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Reati tributari

Omesso versamento IVA: la particolare tenuità del fatto e l'ammontare non pagato

Omesso versamento IVA

Cassazione penale sez. III, 19/01/2016, n.9936

Quando si procede per il reato di omesso versamento dell'i.v.a., la non punibilità per particolare tenuità del fatto è applicabile solo se l'ammontare dell'imposta non corrisposta è di pochissimo superiore a quello fissato dalla soglia di punibilità, poiché la previsione di quest'ultima evidenzia che il grado di offensività della condotta ai fini della configurabilità dell'illecito penale è stato già valutato dal legislatore (la Corte ha escluso l'applicabilità dell'istituto di cui all'articolo 131-bis c.p. sulla base dell'assorbente rilevo dell'ammontare dell'imposta non corrisposta, pari - a seguito della novella di cui al d.lg. n. 158 del 2015 - a una somma corrispondente a più del doppio di quella prevista dalla legge quale soglia di punibilità ai fini della rilevanza penale del fatto).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa in data 26/09/2014, depositata in data 10/10/2014, la Corte d'appello di BRESCIA, in riforma della sentenza del tribunale di BRESCIA 28/01/2014 che aveva assolto S.A. dal reato di omesso versamento IVA per un importo di Euro 559.669,00 (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, commesso in data (OMISSIS) in relazione al periodo di imposta 2008), condannava il medesimo alla pena di 6 mesi e gg. 20 di reclusione, con le pene accessorie di legge, concedendo al medesimo i doppi benefici di legge. 2. Ha proposto ricorso S.A. a mezzo dei difensori fiduciari cassazionisti, impugnando la sentenza predetta con cui deduce tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.. 2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. c) ed e), sotto il profilo della violazione di legge processuale in relazione agli artt. 125, 533 e 530 cod. proc. pen. nonchè il correlato triplice vizio motivazionale indicato dall'art. 606 c.p.p., lett. e), con riferimento all'omessa confutazione delle ragioni poste dal tribunale a sostegno della sentenza assolutoria. In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, la sentenza della Corte d'appello rileverebbe immediatamente la violazione del principio secondo cui il giudice di appello che riforma in senso radicale la decisione assolutoria di primo grado, deve motivare in maniera rafforzata; dopo aver ricordato alcune decisioni di questa Corte sul punto, il ricorrente rileva come in nessun passaggio della decisione della Corte d'appello si renda ragione dei vizi logici o delle inadeguatezze probatorie che avrebbero contrassegnato, giustificandone la riforma, la decisione del tribunale, limitandosi diversamente la Corte d'appello ad una alternativa interpretazione del medesimo compendio probatorio utilizzato in primo grado, non potendo certo affermarsi che la motivazione della sentenza di secondo grado sia dotata di una maggiore forza persuasiva rispetto a quella di primo grado; anzi, si sostiene in ricorso, la decisione di appello trascurerebbe alcuni elementi decisivi di valutazione emergenti dagli atti, ciò che confermerebbe l'errata rilettura del materiale probatorio effettuato dal giudice d'appello, il quale avrebbe omesso l'imprescindibile confronto puntuale con quanto di diverso ritenuto ed argomentato dal giudice che ha assolto; nella sentenza di primo grado, si osserva, il giudice aveva ritenuto rilevanti due elementi: a) da un lato l'intervenuto smarrimento durante l'iter di incasso di un assegno dell'importo di Euro 600.000, emesso dalla Arosteel S.r.l. in favore della San Simeone holding; b) dall'altro, il fatto che l'amministratore S. aveva erogato a quest'ultima società un significativo finanziamento personale al fine di sopperire alla situazione di illiquidità di quest'ultima; il ragionamento assolutorio del tribunale si fonda su detti elementi, considerati rilevanti nell'economia complessiva del giudizio, il primo perchè pertinente, unitamente al grave insoluto da oltre 1 milione di Euro, alla scaturigine della crisi di liquidità della società (lo smarrimento dell'assegno si verificò nel giugno 2008 e contribuì sensibilmente ad originare la tensione economico-finanziaria che investì proprio nei mesi successivi la San Simeone holding), il secondo in quanto denota un atteggiamento dell'imputato che non poteva evidentemente non essere considerato ai fini della ricostruzione dell'elemento soggettivo del reato; la Corte d'appello, diversamente, avrebbe omesso da un lato di tener conto del personale sacrificio economico posto in essere dal S. e, dall'altro, sarebbe incappata in una macroscopica svista allorchè essa afferma che sarebbe rimasta sfornita di riscontro documentale la deduzione difensiva riguardante lo smarrimento del predetto assegno; detta affermazione stupisce, sostiene il ricorrente, in quanto era presente in atti la raccomandata 16/6/2008 con la quale la Unicredit, ossia l'istituto di credito presso cui l'assegno è stato depositato, informava la San Simeone holding dell'intervenuto smarrimento dell'assegno, tanto che fu proprio basandosi su tale evidenza documentale che il primo giudice ne aveva ravvisato la credibilità anche sul punto; a ciò si aggiunge come il tema dell'assegno e del relativo smarrimento era stato già espressamente trattato nella memoria difensiva depositata alla Corte d'appello in data 12/9/2014; le predette carenze, che riguardano aspetti nodali della vicenda, del tutto pretermessi dalla Corte d'appello, consentirebbero pertanto di ritenere che la motivazione della sentenza impugnata sia del tutto inidonea a sopravanzare efficacemente quella del primo giudice, giustificandone il ribaltamento. 2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), sotto il profilo della violazione di legge in relazione agli artt. 42 e 43 cod. pen. nonchè il correlato vizio motivazionale di contraddittorietà e manifesta illogicità indicato dall'art. 606 c.p.p., lett. e), con riferimento alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del contestato reato D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 10 ter. In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, la Corte d'appello avrebbe errato nel ritenere sussistente l'elemento psicologico del reato, atteso che la difesa dell'imputato aveva dimostrato che la condotta del ricorrente, lungi dall'essere stata volontaria, derivò dalla oggettiva impossibilità, dovuta all'acuta crisi di liquidità che si abbattè sulla società di cui egli era all'epoca legale rappresentante, di adempiere all'obbligazione tributaria; il tribunale correttamente, nel valorizzare le argomentazioni difensive, aveva ritenuto l'esistenza di una situazione di dubbio quanto alla concreta rimproverabilità nei confronti del S. dell'inadempimento accertato; diversamente la Corte appello, all'esito della rilettura del materiale probatorio, ha escluso l'esistenza di detti dubbi pervenendo a giudizio di condanna; secondo la Corte d'appello, seppure è provato che nell'anno 2008, la San Simeone holding aveva come unica cliente la Arosteel Srl e che, ancora, quest'ultima non ebbe a versarle il corrispettivo pari a 2 milioni di Euro dovuto per l'ultima fattura emessa a suo carico, e che infine nessun risultato, atteso l'intervenuto fallimento della debitrice, sortì neanche il decreto ingiuntivo ottenuto dalla San Simeone holding, tutto ciò sperò secondo la Corte d'appello non sarebbe stato sufficiente ad escludere il reato sotto il profilo soggettivo in quanto non sarebbe stato certo siffatto parziale inadempimento, ancorchè di rilevante portata, a cagionare la crisi di liquidità ed il conseguente mancato pagamento dell'Iva relativa all'annualità 2008, aggiungendo come in ogni caso l'imputato, che incassò per le fatture precedenti un notevole importo per Iva, non solo non avrebbe mai giustificato dove fosse rifluita la somma incamerata a tale titolo, ma nemmeno avrebbe dimostrato la non riconducibilità ad esso della condizione permanente di illiquidità in cui da tempo ormai versava la sua società; dette argomentazioni, secondo il ricorrente, sarebbero affette dal vizio di illogicità intrinseca nonchè dal vizio di violazione della legge penale, atteso che risulta come la Corte d'appello abbia presunto più che accertato la sussistenza del dolo, giungendo a supporre che l'imputato non avrebbe provveduto al versamento dell'Iva dichiarata neppure ove la società da questi amministrata avesse positivamente riscosso il credito dell'importo di quasi 1 milione di Euro che l'avrebbe posta nella concreta condizione di poterlo fare; sarebbe congetturale l'assunto per cui dette somme furono verosimilmente destinate a coprire l'esposizione debitoria delle società partecipate dalla San Simeone holding, affermazione che oltretutto non considera come detta società non era dotata di propria forza lavoro, sicchè era intuitivo che questi importi vennero utilizzati per pagare le imprese alle quali aveva subappaltato la ultimata realizzazione delle opere commissionatele; ciò che dunque occorreva accertare, avuto riguardo alla natura di reato omissivo istantaneo del delitto in questione, era se il pagamento del debito tributario fosse o meno concretamente possibile per l'imputato nel momento di consumazione dell'illecito, e cioè alla scadenza del termine lungo preso in considerazione dalla norma incriminatrice; in detto momento, coincidente con la data di scadenza entro cui effettuare il versamento dell'Iva dichiarata, è pacifico che la società del ricorrente si trovasse in gravi difficoltà economiche, tali da rendere inesigibile la condotta doverosa richiesta all'amministratore, e dunque non volontaria l'omissione della stessa, circostanza che sarebbe espressamente riconosciuta anche dalla Corte d'appello che, tuttavia, al fine di giustificare la sentenza di condanna, si spingerebbe a sostenere che non fu il menzionato mancato incasso da più di un milione di Euro a costituirne la causa, dato che dette difficoltà sarebbero invece da reputarsi ad esso preesistenti e per giunta ben conosciute dall'imputato; secondo il ricorrente, a parte la irragionevolezza insita nell'aver escluso che tale cospicuo mancato incasso abbia giocato un ruolo decisivo nel causare lo stato di illiquidità della società, nessuno dei dati valorizzati per reputare pacifico che la condizione di sofferenza finanziaria della società risalisse al 2006, risulta in realtà idoneo ad autorizzare una simile conclusione, fondando, invece, quelle stesse evidenze ulteriore convalida della bontà della prospettazione difensiva; non lo è certo la relazione del curatore fallimentare, che anzi attesta che il primo esercizio con risultato negativo fu proprio il 2008; non lo sono le due iscrizioni ipotecarie sugli immobili, fisiologiche per un'impresa; non lo è neppure il contenuto del ricorso per la dichiarazione di fallimento svolto da Unicredit S.p.A., il quale documenta per contro la tensione con il sistema bancario concretizzatasi con decorrenza 2008, nella parte in cui espone le cause del dissesto della San Simeone holding, e chiarisce come le stesse fossero rintracciabili oltre che nel mancato recupero della somma di circa 1 milione di Euro dalla società Arostelle, nelle negative gestioni delle società partecipate che si sono riflesse di conseguenza sulla fallita, tutto ciò a convalidare l'assunto - che la Corte d'appello avrebbe invece ritenuto non dimostrato -, della non riconducibilità all'imputato della crisi di liquidità che investì la sua società; piuttosto, rileva il ricorrente, acclarato, conformemente alla conclusione del tribunale, che fu proprio il citato inadempimento della Arostelle, di poco successivo al ricordato smarrimento dell'assegno da Euro 600.000, ad originare la grave crisi finanziaria che investì la San Simeone holding privandola della liquidità necessaria per versare l'Iva in precedenza dichiarata a debito, sarebbe stato opportuno chiedersi se il prevenuto avesse ciononostante la possibilità di reperire le risorse necessarie a consentirgli l'adempimento dell'obbligazione tributaria; secondo il ricorrente la soluzione non poteva che essere negativa, essendo documentato come l'imputato non solo non aveva esitato a finanziare personalmente la società da lui amministrata versando nelle casse una somma di Euro 720.000, ma era altresì evidente come questi non potesse ricorrere al credito bancario, posto che proprio verso la fine del 2008 si erano deteriorati i rapporti con l'istituto di credito (Unicredit S.p.A.) con il quale la società collaborava, nè dismettere, per reperire immediata liquidità, i cespiti immobiliari della stessa, atteso che sui medesimi gravavano vincoli ipotecari accertati dalla Corte distrettuale; tanto sopra dunque provava idoneamente come l'omissione incriminata non fosse volontaria e dunque difetasse radicalmente in capo al medesimo il necessario elemento soggettivo del reato. 2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), sotto il profilo della violazione di legge in relazione agli artt. 132 e 133 cod. pen. nonchè il correlato vizio motivazionale di contraddittorietà e manifesta illogicità indicato dall'art. 606 c.p.p., lett. e), con riferimento al trattamento sanzionatorio concretamente riservato all'imputato. In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, la Corte d'appello avrebbe errato nel determinare il trattamento sanzionatorio, avendo sì ritenuto di poter riconoscere le attenuanti generiche, ma determinando la pena base in misura notevolmente superiore al minimo edittale, così, esercitando irragionevolmente il proprio potere discrezionale; valorizzando, ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio, l'ammontare del debito tributario non assolto, la Corte d'appello avrebbe però irragionevolmente omesso di tenere in considerazione quelle ragioni concrete che avevano invece indotto il tribunale a opposta soluzione, quali l'impegno finanziario sostenuto dall'imputato con proprie risorse personali, nonchè lo stato di incensuratezza ed il comportamento processuale tenuto. 3. Con successivo atto depositato in data 28/12/2015, la difesa del ricorrente ha depositato presso la Cancelleria di questa Corte motivi aggiunti, al fine di meglio illustrare i motivi di cui al ricorso originario. 3.1. In particolare, richiamando il primo motivo, dopo aver individuato i dati certi emergenti dal processo (esistenza nel 2008 dell'unico cliente Arosteel s.r.l.; regolarità dell'adempimento delle proprie obbligazione da parte di Arosteel fino a quella data e manifestarsi dell'insolvenza di quest'ultima nel 2008 in coincidenza con il mancato pagamento dell'ultima delle fatture emesse pari a Euro 1.176.000,00 da cui andava stornato l'importo di Euro 120.000,00 già comprensivo di IVA per l'emissione della nota di credito 2/10/2008; inutilità del decreto ingiuntivo richiesto ed ottenuto dalla San Simeone Holding nei confronti di Arosteel per Euro 1.056.000,00), la difesa evidenziava come la Corte territoriale non avesse adeguatamente contrastato due elementi circostanziali invece di centrale importanza nella valutazione assolutoria del tribunale (individuazione della crisi di liquidità determinata dal mancato pagamento di tale fattura, incrementata dallo smarrimento da parte della banca durante l'iter d'incasso di un assegno emesso in favore di San Simeone Holding dell'importo di 600.000 Euro; erogazione da parte del S. in favore della San Simeone Holding di un finanziamento personale pari a 720.000,00 Euro, come emerge dalla relazione ex art. 33 L. Fall.); la Corte d'appello avrebbe invece ritenuto dirimenti due elementi non ritenuti tali dal primo giudice (la circostanza che la San Simeone Holding aveva incassato un rilevante importo a titolo di IVA che avrebbe dovuto accantonare; la condizione di sofferenza finanziaria della San Simeone holding sarebbe preesistita rispetto all'inadempimento, sia pure per un rilevante importo, di Arosteel); ribadendo le censure esposte in sede di illustrazione del secondo motivo di cui al ricorso originario, la difesa rileva come la riforma della decisione assolutoria sia inammissibilmente fondata su un mero diverso apprezzamento da parte della Corte territoriale di alcuni tra i dati probatori acquisiti in atti, senza specificamente confutare nè individuare se e dove si annidasse l'errore di diritto del primo giudice, aggiungendo come la ricostruzione alternativa operata dalla Corte d'appello si appalesava in realtà anche meno congrua rispetto a quella del tribunale; la difesa, quindi, ripercorreva, ulteriormente illustrandole, le considerazioni già svolte a proposito della mancata valutazione sua della circostanza riguardante l'esborso personale consistente fatto dal S. a favore della società di cui era legale rappresentante nel tentativo di fronteggiarne la crisi di liquidità, sia, ancora, l'ulteriore circostanza per la quale esistevano ragioni che avevano impedito concretamente di reperire altrimenti liquidità per far fronte al debito tributario alla scadenza, ciò in quanto vi era stata l'improvvisa revoca delle linee di credito prima concessele dall'Unicredit, sia considerando l'impossibilità di cedere gli immobili societari in quanto tutti sottoposti ad ipoteca. 3.2. Ancora, poi, ulteriormente illustrando il secondo motivo di ricorso, la difesa del ricorrente, nel contestare l'affermazione della Corte d'appello secondo cui non fu il mancato incasso dell'assegno da 1 milione di Euro ad aver determinato la situazione di illiquidità della società poichè la situazione di difficoltà economica risaliva al 2006, richiamava una recente decisione di questa Corte (la n. 40352/2015) la cui applicazione nel caso in esame consentirebbe di escludere la ricorrenza dell'elemento soggettivo costituito dalla volontà di non adempiere, alla scadenza, il debito tributario, aggiungendo come l'affermazione da parte della Corte d'appello della risalenza della situazione di difficoltà economica societaria in realtà fosse frutto del travisamento probatorio degli elementi acquisiti (relazione ex art. 33 L. Fall.; esistenza di due ipoteche volontarie iscritte sui beni mobili di San Simeone holding; contenuto del ricorso per la dichiarazione di fallimento svolto da Unicredit s.p.a.); ed invero, quanto alla relazione del curatore fallimentare, in realtà la stessa sarebbe stata erroneamente intesa da parte della Corte d'appello, emergendo dalla stessa che il primo esercizio in cui venne riportato un risultato negativo fu proprio quello del 2008 ossia quello in cui si registrò il mancato pagamento da parte di Arosteel s.r.l., cui si aggiunse la doverosa svalutazione, a seguito dei risultati negativi di esercizio conseguiti, del valore della partecipazione in Ludovico s.r.l. (la relazione ex art. 33, dunque, convaliderebbe la tesi difensiva secondo cui fu il mancato incasso per oltre 1 milione di Euro, unitamente ad una situazione finanziaria che non permetteva di reperire aliunde le risorse necessarie, a rendere impossibile all'imputato il mancato pagamento dell'IVA dichiarata); quanto alle due ipoteche volontarie, non sarebbe possibile attribuire rilevanza all'esistenza delle stesse, una delle quali "ereditata" dalla società San Giovanni Battista s.r.l., tenuto conto della diffusa consuetudine tra le società commerciali di ottenere attraverso la costituzione di un'ipoteca volontaria la liquidità funzionale all'avvio dell'attività d'impresa (anche tale elemento accrediterebbe la tesi difensiva, in quanto proprio l'esistenza delle ipoteche rendeva impossibile per il ricorrente reperire liquidità dalla vendita degli immobili ipotecati); infine, quanto al ricorso Unicredit per ottenere la dichiarazione di fallimento della San Simeone holding s.r.l., i giudici ne avrebbero travisato il contenuto, affermando erroneamente che lo stato di insolvenza fosse risalente già al 31/12/2006, atteso che non si sarebbe tenuto in considerazione che i decreti ingiuntivi richiesti nei confronti della San Simeone holding s.r.l. risultano tutti datati 28/11/2008, ciò che conferma l'assunto difensivo secondo cui fu il mancato incasso da 1 milione di Euro spettante alla società all'epoca amministrata dall'imputato non solo impedì a quest'ultimo di assolvere il debito tributario, ma originò la tensione con il sistema bancario che rese impossibile farvi ricorso per reperire le risorse atte a pagare l'IVA dichiarata a debito; infine, vi sarebbe un ulteriore dato che paleserebbe l'intrinseca contraddittorietà della decisione impugnata, ossia la circostanza che risulta essere documentato che il 21/11/2007 la società del ricorrente ebbe a stipulare con Arosteel s.r.l. un contratto di vendita - appalto relativo ad un'unità immobiliare da edificare nel Comune di Fontanellato, ciò che escluderebbe come sin dal 2006 la società San Simeone holding versasse in stato di decozione, essendo invece più logico ipotizzare che le problematiche economiche, che successivamente la investirono(originarono proprio a seguito dell'insoluto della Arosteel; a ciò, infine, si aggiungerebbe un rilevante errore di diritto in cui sarebbero incorsi i giudizi di appello, in particolare in punto di accertamento del dolo, nel senso che l'aver fondato l'imputazione del reato in questione facendo leva su un'imprudente gestione delle risorse economiche societarie si risolve nell'imputare il reato a titolo di responsabilità oggettiva o colposa; l'aver dato inoltre per scontato che il ricorrente non avrebbe adempiuto alla sua obbligazione tributaria anche ove avesse positivamente riscosso il credito, significherebbe spingersi verso un dolo presunto, traducendosi in sostanza nel congetturare che solo quella omissiva avrebbe potuto essere la sua volontà. 3.3. La difesa del ricorrente introduce poi una censura nuova, non potuta sollevare con l'originario motivo di ricorso in quanto relativa alla mancata applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis cod. pen.; richiamando recente giurisprudenza di questa Corte, sostiene la difesa che a fronte di un reato quale quello in esame, commesso da un soggetto incensurato, puniti con una pena nel massimo di due anni di reclusione, ricorrerebbero nel caso di specie anche gli altri indici criteri che devono congiuntamente sussistere per l'applicabilità della predetta causa di non punibilità, non potendo infatti non riconoscersi nella condotta del ricorrente, pur considerando l'ammontare dell'IVA non versata, un assai modesto grado di offensività, tenuto conto di quella che sul la ragione del mancato assolvimento dell'obbligo tributario, non ostandovi la circostanza per la quale il giudice di appello ebbe a determinare la pena in misura superiore al minimo edittale in quanto all'epoca era vigente una soglia di punibilità assai ridotta rispetto a quella oggi fissata dal legislatore della novella di cui al d. Igs. n. 158 del 2015 (pari a 250.000 Euro), ciò che imporrebbe di riconsiderare l'effettivo grado di disvalore dell'evento. 3.4. Infine, nel richiamare le ragioni poste a fondamento del terzo motivo del ricorso originario, afferente al trattamento sanzionatorio, ritiene la difesa del ricorrente che la doglianza sia, oggi, proprio a seguito dell'elevazione della soglia di punibilità del reato in esame, ancor più fondata, dovendosi rimodulare il predetto trattamento, all'epoca determinato in misura superiore al minimo edittale proprio in considerazione dell'entità dell'evasione, ma essendo oggi la soglia di punibilità notevolmente superiore rispetto a quella all'epoca vigente, non parrebbe improprio ritenere che l'effettiva gravità del reato meriti di esser rivalutata anche alla stregua delle modifiche normative intervenute. 4. Con atto depositato presso la Cancelleria di questa Corte in data 30/12/2015, poi, il ricorrente personalmente ha dedotto un ulteriore motivo nuovo, in particolare rilevando come, tenuto conto dell'importo di IVA a credito relativa all'annualità 2009 concretamente compensabile dalla società con quella dichiarata a debito per la precedente annualità 2008 (per come risultante dai modelli Unico 2010 e Unico 2011 della San Simeone holding s.r.l., già allegati alla nota di deposito al PM in data 10/12/2013), l'IVA effettivamente dovuta all'Erario dalla San Simeone holding s.r.l. con riferimento all'annualità 2008 era pari ad Euro 244.369,00, ossia un quantum inferiore alla nuova soglia di punibilità introdotta dal D.Lgs. n. 158 del 2015; detta circostanza risulterebbe decisiva per un duplice ordine di ragioni: a) anzitutto perchè il mancato superamento della soglia comporta l'insussistenza oggettiva del reato per difetto di uno dei suoi elementi costitutivi; b) in secondo luogo perchè la constatazione che l'importo effettivamente dovuto è inferiore alla soglia al di sotto della quale il legislatore ritiene non necessaria la sanzione penale, ciò dovrebbe valutarsi ex art. 131 bis cod. pen., essendovi quindi in astratto elementi per consentire l'applicabilità, il tutto senza dimenticare che ciò ha inevitabili riflessi sotto il profilo del trattamento sanzionatorio, come già chiarito dai propri difensori nel precedente 3.4. 5. Infine, con memoria difensiva depositata all'udienza 19/01/2016, unitamente ad alcuni allegati, la difesa del ricorrente ha illustrato un'ulteriore questione, in particolare afferente alla inammissibilità dell'appello proposto dal P.G. presso la Corte d'appello di Brescia, sostenendo che lo stesso fosse generico in quanto mancante di una specifica confutazione del fondamento logico e fattuale degli argomenti del primo giudice, così difettando di quella motivazione rafforzata che avrebbe consentito di renderlo specifico ed ammissibile. CONSIDERATO IN DIRITTO 6. Il ricorso è fondato limitatamente al terzo motivo. 7. A diversa soluzione deve, invece, pervenirsi quanto ai residui motivi. 8. Ed invero, quanto al primo motivo di doglianza (con cui si censura l'omessa confutazione da parte della Corte d'appello degli elementi impiegati dalla prima sentenza per pervenire a giudizio assolutorio dubitativo), la Corte d'appello affronta sia la questione relativa al sacrificio economico dell'imputato (ossia il finanziamento alla società per un importo di 720.000,00 Euro) sia quella della presunta "svista" rappresentata dall'affermazione secondo cui non vi sarebbe prova documentale dello smarrimento dell'assegno di 600.000,00 Euro; la Corte territoriale non le ha considerate rilevanti a fronte del dato oggettivo, innegabile, costituito dalla mancata giustificazione da parte del ricorrente dell'impiego di liquidità per oltre 900.000,00 Euro a titolo di IVA incassata nel 2009 e che questi ha sicuramente utilizzato ad altri fini, distraendo tali ingenti somme dalla loro destinazione naturale, ossia l'assolvimento degli obblighi tributari; le circostanza relative allo smarrimento dell'assegno e quella del c.d. finanziamento personale, dunque, non rivestivano per la Corte d'appello, nell'economia della motivazione dell'impugnata sentenza, valore decisivo, idoneo a disarticolare il ragionamento probatorio della Corte territoriale, il cui percorso argomentativo si appalesava sicuramente più logico e convincente rispetto a quello della prima sentenza, assolvendo all'onere di quella "motivazione rafforzata" richiesta in caso di ribaltamento del precedente esito assolutorio. Sul punto, va qui solo ricordato che in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (per tutte: Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005 - dep. 20/09/2005, Mannino, Rv. 231679). Non v'è dubbio che, nel caso in esame, l'aver il primo giudice trascurato la decisiva rilevanza della questione invece evidenziata dalla Corte d'appello (ossia quella relativa alla mancata giustificazione da parte del ricorrente dell'impiego di liquidità per oltre 900.000,00 Euro a titolo di IVA incassata nel 2009 e che questi ha sicuramente utilizzato ad altri fini, distraendo tali ingenti somme dalla loro destinazione naturale, ossia l'assolvimento degli obblighi tributari), consente di ritenere soddisfatto quell'onere motivazionale "rafforzato" nei termini dianzi richiamati, avendo infatti la Corte territoriale riesaminato, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice, considerando quello sfuggito alla sua valutazione e quello ulteriormente acquisito per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni (v. Sez. 6, n. 1253 del 28/11/2013 - dep. 14/01/2014, Pg in proc. Ricotta, Rv. 258005). 9. Non miglior sorte merita il secondo motivo, con cui si censura la sentenza per aver ritenuto sussistente l'elemento soggettivo del reato contestato. Ed infatti, anche sul punto la Corte d'appello motiva adeguatamente, descrivendo come delle 7 fatture attive emesse verso l'unico cliente Arosteel, 6 vennero regolarmente pagate nel 2008, incassando la società del ricorrente somma pari ad Euro 4.600.000,00 di cui 900.000,00 a titolo di IVA; puntualizzano correttamente i giudici di appello come tale somma, effettivamente incassata e che il ricorrente avrebbe dovuto accantonare per provvedere al pagamento del tributo alla scadenza prevista (28/12/2009), non è dato sapere dove fosse confluita, tenuto peraltro conto che la società non aveva dipendenti, nè aveva locali per cui corrispondeva un affitto (la società infatti aveva sede presso l'abitazione del S.), nè, infine, risultavano prodotte fatture passive che potessero fornire elementi di prova in ordine al fatto che le somme incassate fossero state utilizzate per pagare altri creditori; i giudici della Corte d'appello indicano, poi, a pag. 5, gli elementi da cui emergeva che la società fosse da tempo (sin dal 2006) in stato di decozione. Orbene, sul punto ritiene il Collegio che le considerazioni svolte - pur essendo sicuramente utili al fine di lumeggiare quale fosse la situazione societaria risultano del tutto ultronee rispetto al punto centrale della vicenda, costituito - al fine di verificare la sussistenza del dolo generico normativamente richiesto dalla circostanza di non aver provveduto il ricorrente ad accantonare quelle somme effettivamente incassate a titolo di IVA nel 2008 per il pagamento del debito tributario alla scadenza. Perdono, quindi, di spessore argomentativo le censure svolte nel secondo motivo (oltre che in quelli nuovi presentati dai difensori e riguardanti la presunta omessa valutazione o l'errata valutazione degli elementi costituiti dall'esatto contenuto della relazione ex art. 33 L. Fall., dall'esistenza delle iscrizioni di ipoteca volontaria e dall'effettivo significato del contenuto del ricorso per fallimento presentato da Unicredit) volte a sostenere che furono l'inadempimento di Arosteel nel pagamento della settima ed ultima fattura, unitamente allo smarrimento dell'assegno di 600.000,00 Euro, a determinare la crisi di liquidità societaria. La Corte d'appello, sul punto, ha invece correttamente chiarito come tali elementi, valutati dal secondo giudice, consentissero di provare solo il parziale inadempimento della Arosteel, ma non certo l'idoneità a determinare la crisi di liquidità, escludendo che le difficoltà economiche potessero considerarsi impreviste. Decisivo, sul punto, è il rilievo della Corte d'appello per il quale nel 2008 il ricorrente ebbe ad incassare somme liquide a titolo di IVA per circa 900.00,00 Euro di cui l'imputato non ebbe mai a giustificare l'impiego, nonostante fosse obbligato ad accantonarle per assolvere al debito tributario alla scadenza (per importi, si noti, inferiori rispetto all'IVA incassata, pari a 559.669,00 Euro); ciò quindi correttamente porta ad escludere che il mancato pagamento della settima fattura abbia costituito la causa dell'illiquidità e del mancato pagamento IVA dell'annualità 2008, emergendo invece che l'imputato aveva incassato dall'acquirente dei terreni nel 2008 somme liquide per 4.600.000,00 Euro (a fronte dell'insoluto Arosteel pari ad Euro 1.178.000,00 di cui Euro 120.000,00 stornate successivamente), che, dunque, pur considerato anche lo smarrimento dell'assegno di 600.000,00 Euro, escludevano che potesse considerarsi come improvvisa la crisi di liquidità della società, tenuto conto invero della consistente liquidità incassata nell'anno di imposta in questione. La stessa Corte d'appello, poi, correttamente motiva sul punto osservando come detta liquidità, ivi compresi i 900.000,00 Euro di IVA incassata nel 2008 come dimostrato dai pagamenti eseguiti da Arosteel mediante bonifici, venne utilizzata per altre finalità rimaste ignote, verosimilmente per comparire l'esposizione debitoria preesistente delle società partecipate della San Simeone Holding. E tale distrazione integra all'evidenza quel comportamento doloso "generico" normativamente richiesto per la punibilità del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, consistente nella coscienza e volontà di non versare l'IVA dichiarata alla scadenza, stante la condotta complessivamente tenuta dall'amministratore che, con la propria "mala gestio", trattandosi del mancato accantonamento della liquidità necessaria per il pagamento dell'IVA dichiarata, aveva posto in essere le condizioni per il verificarsi dell'evento dolosamente (anche, come è noto, a titolo di dolo eventuale, come chiarito da questa stessa Corte, in motivazione, nella sentenza Sez. 3, n. 12248 del 22/01/2014 - dep. 14/03/2014, P.M. in proc. Faotto e altri, non massimata sul punto). 10. Fondato, come anticipato, si appalesa il terzo motivo di ricorso, relativo al trattamento sanzionatorio. Ed infatti, la Corte d'appello motiva la determinazione della pena base in misura superiore al minimo editale "in considerazione dell'importo il cui versamento è stato omesso"; sul punto, soprattutto alla luce delle deduzioni difensive svolte nei motivi aggiunti proposti dalla difesa ed in parte in quelli proposti personalmente dal ricorrente - può ritenersi che, effettivamente, alla stregua della novella del 2015 con cui è stata elevata la soglia di punibilità per il reato di omesso versamento IVA ad Euro 250.000,00, rispetto alla soglia che, in relazione al periodo di imposta in contestazione, attribuiva rilevanza penale al fatto (pari ad Euro 103.291,18, in relazione alla declaratoria di incostituzionalità operata dalla sentenza n. 80 del 2014), il disvalore complessivo del fatto debba essere rivalutato, posto che la soglia svolge la propria funzione sul piano della selezione categoriale, incidendo quindi la sua elevazione, ai fini della rilevanza penale del fatto, sul complessivo ed oggettivo disvalore penale del fatto medesimo, donde ciò giustifica la necessità di una rivalutazione della congruità complessiva del trattamento sanzionatorio alla luce del predetto ius superveniens. L'impugnata sentenza dev'essere, pertanto, sul punto annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello perchè proceda a rivalutare la dosimetria della pena in relazione al mutato quadro normativo seguito all'elevazione della soglia di punibilità, tenuto conto dell'ammontare dell'IVA omessa (pari a poco più dell'attuale doppio della soglia di rilevanza penale). 11. Resta da esaminare ancora la questione dell'applicabilità della c.d. particolare tenuità del fatto, della presunta irrilevanza penale dello stesso ed, infine, della questione sollevata in sede di discussione dell'inammissibilità dell'appello del P.G.. 11.1. Orbene, quanto all'applicabilità dell'art. 131 bis cod. pen., fermo restando che sulla compatibilità tra i reati per cui è prevista una soglia di punibilità ed il giudizio di particolare tenuità del fatto è pendente la relativa questione davanti alle Sezioni Unite di questa Corte (ud. 25/02/2016), deve tuttavia rilevarsi come, nel caso di specie, alla luce degli elementi desumibili dalla motivazione dei giudici di merito ed emergenti dall'istruttoria svolta, non può certamente ritenersi in astratto che la condotta del ricorrente sia valutabile in termini di "modesto grado di offensività" come sostenuto dalla difesa, proprio tenuto conto dell'ammontare dell'IVA non versata pari - a seguito della novella del 2015 - ad una somma corrispondente a più del doppio di quella prevista dalla legge quale soglia di punibilità ai fini della rilevanza penale del fatto, anche tenuto conto della giurisprudenza di questa Corte formatasi sul punto. Deve, invero, qui ricordarsi che questa stessa Sezione ha affermato come quando si procede per il reato di omesso versamento dell'Iva, la non punibilità per particolare tenuità del fatto è applicabile solo se l'ammontare dell'imposta non corrisposta è di pochissimo superiore a quello fissato dalla soglia di punibilità, poichè la previsione di quest'ultima evidenzia che il grado di offensività della condotta ai fini della configurabilità dell'illecito penale è stato già valutato dal legislatore (Sez. 3, n. 40774 del 05/05/2015 - dep. 12/10/2015, Falconieri, Rv. 265079 che, in applicazione del principio, ha escluso l'applicabilità dell'istituto di cui all'art. 131 bis cod. pen. per insussistenza dei presupposti sul piano oggettivo con riferimento ad un omesso versamento pari a poco più di 112.000 Euro, a fronte della soglia di punibilità fissata in Euro 103,291,30). 11.2. Quanto, poi, alla deduzione svolta nel motivo aggiunto di ricorso personalmente presentato dal S., con cui è stata sostenuta la presunta irrilevanza penale del fatto - nel senso che a seguito dell'innalzamento della soglia di punibilità, tenuto conto della compensazione tra IVA relativa all'annualità 2009 e credito IVA a debito relativa all'annualità 2008, applicando la compensazione l'IVA effettivamente dovuta sarebbe pari ad Euro 244.369,00, dunque inferiore alla "nuova" soglia -, è sufficiente in questa sede rilevare che si tratta di questione meramente assertiva e che, comunque, implicherebbe da parte di questa Corte di legittimità lo svolgimento di apprezzamenti fattuali, del tutto incompatibili con l'ambito cognitivo di questa S.C. A ciò si aggiunga, peraltro, che, per espressa ammissione dello stesso ricorrente, detta questione è stata per la prima volta sollevata davanti al Giudice di legittimità, pur essendo la stessa già nota al momento della proposizione del ricorso originario, non essendo stata nemmeno dedotta per sostenere la rilevanza sotto il profilo del trattamento sanzionatorio. In ogni caso, e conclusivamente, osserva il Collegio come la censura si appalesa manifestamente infondata, in quanto il profitto del reato si identifica con l'intero ammontare del tributo non versato e, quindi, la rilevanza penale dev'essere valutata in considerazione della singola annualità d'imposta, non rilevando ai fini penali l'applicazione del meccanismo compensatorio quale forma di adempimento dell'obbligazione tributaria. Ciò del resto trova conferma anche nella giurisprudenza di questa Corte che, con riferimento al reato in esame, ha ritenuto legittimo il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, dell'importo corrispondente all'imposta evasa nella sua totalità e non alla sola parte che eccede la soglia di punibilità prevista dalla legge, in quanto il profitto del reato si identifica nell'intero ammontare del tributo non versato (Sez. 3, n. 18308 del 06/02/2014 - dep. 05/05/2014, De Filippis, Rv. 261501; nello stesso senso, con riferimento al reato di indebita compensazione: Sez. 6, n. 6705 del 16/12/2014 - dep. 16/02/2015, Libertone, Rv. 262394). 11.3. Quanto, infine, alla questione dedotta in sede di discussione circa l'inammissibilità dell'appello del P.G. e fondata su una recente decisione di questa Corte (n. 546 del 2016) - secondo cui l'obbligo di motivazione c.d. rafforzata che deve porsi alla base di una sentenza di riforma radicale di una precedentemente adottata, deve trovare la propria legittimazione anche nel motivo di appello che contempli le ragioni giustificative del sovvertito decisum del giudice a quo, non essendo, all'uopo, sufficienti motivazioni pencolanti e riproduttive di temi già ritenuti insufficienti ed inidonei nel precedente grado di giudizio -, la stessa si appalesa infondata proprio alla luce della lettura dei motivi di appello del P.G. allegati dalla difesa del ricorrente alla memoria difensiva depositata in udienza. Ed invero, è proprio il PG appellante ad instradare la (ri)valutazione dei giudici di appello laddove evidenzia come non risultasse adeguatamente dimostrata la reale impossibilità incolpevole all'adempimento e che la circostanza dell'avvenuto smarrimento del titolo di 600.000,00 Euro, richiamata in sentenza, attinente al mancato pagamento della fattura n. 7 da parte della Arosteel non rilevava alla luce dell'importo di quest'ultima ed a fronte di un'IVA complessivamente omessa pari ad oltre 500.000,00 Euro. Anche tale motivo dev'essere, dunque, rigettato. 12. L'impugnata sentenza dev'essere, conclusivamente, annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio - con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di Brescia, divenendo invece irrevocabile l'accertamento sulla responsabilità del ricorrente. P.Q.M. La Corte annulla la sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di BRESCIA. Rigetta nel resto il ricorso. Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 19 gennaio 2016. Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2016
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