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Misure di prevenzione patrimoniali: l'incidente di esecuzione è proponibile solo dal terzo che non abbia partecipato al procedimento

Misure di prevenzione

Cassazione penale sez. V, 08/10/2020, (ud. 08/10/2020, dep. 25/11/2020), n.33146

In tema di prevenzione reale, il proposto ed il terzo che abbiano partecipato al procedimento, qualora intendano ottenere la revoca, anche parziale, del provvedimento definitivo di confisca, sono tenuti a presentare istanza di revocazione nei limiti ed alle condizioni di cui all'art. 28 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, essendo invece loro preclusa l'instaurazione di un incidente di esecuzione ex art. 666 cod. proc. pen., rimedio generale di cui può giovarsi unicamente il terzo che non abbia partecipato al procedimento per non essere stato messo nelle condizioni di farlo.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. E' impugnato il decreto della Corte d'Appello di Napoli, Sezione Specializzata per le Misure di Prevenzione, emesso nei confronti di C.L., con cui è stata dichiarata inammissibile l'istanza, formulata ex D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28, di revoca della confisca dei beni imposta nei suoi confronti con il decreto n. 41 del 2016 del Tribunale di S.Maria Capua Vetere-Sezione per le Misure di Prevenzione, nella parte in cui tale decreto è stato confermato dal decreto d'appello n. 110 del 2017, inoppugnabile dal 21.3.2018, data della pronuncia di inammissibilità da parte della Corte di cassazione (sentenza n. 17229 del 21/3/2018). L'istanza era stata motivata - seguendo la ricostruzione della Corte territoriale - in ragione di un elemento sopravvenuto alla confisca definitiva, costituito dall'annullamento senza rinvio, pronunciato dalla Corte di cassazione nel parallelo giudizio penale, della condanna di C.L. in relazione ai delitti di riciclaggio e reimpiego di capitali mafiosi. La Corte d'Appello ha dichiarato l'inammissibilità dell'istanza in analogia con quanto previsto dall'art. 634 c.p.p., norma applicabile alla revocazione nel procedimento di prevenzione in virtù del richiamo contenuto nell'art. 28 citato alla disciplina della revisione penale di cui all'art. 630 c.p.p. e ss.. In particolare, si è richiamato l'art. 633 c.p.p. in base al quale la competenza a decidere nel giudizio di revisione e, dunque, analogamente, in quello di prevenzione è della Corte d'Appello individuata ai sensi dell'art. 11 c.p.p.. Orbene, poichè il decreto di confisca oggetto di revocazione è stato emesso dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere, la Corte d'Appello di Napoli ha ritenuto competente quella di Roma applicando le regole previste dall'art. 11 c.p.p., valutando anche l'insussistenza in capo alla propria cancelleria di un obbligo di trasmissione dell'istanza ai sensi dell'art. 582 c.p.p. al giudice competente, all'esito di un'analisi della giurisprudenza di legittimità che si è formata negli anni sul tema in relazione a diverse ipotesi di impugnazioni. La Corte d'Appello, in particolare, ha mutuato il principio dalla giurisprudenza di legittimità che ha stabilito la non applicabilità della regola prevista da tale norma al ricorso straordinario per cassazione ex art. 625-ter c.p.p. (cfr. Sez. U, n. 36848 del 2014, Burba, Rv. 259990) in ragione della previsione espressa di inammissibilità dell'impugnazione contenuta nella sua disciplina ed ha operato un parallelismo con la disposizione esplicita per l'inammissibilità contenuta nell'art. 634 c.p.p. nel caso di inosservanza delle regole previste dall'art. 633 (tra le quali rientra quella che prescrive la presentazione dell'istanza esclusivamente nella cancelleria della Corte d'Appello individuata ai sensi dell'art. 11 c.p.p.). In sintesi, il provvedimento impugnato ha ritenuto che la facoltà prevista dall'art. 582 c.p.p., comma 2, costituisca un principio di carattere sì generale ma sussidiario rispetto ad espresse differenti disposizioni di legge che impongano l'inammissibilità dell'impugnazione nel caso in cui essa sia presentata nella cancelleria di un giudice diverso da quello individuato nella legge. 2. Avverso il provvedimento della Corte d'Appello di Napoli propone ricorso C.L. tramite il difensore avv. Stellato, deducendo un unico motivo in cui eccepisce violazione di legge in relazione all'art. 666 c.p.p. e D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28. L'istanza formulata dal ricorrente è stata erroneamente ricondotta dalla Corte d'Appello all'istituto della revocazione ex D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28, mentre invece legittimamente era stata proposta una richiesta di incidente di esecuzione, destinato alla rivisitazione del provvedimento di confisca definitivo non ex tunc e per intero, in ragione di un difetto originario dei presupposti applicativi che emerga da un elemento sopravvenuto, ancorchè solo per una porzione di esso. Anche la sentenza della Corte di cassazione pronunciata nel parallelo giudizio penale e citata dalla difesa come elemento successivo, sopravvenuto, da cui si poteva desumere un mutamento della posizione di C. in relazione alla confisca (poichè stabiliva l'annullamento senza rinvio della sua condanna in relazione ai reati di riciclaggio e reimpiego di capitali mafiosi), era stata utilizzata solo con la limitata finalità di costituire un punto di novità riferito alla specifica posizione dei beni richiamati nell'istanza e non alla misura di prevenzione patrimoniale complessivamente intesa. 3. Il Sostituto Procuratore Generale Giordano Luigi, con requisitoria scritta del 16.7.2020 ha chiesto il rigetto del ricorso, ritenendo che la prospettazione nell'istanza originaria di un elemento nuovo rispetto alla confisca definitiva, e cioè la pronuncia della Corte di cassazione emessa nel procedimento penale a carico di C., sia l'indicatore da cui desumere la natura del mezzo di impugnazione proposto: la revocazione ai sensi del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28. Qualificata in tal modo la procedura attivata dal ricorrente, risulta, pertanto, corretta la decisione di inammissibilità dell'istanza, per essere stata proposta al giudice incompetente. 4. La difesa di C.L. ha depositato ulteriore memoria in atti con cui, opponendosi alle conclusioni del Procuratore Generale, ribadisce la legittimità del mezzo processuale dell'incidente di esecuzione, utilizzato per far valere la revoca parziale della confisca definitiva disposta, relativa a soli tre tra i cespiti oggetto di apprensione. Il D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28 non ha in alcun modo inciso sull'operatività delle disposizioni di cui all'art. 666 c.p.p. e ss. ed il parallelismo tra la procedura di revocazione della confisca ex art. 28 e quella di revisione ex art. 630 e ss. costituisce prova ancor più dello spazio di operatività residuo dell'incidente di esecuzione, ponendo mente a come non si procede a revisione per caducare un singolo effetto della decisione, bensì solo per contestare gli effetti della decisione nel suo complesso. Non è, ad esempio, ipotizzabile procedere con revisione qualora il condannato chieda un intervento in ordine al trattamento sanzionatorio, non correttamente valutato o sopravvenuto, anche in caso di dichiarazione di incostituzionalità; la difesa cita al riguardo la rimodulazione sanzionatoria seguita alla dichiarazione di incostituzionalità della disciplina in tema di stupefacenti ad opera della sentenza n. 32 del 2014. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. E' esatta, infatti, la configurazione stabilita dalla Corte d'Appello di Napoli del rimedio esperito dalla difesa come revocazione ai sensi del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28 e non già come incidente di esecuzione. 2. La questione proposta al Collegio attiene alla natura dell'istanza proposta dal ricorrente, se inquadrabile nell'istituto della revocazione, previsto ai sensi del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28, ovvero, come sostenuto dalla difesa, in quello dell'incidente di esecuzione essendo stata l'istanza proposta ex art. 666 c.p.p.: un incidente di esecuzione che, nella prospettazione difensiva, coprirebbe gli spazi lasciati privi di tutela dalla disciplina di nuovo conio. 2.1. Ebbene, anzitutto deve precisarsi che, nel sistema vigente delle misure di prevenzione, avverso la decisione definitiva sulla confisca, una volta esperiti i rimedi ordinari previsti dal D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 10 e 27 dell'appello per la rivalutazione del merito e del ricorso per cassazione per violazione di legge, l'unico rimedio attivabile rimane quello della revocazione previsto dall'art. 28 del citato decreto, strutturato come un rimedio straordinario, azionabile davanti alla Corte d'Appello nelle forme previste dall'art. 630 c.p.p., e teso sostanzialmente a riparare ad un errore giudiziario, quando, dopo la definitività della confisca, sopravvengano nuovi elementi di prova che dimostrino il difetto originario dei presupposti di applicazione della confisca. Si tratta di un istituto introdotto dal nuovo codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (il già citato D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159) per colmare un vuoto normativo della previgente legislazione, cui la giurisprudenza aveva già posto rimedio attraverso una interpretazione estensiva della norma di cui alla L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 7, comma 2, che da istituto chiaramente finalizzato ad adeguare la misura di prevenzione personale ai mutamenti sopravvenuti di "pericolosità" del prevenuto, con efficacia ex nunc, era stato rimodulato dalla giurisprudenza per includervi anche la funzione di rimedio volto a determinare la rimozione ex tunc della misura patrimoniale di prevenzione costituita dalla confisca, in ragione della prova sopravvenuta di un suo difetto genetico e, dunque, mutuando i caratteri dell'istituto della "revisione" del "giudicato" di matrice penalistica pura. Tanto il rimedio della L. n. 1423 del 1956, art. 7, di competenza dell'organo giudicante che l'ha emessa - ancora applicabile, come vedremo, per le confische disposte sulla base di proposte o provvedimenti anteriori al 13 ottobre 2011, data di entrata in vigore del citato D.Lgs. n. 159 del 2011 - quanto il nuovo mezzo di impugnazione di cui all'art. 28 del cit. cod. antimafia, di competenza della Corte d'Appello, si caratterizzano per avere il medesimo ambito di operatività rapportato alla straordinarietà del rimedio ed alla sopravvenienza degli elementi dai quali trarre un suo difetto genetico, senza possibilità alcuna di procedere semplicemente a "riesaminare" lo stesso quadro fattuale già delibato in sede di applicazione della misura, posto che, ove così non fosse, pur restando immutati i "fatti" oggetto del giudizio di prevenzione, le relative statuizioni giurisdizionali sarebbero in modo inaccettabile, per le finalità e la struttura delle misure di prevenzione reale, rivedibili sine die e ad nutum. L'art. 28 cit. stabilisce, infatti, che la revocazione della decisione definitiva sulla confisca di prevenzione, e cioè il rimedio straordinario previsto avverso le confische che potremmo definire "passate in giudicato", cioè quelle in relazione alle quali sono state già esperite le impugnazioni ordinarie dell'appello e del ricorso per cassazione per violazione di legge, può essere richiesta, nelle forme previste dall'art. 630 c.p.p. ss., solo al fine di dimostrare il difetto originario dei presupposti per l'applicazione della misura: a) in caso di scoperta di prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento; b) quando i fatti accertati con sentenze penali definitive, sopravvenute o conosciute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione, escludano in modo assoluto l'esistenza dei presupposti di applicazione della confisca; c) quando la decisione sulla confisca sia stata motivata, unicamente o in modo determinante, sulla base di atti riconosciuti falsi, di falsità nel giudizio ovvero di un fatto previsto dalla legge come reato. Tale condivisibile ricostruzione del quadro normativo di riferimento è stata proposta in modo organico dalla sentenza Sez. 6, n. 23839 del 26/4/2019, Mammoliti, Rv. 275987 in una fattispecie analoga a quella oggi all'esame del Collegio, in cui il ricorrente proponeva un'interpretazione estensiva dell'art. 666 c.p.p. e del sistema dei rimedi avverso una pronuncia di confisca definitiva avanzata anche dalla difesa di C., ritenendo, in quel caso, che si dovesse far ricorso a tale procedura di incidente di esecuzione, quando, non dovendosi incidere sull'originaria sussistenza dei presupposti applicativi della misura, si dovesse procedere ad una rivisitazione specifica di alcuni puntuali aspetti della stessa, in ordine ai quali venivano rilevati errori di valutazione o discrasie rispetto ad elementi di fatto evidenziati nell'istanza con cui si chiedeva la modifica del provvedimento adottato e definitivo. La pronuncia citata della Sesta Sezione ha concluso, seguendo un'articolata motivazione, nel senso che, in tema di prevenzione reale, il proposto ed il terzo, che abbia partecipato al procedimento, qualora intendano ottenere la revoca del provvedimento definitivo di confisca, sono tenuti a presentare istanza di revocazione nei limiti ed alle condizioni di cui al D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 28, essendo invece loro preclusa, in ragione dell'inammissibilità di una rivalutazione dei medesimi fatti "sine die" e "ad nutum", l'instaurazione di un incidente di esecuzione ex art. 666 c.p.p., del quale può giovarsi unicamente il terzo che non abbia partecipato al procedimento per non essere stato messo nelle condizioni di farlo. 2.2. L'impostazione generale suddetta, e le ragioni di fondo che la ispirano - che muovono dalla considerazione della straordinarietà del rimedio previsto dal D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28 e dalla tendenziale stabilità della confisca definitiva, aggredibile solo nei limiti ed alle condizioni previste dalla norma citata - possono essere condivise anche nel caso del ricorrente C. e con riferimento ad una richiesta di "revisione" solo parziale della confisca divenuta definitiva, come avanzata nella fattispecie in esame. Il rimedio previsto dal D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28, infatti, rivela senza dubbio un forte carattere di straordinarietà, così come quello della revisione cui si ispira espressamente nel richiamo normativo, stabilendo detta disposizione la valorizzazione di prove decisive sopravvenute, di un possibile contrasto tra giudicati, della falsità di atti o di dichiarazioni, ovvero di un fatto che si accerti costituire un reato, al pari di quanto previsto dall'art. 630 c.p.p. per il mezzo di impugnazione straordinario costituito, appunto, dalla revisione. Come è stato efficacemente sostenuto (cfr. Sez. 6, n. 31937 del 6/6/2019, Fiorani, Rv. 276472), deve sottolinearsi che il più volte richiamato D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28 ha previsto "uno specifico gravame straordinario riservato ai soli provvedimenti applicativi della misura patrimoniale della confisca di prevenzione" con la finalità "di svincolare tale istituto dalla sfera di operatività di quello della revoca dei provvedimenti applicativi delle misure di prevenzione personali, misure qualificate da maggiore instabilità del giudicato (essendo, sotto questo profilo, parificabili alle misure cautelari personali regolate dal codice di rito)". La disposizione in esame è chiaramente volta ad assicurare al provvedimento reale ablatorio un connotato di maggiore definitività e irreversibiilità, dunque di maggiore stabilità. Diversamente opinando, infatti, si aprirebbe ad una interpretazione che, superando i limiti previsti dal D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28 per l'istituto della revocazione, si porrebbe in contrasto con il sistema delle impugnazioni previsto per le misure di prevenzione reale, pretendendo di poter riesaminare al di fuori dello schema normativo stabilito, attraverso il rimedio dell'incidente di esecuzione, soltanto "porzioni" della confisca definitiva già disposta in relazione alle quali (soltanto) si ritiene sia sopraggiunto un elemento di novità. L'incidente di esecuzione, secondo l'interpretazione invocata dal ricorrente, dovrebbe essere ammesso come mezzo di impugnazione straordinario, necessario a sopperire ad ipotesi di revocabilità "parziali", non previste dall'art. 28 citato (così come nella sentenza n. 23839 del 2019 il ricorrente pretendeva che attraverso l'incidente di esecuzione si ponesse rimedio alla non ammessa ricorribilità in cassazione dei provvedimenti in materia di prevenzione nei casi del vizio della motivazione per illogicità e per travisamento del fatto). Ed invece, le argomentazioni del ricorso e della memoria successivamente depositata non sono condivisibili perchè, ammettendo una rivalutazione parziale dei medesimi fatti che hanno determinato la confisca definitiva, al fine di ottenere una modifica parziale del suo oggetto, sulla base di un elemento pur sempre "sopravvenuto", nel senso richiesto dall'art. 28 per il rimedio generale ed unico della revocazione della confisca definitiva, si finirebbe con l'applicare tale disposizione al di fuori dello schema normativo e sistematico entro cui si inscrive ed in contraddizione con la tendenziale stabilità - salvi i casi eccezionali, appunto, di revocazione della misura ablatoria in sè, globalmente considerata - delle statuizioni patrimoniali collegate alla definitività del provvedimento di confisca. In tal modo, sia pur solo pro parte, si pretende di scardinare il sistema che ispira la stessa logica delle misure ablatorie di prevenzione come concepite dal nuovo decreto antimafia del 2011, evocando, sostanzialmente, l'introduzione di un principio di incondizionata e permanente revocabilità delle decisioni prese nel corso del procedimento di prevenzione, attraverso la richiesta di applicazione di un rimedio improprio e non previsto espressamente quale è quello di cui all'art. 666 c.p.p.. Tuttavia, tale rimedio di ordine generale, qualora fosse ammesso, minerebbe, nell'ambito della confisca, il fondamentale principio del giudicato che conferisce stabilità alle decisioni giudiziarie, tutelato dal legislatore a garanzia della certezza dei rapporti giuridici e che ha trovato un suo equo contemperamento, rispetto alle pur doverose esigenze di garanzia dei singoli individui coinvolti nella procedura di prevenzione, grazie all'istituto della revocazione operativo entro i limiti rigorosi fissati dall'art. 28 cit. per l'esperibilità di detto rimedio. La stessa conclusione si impone anche analizzando le ragioni che hanno ispirato il poderoso intervento di novella e riordino del 2011. Anche volendo seguire, infatti, i passaggi principali della Relazione al D.Lgs. del 2011 - che offre una bussola per indirizzare il cammino interpretativo nel percorso, certo non semplice, della ricostruzione di un sistema complesso quale è quello delle misure di prevenzione, in particolar modo di quelle patrimoniali - si comprende come l'istituto della revocazione sia stato concepito come rimedio eccezionale ed unico alla stabilità del provvedimento ablatorio della confisca divenuta definitiva, ispirato dalla constatazione che, se fosse stato invece mutuato il procedimento previsto per le misure personali, ispirato alla possibilità di rivedere costantemente il giudizio di pericolosità personale ai sensi del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 11, si sarebbe persa qualsiasi seria possibilità di ricollocare i beni confiscati in un circuito legale di reinvestimento ed utilizzo per finalità sociali. Un obiettivo quest'ultimo certamente frustrato qualora fosse stata offerta la possibilità di proporre continuamente istanze di revoca, per intero o pro parte non importa, che avrebbero reso del tutto instabile il giudicato di prevenzione patrimoniale. Il testo legislativo, pertanto, racchiude in sè la valutazione di bilanciamento operata dal legislatore tra il perseguimento della finalità di consentire alla confisca, quando definitiva, di conservare un ragionevole grado di irreversibilità che renda effettivo, facilitandolo, il proficuo utilizzo dei beni confiscati secondo ragioni di economia e legalità e l'esigenza di assicurare agli interessati le necessarie garanzie per reagire all'imposizione di una misura di prevenzione ablatoria. E' stato precisato dalla giurisprudenza sinora citata, con argomentazioni generali e condivisibili, che la fisiologica revocabilità delle misure di prevenzione personale, soggette al principio rebus sic stantibus, caratteristica derivata prima dalla L. n. 1423 del 1956, art. 7 ed ora dall'art. 11 del codice antimafia e fondata sull'opportunità di consentire una perdurante verifica dell'attualità della pericolosità personale, non può estendersi alla misura di prevenzione patrimoniale della confisca, che, comportando l'ablazione definitiva del patrimonio frutto dell'accumulazione di proventi illeciti, può essere revocata solo nei limiti previsti dall'art. 28 del cit. Decreto n. 159 del 2011, attraverso l'istituto della revocazione, introdotto per porre rimedio a decisioni frutto di errori resi palesi da emergenze nuove, non valutate nel corso del procedimento di prevenzione e che ne minano la legittimità per difetto genetico dei relativi presupposti. Il rimedio, tuttavia, deve essere circoscritto esclusivamente a questi ultimi difetti e, si aggiunge, limitato alla possibilità di chiedere la revocazione unicamente dell'intera misura in esecuzione, poichè, se si ammettesse un intervento demolitorio della confisca definitiva "per porzioni", mediante il ricorso allo strumento dell'incidente di esecuzione, paradossalmente si potrebbe produrre l'effetto di uno svuotamento completo del provvedimento già definitivo, parcellizzandone chirurgicamente i "tagli" nel tempo e, soprattutto, consentendo surrettiziamente una modifica al di fuori dei presupposti imposti dalla struttura della revocazione ex D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28. Non solo. La possibile, continua sottoposizione a revocazione, pro parte, della confisca definitiva vanificherebbe gli obiettivi di stabilizzazione della statuizione ablativa di prevenzione e, come detto, renderebbe impraticabile qualsiasi seria ed effettiva prospettiva di reimmissione dei beni confiscati in un circuito legale. La stridente eccentricità di quanto si richiede rispetto al sistema voluto dal legislatore emerge tanto più nel caso del ricorrente, in cui i presupposti dell'intervento di modifica richiesto appaiono, in definitiva, esattamente gli stessi di quelli previsti dal legislatore per la revocazione di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28: si invoca, infatti, un elemento di novità sopravvenuto alla confisca definitiva, costituito dall'annullamento senza rinvio, pronunciato dalla Corte di cassazione nel parallelo giudizio penale, della condanna di C.L. in relazione ai delitti di riciclaggio e reimpiego di capitali mafiosi. Sul punto è lo stesso ricorso ad essere equivoco, quando afferma comunque l'incidenza sulla valutazione che si chiede al giudice d'appello della sentenza nuova emessa nel giudizio di merito e, d'altra parte, rifiuta la catalogazione del rimedio adito come revocazione ex art. 28 del codice antimafia. Ciò che si richiede al Collegio, dunque, in ultima analisi, è un'inammissibile interpretazione estensiva della norma sopradetta, surrettiziamente vestendola dei caratteri giuridici del diverso istituto dell'incidente di esecuzione, per piegarla a fini ulteriori rispetto a quelli invece esclusivamente ammessi in ragione della straordinarietà del rimedio imposta dalla ricerca di stabilità degli effetti della confisca. 2.3. D'altra parte, come pure è stato già messo in evidenza dalla pronuncia della Sesta Sezione n. 23839 del 2019 citata, il rimedio dell'incidente di esecuzione è stato ammesso dalla giurisprudenza di legittimità, formatasi nella vigenza della confisca disposta ai sensi della Legge Antimafia 31 maggio 1965, n. 575, art. 2-ter, soltanto nei confronti del terzo interessato che non avesse potuto partecipare al procedimento di cognizione, al fine di assicurare il diritto alla tutela giudiziaria delle proprie ragioni (e quindi, comunque, mai per riproporre le stesse questioni già affrontate nella sede della cognizione o che potevano essere dedotte nel procedimento di prevenzione). E' stato affermato, infatti, che in tema di misure di prevenzione patrimoniale, il terzo che rivendicasse la legittima titolarità del bene confiscato chiedendone la restituzione poteva proporre incidente di esecuzione solo se non avesse partecipato al procedimento di applicazione della misura patrimoniale, nel quale avrebbe potuto svolgere (sia che fosse chiamato dal Tribunale con decreto motivato ovvero avesse deciso di intervenire nel procedimento) le deduzioni e chiedere l'acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione sulla confisca. Nel caso invece in cui il terzo, formalmente intestatario del bene, avesse partecipato al giudizio di cognizione senza osservare l'onere di allegazione di cui alla L. n. 575 del 1965, art. 2-ter, comma 5, il ricorso all'incidente di esecuzione non era consentito, in quanto strumentale solo a rimettere in discussione il titolo non contestato dal soggetto già posto in condizione di rivendicare il suo diritto sul bene ed a riproporre in sede di esecuzione questioni già scrutinate dal giudice della prevenzione, che il ricorrente ben avrebbe potuto allegare al suo atto di intervento (in tal senso, cfr. anche Sez. 6, n. 37025, 18 settembre 2002, Rv. 222664). Ebbene, il ragionamento rimane valido anche dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 159 del 2011, essendo ora prevista la partecipazione al procedimento di prevenzione oltre che dei terzi che vantino diritti di proprietà o comproprietà dei beni sequestrati, anche dei terzi che vantino diritti reali o personali di godimento, con la conseguenza che anche questi soggetti possono far valere le proprie ragioni e chiedere l'acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione nel corso del procedimento di prevenzione, essendo anche legittimati ad avvalersi dei mezzi di impugnazione, ordinari e straordinari previsti dal cit. D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 10,27 e 28, sicchè "il rimedio del ricorso all'incidente di esecuzione può trovare ancora una sua ragione di essere solo nei casi in cui il terzo non abbia partecipato al procedimento di applicazione della misura patrimoniale, perchè non messo nelle condizioni di parteciparvi" (così la sentenza n. 23839 del 2019). 2.4. All'esito della ricostruzione normativa e sistematica appena condotta, si deve concludere, pertanto, nel senso che il rimedio esperibile, in caso di prospettazione di vizi del provvedimento di confisca definitivo, non può che essere, nel sistema attuale e vigente, quello del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28, che, tuttavia, non può che essere limitato alla revocazione della confisca complessivamente stabilita, non può afferire ad una porzione dei beni sui quali è stato disposto il provvedimento ablatorio e deve essere motivato dal sopravvenire di un novum decisivo agli effetti della ammissibilità della domanda di revisione del giudicato. In altre parole, in tema di prevenzione reale, il proposto, ed il terzo che abbia partecipato al procedimento, qualora intendano ottenere la revoca del provvedimento definitivo di confisca, sono tenuti a presentare istanza di revocazione nei limiti ed alle condizioni di cui al D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 28, essendo invece loro preclusa l'instaurazione di un incidente di esecuzione ex art. 666 c.p.p., sia pur per ottenere la revoca soltanto parziale della confisca stessa; l'incidente di esecuzione è un rimedio generale del quale può giovarsi unicamente il terzo che non abbia partecipato al procedimento per non essere stato messo nelle condizioni di farlo. Il ricorso di C.L., pertanto, deve essere rigettato, avendo il ricorrente richiesto una revocazione parziale della confisca definitiva, così qualificata l'istanza di incidente di esecuzione proposta, non consentita ai sensi del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28 ed essendogli in ogni caso preclusa la possibilità di proporre il rimedio ex art. 666 e ss. per ottenere la revoca del provvedimento ablatorio divenuto definitivo. 2.5. Quanto all'applicabilità della disciplina della revocazione al caso di specie non possono sorgere dubbi al riguardo, poichè l'istanza del ricorrente è stata proposta in relazione ad un procedimento in cui, alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 159 del 2011 (recante la nuova disciplina del cd. codice antimafia), non era stata già formulata una proposta di applicazione della misura di prevenzione, bensì in un procedimento completamente sottoposto alla nuova disciplina del cd. codice antimafia. Ed infatti, il rimedio della revocazione della decisione definitiva sulla confisca di prevenzione, attribuito dal D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 28 alla competenza della Corte d'Appello, non si applica con riferimento ai soli provvedimenti adottati prima del 13 ottobre 2011 (data di entrata in vigore del citato testo normativo) per i quali la competenza per la revoca spetta all'organo giudicante che aveva disposto la confisca, ai sensi della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 7 (in tal senso, cfr. Sez. 6, n. 17854 del 27/05/2020, Lunetto, Rv. 279283, nonchè Sez. 1, n. 2945 del 17/10/2013, dep. 2014, Pipitone, Rv. 258599; Sez. 1, n. 45278 del 10/10/2013, Apicella, Rv. 257479; Sez. 1, n. 33782 del 8/4/2013, Arena, Rv. 257116). Di conseguenza le nuove norme si applicano a tutti i procedimenti di prevenzione, come quello di specie, sorti successivamente alla data del 13 ottobre 2011. 3. Occorre, a questo punto, fare chiarezza su un altro punto della decisione della Corte d'Appello di Napoli, anche per offrire al ricorrente gli strumenti informativi necessari alla proposizione dei rimedi consentitigli dalla legge, nella specie quello della revocazione previsto dal codice antimafia. Una volta stabilito che doveva essere proposta un'istanza ex D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28 alle condizioni e limiti previsti in tale disposizione, e che tale è stata correttamente riqualificata la richiesta di incidente di esecuzione avanzata dal ricorrente, devono essere chiarite le regole che sovrintendono alla procedura ex D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28, per comprendere se, in caso di proposizione dell'istanza di revocazione ad un giudice incompetente (in questo caso la Corte d'Appello di Napoli), questi sia tenuto a trasmettere gli atti al giudice competente ai sensi dell'art. 582 c.p.p., ovvero - come sostiene la Corte napoletana - debba dichiarare l'inammissibilità dell'istanza tout court ex art. 634 c.p.p., non essendo tenuto alla suddetta trasmissione. Sul tema, a favore della tesi secondo cui la Corte poteva e doveva trasmettere gli atti al giudice competente milita la giurisprudenza della Cassazione formatasi proprio in tema di revisione, rimedio straordinario, eppure considerato alla stregua di un mezzo di impugnazione, cui deve applicarsi il principio generale del favor impugnationis. Si è affermato del tutto condivisibilmente, infatti, che è ammissibile la richiesta di revisione presentata nella cancelleria di Corte d'Appello incompetente, poichè, in applicazione del principio generale del "favor impugnationis" di cui all'art. 568 c.p.p., comma 5, valido anche per le impugnazioni straordinarie, l'istanza deve essere trasmessa al giudice competente (Sez. 5, n. 42611 del 13/6/2018, C., Rv. 274011). Il Collegio aderisce a tale impostazione, nonostante si conti l'esistenza di un precedente di segno contrario (Sez. 7, ordinanza n. 25017 del 8/4/2003, Fabi, Rv. 226060, secondo cui la richiesta di revisione deve essere presentata nella cancelleria della corte di appello individuata seguendo i criteri di cui all'art. 11 c.p.p., senza che sia possibile l'accesso all'alternativa forma di presentazione nella cancelleria del Tribunale dove la parte privata si trova, prevista dall'art. 582 c.p.p., comma 2, in quanto nella disposizione di cui all'art. 633 c.p.p., che disciplina la forma della richiesta, manca un espresso richiamo dell'art. 582 c.p.p., comma 2). Si ritiene, dunque, che l'istanza di revisione presentata al giudice incompetente debba essere da quest'ultimo trasmessa al giudice competente (e non dichiarata inammissibile), in applicazione del principio generale, valevole in materia di impugnazioni, contenuto nell'art. 568 c.p.p., comma 5. Il sistema processuale complessivo e quello specifico previsto per le misure di prevenzione patrimoniali dal D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28 puntano verso tale opzione; l'art. 582, comma 2, infatti, attribuisce alla parte non una "facoltà eccezionale", come si afferma nella pronuncia del 2003, bensì tale norma, inserita tra le "disposizioni generali" in materia di impugnazioni, contiene una previsione riguardante ogni forma di impugnazione, e, quindi, anche l'impugnazione straordinaria rappresentata dalla revisione. Tanto ciò è vero che le Sezioni Unite, con un'ampia motivazione sulle ragioni che sovrintendono alle disposizioni in materia di impugnazione, hanno stabilito l'applicabilità della disciplina contenuta negli artt. 582 e 583 c.p.p. anche ad un rimedio che sia solo strumentale all'esercizio della facoltà di impugnazione quale è quello della restituzione in termini ai sensi dell'art. 175 c.p.p., comma 2-bis, (cfr. Sez. U, n. 42043 del 18/5/2017, Puica, Rv. 270726). La Corte d'Appello di Napoli, pertanto, un volta individuata la natura del rimedio, correttamente inquadrato in quello previsto ex D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28, avrebbe dovuto trasmettere gli atti alla Corte d'appello competente ex art. 11 c.p.p. per il giudizio, orientandosi secondo il seguente principio di diritto, mutuato dalla disciplina della revisione cui espressamente si richiama la disposizione predetta dell'art. 28, là dove stabilisce che la revocazione può essere proposta "nelle forme previste dall'art. 630 c.p.p. e ss.": in tema di misure di prevenzione, è ammissibile l'istanza di revocazione ex D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28 presentata nella cancelleria di Corte d'appello incompetente, poichè, in applicazione del principio generale del "favor impugnationis" di cui all'art. 568 c.p.p., comma 5, valido anche per le impugnazioni straordinarie quale è la revisione, alla cui disciplina si richiama il citato art. 28, l'istanza deve essere trasmessa al giudice competente, individuato ai sensi dell'art. 633 c.p.p. in quello risultante dalla regola dell'art. 11 c.p.p.. Del resto, costituisce un principio generale dotato di un buon grado di condivisione quello secondo cui, in tema di impugnazioni, allorchè un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente prescritto, il giudice che riceve l'atto debba verificare l'oggettiva impugnabilità del provvedimento, nonchè l'esistenza di una "voluntas impugnationis" e, quindi, trasmettere gli atti al giudice competente (Sez. 1, n. 33782 del 7/4/2013, Arena, Rv. 257117; Sez. 3, n. 40381 del 17/5/2019, Dorati, Rv. 276934). Nella pronuncia n. 33782 del 2013 la Corte ha annullato il provvedimento con cui il Tribunale delle misure di prevenzione, non ritenendo esperibile il rimedio della revocazione di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28, aveva dichiarato inammissibile la richiesta, piuttosto che qualificare l'istanza come proposta ai sensi della L. n. 1423 del 1956, art. 7. L'espresso richiamo alla disciplina della revisione contenuto nella D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28 e la condivisibile opzione per l'applicabilità della regola di cui all'art. 568 c.p.p., comma 5, all'impugnazione straordinaria prevista dall'art. 630 c.p.p. e ss. superano anche le ragioni di analogia interpretativa che la Corte territoriale ha ritrovato nella sentenza Sez. U, n. 36848 del 17/7/2014, Burba, Rv. 259990, in tema di rescissione del giudicato, per escludere, invece, la possibilità di trasmettere gli atti al giudice competente; dimenticando, tuttavia, che quello previsto dall'art. 625-ter c.p.p. (oggi abrogato) è un rimedio impugnatorio dotato di caratteri di straordinarietà peculiari, legati all'erronea formazione del giudicato in senso formale, caratteri attualmente riversati nella norma che lo ha sostituito demandandolo alla competenza della Corte d'Appello, attraverso l'introduzione dell'art. 629-bis c.p.p., disposizione che non a caso, anche a livello sistematico, segue quella dell'art. 629, la quale riferisce dei casi di condanne soggette a revisione. Già le Sezioni Unite, peraltro, hanno spiegato, in una sentenza che presenta profili di pregevole ed utile inquadramento sistematico (Sez. U, n. 13199 del 21/7/2016, dep. 2017, Nunziata, Rv. 269790, in tema di applicabilità del ricorso straordinario per errore di fatto alle decisioni in materia di revisione), che l'istituto della revisione si "inserisce nel sistema delle impugnazioni come un mezzo straordinario di difesa del condannato, per porre rimedio agli errori giudiziari, eliminando le condanne che siano riconosciute ingiuste, attraverso un giudizio che segue alla formazione del giudicato, la cui base giustificativa è di ordine prevalentemente pratico, tanto che l'ordinamento, sulla base di scelte di politica legislativa, sacrifica "il valore (...) del giudicato in nome di esigenze che rappresentano l'espressione di valori superiori". Tra i valori fondamentali a cui la legge attribuisce priorità, rispetto alla regola della intangibilità del giudicato, vi è la "necessità dell'eliminazione dell'errore giudiziario, dato che corrisponde alle più profonde radici etiche di qualsiasi società civile il principio del favor innocentiae, da cui deriva a corollario che non vale invocare alcuna esigenza pratica - quali che siano le ragioni di opportunità e di utilità sociale ad essa sottostanti - per impedire la riapertura del processo allorchè sia riscontrata la presenza di specifiche situazioni ritenute dalla legge sintomatiche della probabilità di errore giudiziario" (Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, Pisano). All'istituto della revisione è, quindi, attribuita la funzione di rispondere "all'esigenza, di altissimo valore etico e sociale, di assicurare, senza limiti di tempo ed anche quando la pena sia stata espiata o sia estinta, la tutela dell'innocente, nell'ambito della più generale garanzia, di espresso rilievo costituzionale, accordata ai diritti inviolabili della personalità" (Corte Cost., sent. n. 28 del 1969). E' evidente come sia la giurisprudenza costituzionale sia quella di legittimità facciano derivare la scelta del favor revisionis dalla finalità di garantire i diritti inviolabili della persona, sacrificando il rigore delle forme alle esigenze insopprimibili della "verità e della giustizia reale" (Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, Pisano). Orbene, non può essere un caso che il legislatore abbia voluto richiamare, per attivare il meccanismo in grado di scardinare il giudicato in materia di prevenzione reale, l'istituto della revisione nelle sue forme procedurali. E un'interpretazione orientata nel senso di un ragionevole contemperamento tra il favor per l'impugnazione di una decisione tanto lesiva degli interessi individuali e dei diritti del singolo, quale è quella in tema di confisca, ed i valori che sottendono il giudicato anche in tale ambito non può che collocarsi nel senso di ritenere applicabile all'istituto della revocazione le regole procedurali della revisione, così come interpretate dalla giurisprudenza di legittimità in chiave più favorevole al diritto del proposto di vedere risolta la sua situazione di impugnazione nel più breve tempo possibile, attraverso la trasmissione degli atti al giudice competente a decidere per l'impugnazione stessa, ai sensi dell'art. 568 c.p.p., comma 5. 3.1. Nel caso di specie, tuttavia - pur se in tema di confisca di prevenzione deve ritenersi senza dubbio ammissibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di inammissibilità o rigetto della richiesta di revocazione, in quanto lo stesso ha carattere di definitività e il rinvio operato dal D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 28 alle forme dell'art. 630 c.p.p. e ss., in tema di revisione delle sentenze di condanna, implica l'applicabilità anche dell'art. 640 c.p.p., che prevede la ricorribilità per cassazione del provvedimento definitorio del giudizio di revisione (Sez. 6, n. 31937 del 6/6/2019, Fiorani, Rv. 276472) -, il ricorrente non ha proposto, nel motivo formulato, il profilo di illegittimità della decisione impugnata relativo alla violazione di legge riferita alla decisione di dichiarare l'inammissibilità dell'istanza per essere stata la richiesta di revocazione proposta a giudice incompetente, là dove, invece, avrebbe dovuto essere disposta la trasmissione degli atti al giudice competente. Il Collegio, pertanto, in mancanza del motivo specifico, non può che rigettare il ricorso formulato soltanto nel senso, come detto, infondato, della qualificazione del rimedio richiesto come incidente di esecuzione e dare atto, nei termini sopradetti, della soluzione esatta alla questione del se, in caso di proposizione dell'istanza di revocazione al giudice incompetente quest'ultima debba essere dichiarata inammissibile ovvero debbano essere trasmessi gli atti al giudice competente ex art. 11 c.p.p. ai sensi dell'art. 568 c.p.p., comma 5 e art. 633 c.p.p.. 3.2. Quanto alla questione generale sull'ammissibilità della ricorribilità per cassazione della pronuncia della Corte d'Appello di inammissibilità o rigetto dell'istanza di revocazione avverso la confisca definitiva, non possono che ribadirsi le ragioni dell'affermazione pronunciata dalla richiamata sentenza n. 31937 del 2019, secondo cui, in tema di confisca di prevenzione, è ammissibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di revocazione, in quanto lo stesso ha carattere di definitività e il rinvio operato dal D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 28 alle forme dell'art. 630 c.p.p. e seguenti, in tema di revisione delle sentenze di condanna, implica l'applicabilità anche dell'art. 640 c.p.p., che prevede la ricorribilità per cassazione del provvedimento definitorio del giudizio di revisione. Invero, ad una soluzione negativa potrebbero sembrar condurre principalmente due argomenti: - un'interpretazione letterale del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 27, disposizione che, disciplinando specificamente le impugnazioni nella materia delle misure patrimoniali di prevenzione, non indica affatto il provvedimento che decide su una richiesta di revocazione tra quelli per i quali è previsto il ricorso alla corte di appello o quello in cassazione; - la circostanza che, in relazione all'istituto della revoca della confisca definitiva previsto dal D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28, non si ritrova nel codice antimafia una disposizione analoga a quella contenuta nell'art. 59 del suddetto D.Lgs., che, a proposito della decisione del Tribunale sulla composizione dello stato passivo nella procedura di prevenzione, riconosce espressamente la impugnabilità di quel provvedimento con ricorso per cassazione. Tuttavia, appare senza dubbio preferibile, in linea con la pronuncia richiamata della Sesta Sezione del 2019, la soluzione contraria che afferma invece l'ammissibilità del ricorso per cassazione avverso la pronuncia di inammissibilità o rigetto dell'istanza di revocazione da parte della Corte d'Appello. Tornano in evidenza, a tal fine, le ragioni che già sono state utilizzate a livello sistematico per negare la possibilità di una revocazione solo parziale della confisca definitiva mediante lo strumento dell'incidente di esecuzione (ovvero anche mediante una forzatura dell'interpretazione del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28). Se nel nuovo sistema normativo disegnato dal codice antimafia del 2011, infatti, la decisione con la quale sia stata disposta l'applicazione di una misura di prevenzione personale conserva un carattere di definitività allo stato degli atti, poichè, ai sensi del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 11, ne è sempre possibile la revoca qualora venga meno o muti uno dei suoi presupposti genetici, viceversa il provvedimento con il quale sia stata disposta l'applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca è stato disegnato dal legislatore con un carattere di maggiore stabilità, come si evince dalla disciplina prevista per la sua revocazione, sostanzialmente modellata su quella dell'istituto dell'impugnazione straordinaria della revisione della sentenza di condanna, prevedendo l'art. 28 citato la valorizzazione di prove decisive sopravvenute, di un possibile contrasto tra giudicati, della falsità di atti o di dichiarazioni, ovvero di un fatto che si accerti costituire un reato, al pari di quanto previsto dall'art. 630 c.p.p.. Ragioni sistematiche inducono, poi, a ritenere che il riferimento, contenuto nel comma 1 del predetto art. 28, alla presentazione della richiesta di revocazione "nelle forme previste dall'art. 630 c.p.p., ss." valga a significare che il rinvio alla disciplina codicistica riguardi l'applicabilità di tutte le disposizioni stabilite per l'istituto "gemello" della revisione della condanna nel giudizio penale vero e proprio e, dunque, anche di quella dell'art. 640 che, come noto, prevede la ricorribilità per cassazione del provvedimento definitorio del giudizio di revisione. Ritenere, di contro, che tale riferimento operi esclusivamente per le modalità di proposizione di quell'istanza sarebbe certamente riduttivo e non terrebbe conto del fatto che esplicitamente il legislatore ha modificato, per effetto della riscrittura operata dalla L. n. 161 del 2017, art. 7, comma 1, lett. a), il testo del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28, stabilendo il rinvio più ampio predetto alle forme previste "dall'art. 630 c.p.p. e ss.". Nel senso dell'accentuazione del parallelismo tra la revocazione della confisca definitiva e la revisione della condanna gioca proprio anche la modifica disposta dalla novella citata del 2017, con cui si è prevista che la competenza della Corte d'Appello per la decisione sulla richiesta ex art. 28 citato sia determinata ai sensi dell'art. 11 c.p.p.. Ancora nel solco del ragionamento condotto dalla citata sentenza n. 31937 del 2019, deve infine sottolinearsi che il più volte richiamato D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28 ha previsto uno specifico gravame straordinario con la finalità di differenziarlo dalla revoca dei provvedimenti applicativi delle misure di prevenzione personali, caratterizzati da maggiore instabilità del giudicato, e di assicurare al provvedimento reale ablatorio un connotato di maggiore definitività, irreversibilità e, quindi, stabilità, cui non può che fare da controcanto "in ossequio ad una interpretazione sia costituzionalmente che convenzionalmente orientata della norma in parola", la possibilità di proporre ricorso per cassazione per violazione di legge, al fine di garantire la tutela dei diritti degli interessati coinvolti dagli effetti ablatori aventi carattere di conclusività. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2020. Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2020
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