighi del PM - Art. 268 c.p.p.

Intercettazioni: gravi indizi di reato e resistenza dell'illecito penale - Art. 266 c.p.p.

Intercettazioni con captatore informatico: sono utilizzabili se eseguite nel domicilio anche in assenza di attività criminosa

Intercettazioni: il mancato rilascio di copia delle registrazioni da parte del PM non è causa di inutilizzabilità

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Potenza ha ribadito la responsabilità di A.E., all'epoca dei fatti Sostituto Procuratore presso la Procura della Repubblica di (Omissis) e di C.M., avvocatessa del Foro di (Omissis), in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti di corruzione continuata in atti giudiziari (artt. 81 cpv., 319-ter, 321 c.p., reati di cui al capo 1, sub a e b e 5) e rivelazione continuata di segreti d'ufficio (artt. 81 cpv., 326 c.p., capi 7, 8 e 9) il solo A. nonché di concorso in induzione indebita a dare o promettere utilità (artt. 110,319-quater c.p., capo 2) entrambi gli imputati, confermando la pena inflitta a C. nella misura di un anno e quattro mesi di reclusione, condizionalmente sospesa ed aumentando quella inflitta dal primo giudice nei confronti di A. alla misura finale di dieci anni di reclusione. Il procedimento trae le mosse da indagini avviate dalla Procura della Repubblica di Lecce nei confronti di S.C., dirigente della locale ASL, di cui si ipotizzava la commissione di fatti di concussione in danno di soggetti privati coinvolti in rapporti negoziali con la ASL leccese, indagini nel corso delle quali emergevano indizi di reità a carico di A., con conseguente trasmissione degli atti relativi (ivi compresi le attività di intercettazione e di captazione fin allora eseguite) per competenza funzionale (art. 11 c.p.p.) alla Procura della Repubblica di Potenza e la prosecuzione, nel corso dell'anno 2018, delle investigazioni a carico del magistrato e di eventuali concorrenti anche mediante inoculazione nell'apparato telefonico del primo di un captatore informatico (trojan horse). 2. Avverso la sentenza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione gli imputati che rispettivamente deducono i motivi di censura in sintesi (art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1) di seguito esposti. 3. A.E.. Il ricorrente affida l'impugnazione a dieci motivi di censura. 3.1. Violazione di legge processuale e vizi congiunti di motivazione in riferimento alla ritenuta inutilizzabilità delle intercettazioni autorizzate in procedimento diverso sotto due distinti profili. In primo luogo, secondo la difesa, la sentenza impugnata ha realizzato una violazione dell'art. 270 c.p.p., adottando sul punto una motivazione manifestamente illogica (in quanto contrastante con il granitico orientamento giurisprudenziale a partire dal gennaio 2020), nella parte in cui ritiene sufficiente a far cadere il divieto di legge il legame occasionale o solo procedimentale di cui all'art. 371 c.p.p.. In secondo luogo, erra la decisione impugnata nel ritenere che tra i reati contestati nel procedimento originario a carico di S.C. e quelli in addebito al ricorrente sussista un ipotesi di connessione di cui all'art. 12 c.p.p., lett. b), ritenuta necessaria da Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Cavallo, Rv. 277395 per superare il divieto di utilizzabilità in questione. Secondo la sentenza di primo grado, confermata sul punto da quella impugnata, i delitti contestati nei due procedimenti sono omogenei (reati di pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione), sono stati commessi nello stesso arco temporale (dal 2014 al 2018) e con il coinvolgimento parziale delle stesse persone. Nondimeno risulta evidente come i giudici di merito abbiano tralasciato il necessario rigore nell'affermare l'identità del disegno criminoso tra i fatti di concussione posti alla base dell'indagine leccese in cui le attività di captazione sono state autorizzate e le corruzioni contestate al ricorrente. In particolare risulta violato lo stesso art. 12 c.p.p., lett. b) che, secondo la giurisprudenza prevalente di legittimità, non spiega i suoi effetti "qualora non ricorre l'identità di tutti i compartecipi, difettando in caso contrario, l'unità del processo volitivo", unità che viene ascritta in via esclusiva alla figura del S., senza indicare se il ricorrente e gli altri imputati del presente procedimento ne fossero consapevoli. In terzo luogo, ad avviso dei giudici del Tribunale di Potenza, nel punto esplicitamente fatto proprio dalla sentenza impugnata, tre i due procedimenti vi sarebbe anche una ragione teleologica di connessione, rilevante ai sensi dell'art. 12 c.p.p., lett. c), secondo uno schema riassumibile nel senso che l'avere a disposizione un Pubblico Ministero pronto ad aggiustare le indagini risultava funzionale ad eseguire ed occultare illeciti commessi o da commettere dallo stesso S. o dalla sua cerchia di amici. Tuttavia la ricordata sentenza delle Sez. Unite n. 51/19, Cavallo ha chiarito che la connessione in discorso riguarda procedimenti nei quali vi è parziale coincidenza della regiudicanda, mentre nel caso in esame la garanzia di impunità predicata dai giudici di merito non rientra più nello spettro dell'art. 12 c.p.p., lett. c) a partire dalla riforma apportata nel testo dalla disposizione fin dalla L. n. 63 del 2001 e non è possibile operare sovrapposizione tra garanzia dell'impunità e finalità dell'occultamento di un motivo di un delitto, quale motivo a delinquere del secondo reato, attesa la diversità ontologica dei due concetti, come già stabilito da diverse pronunce di legittimità. Tutti gli argomenti sopra esposti conducono alla dichiarazione di inutilizzabilità delle captazioni effettuate nel procedimento n. 5642/2017 R.G. N. R. iscritto nei confronti di S. ed altri per ipotesi di concussione ed in particolare alle intercettazioni telefoniche di cui al R.I.T. n. 959/17 della Procura di Lecce ed ambientali audio - video di cui al R.I.T. n. 82/18 della Procura di Lecce, eseguite presso gli uffici della locale ASL, intercettazioni decisive per l'affermazione di responsabilità del responsabilità in ordine al reato di cui al capo 1 dell'imputazione. 3.2. Mancanza di motivazione nella sentenza impugnata in ordine alla dedotta inutilizzabilità del captatore informatico per le intercettazioni tra presenti. Il motivo di censura non riguarda le questioni interpretative concernenti l'utilizzabilità ratione temporis del captatore informatico affrontate dalle sentenze Sez. U. pen., n. 26889 del 28/04/2016, Scurato e Sez. U. civ., n 741 del 15/01/2020, Palamara, bensì la mancanza di autorizzazione delle intercettazioni tra presenti nel decreto genetico del G.i.p. di Potenza, dedotta a pag. 21 dell'atto di appello e sul quale la Corte territoriale ha omesso ogni motivazione. 3.3. Violazione di norme processuali e vizi congiunti di motivazione in ordine alla dedotta invalidità derivata delle intercettazioni autorizzate dal G.i.p. di Potenza. Con l'atto di appello, la difesa del ricorrente aveva protestato la nullità dei decreti di intercettazione emessi dal G.i.p. di Potenza e l'inutilizzabilità ex art. 271 c.p.p. delle relative risultanze, derivanti dal fatto che il primo decreto e la speculare richiesta dei Pubblici Ministeri, nell'individuare le condizioni richieste dagli artt. 266 e 267 c.p.p. per procedere alle intercettazioni, si fondavano esclusivamente sugli inutilizzabili risultati delle captazioni autorizzate nel diverso procedimento iscritto dalla Procura di Lecce al n. 5642/2017 per ipotesi di concussione, nel quale il ricorrente non era coinvolto, al pari di tutti gli altri imputati del presente procedimento, fatta eccezione del ricordato S.. Dal momento che il vizio motivazionale del primo decreto autorizzativo, basato esclusivamente sul contenuto di intercettazioni inutilizzabili in quanto captate in procedimento diverso, è la nullità di cui agli artt. 125 e 267 c.p.p., e considerato l'evidente rapporto di dipendenza tra il decreto autorizzativo genetico e le seguenti proroghe motivate solo con riferimento alle intercettazioni inutilizzabili, ne deriva l'invalidità derivata di tutti i decreti di proroga dell'attività di intercettazione emessi nell'indagine condotta a Potenza. 3.4. Inosservanza di legge penale sostanziale e vizi congiunti di motivazione con riferimento all'errata ricostruzione giuridica dell'imputazione di cui al capo 1. Il ricorrente deduce che i giudici di merito hanno frainteso quali fossero gli episodi oggetto delle singole contestazioni di cui al capo 1 con riferimento ai quattro episodi di corruzione in atti giudiziari oggetto delle imputazioni di cui ai sottocapi a, b, c, d. In particolare, sostiene che il Tribunale ha scorporato un segmento dei fatti descritti ai capi 1c e 1d per i quali aveva inizialmente pronunziato un'assoluzione completa, ravvisandovi un accordo criminoso avente ad oggetto gli atti giudiziari di cui al capo a) e quindi un ulteriore reato di corruzione, collocandolo al "capo 1 ultima parte", mentre dal suo canto la Corte di appello ha riunito quest'ultima contestazione a quella di cui al capo la, per poi scorporare un segmento dei fatti descritti nel preambolo e trasformarlo in un'autonoma ipotesi corruttiva sub nuovo "capo 1 ultima parte". Il dato, inoltre, pacifico che sia ugualmente configurabile il reato di cui all'art. 319-ter c.p. anche in presenza di corruzione impropria non consente di ricorrere a semplificazioni probatorie o motivazionali, obliterando qualsivoglia considerazione circa la condotta processuale contestata, dovendosi perlomeno illustrare in che modo il ricorrente sarebbe venuto meno "al dovere costituzionale di imparzialità e terzietà soggettiva ed oggettiva, alterando la dialettica processuale". 3.5. Inosservanza di legge penale sostanziale e vizi congiunti di motivazione con riferimento all'errata ricostruzione giuridica dell'imputazione di cui al capo 2 (induzione indebita nei confronti dell'avvocatessa C.M.). Con l'atto di appello si contestava innanzi tutto la ricostruzione fattuale proposta dal Tribunale, smentita dal contenuto stesso delle intercettazioni, che invece davano conto del fatto come le richieste del ricorrente di incontrare l'avv. C. si spiegassero non in un'ottica di scambio bensì sulla base di un loro preesistente rapporto sentimentale. La Corte di appello ha risposto alle doglianze difensive in maniera che il ricorrente definisce sconfortante, dando, inoltre, una ricostruzione giuridica del reato di induzione indebita tale da confondere in maniera plateale i requisiti strutturali della fattispecie di cui all'art. 319-quater c.p. con quelli integranti le ipotesi di corruzione, configurando così una condotta di induzione "a parti invertite" su iniziativa, cioè, dell'avvocatessa C.. 3.6. Inosservanza di legge penale sostanziale e vizi congiunti di motivazione con riferimento all'errata ricostruzione giuridica dell'imputazione di cui al capo 5 (corruzione in atti giudiziari su iniziativa dell'avvocatessa M.B., separatamente giudicata). Entrambi i giudici di merito hanno ignorato tutti gli elementi di prova da cui emergeva la carenza di un accordo criminoso tra gli imputati, ritenendo tale elemento della fattispecie implicitamente dimostrato dall'asserita sussistenza di utilità in favore del ricorrente e di atti giudiziari da quest'ultimo compiuti nello interesse della presunta datrice di utilità, consistenti in prestazioni di natura sessuale. Anche in questo caso, infatti, è stato pretermesso il dato probatorio che il ricorrente aveva iniziato a frequentare in modo continuativo l'avvocatessa M. tra il 2016 e il 2017 in forza di un rapporto stabile, preesistente perlomeno di due anni rispetto agli atti giudiziari asseritamente oggetto del rapporto corruttivo. 3.7. Inosservanza di legge penale sostanziale e vizi congiunti di motivazione con riferimento all'errata ricostruzione giuridica delle imputazioni di cui ai capi 7, 8 e 9 (rivelazione di segreti d'ufficio). Il ricorrente sostiene che al netto dei rilievi sull'inutilizzabilità derivata delle intercettazioni, i giudici di merito hanno erroneamente applicato il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui è consentita "l'utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, anche per la prova di reati diversi da quelli indicati nel catalogo di cui all'art. 266 c.p.p. allorché la stessa conversazione o comunicazione captata integri ed esaurisca la condotta criminosa, costituendo in tal caso "corpo del reato" unitamente al supporto che la contiene". Ed infatti con riferimento ai fatti di cui ai capi 7 e 8, per come ricostruiti nella stessa sentenza di primo grado, la rivelazione degli atti d'ufficio non avveniva attraverso propalazione orale ma si sostanziava nel consentire all'avvocatessa C. di assistere ad una riunione operativa con la polizia giudiziaria all'interno dell'ufficio del ricorrente (capo 7) e nel far leggere alla medesima una richiesta di misure cautelari (capo 8), vale a dire per fatti concludenti. Ne deriva che le conversazioni citate non costituivano corpo del reato ma unicamente "prova" della condotta addebitata all'imputato, con la conseguente inutilizzabilità sulla base dello stesso principio fissato dal giudice di legittimità. 3.8. Inosservanza di norme processuali e vizi congiunti di motivazione in ordine alla ritenuta inammissibilità dei motivi nuovi presentati in appello ai sensi dell'art. 585 c.p.p., comma 4. La Corte di appello ha erroneamente dichiarato inammissibili i motivi aggiunti di gravame formulati con atto depositato il 9 settembre 2022, ritenendoli del tutto "nuovi" rispetto ai motivi originari di appello, nonostante essi condividessero la medesima causa petendi dei motivi principali formulati in tema di inutilizzabilità delle intercettazioni e delle captazioni, vertendo sulla violazione di specifiche norme processuali in tema di deposito dei verbali e delle registrazioni (art. 270 c.p.p., comma 2), di nullità e/o inutilizzabilità della perizia di trascrizione e comunque riguardando eccezioni di inutilizzabilità rilevabili anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo ai sensi dell'art. 191 c.p.p., comma 2. 3.9. Violazione di legge processuale e vizi congiunti di motivazione in ordine al mancato riconoscimento del legittimo impedimento a comparire dell'imputato per ragioni di salute all'udienza dinanzi al Tribunale di Potenza del 16 ottobre 2020. 3.10. Violazione di legge penale e processuale con riferimento all'illegittimo aumento di pena disposto con la sentenza di appello per mezzo di una correzione di errore materiale nonché in violazione del divieto di reformatio in peius. La Corte territoriale ha disposto d'ufficio, vale a dire al di là dei motivi di appello formulati dal Pubblico Ministero dalla stessa disattesi, un aumento della pena inflitta al ricorrente dal Tribunale, innalzandola da nove a dieci anni di reclusione in forza di un rilevato errore di calcolo addebitabile al giudice di primo grado. Tuttavia l'appello della parte pubblica, per tutti i motivi diversi dalla intervenuta assoluzione dell'imputato per il capo 6 dell'imputazione, è stato erroneamente rigettato e non dichiarato inammissibile perché in contrasto con quanto disposto dall'art. 593 c.p.p., comma 1, per effetto della riforma operata dal D.Lgs. n. 11 del 2018 e che consente al Pubblico Ministero di appellare le sentenze di condanna "solo quando modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato". Visto, dunque, il rigetto dell'impugnazione della pubblica accusa, l'innalzamento della pena equivale ad una reformatio in peius indiretta, da ritenere vietata. La maggiorazione della pena risulta ancora più illogica in considerazione del fatto che il presunto errore di calcolo rappresenta conseguenza diretta della correzione dell'errore materiale, inusitatamente operata dal Tribunale con provvedimento di correzione dell'errore materiale ex art. 130 c.p.p.. Risulta, pertanto, illegittimo che la Corte d'appello, anziché rilevare officiosamente l'impossibilità di attribuire ad un imputato un ulteriore fatto di reato (quello in cui figura il Dott. N. corruttore attivo) attraverso l'uso improprio dell'art. 130 c.p.p., abbia ritenuto di dover sanare contra reum l'errore di calcolo derivante da quella illegittima correzione. 4. C.M.. La ricorrente affida l'impugnazione a tre motivi di censura. 4.1. Violazione di legge penale e vizi congiunti di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del reato di cui all'art. 319-quater c.p. (capo 2 della imputazione) e travisamento del fatto. La Corte territoriale ha negato, travisando o pretermettendo il contenuto di diverse fonti probatorie, che tra la ricorrente il coimputato A. fosse intercorsa una relazione sentimentale, per poi sostenere, in maniera del tutto illogica, che ove mai vi fosse stata, essa avrebbe avuto inizio dal 16 gennaio 2017, contro ogni evidenza probatoria e superando l'allegazione difensiva di un inizio collocato nei mesi di febbraio/marzo 2018. Quanto alla stessa configurabilità del delitto di cui all'art. 319-quater c.p. da parte dello extraneus (nel caso la ricorrente), le risultanze probatorie hanno escluso che ella abbia conseguito un indebito vantaggio, ma in maniera del tutto illogica la Corte di merito ha talora sostenuto e talaltra negato (pag. 39 sent.) che ciò sia avvenuto. 4.2. Violazione di legge penale e vizi congiunti di motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell'ipotesi di tentativo del reato di induzione indebita. La motivazione della sentenza è censurabile anche nella parte in cui non ritiene configurabile nella fattispecie l'ipotesi di tentata induzione indebita in luogo della forma consumata: la ricorrente non ha, invero, conseguito alcun indebito vantaggio e l'agognato incontro sessuale con l' A. venne rinviato a causa di un imprevisto. 4.3. Violazione di legge penale e vizi congiunti di motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell'esimente speciale del fatto di particolare tenuità di cui all'art. 131-bis c.p. nonostante l'esiguità dell'offesa e la non abitualità del comportamento ascritto all'imputata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi, parzialmente fondati con riferimento al secondo, al settimo e al decimo motivo di quello proposto da A.E. e per l'effetto estensivo dispiegato dall'accoglimento del secondo motivo anche in relazione alla posizione di C.M., vanno accolti nei sensi di cui alla motivazione. 2. Ricorso A.. 2.1 Risulta fondato il secondo motivo di ricorso. Come già riportato nella parte espositiva della presente pronuncia, la doglianza non riguarda le questioni interpretative concernenti l'utilizzabilità ratione temporis del captatore informatico affrontate dalle sentenze Sez. U. pen., n. 26889 del 28/04/2016, Scurato e Sez. U. civ., n. 741 del 15/01/2020, Palamara, bensì la mancanza di autorizzazione delle intercettazioni tra presenti nel decreto genetico del G.i.p. di Potenza, dedotta a pag. 21 dell'atto di appello e in ordine al quale la Corte territoriale ha omesso ogni motivazione. Seguendo uno schema argomentativo adottato riguardo a tutte le questioni di carattere procedurale formulate dalle difese degli imputati, la Corte di appello di Potenza ha fatto ampio rinvio alle statuizioni assunte sui diversi punti dal Tribunale in primo grado ed allo stesso modo si è determinata in relazione alla eccezione di inutilizzabilità del captatore informatico, trattata alle pag. 26 e 27 della sentenza. La Corte ha così ricordato le diverse modifiche normative succedutesi nel tempo e che in maniera quasi sempre scoordinata hanno inciso sui limiti di utilizzabilità del virus informatico cd. trojan horse in relazione a determinate categorie di reati, riproponendo sul punto le condivisibili argomentazioni già svolte dal Tribunale, a sua volta basate sui noti arresti delle sezioni unite penali e civili di questa Corte di cassazione sopra richiamati, senza però avvedersi del fatto che la doglianza difensiva riguardava, in maniera invero più circoscritta, la dedotta assenza di autorizzazione delle intercettazioni tra presenti nel decreto genetico del G.i.p. di Potenza in ordine alla quale manca, in effetti, qualsiasi statuizione. Trattasi del resto di uno snodo processuale molto rilevante, in quanto dalla utilizzabilità o meno dei risultati delle intercettazioni e delle captazioni tra presenti conseguiti mediante l'impiego del virus informatico - in estrema sintesi, astrattamente utilizzabile secondo le citate pronunce nei reati contro la Pubblica Amministrazione dal 26 gennaio 2018 con esclusione dei luoghi di privata dimora e dal 16 gennaio 2019 anche in detti luoghi - dipende l'ampiezza e la consistenza del compendio probatorio riferito ai reati di cui ai capi 2), 5), 7), 8) e 9) dell'editto di accusa, ossia di quelli in relazione ai quali le indagini sono state condotte dalla Procura della Repubblica di Potenza dopo la trasmissione degli atti per competenza funzionale (art. 11 c.p.p.) da parte della Procura di Lecce. La mancata pronuncia sul punto integra un'evidente violazione del principio devolutivo (art. 597 c.p.p., comma 1) e impone l'annullamento della sentenza impugnata in relazione a detti capi, riguardanti entrambi gli imputati in quanto concorrenti in quello di cui al capo 2) e il solo A. anche per i restanti. 2.2 La sentenza impugnata merita di essere annullata anche sotto un ulteriore profilo, questa volta riguardante i risultati delle operazioni tecniche di captazione mediante virus informatico in ordine ai delitti di rivelazione di segreti d'ufficio, ascritti al solo ricorrente A. ai capi 7), 8) e 9) dell'imputazione e per i quali ha riportato duplice condanna nei gradi di merito. La questione è stata posta dal settimo motivo del ricorso formulato dalla difesa del ricorrente. I reati interessati sono quelli appena indicati, due dei quali commessi in favore dell'avvocatessa C. (capi 7 e 8), da cui il ricorrente sperava di ottenere in cambio prestazioni di natura sessuale ed uno (capo 9) in favore di tale V.I.. In questo caso, la doglianza difensiva si svolge anche su di un piano di stretto diritto. Prendendo le mosse dalla più volte citata Sez. U, n. 51/19, Cavallo e dalla costante giurisprudenza sul tema secondo cui è fatta salva l'utilizzabilità delle intercettazioni disposte in diverso provvedimento quando il contenuto (con relativo supporto informatico) costituisca di per sé corpo di reato, la difesa obietta che per i reati di cui ai capi 7 e 8, per come ricostruiti dalla stessa sentenza di primo grado, la rivelazione di segreti d'ufficio non avveniva - a differenza che per il capo 9, in cui l' A. leggeva l'integrale contenuto di un provvedimento al soggetto privato ( V.) - mediante propalazione orale dell'agente, sostanziandosi piuttosto nel consentire all'avvocatessa C. di partecipare ad una riunione operativa con la polizia giudiziaria nell'ufficio di Pubblico Ministero del ricorrente (capo 7) e nel far leggere alla medesima una richiesta di misure cautelari (capo 8). Per tali fattispecie, pertanto, le intercettazioni utilizzate costituiscono non già corpo del reato, quanto piuttosto prova delle condotte addebitate al ricorrente, sicché non figurando l'art. 326 c.p. nel novero dei più gravi reati contro la Pubblica Amministrazione che consentono l'esecuzione di operazioni di intercettazione e/o captazione (art. 266 c.p.p., comma 1, lett. b) ne risulta vietata l'utilizzabilità in diverso procedimento ai sensi dell'art. 270 c.p.p., comma 1. La doglianza è certamente fondata almeno con riferimento all'imputazione di cui al reato contestato capo 8), mentre con riferimento a quello di cui capo 7), va operata una valutazione comparata con le dichiarazioni accusatorie rese dal teste d'accusa Cap. della Guardia di Finanza, V. (presente alla riunione) al fine di verificare la sussistenza o meno di adeguati elementi di prova, diversi dalle captazioni mediante virus informatico, idonei a sostenere in via autonoma l'affermazione di responsabilità (cd. prova di resistenza). E' ovvio, del resto, che a dette valutazioni la Corte territoriale di rinvio sarà chiamata solo nel caso in cui abbia risposto positivamente alla questione pregiudiziale di utilizzabilità dei risultati delle captazioni posta dal secondo motivo di ricorso A.. 2.3. Altro punto della decisione meritevole di annullamento riguarda l'aumento di pena operato dalla Corte d'appello da nove a dieci anni di reclusione (decimo motivo di ricorso A.). Il Collegio ritiene di dover affrontare anche tale punto di doglianza, sebbene consapevole che la nuova valutazione imposta al giudice del rinvio potrebbe comportare una rideterminazione profonda del trattamento sanzionatorio. Vale partire dal dato che l'appello del Pubblico Ministero avverso la decisione del Tribunale di Potenza verteva su tre aspetti: 1) l'assoluzione di A. da una ulteriore ipotesi di corruzione in atti giudiziari (capo 6); 2) l'invocata applicazione ai sensi dell'art. 73 c.p. del concorso dei delitti contestati in luogo della più favorevole disciplina della continuazione di cui all'art. 81 c.p.; 3) la richiesta di aumentare la pena in ragione della gravità e ripetitività delle condotte illecite. Tuttavia, mentre ai sensi dell'art. 593 c.p.p., comma 1, sec. parte, l'appello avverso l'assoluzione dal reato di cui al capo 6) risultava astrattamente ammissibile (primo motivo), venendo però in concreto rigettato, quello sul trattamento sanzionatorio (secondo e terzo motivo) avrebbe per contro dovuto essere dichiarato inammissibile, dal momento che avverso le sentenze di condanna il pubblico ministero può appellare "solo quando modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato". La Corte di appello ha, invece, rigettato nel merito tali doglianze del Pubblico Ministero, per cui si impone l'applicazione dell'art. 591 c.p.p., comma 4, secondo cui "L'inammissibilità, quando non è stata rilevata a norma del comma 2, può essere dichiarata in ogni stato e grado del procedimento". Da tanto consegue che, non potendo ritenersi dispiegato valido appello del Pubblico Ministero sul trattamento sanzionatorio, l'aumento di pena di un anno di reclusione, dalla Corte territoriale ritenuto come necessaria conseguenza dell'avere rilevato un errore di calcolo nella sentenza del Tribunale, deve ritenersi illegittimo per violazione del divieto di reformatio in peius di cui all'art. 597 c.p.p., comma 3. Tanto deve affermarsi a prescindere pure dalla circostanza che, con ordinanza adottata ai sensi dell'art. 130 c.p.p., coeva al deposito della sentenza di primo grado, fosse stato dal Tribunale inserito in dispositivo il riferimento al reato di cui al capo "1. ultima parte", circostanza che, puntualmente censurata dalla difesa del ricorrente ed inalterata la pena di nove anni di reclusione, ha fornito alla Corte d'appello il destro per rilevare un presunto errore di calcolo nella determinazione della pena, senza, però, considerare i profili di diritto sopra considerati. 3. I restanti motivi di ricorso proposti dall'imputato A.. Vanno, invece, rigettati tutti gli altri motivi di censura proposti dalla difesa di detto ricorrente, iniziando l'esame seguendo l'ordine di progressione numerico indicato nell'impugnazione. 3.1. La dedotta inutilizzabilità delle intercettazioni e delle captazioni eseguite nel procedimento nei confronti di S.C. avviato dalla Procura della Repubblica di Lecce (primo motivo). Come anticipato, gli indizi a carico del ricorrente A. sono emersi nel corso di indagini condotte dall'ufficio requirente di Lecce nei confronti di S.C., dirigente della ASL di (Omissis) e figurante come uno dei corruttori di A. nel reato di cui al capo 1, punto a) e avviate per ipotesi di concussione a danno di fornitori di beni e servizi dell'ente sanitario leccese. Va precisato che le captazioni mediante virus informatico sono state disposte solo nel 2018, quando già il procedimento era stato trasmesso per competenza funzionale (art. 11 c.p.p.) alla Procura della Repubblica di Potenza; le intercettazioni eseguite con mezzi tecnici tradizionali nel procedimento a quo risultano, tuttavia, decisive per l'affermazione di responsabilità in ordine al reato di cui al capo 1), punti a) e b) in relazione a due episodi di corruzione in atti giudiziari. E' il Tribunale di Potenza ad essersi occupato in maniera estesa della questione alle pag. 18-28 della sentenza di primo grado, sostenendo la tesi che il divieto di utilizzabilità in diverso procedimento di cui all'art. 270 c.p.p. deve nella fattispecie ritenersi superato dalla sussistenza di una connessione qualificata tra i reati ipotizzati a carico del S. e quelli in addebito ad A. in adesione al principio fissato da Sez. U, n. 51 del 2019, dep. 2020, Cavallo, Rv. 277395. La ragione sostanziale, ampiamente evidenziata dal Tribunale, è che S. aveva tutto l'interesse ad assicurarsi i servigi di un PM infedele presso la Procura di Lecce, nella speranza che ciò avrebbe favorito lui e la sua cerchia di amici nella conduzione dei loro affari illeciti. In punto di diritto, il Tribunale ha ravvisato connessione di cui all'art. 12 c.p.p., lett. b) (unicità del disegno criminoso perseguito da S., che, come anzidetto, figura come corruttore nel delitto sub 1, punto a) e lett. c) (connessione teleologica per occultare, mediante le condotte corruttive, gli altri reati contro la Pubblica Amministrazione commessi nell'ambito della ASL (Omissis)). Tanto premesso, le censure difensive si appuntano congiuntamente su aspetti sia di fatto (indeducibili in sede di legittimità) sia di diritto, che sono i seguenti: 1) la connessione di cui all'art. 12 c.p.p., lett. b) non spiegherebbe i suoi effetti "qualora non ricorra l'identità di tutti i compartecipi, difettando, in caso contrario, l'unità del processo volitivo". Trattasi di tesi già sostenuta da un consistente filone giurisprudenziale di legittimità che il ricorso A. ricorda puntualmente (pag. 10), ma che risulta oggi superato dal diverso orientamento che, dopo la Sez. Unite Cavallo, si è affermato nella giurisprudenza di questa Corte di cassazione. In tema di intercettazioni telefoniche, secondo la disciplina applicabile ai procedimenti iscritti fino al 31 agosto 2020, antecedente alla riforma introdotta dal D.Lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, come modificato dal D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito dalla L. 25 giugno 2020, n. 70, i risultati delle intercettazioni autorizzate per un determinato fatto-reato sono, infatti, utilizzabili anche per gli ulteriori fatti-reato legati al primo dal vincolo della continuazione ex art. 12 c.p.p., lett. b), senza necessità che il disegno criminoso sia comune a tutti i correi (Sez. 5, n. 37697 del 29/09/2021, Papa, Rv. 282027). A detta pronuncia ha fatto seguito una serie di decisioni conformi non massimate: Sez. 5, n. 10671 del 23/11/2021, Licata; Sez. 2, n. 18248 del 25/03/2022, Fabiano; Sez. 4, n. 28276 del 13/04/2022, Eden Company S.r.l.; Sez. 4, n. 29924 del 13/04/2022, Querci ed al.; Sez. 5, n. 37459 del 13/06/2022, Garofalo ed al.; Sez. 5, n. 37922 del 20/07/2022, Saponara; Sez. 6, n. 45879 del 18/10/2022, Russo; Sez. 1, n. 10704 del 04/11/2022, Calderone; Sez. 5, n. 21902 del 03/05/2023, Fasulo e altri ed anche molto recentemente tale orientamento ermeneutico è stato ribadito nel senso che la connessione derivante da unicità del disegno criminoso deve sussistere tra i reati e non postula l'unicità dell'elemento volitivo di tutti gli agenti dei reati coinvolti (Sez. 6 del 15/06/2023, Zaif ed altri); 2) secondo la difesa, inoltre, Tribunale e Corte di appello avrebbero illegittimamente ravvisato la sussistenza anche della connessione teleologica di cui alla lett. c) dell'art. 12 poiché, mediante le condotte corruttive verso il PM A., il S. si sarebbe in tal modo assicurato l'impunità per i reati già commessi; si eccepisce, tuttavia, che la garanzia dell'impunità non rientra più nello spettro dell'art. 12 c.p.p., lett. c) in quanto il relativo riferimento è stato espunto dal testo della disposizione già dalla L. n. 63 del 2001. Il Collegio osserva, tuttavia, che a pag. 28 della sentenza di primo grado, cui quella di appello rinvia per relationem, non parla affatto di garanzia di impunità sostenendo, per contro, che "la corruzione in atti giudiziari di A. era chiaramente funzionale a eseguire o ad occultare i reati commessi da S. stesso e dalla cerchia dei suoi predetti amici". In ogni caso, anche a voler accedere alla tesi difensiva, secondo la citata Sez. U, n. 51/20, Cavallo è sufficiente che sia operativa alternativamente una delle cause di connessione sostanziale tra i reati affinché cada il divieto di utilizzabilità in altro procedimento di cui all'art. 270 c.p.p., comma 1. 3.2 Quanto ai residui motivi del ricorso A.: - il terzo motivo (invalidità derivata delle intercettazioni autorizzate dal G.i.p. di Potenza) deve essere rigettato, in quanto logica conseguenza del rigetto del primo motivo; - il quarto, il quinto ed il sesto motivo (errata ricostruzione giuridica delle imputazioni di cui ai capi 1, 2 e 5 dell'imputazione) vanno anch'essi rigettati. Con indubbia abilità, onde evitare il vizio di improponibilità per deduzione di fatto, la difesa del ricorrente sostiene che le sentenze di merito hanno ricostruito in maniera giuridicamente errata le imputazioni. Il tentativo di evitare il vizio deve ritenersi, però, fallito dal momento che le ampie deduzioni difensive si concretizzano comunque nella prospettazione di una diversa lettura delle risultanze probatorie, che solo ove interpretate nella maniera suggerita dal ricorrente, non consentirebbero la configurabilità delle ipotesi di reato contestate. In tema di ricorso per cassazione, tuttavia, la manifesta illogicità della motivazione, prevista dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), presuppone che la ricostruzione proposta dal ricorrente e contrastante con il procedimento argomentativo recepito nella sentenza impugnata sia inconfutabile e non rappresenti soltanto un'ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza.(Sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020, dep. 2021, G., Rv. 280589; conf. Sez. 2, n. 3817 del 09/10/2019, dep. 2020, Mannile, Rv. 278237), conclusione che non può essere messa in discussione dall'introduzione, per effetto della L. n. 46 del 2006, nell'art. 533 c.p.p. del principio dell'oltre ragionevole dubbio", il quale non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza e non può, quindi, essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell'appello (tra molte v. Sez. 5, n. 10411 del 28/01/2013, Viola, Rv. 254579); - va disatteso anche l'ottavo motivo di ricorso, con cui si denunzia l'illegittimità della dichiarazione di inammissibilità dei motivi nuovi di appello (art. 585 c.p.p., comma 4), operata dalla Corte di merito, sostenendosi la tesi che attenendo anch'essi a questioni di inutilizzabilità delle intercettazioni, condividevano la stessa causa petendi di quelle di cui ai motivi di appello originari (v. supra), rappresentando mere "specificazioni ed approfondimenti dei motivi principali, sicché il novero dei capi e dei punti della sentenza attinti dalle censure restava incontrovertibilmente cristallizzato nell'atto di impugnazione principale" (pag. 76 ricorso A.). La tesi non può essere accolta sotto due profili. Il primo è che trattandosi di motivi riguardanti questioni di natura prettamente processuale, ognuno di essi conserva una sua specificità, che impone al giudice (compreso quello di legittimità) di verificarne la fondatezza mediante accesso diretto agli atti del procedimento. Il secondo profilo è che non è la categoria della causa petendi a regolare la materia, quanto piuttosto l'esistenza o meno di una connessione funzionale tra motivi nuovi e motivi originari (come da pacifica giurisprudenza di legittimità, v. tra molte Sez. 6, n. 6075 del 13/01/2015, Comitini, Rv. 26234; Sez. 6, n. 45075 del 02/10/2014, Sabbatini, Rv. 260666) che per la natura intrinseca delle doglianze (alcune, come anticipato, implicando l'esame di atti del procedimento, altre addirittura l'ascolto dei files audio per supposte nullità della perizia di trascrizione) non poteva ravvisarsi nelle fattispecie considerate; - va, infine, respinto anche il nono motivo di ricorso, riguardante il mancato riconoscimento del legittimo impedimento dell'imputato/ricorrente (affetto da lombosciatalgia) all'udienza dinanzi al Tribunale del 16 ottobre del 2020. Il ricorrente chiede a questa Corte di legittimità di sovrapporre la sua valutazione a quella a suo tempo operata dal Tribunale di Potenza, con motivazione congrua e immune di vizi di ordine logico; oltretutto la doglianza reitera quella dedotta dinanzi alla Corte territoriale e da questa confutata con argomenti parimenti insuscettibili di critica di ordine logico - argomentativo (v. lo stesso ricorso a pag. 79) e che si rivela, pertanto, generica per aspecificità (in tal senso v. tra molte Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo e altri, Rv. 254584 e più risalente ma propriamente in termini Sez. 1, n. 5035 del 02/02/1984, Ciliberti, Rv. 164531). 4. Ricorso C.. A prescindere dalla intrinseca qualità dei motivi di ricorso proposti da detta ricorrente, la sentenza va annullata anche con riferimento alla sua posizione per l'effetto estensivo dell'accoglimento del secondo motivo del ricorso A.. L'affermazione di responsabilità in ordine al reato di cui agli artt. 110, 319-quater c.p. si basa, infatti, largamente sui risultati della captazione di conversazioni ottenuti mediante virus informatico e l'eventualità che questa parte del compendio probatorio possa venir meno per effetto della rinnovata valutazione che viene demandata al giudice di rinvio impone l'annullamento del capo 2) della pronuncia concernente un reato di cui la ricorrente risponde a titolo di concorso (art. 587 c.p.p., comma 1). 5. L'accoglimento parziale dell'impugnazione, con i limiti propri della pronuncia rescindente, determina comunque l'irrevocabilità della decisione impugnata in ordine alla responsabilità penale e alla qualificazione dei fatti ascritti all'imputato (Sez. U, n. 16208 del 27/03/2014, C., Rv. 258654) per i capi non travolti dalla pronuncia, nella specie rappresentati dai fatti di reato di cui al capo 1, sub a) e b) dell'imputazione. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di A.E. in relazione ai reati di cui ai capi 2), 5), 7), 8) e 9) nonché, per l'effetto estensivo, anche nei confronti di C.M. con riferimento al reato di cui al capo 2) e rinvia per nuovo giudizio su predetti capi alla Corte di appello di Salerno. Rigetta nel resto il ricorso di A.E.. Visto l'art. 624 c.p.p., dichiara irrevocabile la sentenza in ordine alla responsabilità di A.E. per i reati di cui al capo 1, sub a) e b). Così deciso in Roma, il 22 giugno 2023. Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2023
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