top of page
Reati tributari

Omesso versamento di IVA: sulla crisi di liquidità dell'impresa e forza maggiore idonea ad escludere la colpevolezza

Omesso versamento IVA

Corte appello Ancona, 05/10/2020, n.972

La forza maggiore sussiste esclusivamente in quei casi in cui la realizzazione dell'evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta all'assoluta ed incolpevole impossibilità dell'agente di uniformarsi al comando, giammai quando egli si trovi già in condizioni di illegittimità.
Postulando la forza maggiore la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell'agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell'evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un'azione od omissione cosciente e volontaria dell'agente, la Suprema Corte ha costantemente escluso che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante

Omesso versamento IVA: la particolare tenuità del fatto e l'ammontare non pagato

Omesso versamento IVA: definizione di profitto del reato

Omesso versamento IVA: assoluzione

Omesso versamento IVA: sulla responsabilità del liquidatore subentrato

Omesso versamento IVA: il debito deve risultare da dichiarazione del contribuente

Omesso versamento IVA: l'omessa azione di recupero crediti esclude l'esimente della forza maggiore

Omesso versamento IVA: ammissione al concordato preventivo e responsabilità penale

Omesso versamento IVA: l'oggettiva impossibilità di adempiere rileva solo se dovuta a causa di forza maggiore

Omesso versamento IVA: integra causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità di scelta e non la semplice difficoltà

Omesso versamento IVA: il curatore fallimentare non può proporre opposizione al sequestro neppure agendo in rappresentanza dei creditori

Omesso versamento IVA: il liquidatore subentrato risponde per gli omessi versamenti

Omesso versamento IVA: il dolo è integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità

La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Avverso la suindicata sentenza proponeva ricorso per cassazione, convertito in appello, il Procuratore Generale, limitatamente alla omessa applicazione della confisca, sulla base del seguente motivo: 1) inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nella applicazione della legge penale, segnatamente degli arti. 10 ter D.L.vo n. 74/2000, comma 143 L. n. 244/2007 e 322 ter c.p., art 12 bis DL.vo n. 74/2000 avendo il Tribunale omesso di applicare nonostante la condanna la prescritta confisca, eventualmente anche per equivalente, dei beni costituenti corpi di reato. Il Procuratore Generale chiedeva che, in parziale riforma della impugnata sentenza, fosse disposta la confisca, eventualmente anche nella forma per equivalente, dei beni costituenti il profitto del reato. Avverso la sentenza proponeva appello il difensore dell'imputato sulla base dei seguenti motivi: 1) mancata assoluzione nonostante la crisi di liquidità della ditta che aveva privilegiato il pagamento dei dipendenti, non essendo ipotizzabile accantonare somme da impiegare per il pagamento dell'IVA; 2) insussistenza dell'elemento soggettivo. La difesa appellante chiedeva, in riforma della impugnata sentenza l'assoluzione dell'imputato. Con memoria contenente motivi aggiunti ex art. 585 comma 4 c.p.p. la difesa ripercorreva la genesi della crisi economica della ditta nonché le problematiche insorte con la committente BRT e con i sindacati allegando documentazione dì cui chiedeva la acquisizione ex art. 603 c.p.p., insistendo per l'assoluzione. All'odierna udienza di discussione, le parti rassegnavano le conclusioni come in epigrafe trascritte, e la Corte decideva come da dispositivo di cui dava lettura. Alla luce della completa istruttoria effettuata in primo grado e stante, soprattutto, l'irrilevanza della documentazione dì cui si chiede l'acquisizione non può trovare accoglimento l'istanza ex art. 603 c.p.p. avanzata dalla difesa dell'imputato con la memoria contenente i motivi aggiunti. La sentenza deve essere parzialmente riformata, in parziale accoglimento dell'appello proposto dal Procuratore Generale, esclusivamente in ordine alla confisca, meritando la stessa, nel resto, integrale conferma per essere infondato l'appello proposto dall'imputato. Il primo ed il secondo motivo dell'appello dell'imputato, ulteriormente illustrati con la memorai ex art 584 comma 4 c.p.p., sono entrambi infondati. In ordine al delitto di cui all' art. 10 ter Divo n. 74/2000 contestato all' imputato per aver questi, nella sua qualità di liquidatore della ditta "(...)" di Ancona , omesso di versare nei termini previsti in relazione al periodo di imposta 2015 l'IVA dovuta pari ad Euro 382.988,00, la pronuncia di colpevolezza espressa dal Tribunale, dettagliata, precisa e puntuale nella ricostruzione della vicenda e nell'analisi di tutti i dati emersi dall5istruttoria dibattimentale, è fondata su coerenti, organici ed esaurienti elementi di fatto, oltre che su corrette argomentazioni e valutazioni logico-giuridiche. L'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata non mostra lacune o illogicità di sorta. Il giudice di primo grado ha bene evidenziato le circostanze e i plurimi ed univoci elementi atti ad evidenziare la sussistenza del delitto di cui all' art. 10 ter D.L.vo n. 74/2000. Le questioni poste dal difensore dell'appellante risultano, invero, già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice. La Corte condivide e fa propria tale motivazione che, con argomentazioni convincenti e giuridicamente corrette, dà ampio conto delle ragioni poste a fondamento della decisione, anche in relazione alle deduzioni difensive. Ciò posto, in aggiunta a quanto già evidenziato dal primo giudice, si svolgono le seguenti ulteriori argomentazioni con riguardo agli aspetti fatti oggetto di appello. Il primo e secondo motivo di appello, da trattarsi unitariamente stante la omogeneità delle argomentazioni difensive addotte, è parimenti infondato, non sussistendo causa di forza maggiore ed essendo certamente integrato, nel caso di specie, l'elemento soggettivo del contestato delitto. Secondo l'insegnamento della Suprema Corte, espresso nella pronuncia a Sezioni Unite n. 37424 del 28/03/2103, insegnamento a cui questa Corte territoriale aderisce, il reato di cui all'art. 10 ter Dl.vo n. 74 /2000 è punibile a titolo di dolo generico che consiste nella coscienza e volontà di non versare all'Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato, non essendo richiesto che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte; la prova del dolo è insita, in genere, nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, entro il termine lungo previsto; il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è normalmente collegato al compimento delle operazioni imponibili dato che ogniqualvolta il soggetto d'imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall'acquirente del bene o del servizio) l'IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l'Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all'obbligazione tributaria; l'introduzione della norma penale, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala annuale, non potendo, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta. La Corte di Cassazione, sviluppando e riprendendo il tema della "crisi di liquidità" d'impresa quale fattore in grado di escludere la colpevolezza, tema accennato nella citata sentenza delle Sezioni Unite, ha ulteriormente precisato che è necessario che siano assolti, sul punto, precisi oneri di allegazione che devono investire non solo l'aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l'azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto. Occorre, cioè, provare che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un'improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014; Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, Tonti Sauro; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055). Tanto premesso in punto di diritto, osserva questa Corte che, nel caso di specie, sia le produzioni documentali effettuate dalla difesa che le prove testimoniali da questa introdotte, sono del tutto generiche e non riescono a supportare la tesi della inesigibilità della condotta o comunque di sussistenza della causa di forza maggiore che, secondo l'appellante, il Tribunale non avrebbe adeguatamente valutato. Va preliminarmente ricordato, per operare una corretta impostazione dogmatica del problema, che, per la sussistenza del reato di cui all'art. 10 ter Divo n. 74/2000, non è richiesto il fine di evasione né la adesione dell'agente alla volontà di violare il precetto, essendo il dolo integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità, non richiedendo la norma, quale ulteriore requisito, un atteggiamento antidoveroso di volontario contrasto con il precetto violato. Gli argomenti utilizzati dall'appellante a sostegno della pretesa applicabilità, al caso concreto, della "forza maggiore", tendono ad ricondurre nell' alveo del dolo generico caratteri che gli sono estranei e che vanno, invece, collocati nell'ambito dei motivi a delinquere o degli indici che ne misurano l'intensità, in applicazione dei parametri di cui all'art. 133 c.p.. La scelta di non pagare l'imposta dovuta (anche se, come dedotto dalla difesa, per pagare gli stipendi ai dipendenti) prova il dolo, non essendo lo stesso escluso dai motivi della operata scelta. Neppure sussiste, nella specie, la forza maggiore, che escluderebbe la "suitas" della condotta, essendo questa solo ed esclusivamente quella "vis cui resisti non potest" a causa della quale l'agente "non agit sed agitur", rilevando la forza maggiore solo laddove questa sia causa esclusiva dell'evento e non già mera causa concorrente di esso. La forza maggiore sussiste esclusivamente in quei casi in cui la realizzazione dell'evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta all'assoluta ed incolpevole impossibilità dell'agente di uniformarsi al comando, giammai quando egli si trovi già in condizioni di illegittimità. Postulando la forza maggiore la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell'agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell'evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un'azione od omissione cosciente e volontaria dell'agente, la Suprema Corte ha costantemente escluso che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante (cfr. Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007; Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013; Sez. 3, n. 24410 del 05/04/2011). Deve, in applicazione dei principi di diritto sopra ricordati, affermarsi, quindi, che il margine di scelta esclude sempre la forza maggiore perché non esclude la "suitas" della condotta; che la mancanza di provvista necessaria all'adempimento dell'obbligazione tributaria penalmente rilevante non può pertanto essere addotta a sostegno della forza maggiore quando sia comunque il frutto di una scelta o di una politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità; che non si può invocare la forza maggiore quando l'inadempimento penalmente sanzionato sia stato concausato dai mancati accantonamenti e, dunque, da una situazione di illegittimità; che l'inadempimento tributario penalmente rilevante può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all'imprenditore che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico. Alla luce delle considerazioni che precedono, totalmente destituita di fondamento appare la tesi difensiva sostenuta nell'atto di appello e nella memoria ex art 585 comma 4 c.p.p.. L'appellante rivendica di aver optato per il mancato versamento dell'imposta in base ad una scelta imprenditoriale, ammettendo, così, la "suitas" della condotta. La consapevolezza dello stato di dissesto dell'impresa comporta l'accettazione delle relative conseguenze quando, come nel caso in esame, esse siano responsabilmente valutate dal To. che dimostra di poterne avere il dominio finalistico. La difesa si è limitata ad affermare di aver destinato la liquidità al pagamento dei dipendenti, ma non ha mai dedotto che l'imputato si sia attivato, pur avendo a disposizione il lungo periodo che lo separava dalla scadenza del termine per il versamento annuale, per cercare di onorare l'impegno alla scadenza; aldilà di generiche indicazioni sulla crisi finanziaria dell'impresa e della spiegazione delle relative cause, non risultano allegazioni circa richieste di finanziamenti, avvio di ingiunzioni giudiziarie nei confronti dei clienti insolventi o altre iniziative per cercare di tamponare la mancanza di liquidità (cfr., in termini, Sez. 3, n. 15176 del 03/04/2014, Iaquinangelo, n.m.; Sez. 3, n. 5467 del 04/02/2014, Mercutello). La pura e semplice indicazione della situazione di crisi di liquidità della dell'impresa non costituisce prova rigorosa della assoluta impossibilità di adempiere derivante da causa ad esso To. non imputabile, con piena integrazione dell'elemento psicologico del delitto di cui all' art. 10 ter Dl.vo n. 74/2000. L'appello proposto dal Procuratore Generale, invece, relativo alla doverosità della confisca per un importo pari all'IVA evasa è fondato e la sentenza deve essere pertanto, sullo specifico punto, riformata. Deve, infatti, trovare applicazione, nel caso di specie, l'ormai consolidato principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione secondo cui, in tema di confisca per equivalente, poiché il giudice è tenuto ad indicare esclusivamente l'importo complessivo del prezzo o del profitto del reato e non anche i beni da apprendere, l'ablazione può avere ad oggetto, fino alla concorrenza dell'importo determinato, non solo i beni già individuati nella disponibilità dell'imputato, ma anche quelli che in detta disponibilità entrano dopo il provvedimento di confisca (cfr. "ex multis " Cassazione penale, sez. VI, 23/07/2015, n. 33765; Cass. Pen., sez. Ili, del 28/03/2013, n. 31742; Cass. Pen., sez. II, del 29/05/2013, n. 35813; Cass. Pen., sez. III del 06/03/2014, n. 18309; Cass. Pen., sez. III del 06/03/2014, n. 20776; Cass. Pen., sez. III, del 07/05/2014, n. 37848; Cass. Pen., sez. V, del 02/12/2014, n. 9738). In applicazione di tale principio di diritto va, pertanto, disposta, stante la penale personale responsabilità per il delitti di cui all'art. 10 ter D.L.vo n. 74/2000 la confisca, anche per equivalente, per l'importo di Euro 382.988,00. Il rigetto dell'impugnazione proposta dall'imputato comporta, ex art. 592 c.p.p., la condanna dello stesso al pagamento delle ulteriori spese processuali. Il gravoso carico di lavoro impone la indicazione del termine di cui all' art. 544 comma 3 c.p.p. per il deposito della motivazione. Segue la pronuncia di cui al dispositivo. P.Q.M. Visto l'art. 605 c.p.p., in parziale riforma della sentenza in data 20.4.2018 del Tribunale di Ancona, appellata dal Procuratore Generale e dall'imputato To. Fa. dispone la confisca, anche per equivalente, della somma di Euro 382.988,00, conferma nel resto l'impugnata sentenza. Motivazione in giorni 90. Così deciso in Ancona il 6 luglio 2020. Depositata in Cancelleria il 5 ottobre 2020.
bottom of page