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Reati tributari

Omesso versamento IVA: la crisi di liquidità del contribuente non può essere invocata quale causa di forza maggiore quando rappresenti una concausa dell omesso versamento del tributo unitamente al comportamento illegittimo del contribuente

Omesso versamento IVA

Cassazione penale sez. III, 08/02/2022, n.19630

Il delitto di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto presenta natura di delitto omissivo proprio unisussistente, punito a titolo di dolo generico, desumibile dalla consapevolezza della sussistenza dell'obbligo tributario violato dal contribuente. La crisi di liquidità del contribuente, che rientra nel c.d. "rischio di impresa", non può essere invocata quale causa di forza maggiore quando rappresenti una concausa dell'omesso versamento del tributo unitamente al comportamento illegittimo del contribuente, che non abbia accantonato le somme necessarie.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1.II sig. M.I. ricorre per l'annullamento della sentenza del 09/03/2021 della Corte di appello di Brescia che, rigettando il suo appello, ha confermato la condanna alla pena di sei mesi di reclusione irrogata con sentenza del 24/06/2020 del Tribunale di Mantova, pronunciata a seguito di giudizio abbreviato per il reato di cui agli artt. 81 c.p., cpv., D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter (omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto dichiarata per gli anni 2013 e 2015). 1.1.Con il primo motivo deduce la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), sotto il profilo della omessa motivazione sulle questioni dedotte in sede di impugnazione della sentenza di primo grado cui la Corte territoriale ha fatto acriticamente riferimento. In particolare, il giudice dell'impugnazione non ha proceduto alla completa e totale ricostruzione delle risultanze processuali al fine di valutare l'eventuale difformità del contenuto rispetto alle conclusioni raggiunte dal giudice di primo grado, essendosi limitato ad enucleare dalle risultanze processuali descritte dal tribunale esclusivamente quelle che apparivano funzionali alla saldatura della sentenza d'appello. 1.2.Con il secondo motivo deduce la violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), con riferimento all'applicazione degli artt. 192 e 234 c.p.p., in tema di valutazione delle prove documentali. Deduce, al riguardo, che l'affermazione secondo la quale l'imputato non avrebbe dimostrato di aver fatto ricorso a tutte le possibili azioni per recuperare le somme necessarie ad assolvere il debito erariale costituisce il frutto del travisamento dei verbali del consiglio di amministrazione indicati dalla Corte stessa dal cui esame si sarebbe compresa l'impossibilità di dimostrare l'indimostrabile: trattandosi di una cooperativa di lavoratori, l'unica strada percorribile astrattamente era quella di aumentare le tariffe, nell'impossibilità di ridurre ulteriormente i costi. L'affermazione per la quale la scelta di destinare l'IVA incassata ai soci lavoratori nella piena consapevolezza, o comunque accettando il rischio, che non vi sarebbero state le possibilità di onorare all'ultima scadenza il versamento dell'imposta allo Stato, costituisce frutto di un pregiudizio e comunque del travisamento dei verbali i quali dimostrano l'esatto contrario e cioè la consapevolezza e la volontà di onorare le scadenze verso l'Erario e di rientrare dall'esposizione accumulata. Il travisamento si perpetua anche nella mancata disamina, nei termini dovuti, dell'ulteriore prova costituita dalle dichiarazioni del testimone Z. che in primo grado aveva ben spiegato il contenuto dei verbali assembleari che devono conto dello stato di decozione della cooperativa, provocati dalla crisi dell'unico committente dell'impresa. Mediante il travisamento della prova sono state introdotte nella motivazione informazioni assolutamente rilevanti che non trovano riscontro nei dati processuali stravolgendo così le conclusioni della sentenza impugnata ed il percorso logico che le precede. 1.3.Con il terzo motivo deduce la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all'art. 192 c.p.p., che richiede l'esposizione dei criteri utilizzati nella valutazione degli elementi di prova. Tali criteri devono essere messi in correlazione con lo standard probatorio dell'oltre ogni ragionevole dubbio. Di tutto ciò, afferma, non v'e' traccia nella sentenza impugnata. 1.4.Con il quarto motivo deduce la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all'applicazione dell'art. 45 c.p., posto che l'esclusione della causa di forza maggiore è frutto di una sottovalutazione della reale situazione non della Cooperativa, ma del tessuto sociale del mantovano in quel periodo e delle tensioni determinate dallo stato di crisi, come peraltro risulta dalle dichiarazioni dello Z.. 1.5.Con il quinto motivo deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., in relazione all'applicazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, sotto il profilo che l'IVA non può essere considerata un tributo cd "armonizzato" che non tollera scelte imprenditoriali che ne mettono a rischio la riscossione. Si domanda il ricorrente se della livelli occupazionali e dell'ordine pubblico non costituiscono diritti maggiormente meritevoli di tutela tali da prevalere sull'interesse erariale, quand'anche applicativo di norme comunitarie. L'imposta sul valore aggiunto non rientra nella sfera di competenza dell'Unione Europea posto che non è quest'ultima a imporre l'esazione del tributo ai singoli Stati membri che mantengono la loro sovranità impositiva e trasferiscono una parte delle risorse che riscuotono dei propri cittadini all'unione Europea per permetterne il funzionamento come del resto riconosciuto dallo stesso parlamento Europeo (TFUE, art. 311). Sulla scorta di una corretta interpretazione dei principi contabili comunitari, principio per cui l'imprenditore non è consentito disporre altrimenti delle somme destinate all'adempimento dell'obbligo fiscale dell'Iva in quanto somme destinate ad un Europea, è errato. Diritto CONSIDERATO IN DIRITTO 2.11 ricorso è inammissibile perché generico, manifestante infondato e proposto al di fuori dei casi consentite dalla legge nella fase di legittimità. 3.Si imputa al ricorrente, quale legale rappresentante della contribuente, di aver omesso il versamento dell'IVA dovuta dalla società cooperativa "(OMISSIS)" in base alle dichiarazioni annuali presentate per gli anni 2013 e 2015 per un importo, rispettivamente, di Euro 376.957,00 e di Euro 1.105.887,00. 3.1.Trattandosi del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, è giocoforza necessario prendere le mosse dagli approdi ermeneutici di Sez. U., n. 37424 del 28/03/2103, Romano, Rv. 255757 (del tutto negletta dal ricorrente) secondo cui: - il reato di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter) si consuma con il mancato pagamento dell'imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale entro la scadenza del termine per il pagamento dell'acconto relativo al periodo di imposta dell'anno successivo; il reato è punibile a titolo di dolo generico e consiste nella coscienza e volontà di non versare all'Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato, non essendo richiesto che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte; la prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, entro il termine lungo previsto; il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è normalmente collegato al compimento delle operazioni imponibili. Ogni qualvolta il soggetto d'imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall'acquirente del bene o del servizio) l'IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l'Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all'obbligazione tributaria. L'introduzione della norma penale, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala annuale. Non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta. 3.2.Sviluppando e riprendendo il tema della "crisi di liquidità" d'impresa quale fattore in grado di escludere la colpevolezza, tema solo accennato nella sentenza delle Sezioni Unite, questa Corte ha ulteriormente precisato che è necessario che siano comunque assolti, sul punto, precisi oneri di allegazione che devono investire non solo l'aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l'azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto. Occorre cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un'improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (Sez. 3, n. 5905 del 9/10/2013, dep. 2014; Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, Tonti Sauro; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055; Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014, Zanchi, Rv. 259190). 3.3.Sul punto occorre però sgombrare il campo da un equivoco di fondo che rischia di alterare la corretta impostazione dogmatica della questione devoluta: per la sussistenza del reato in questione non è richiesto il fine di evasione (come già affermato da Sez. U, Romano, cit.), tantomeno l'intima adesione del soggetto alla volontà di violare il precetto. 3.4. Quando il legislatore ha inteso attribuire all'elemento soggettivo del reato il compito di concorrere a tipizzare la condotta e/o quello di individuare il bene/valore/interesse con essa leso o messo in pericolo, lo ha fatto in modo espresso, escludendo, per esempio, dall'area della penale rilevanza le condotte solo eventualmente (e dunque non intenzionalmente) volte a cagionare l'evento (art. 323, c.p., artt. 2621,2622,2634, c.c., D.Lgs. n.39 del 27 gennaio 2010, art. 27, comma 1), oppure incriminando quelle ispirate da un'intenzione che si colloca oltre la condotta tipizzata (i reati a dolo specifico), o ancora attribuendo rilevanza allo scopo immediatamente soddisfatto con la condotta incriminata (per es., art. 424 c.p.), assegnando al momento finalistico della condotta stessa il compito di individuare o selezionare il bene offeso (artt. 393 e 629 c.p., 416, 270, 270-bis, 305, c.p., 289-bis, 630, 605, c.p.). 3.5.11 dolo del reato in questione è integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della esistenza dell'obbligazione tributaria e del termine per adempiere, non richiedendo la fattispecie, quale ulteriore requisito, un atteggiamento antidoveroso di volontario contrasto con il precetto violato. 3.6. Il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, è unisussistente, di natura omissiva e istantanea. Ne consegue che, ai fini della sua perfezione, sono necessarie e sufficienti la coscienza e la volontà dell'azione che devono sussistere nel momento esatto in cui matura il tempo (lungo) dell'adempimento dell'obbligazione tributaria, non un attimo prima, non un attimo dopo (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, Schirosi, Rv. 263126). 3.7. Nel caso di specie, la consapevolezza di ledere o comunque pregiudicare gli interessi dell'Erario non è nemmeno posta in discussione. In ogni caso, si tratta di aspetto ben diverso, come detto, dalla specifica intenzione di evadere l'imposta (o comunque di non pagare l'imposta incassata), requisito esplicitamente richiesto ai fini della integrazione dei reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2,3,4,8,10 e 11. Sicché, pretendere che la volontà dell'azione cosciente consista nell'intenzione di violare il precetto equivale ad attribuire al dolo generico una funzione selettiva della condotta (appunto, specifica) non necessaria e non richiesta ai fini dell'integrazione del reato, per la cui consumazione, come detto, è necessario e sufficiente che il debitore di imposta ometta volontariamente il versamento dell'imposta dovuta nella consapevolezza della sussistenza dell'obbligo e della inutile scadenza del termine previsto per il pagamento; la coscienza e la volontà dell'omissione devono sussistere, come detto, al momento della scadenza del termine per l'adempimento. 3.8.Tali argomentazioni si saldano con quelli che riguardano la "ratio" della tutela penale dell'interesse tributario. 3.9.L'incriminazione, ad opera del D.L. 4 luglio 2006, art. 35, comma 7, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 248 del 4 agosto 2006, della condotta di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto dichiarata dal contribuente costituì una novità assoluta, introdotta dal legislatore per impedire l'ingente evasione della relativa imposta, non adeguatamente né tempestivamente contrastata dai normali rimedi esecutivi né dalla criminalizzazione delle condotte prodromiche all'evasione (sulla legittimità del cumulo dei procedimenti e delle sanzioni, amministrative e penali, quando i primi non sono in grado, da soli, di tutelare gli interessi finanziari dell'Unione Europea, la giurisprudenza della CGUE è unanime; cfr., da ultimo, ancorché in tema di frodi gravi, CGUE, Sezione Grande, n. C-42/17, secondo cui è compito degli Stati membri garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie dell'Unione - v., in tal senso, sentenza del 7 aprile 2016, Degano Trasporti, C-546/14, EU:C:2016:206, punto 21. A questo proposito, gli Stati membri sono tenuti a procedere al recupero delle somme corrispondenti alle risorse proprie che sono state sottratte al bilancio dell'Unione in conseguenza di frodi. Al fine di assicurare la riscossione integrale delle entrate provenienti dall'IVA e tutelare in tal modo gli interessi finanziari dell'Unione, gli Stati membri dispongono di una libertà di scelta delle sanzioni applicabili, che possono assumere la forma di sanzioni amministrative, di sanzioni penali o di una combinazione delle due - v., in tal senso, sentenze del 26 febbraio 2013, A'kerberg Fransson, C-617/10, EU:C:2013:105, punto 34, nonché Taricco, punto 39. A tale riguardo, occorre tuttavia rilevare, in primo luogo, che possono essere indispensabili sanzioni penali per combattere in modo effettivo e dissuasivo determinate ipotesi di gravi frodi in materia di IVA - v., in tal senso, sentenza Taricco, punto 39. Gli Stati membri, pena la violazione degli obblighi loro imposti dall'art. 325, paragrafo 1, TFUE, devono quindi assicurarsi che, nei casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell'Unione in materia di IVA, siano adottate sanzioni penali dotate di carattere effettivo e dissuasivo - v., in tal senso, sentenza Taricco, punti 42 e 43. Deve pertanto ritenersi che gli Stati membri violino gli obblighi loro imposti dall'art. 325, paragrafo 1, TFUE qualora le sanzioni penali adottate per reprimere le frodi gravi in materia di IVA non consentano di garantire efficacemente la riscossione integrale di detta imposta). 3.10.La focalizzazione della condotta sul momento omissivo e la natura generica del dolo, richiesta dalla fattispecie penale di nuova fattura, costituivano (e costituiscono) affidabili indici rivelatori della volontà di punire l'inadempimento dell'obbligo tributario nella mera consapevolezza della sussistenza di tale obbligo, a prescindere dagli scopi perseguiti dal contribuente. Il progressivo aumento della cd. soglia di punibilità ha ridotto, nel tempo, l'ambito applicativo del precetto penalmente sanzionato, ma non la sua natura e la sua struttura. Si può anzi affermare che il legislatore più recente, conscio della generale crisi economica che da oltre un decennio attanaglia il Paese e dei suoi possibili riflessi sulle ragioni dell'omissione penalmente sanzionata, ha, da un lato, elevato a duecentocinquantamila Euro per anno di imposta l'importo al di sotto del quale l'omesso versamento dell'IVA è penalmente irrilevante (D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 8), dall'altro, ai fini della non punibilità del reato, ha consentito il pagamento del debito (ancorché gravato da interessi e sanzioni) fino alla apertura del dibattimento, con possibilità di prorogare il termine di ulteriori sei mesi (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13, commi 1 e 3, come modificato dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 11), di fatto dando maggior "respiro" ai contribuenti inadempienti ai sensi del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter. E' agevole evidenziare che, pure in tale contesto, la struttura della fattispecie penale è rimasta immutata, non avendo il legislatore inteso dare rilevanza agli eventuali scopi dell'inadempimento, pur a fronte di un panorama giurisprudenziale che ormai andava cristallizzandosi sull'irrilevanza del movente. 3.11.Gli argomenti utilizzati dal ricorrente a sostegno della pretesa applicabilità, al caso concreto, della "forza maggiore", oltre che inammissibilmente fattuali e rivalutativi, appaiono, alla luce della considerazioni che precedono, manifestamente infondati e frutto di un'operazione dogmaticamente errata perché tendono ad attrarre nell'orbita del dolo generico requisiti che, per definizione, non gli appartengono e che si collocano piuttosto nell'ambito dei motivi a delinquere o che ne misurano l'intensità (art. 133 c.p.). 3.12.In sintesi: la scelta di non pagare prova il dolo; i motivi della scelta non lo escludono. 3.13.La forza maggiore, come noto, esclude la "suitas" della condotta. Secondo l'impostazione tradizionale, è la "vis cui resisti non potest", a causa della quale l'uomo "non agit sed agitun" (Sez. 1, n. 900 del 26/10/1965, Sacca, Rv. 100042; Sez. 2, n. 3205 del 20/1271972, Pilla, Rv. 123904; Sez. 4, n. 8826 del 21/0471980, Ruggieri, Rv. 145855). Per questa ragione, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la forza maggiore rileva come causa esclusiva dell'evento, mai quale causa concorrente di esso (Sez. 4, n. 1492 del 23/11/1982, Chessa, Rv. 157495; Sez. 4, n. 1966 del 06/12/1966, Incerti, Rv. 104018; Sez. 4 n. 2138 del 05/12/1980, Biagini, Rv. 148018); essa sussiste solo e in tutti quei casi in cui la realizzazione dell'evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta all'assoluta ed incolpevole impossibilità dell'agente di uniformarsi al comando, mai quando egli si trovi già in condizioni di illegittimità (Sez 4, n. 8089 del 13/05/1982, Galasso, Rv. 155131; Sez. 5, n. 5313 del 26/03/1979, Geiser, Rv. 142213; Sez. 4, n. 1621 del 19/01/1981, Sodano, Rv. 147858; Sez. 4 n. 284 del 18/02/1964, Acchiardi, Rv. 099191). Poiché la forza maggiore postula la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell'agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell'evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un'azione od omissione cosciente e volontaria dell'agente, questa Suprema Corte ha sempre escluso, quando la specifica questione è stata posta, che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante. (Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986; Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013, Giro, Rv. 255880; Sez 3, n. 24410 del 05/04/2011, Bolognini, Rv. 250805; Sez. 3, n. 9041 del 18/09/1997, Chiappa, Rv. 209232; Sez. 3, n. 643 del 22/10/1984, Bottura, Rv. 167495; Sez. 3, n. 7779 del 07/05/1984, Anderi, Rv. 165822). 3.14.Costituisce corollario di queste affermazioni il fatto che nei reati omissivi propri integra la causa di forza maggiore l'assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omesso (Sez. 6, n. 10116 del 23/03/1990, Iannone, Rv. 184856), assoluta impossibilità che deve essere collegata a eventi che sfuggono al dominio finalistico dell'agente. 3.15.A conclusioni del tutto analoghe sono giunte le sezioni civili di questa Corte di cassazione in tema di non punibilità del fatto per forza maggiore. Il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5, stabilisce che non è punibile con le sanzioni amministrative in materia tributaria "chi ha commesso il fatto per forza maggiore". Precisa Cass. civ., Sez. 5, n. 8175 del 22/03/2019, Rv. 653523 - 01, che la sussistenza di una situazione di illiquidità o di crisi aziendale non costituisce, di per sé, forza maggiore, ai fini dell'operatività della causa di non punibilità di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5, essendo invece necessaria la sussistenza di un elemento oggettivo, costituito da circostanze anormali ed estranee all'operatore, e di un elemento soggettivo, correlato al dovere del contribuente di premunirsi contro le conseguenze dell'evento anormale, mediante l'adozione di misure appropriate, pur senza incorrere in sacrifici eccessivi (in senso conforme, Cass. civ., Sez. 6-5, n. 3049 del 08/02/2018, Rv. 647110 - 01; Cass. civ., Sez. 5, n. 22153 del 22/09/2017, Rv. 645636 - 01). Nello stesso senso, Cass. civ. Sez. 6-5, n. 28063 del 02/11/2018, Rv. 651116 - 01, e Cass. civ., Sez. 6-5, n. 7850 del 29/03/2018, Rv. 647720 01, hanno ribadito che la sussistenza di una crisi aziendale non costituisce forza maggiore, ai fini dell'operatività dell'esenzione prevista dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5. 3.16.Ne' va dimenticato che la "crisi di liquidità" dovuta alle contingenze del mercato e all'inadempimento dei clienti rientra nel normale rischio di impresa che non può essere surrettiziamente "trasferito" allo Stato. 3.17.Ne consegue che: a) il margine di scelta esclude sempre la forza maggiore perché non esclude la "suitas" della condotta; b) la mancanza di provvista necessaria all'adempimento dell'obbligazione tributaria penalmente rilevante non può pertanto essere addotta a sostegno della forza maggiore quando sia comunque il frutto di una scelta/politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità; c) non si può invocare la forza maggiore quando l'inadempimento penalmente sanzionato sia stato con-causato dai mancati accantonamenti e dal mancato pagamento alla singole scadenze mensili e dunque da una situazione di illegittimità; d) l'inadempimento tributario penalmente rilevante può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all'imprenditore che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico non quando, come nel caso di specie, le provviste destinate al pagamento dell'imposta sono state utilizzare per soddisfare i creditori privati. 3.18.Alla luce delle considerazioni che precedono, appare in tutta la sua inconsistenza e genericità la tesi difensiva. 3.19.La Corte di appello, facendo buon governo dei principi sopra richiamati, ha ribadito la natura generica del dolo del reato per il quale si procede, impermeabile in quanto tale alla coesistenza di specifici motivi della condotta omissiva (la scelta di salvare i livelli occupazionali della cooperativa e di disinnescare la "bomba sociale" che sarebbe esplosa nel 2016) che non hanno alcuna rilevanza ai fini della perfezione del reato ma che, semmai, esauriscono il proprio ruolo nell'ambito della personalizzazione del trattamento sanzionatorio. 3.20. Inoltre, la Corte territoriale afferma con nettezza, non contraddetta sul punto (di qui la genericità dei primi quattro motivi), che la crisi di impresa e di liquidità erano tutt'altro che improvvise ed eccezionali posto che già nel 2009 se ne erano avvertiti i primi segnali. 4.Alla luce delle considerazioni che precedono, i primi quattro motivi sono manifestamente infondati avendo la Corte di appello fatto corretta applicazione dei principi sopra indicati ad una vicenda non contestata nella sua storicità, con conseguente non decisività (oltre che genericità) del dedotto travisamento della prova documentale e testimoniale. Sia sufficiente qui ribadire che l'aver tenuto condotte imprenditoriali nella convinzione dell'adempimento futuro dell'obbligazione tributaria non esclude il dolo. Anche l'ultimo motivo è manifestamente infondato. Premessa la natura di "risorsa propria" dell'UE dell'imposta sul valore aggiunto (a partire dall'art. 4, Direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977), la questione posta con il quinto motivo è del tutto generica, fuorviante e malposta, posto che ciò che viene in rilievo in questa sede non è la natura dell'IVA ma il principio di legalità e di tassatività della fattispecie penale, non derivando dalla qualificazione dell'imposta dovuta alcuna conseguenza in grado di deformare gli istituti di diritto penale sostanziale cui si è fatto ampio riferimento nel precedente p. 3. 5.Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 3.000,00. PQM P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2022. Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2022
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