RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Genova con sentenza del 19 luglio 2024 (motivazione contestuale) ha disposto la consegna di Ta.Zo. all'Autorità giudiziaria ungherese in relazione a tre mandati di arresto europei "processuali" (emessi, rispettivamente, il 20 maggio 2019 per il reato di frode fiscale dall'Agenzia nazionale imposte e dogane e convalidato dalla Procura distrettuale di Szekezfehervar; il 6 dicembre 2012 per il reato di dichiarazioni IVA non corrispondenti al vero per fatti commessi tra il 2015 e il 2017, relativi a fatture per operazioni inesistenti, dalla Procura Generale di Budapest; il 30 marzo 2023 per 131 reati, commessi tra il 2003 e il 2005, di cui 124 truffe, nonché reati di falso, furto, insolvenza fraudolenta, per i quali Ta.Zo. è stato rinviato a giudizio dinanzi al Tribunale di Buda).
2. Avverso tale sentenza il consegnando ha proposto, a mezzo del proprio difensore, ricorso nel quale deduce:
2.1 violazione di legge (art. 2 L.n. 69 del 2005, in relazione all'art. 111 Cost. e agli artt. 5 e 7 Conv.EDU), per l'assenza della possibilità di ricorrere avverso il provvedimento di arresto nazionale emesso dalla Agenzia nazionale delle imposte e dogane ungherese convalidato dal Pubblico ministero. Al riguardo, si evidenzia che la legislazione ungherese non consente tale facoltà e, in assenza di una forma di controllo giurisdizionale del provvedimento emesso da una Autorità amministrativa, risultano lesi i diritti fondamentali del consegnando, come stabilito dall'art. 2 della L.n. 69 del 2005 (in relazione agli artt. 111 della Cost. e 5 e 6 della Conv.EDU);
2.2. violazione di legge (art. 2 L.n. 69 del 2005) per l'assenza di compiuto accertamento in ordine al trattamento carcerario individualizzante al quale sarebbe sottoposto il ricorrente;
2.3. violazione dell'art. 18-bis comma 2 L.n. 69 del 2005, in ordine al mancato riconoscimento dell'effettivo radicamento del ricorrente nel territorio nazionale (e conseguentemente alla mancata apposizione della condizione della riconsegna per l'esecuzione della pena detentiva eventualmente irrogata);
2.4. violazione di legge in relazione all'omessa valutazione del rispetto del criterio di proporzionalità dello strumento di cooperazione richiesto, atteso che le esigenze investigative a fondamento dei, MAE avrebbero potuto essere adeguatamente soddisfatte attraverso l'utilizzo dell'ordine europeo di indagine.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è parzialmente fondato.
2. Infondato è il secondo motivo. La sentenza della Corte di appello motiva in modo non illogico in ordine all'insussistenza delle censure formulate dal ricorrente - e reiterate nel ricorso di legittimità - chiarendo che l'Autorità straniera ha fornito adeguate rassicurazioni in ordine al rispetto dei requisiti individuati in materia dalla Corte EDU (detenzione in istituto nel quale ciascun detenuto gode dello spazio di 4 mq senza tenere conto della superficie occupata dai bagni; tasso complessivo di occupazione delle strutture penitenziarie in misure inferiore alla capienza massima) il che esclude il rischio di trattamenti inumani o degradanti conseguenti a una situazione di sovraffollamento.
A fronte di tale motivazione le doglianze del consegnando appaiono generiche, né risulta rilevante il richiamo alle criticità del sistema penitenziario ungherese risultanti esclusivamente da un report rilasciato da una ONG - VHungarian Helsinki Committee - il 24 febbraio 2024.
3. Fondati sono, invece, gli altri motivi.
3.1. Questa Corte (Sez. 6, n. 20571 del 01/07/2020, Emma, Rv. 279280 - 01) ha già avuto modo di precisare che sebbene sia legittima, nella ricorrenza delle restanti condizioni, l'emissione di un mandato di arresto europeo sulla base di un provvedimento restrittivo della libertà disposto da un'autorità di polizia e successivamente convalidato dal pubblico ministero, costituendo lo stesso una "decisione giudiziaria" ai sensi dell'art. 8, paragrafo 1, lett. c), della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio dell'Unione Europea del 13/06/2002, nondimeno è necessario accertare che tale convalida sia soggetta ad impugnazione giurisdizionale, quale condizione del necessario rispetto dell'art. 5, comma 4, CEDU (fattispecie relativa a un mandato di arresto europeo emesso dall'Ungheria sulla base di un provvedimento cautelare adottato da un funzionario di polizia e sottoposto al controllo del pubblico ministero in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata al fine di accertare l'assoggettabilità).
3.2. In particolare, questa pronuncia, in riferimento a mandato di arresto europeo emesso sulla base di un provvedimento nazionale non appellabile in ragione di alcune disposizioni della legislazione interna, ha rilevato come la legge n. 69 del 2005 art. 2 stabilisce in via generale che l'esecuzione della disciplina sul mandato d'arresto Europeo deve avvenire nel rispetto dei diritti e dei principi stabiliti, in particolare, dall'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e dalla Costituzione della Repubblica, in relazione al diritto di difesa. Sebbene l'art. 2 cit. non richiede che l'ordinamento dello Stato emittente presenti le stesse garanzie attinenti al "giusto processo" contenute nell'ordinamento italiano, è però necessario che esso rispetti i relativi principi garantiti dalle Carte sovranazionali ed in particolare dall'art. 6 della Convenzione Europea per i diritti dell'uomo, al quale si richiama l'art. Ili Cost. (Sez. 6, n. 17631 del 03/05/2007, Melina, Rv. 237078). Viene al riguardo rilevato che la Corte Europea dei diritti dell'uomo ha più volte affermato che il diritto di difesa va garantito in ogni stato del procedimento, chiarendo che, anche se il primario scopo degli artt. 5- 6 C.e.d.u. è "garantire un equo processo davanti ad un giudice competente ad accertare un reato", le garanzie ivi previste devono essere applicabili sin dalla fase delle indagini preliminari (Corte e.d.u., Imbrioscia c. Svizzera, 24/11/1993, p. 36), così da evitare che la equità del futuro processo possa essere seriamente compromessa da una iniziale violazione di quelle previsioni (Sez. 6, n. 4528 del 27/01/2018, Baldi, Rv. 251959). In particolare, l'art. 5, comma 4, C.e.d.u. prevede che ogni persona privata della libertà con un arresto o una detenzione, ha il diritto di presentare un ricorso davanti ad un Tribunale, affinché questi decida in breve tempo della sua detenzione ed ordini la sua liberazione se la sua detenzione è illegittima. La Corte di giustizia ha chiarito che il sistema del mandato d'arresto europeo comporta una protezione su due livelli dei diritti in materia procedurale e dei diritti fondamentali di cui deve beneficiare la persona ricercata, in quanto, alla protezione giudiziaria prevista al primo livello, in sede di adozione di una decisione nazionale, come un mandato d'arresto nazionale, si aggiunge quella che deve essere garantita al secondo livello, in sede di emissione del mandato d'arresto europeo, la quale può eventualmente intervenire in tempi brevi, dopo l'adozione della suddetta decisione giudiziaria nazionale (Corte di Giustizia UE, Seconda Sezione, 9/10/2019, N.J., C. - 489/19). Si è aggiunto che, poiché l'emissione di un mandato d'arresto europeo è idonea a ledere il diritto alla libertà dell'interessato, sancito all'articolo 6 della Carta, la suddetta protezione implica che venga adottata, quanto meno a uno dei due livelli di detta protezione, una decisione conforme ai requisiti inerenti a una tutela giurisdizionale effettiva. In tal senso: a) si spiega il principio secondo cui, proprio il rispetto di tali requisiti consente di garantire all'autorità giudiziaria dell'esecuzione che la decisione di emettere un mandato d'arresto europeo ai fini dell'esercizio di un'azione penale si basì su un procedimento nazionale soggetto a controllo giurisdizionale, e che la persona ricercata abbia beneficiato delle garanzie risultanti dai diritti fondamentali e dai fondamentali principi giuridici menzionati all'articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584 (Corte di Giustizia UE, sentenza del 27 maggio 2019, OG e PI - Procure di Lubecca e di Zwickau), C-508/18 e C-82/19 PPU, EU:C:2019:456, punto 70); b) si giustifica l'esigenza che il controllo effettuato al momento dell'adozione di un mandato d'arresto includa l'esame del rispetto delle condizioni necessarie all'emissione di tale mandato d'arresto nonché della proporzionalità di quest'ultima, tenuto conto delle peculiarità di ciascun caso di specie; c) si impone la necessità che tale controllo sia esercitato in maniera obiettiva, tenendo conto di tutti gli elementi a carico e a discarico, nonché in modo indipendente, il che presuppone che vi siano regole statutarie e organizzative idonee ad escludere qualsiasi rischio che l'adozione di una decisione di emettere un siffatto mandato d'arresto sia sottoposta a istruzioni esterne, segnatamente da parte del potere esecutivo (cfr, in tal senso, sentenza del 27 maggio 2019, OG e PI - Procure di Lubecca e di Zwickau - C-508/18 e C-82/19 PPU, EU:C:2019:456, punti 73 e 74). Pertanto, conclude la pronuncia suindicata, "a fronte della esigenza di tutela di diritti fondamentali - gli stessi che impongono di assicurare la possibilità di ricorrere avverso provvedimenti restrittivi della libertà personale - è necessario procedere ad accertamenti del quadro normativo dello Stato di emissione in ordine al senso ed alla portata della inappellabilità del provvedimento nazionale posto a fondamento del mandato di arresto europeo".
3.3. La sentenza impugnata (pag. 5) ha dato conto che, sulla base di quanto comunicato dalla Autorità richiedente, "il Tribunale ha controllato il mandato di arresto nazionale disposto dall'autorità investigativa e approvato dalla procura", senza alcuna specificazione circa le modalità procedimentali e l'ambito del detto controllo, si dà rendere carente la motivazione sul punto. Si precisa altresì che "le informazioni trasmesse il 18/07/2024 dalla AG ungherese confermano che il sistema giudiziario del Paese richiedente prevede la costante verifica, anche ad istanza di parte, della sussistenza e della permanenza dei requisiti legittimanti l'emissione del mandato d'arresto nazionale, posto a base dei mandati d'arresto europei, il che supera il rilievo della difesa circa la mancata previsione nell'ambito dell'ordinamento giudiziario ungherese di un sistema di impugnazione modellato su quello previsto dall'ordinamento italiano dagli artt. 309 e segg. c.p.p.". Rileva il Collegio che tale profilo - relativo alla verifica circa la perdurante adeguatezza della misura cautelare coercitiva e in ordine al quale non viene neppure chiarito se si tratta di verifica di merito e/o di legittimità - non risulta coincidente con il necessario controllo giurisdizionale sul provvedimento "genetico", in merito alla cui sussistenza la Corte territoriale non si è pronunciata.
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio sul punto.
4. Fondato è anche il terzo motivo di ricorso, relativo al mancato riconoscimento della situazione di radicamento del consegnando nel territorio nazionale.
4.1. La Corte territoriale ha dato atto che la Difesa ha prodotto documentazione (carta di identità, certificato di residenza, certificato relativo allo stato di famiglia) dimostrativa della presenza del Ta.Zo. sul territorio nazionale, ove risiede stabilmente la moglie, dal 2016, ma non ha ritenuto idonea la ulteriore documentazione - giudicata del tutto generica - riguardante l'attività gestita, attraverso varie società dalla moglie del consegnando, non comprovante che il predetto vi sia stabilmente inserito con un proprio ruolo, non essendo state allegate buste paga o documentazione comprovante il versamento di contributi previdenziali. Inoltre, viene evidenziato che "difetta qualunque elemento connesso a legami linguistici e culturali nel nostro territorio atteso che lo stesso, che ha dichiarato di vivere stabilmente in Italia dal 2016, esercitando anche un'attività lavorativa, ha chiesto sin dalle prime fasi della presente procedura la presenza di un interprete di lingua ungherese... dimostrando quindi la totale assenza di qualunque legame linguistico/culturale con nostro Paese per cui deve ritenersi che nonostante siano stati prodotti documenti attestanti la formale residenza, non sussista alcuno stabile radicamento nel territorio...".
4.2. Tale motivazione risulta mancante nella tematizzazione dei profili essenziali in tema di radicamento. Infatti, la sentenza impugnata non contesta che il ricorrente risieda stabilmente in Italia da un periodo di tempo superiore ai cinque anni indicati dall'art. 18-bis della L.n. 69 del 2005, ma ha escluso un suo "stabile radicamento" sol perché non vi sarebbe prova che egli abbia lavorato in modo regolare per le società della moglie o che conosca adeguatamente la lingua italiana. Si tratta di profili incongrui, tenuto conto della previsione del comma 2 bis dell'art, cit., in base al quale "al fine di valutare la sussistenza della legittima ed effettiva residenza o dimora sul territorio italiano della persona richiesta in consegna, la corte di appello accerta se l'esecuzione della pena o della misura di sicurezza sul territorio sia in concreto idonea ad accrescerne le opportunità di reinserimento sociale, tenendo conto della durata, della natura e delle modalità della residenza o della dimora, del tempo intercorso tra la commissione del reato in base al quale il mandato d'arresto europeo è stato emesso e l'inizio del periodo di residenza o di dimora, della commissione di reati e del regolare adempimento degli obblighi contributivi e fiscali durante tale periodo, del rispetto delle norme nazionali in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri, dei legami familiari, linguistici, culturali, sociali, economici o di altra natura che la persona intrattiene sul territorio italiano e di ogni altro elemento rilevante". Per altro verso, il comma 2-bis cit. stabilisce espressamente che la sentenza che decide in ordine alla predetta situazione di radicamento "è nulla se non contiene la specifica indicazione degli elementi di cui al primo periodo e dei relativi criteri di valutazione".
Anche sotto tale profilo si impone, dunque, una nuova valutazione della Corte territoriale che, alla luce degli indici normativi sopra indicati, accerterà l'eventuale stabile radicamento del consegnando nel territorio nazionale, dove risulta regolarmente presente la di lui moglie.
5. Fondato, è infine, il quarto motivo di ricorso, con il quale si contesta l'omessa valutazione del rispetto del criterio di proporzionalità dello strumento di cooperazione richiesto, deducendo il consegnando che le esigenze investigative a fondamento dei MAE avrebbero potuto essere adeguatamente soddisfatte attraverso l'utilizzo dell'ordine europeo di indagine.
La sentenza impugnata (pag. 6) ha respinto la doglianza rilevando che "quanto poi alla dedotta sproporzione del MAE alla luce del possibile impiego di altri strumenti quali l'ordine europeo di indagine, è evidente che non è possibile sindacare la scelta processuale dello Stato richiedente la consegna che nella specie ha scelto di avvalersi del MAE per l'assunzione delle prove in relazione ai reati contestati".
5.1. Tale motivazione non ha fatto buon governo del principio recentemente affermato da questa Corte (Sez. 6, n. 7861 del 21/02/2023, Arciszewski, Rv. 284251 - 01) secondo cui "non può essere data esecuzione ad un mandato di arresto europeo emesso per esclusive finalità investigative, disancorate dall'esercizio dell'azione penale, dovendosi garantire un uso proporzionale dell'euromandato ed essendo possibile il ricorso, ai detti fini, a strumenti di cooperazione non coercitivi nell'ambito dello spazio giuridico comune, alla stregua della Direttiva 2014/41/UE sull'Ordine europeo d'indagine. (Fattispecie relativa a mandato emesso dall'Autorità giudiziaria polacca, del tutto carente della indicazione degli atti istruttori da compiere)".
Valutazione - circa l'effettiva proporzionalità del MAE "processuale" rispetto ad altri strumenti di indagine previsti in ambito eurounitario e meno incidenti sulla libertà personale dell'interessato quali l'OEI - del tutto assente nella sentenza impugnata, il che ridonda in una "violazione di legge", e che dovrà essere concretamente effettuata dalla Corte di appello in sede di giudizio di rinvio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Genova.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, legge n. 69/2005.
Così deciso il 13 agosto 2024.4
Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2024.