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Reati tributari

Omesso versamento IVA: l'imposta dovuta è quella risultante dalla dichiarazione annuale del contribuente

Omesso versamento IVA

Cassazione penale , sez. III , 21/04/2021 , n. 31367

Ai fini della integrazione del reato di omesso versamento dell'IVA di cui all' art. 10-ter d.lg. n. 74 del 2000 , l'imposta dovuta è quella risultante dalla dichiarazione annuale del contribuente, come indicata nel rigo VL38, e non quella effettiva desumibile dalle annotazioni contabili, potendo il giudice prescindere da tale importo solo se esso non sia giustificato dall'esame formale della stessa dichiarazione. (In motivazione la Corte ha precisato che, in caso di falsità, desunta da accertamenti sostanziali, delle voci attive e passive indicate nella dichiarazione, ivi compresi versamenti periodici in realtà non effettuati, possono configurarsi i più gravi reati di cui agli artt. 2, 3, e 4 d.lg. n. 74 del 2000 ).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 22 gennaio 2021, il Tribunale di Pordenone, accogliendo l'appello proposto dal pubblico ministero avverso l'ordinanza con cui il g.i.p. aveva negato la richiesta misura cautelare reale, ha disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto, diretta e per equivalente, disposta in relazione al reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 ter, contestato a A.J. come commesso nella qualità di legale rappresentante della (OMISSIS) Srl in liquidazione in relazione all'omesso versamento dell'IVA dovuta per l'anno d'imposta 2018. 2. Avverso detta ordinanza, a mezzo del difensore e procuratore speciale, l'indagato e la società hanno proposto ricorso per cassazione deducendo, con il primo motivo, l'erronea applicazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, in relazione alle istruzioni dell'Agenzia delle Entrate per la compilazione della dichiarazione annuale IVA 2019. Si rileva, in particolare, cha, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale ed in conformità a quanto invece ritenuto dal g.i.p., la disposizione incriminatrice si riferisce all'omesso versamento dell'IVA a debito quale risultante dal rigo VL38 della dichiarazione, che nella specie era pari a soli Euro 2.504,00, quindi inferiore alla soglia di punibilità. Quand'anche il contribuente avesse indicato nel campo 3 del rigo VL30 l'IVA periodica effettivamente versata, pari a Euro 25.686,98, anziché, come indicato in dichiarazione, a Euro 317.682, nel campo 1 del medesimo rigo si sarebbe pur sempre dovuto indicare quest'ultimo importo (vale a dire il maggiore tra quelli indicati nel capo 2 e nel campo 3). Ne deriva la corretta indicazione riportata nel citato rigo VL38, posto che - sulla scorta delle indicazioni contenute nelle citale istruzioni - lo stesso è dato dalla differenza tra quanto riportato nel rigo VL3 (nella specie, Euro 320.186) e nel citato rigo VL30, campo 1. 3. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, per essere stata individuata l'imposta dovuta a prescindere dalla dichiarazione annuale IVA compilata. In ricorso si argomenta che anche per il tribunale l'IVA dovuta sarebbe quella di cui al rigo VL30 e non già quello di cui al rigo VL3 del modello di dichiarazione, rigo intermedio, quest'ultimo - riportante un dato peraltro già a conoscenza dell'Agenzia delle Entrate perché risultante dalle dichiarazioni periodiche - poi però preso in considerazione dall'ordinanza per mantenere un collegamento con il rifermento alla dichiarazione annuale. In tal modo, tuttavia, distaccandosi dagli insegnamenti del giudice di legittimità, il tribunale non aveva fatto riferimento ad un debito dichiarato, ma ad un debito effettivo, calcolato in base alle informazioni ricevute dall'Agenzia delle Entrate circa l'importo dei versamenti periodici effettuati. 4. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione dell'art. 25 Cost., comma 2, art. 14 preleggi, e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, per aver in tal modo l'ordinanzà effettuato un'interpretazione analogica in malam partem, assegnando alla disposizione incriminatrice un significato più ampio rispetto a quello risultante dalla portata letterale per farvi rientrare situazioni che, invece, ne sono escluse. 5. Con l'ultimo motivo di ricorso si lamenta carenza dell'elemento soggettivo doloso richiesto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, avendo l'indagato scelto, a causa delle difficoltà finanziarie dell'impresa, di provvedere al pagamento dei dipendenti e dei relativi oneri piuttosto che dell'IVA. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. In relazione al secondo ed al terzo motivo - da esaminarsi congiuntamente - il ricorso è fondato, dovendosi ritenere corretta, anche in omaggio al principio di tassatività della legge penale, la decisione adottata dal g.i.p. circa l'insussistenza del fumus del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter. Ed invero, è nella specie pacifico che nella dichiarazione annuale IVA presentata per l'anno 2018 il contribuente si fosse riconosciuto debitore soltanto della somma di Euro 2.504,00, indicata al rigo VL38 ("totale IVA dovuto"), pari alla differenza tra l'imposta a debito maturata nell'anno (Euro. 320.196: rigo VL3 della dichiarazione) e quella dichiarata come versata in sede di acconti periodici (Euro 317.682: rigo VL30). Nel ritenere il fumus del reato in esame, l'ordinanza impugnata ha invece riconosciuto - come già aveva fatto il g.i.p., e neppure il ricorrente contestata quella ricostruzione, desumibile dalle indagini svolte dall'Agenzia delle Entrate che l'importo da ultimo indicato era falso, avendo il contribuente versato a titolo di acconti periodi soltanto la minor somma di Euro 25.682,88, donde un debito residuo a titolo di IVA pari a Euro 291.694, superiore a quanto indicato in dichiarazione e superiore alla soglia di punibilità prevista dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter. Per giungere a tale conclusione, si è negato che l'imposta annuale dovuta il cui mancato versamento integra gli estremi del reato contestato corrisponda all'importo indicato nel rigo VL38 del modello di dichiarazione annuale IVA 2019, affermandosi invece che la "imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale" il cui omesso versamento è punito dalla richiamata fattispecie è quella risultante dal rigo conclusivo della Sezione 1 del quadro VL, vale a dire il rigo VL3, che, nella specie, riportava l'indicazione di un'imposta annuale dovuta di Euro 320.186 (peraltro, del tutto correttamente calcolata, secondo gli accertamenti dell'Agenzia delle Entrate). 2. Ad avviso del Collegio, questa conclusione è errata, essendo invece ictu oculi evidente - come il ricorrente afferma - che il suddetto VL3 è un mero "rigo intermedio" della dichiarazione, attestante l'IVA a debito maturata nell'anno d'imposta, e non già quella che rileva ai fini dell'applicazione della norma incriminatrice, che, invece, è "l'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale" (corsivo nostro), vale a dire quella risultante tenendo conto, tra l'altro, dei versamenti periodici effettuati in base a quanto riferito nella stessa dichiarazione. Non può invece ritenersi - come attesta l'ordinanza - che tali importi rilevino, laddove corretti e rispondenti a dati veritieri, soltanto per verificare se sia stata superata la soglia di punibilità di Euro 250.000. Pena l'illegittimo ampliamento del campo di applicazione della norma penale ad ipotesi nella stessa non considerate, al di là di un eventuale errore di calcolo che sia evidente dalla mera lettura della dichiarazione annuale e che consenta di immediatamente comprendere che l'importo in essa indicato come dovuto sia superiore alla soglia di punibilità, ciò che rileva ai fini dell'integrazione del reato è proprio - e soltanto - l'importo "dichiarato dovuto". Laddove la dichiarazione contenga invece - come nella specie ritenuto dalla stessa ordinanza impugnata indicazioni obiettivamente false, può sussistere, ricorrendone gli estremi, il delitto dichiarativo di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, che, tra l'altro, ricorrendo il richiesto dolo specifico di evasione, punisce l'indicazione nelle dichiarazioni annuali di "elementi passivi inesistenti". Ed invero, per quanto qui rileva, il D.Lgs. n. 74 del 2004, art. 1, lett. b, prevede che per "elementi "attivi o passivi" si intendono le componenti, espresse in cifra, che...incidono sulla determinazione dell'imposta dovuta". L'inesistente elemento passivo nella specie indicato per determinare l'IVA dovuta nella dichiarazione annuale 2019 - vale a dire, al rigo VL30, versamenti periodici in realtà non effettuati - è idoneo ad integrare gli estremi di una falsa dichiarazione. - La ratio della meno grave ipotesi delittuosa prevista dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, sta nel punire il contribuente che, pur essendosi riconosciuto debitore nei confronti dell'Erario, non versa quanto dal medesimo ritenuto dovuto: la sussistenza del reato in relazione al superamento della soglia di rilevanza penale deve risultare ictu oculi evidente dalla dichiarazione presentata e non può postulare l'esito di un accertamento d'indagine aliunde espletato. Laddove quest'ultimo dimostri che la dichiarazione presentata è falsa, sussistendone gli estremi ricorreranno le ipotesi di reato dichiarative previste dal D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2,3 o 4, le quali potranno anche concorrere con il reato di omesso versamento, ma soltanto laddove questo sia, nella sua materialità, sussistente, vale a dire quando la dichiarazione di per sé indichi (quantomeno) un'imposta dovuta superiore alla soglia di non punibilità che non sia poi di fatto versata. 3. La conclusione qui raggiunta, del resto, è in linea con la più recente giurisprudenza di questa Corte, correttamente evocata in ricorso. Si è infatti affermato che ai fini della integrazione del reato di omesso versamento dell'IVA di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, l'entità della somma da versare, costituente il debito IVA, è quella risultante dalla dichiarazione del contribuente e non quella effettiva, desumibile dalle annotazioni contabili (Sez. 3, n. 14595 del 17/11/2017, dep. 2018, Strada, Rv. 272552) e l'imposta dovuta, di regola, è proprio quella indicata nel rigo VL38 di tale dichiarazione, potendo, tuttavia, il giudice prescindere da tale importo, se esso non è giustificato dall'esame formale della dichiarazione stessa (Sez. 3, n. 2563 del 18/05/2018, dep. 2019, Frucella, Rv. 275686). Come più sopra si è rilevato, dunque, soltanto incongruenze eventualmente rilevabili in base alla mera analisi della dichiarazione possono consentire di eventualmente "rettificare" l'importo dal contribuente riconosciuto cbme dovuto, mentre - come le sentenze citate hanno espressamente affermato - laddove la diversa quantificazione dell'imposta sia effettuata in forza di accertamenti sostanziali sulla non corrispondenza al vero delle voci attive e passive in essa indicate saranno eventualmente ravvisabili i più gravi reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2, 3, e 4. A questo orientamento sembra ascriversi anche la precedente decisione (Sez. 3, n. 9049, 05/12/2012, dep. 2013, Mamone, n. m.) in cui si è ritenuto irrilevante che il contribuente non avesse compilato l'ultimo rigo della dichiarazione (dedicato all'appostazione dell'importo a debito risultante), atteso che l'analisi della dichiarazione consentiva, in base ai dati in essa indicati, di liquidare agevolmente l'imposta dovuta come superiore alla soglia penalmente rilevate. E' invece andata in contrario avviso Sez. 3, n. 31179 del 29/05/2014, Comes, n. m., la quale - pur dichiarando di aderire all'orientamento espresso dalla citata sentenza Mamone - ha ritenuto sussistente il reato di omesso versamento in un caso, analogo a quello qui giudicato, in cui il debito fiscale attestato in dichiarazione, inferiore alla soglia di punibilità, dipendeva dal dichiarato (ma insussistente) versamento di somme periodiche. Per le ragioni esposte, a questo più risalente orientamento non deve tuttavia darsi seguito. 4. Risultando dunque, per tabulas, l'insussistenza del fumus del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, - l'unico per il quale era stata avanzata la richiesta di sequestro - l'ordinanza impugnata dev'essere annullata senza rinvio. Va infatti considerato che, nella dichiarazione di appello (pag 2), che delimita i poteri del giudice dell'impugnazione in relazione all'effetto devolutivo, il pubblico ministero impugnante aveva espressamente escluso la configurabilità del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, rinunciando dunque esplicitamente a richiedere la misura cautelare per tale diverso reato, sì che una diversa qualificazione giuridica, in quanto del tutto imprevedibile, avrebbe rappresentato, e rappresenterebbe, una violazione del diritto al contraddittorio non consentita né in sede di merito (cfr. Sez. 6, n. 422 del 19/11/2019, dep. 2020, Petittoni, Rv. 278093), né in sede di legittimità (cfr. Sez. 4, n. 18793 del 28/03/2019, Macaluso, Rv. 275762). Deve conseguentemente ordinarsi la restituzione all'avente diritto di quanto in sequestro. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e ordina la restituzione di quanto in sequestro all'avente diritto. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 626 c.p.p.. Così deciso in Roma, il 21 aprile 2021. Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2021
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