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Reati tributari

Omesso versamento IVA: Il mancato incasso di crediti non esclude il dolo del reato di omesso versamento dell'i.v.a.

Omesso versamento IVA

Cassazione penale sez. III, 24/02/2022, n.19651

L'omesso versamento dell'IVA dipeso dal mancato incasso di crediti non esclude la sussistenza del dolo richiesto dal d.lg. n. 74 del 10 marzo 2000, art. 10-ter, trattandosi di inadempimento riconducibile all'ordinario rischio di impresa.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 6 maggio 2021, la Corte di appello di Ancona ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Pesaro del 20 marzo 2019, con la quale l'imputato era stato condannato, per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, perché, in qualità di legale rappresentante di una società, non versava l'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale presentata per il periodo 2014 entro il termine del 29 dicembre 2015, per un ammontare complessivo di Euro 944.137,00. La Corte territoriale, in accoglimento dell'appello del Procuratore generale, ha disposto la confisca delle somme di denaro appartenenti all'imputato, anche per equivalente, fino alla concorrenza di quanto evaso, detratto quanto già versato all'erario anche successivamente alla commissione del reato. 2. Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamentano la mancata acquisizione di prova decisiva e la mancanza di motivazione in riferimento alle richieste di acquisizione ex artt. 238 e 238-bis c.p.p., e di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale formulate con i motivi di appello. Si era chiesta, in particolare, l'acquisizione della sentenza del Tribunale di Pesaro emessa nei confronti dello stesso imputato per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-bis, per omesso versamento delle ritenute fiscali per il medesimo anno di imposta 2014 oggetto del presente procedimento. La difesa afferma che in tale sentenza si era affermata la mancanza della prova del rilascio delle certificazioni ai dipendenti, ma si era anche accertata crisi finanziaria supportata dalla società nel periodo in questione, che non aveva consentito l'accantonamento delle somme necessarie, pur essendosi l'imputato attivato con richieste di prestiti bancari sostenuti da fideiussioni in proprio e da ingenti esborsi personali, nonché da richieste di rateazione al fisco. Si era chiesta, anche, l'acquisizione dei verbali delle deposizioni testimoniali in tale procedimento, sempre allo scopo di dimostrare la situazione di dissesto incolpevole nella quale la società si trovava. La difesa afferma, inoltre, che tali prove erano state acquisite in data successiva alla definizione del giudizio di primo grado, cosicché dovevano essere considerate prove sopravvenute. Oggetto della richiesta di rinnovazione istruttoria era stata anche l'assunzione della testimonianza della dottoressa Crescentini, relativa ai rapporti tra la società, i clienti, i fornitori e le banche, nonché alla situazione finanziaria della società stessa e alle iniziative prese dal legale rappresentante per ripianarne il dissesto e consentire il pagamento dei debiti tributari. Si lamenta che la Corte territoriale avrebbe confermato la decisione di primo grado negando ogni rilevanza alla crisi economico-finanziaria di cui sopra, sia dal punto di vista dell'oggettiva sussistenza del reato, sia dal punto di vista dell'elemento soggettivo dello stesso. 2.2. Con un secondo motivo di censura, si prospettano vizi della motivazione in relazione alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato o dell'esimente della forza maggiore. Si sostiene che - contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d'appello - non vi è alcuna previsione normativa che stabilisca l'obbligo per il contribuente di accantonare le somme riscosse a titolo di Iva. La difesa evidenzia, inoltre, le ragioni della crisi economica, legata ad un contesto di generale crisi del settore produttivo, nonché le iniziative tenute dal legale rappresentante per far fronte a tali crisi (pagg. 18-19 del ricorso). A ciò aggiunge che la crisi economica che ha colpito i clienti principali, i quali hanno lasciati insoluti numerosi debiti, per un importo complessivo di circa due milioni di Euro (pagg. 19-20 del ricorso). Sarebbe erronea la motivazione della Corte d'appello secondo cui, nonostante la crisi finanziaria, il volume d'affari era rimasto molto ingente, perché il fatturato non può essere considerato indice dello Stato e dell'effettiva capacità finanziaria dell'azienda. Si contesta, altresì, l'affermazione della sentenza secondo cui l'azienda avrebbe potuto proficuamente rifornirsi all'estero, perché la Corte d'appello non avrebbe tenuto conto delle effettive caratteristiche del mercato, nel quale è presente un duopolio della fornitura della materia prima. Si sottopone a critica anche il rilievo della sentenza impugnata secondo cui le iniziative anticrisi intraprese dalla società, con richieste alle banche di mutui ipotecari, sarebbero insufficienti e comunque rivolte a ridurre debiti diversi da quelli erariali. Vi sarebbe, poi, un travisamento del fatto dell'affermazione secondo cui la richiesta di mutuo del 26 maggio 2015 sarebbe inidonea ad appianare il debito tributario che andava a scadere - a fini penali - nel successivo dicembre. Diritto CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso - i cui motivi possono essere trattati congiuntamente - è fondato. 1.1. Secondo il maggioritario orientamento di questa Corte, di regola, l'omesso versamento dell'IVA dipeso dal mancato incasso per inadempimento contrattuale dei propri clienti non esclude la sussistenza del dolo richiesto dal D.Lgs. n.74 del 10 marzo 2000, art. 10-ter, atteso che l'obbligo del predetto versamento prescinde dall'effettiva riscossione delle relative somme e che il mancato adempimento del debitore è riconducibile all'ordinario rischio di impresa, evitabile anche con il ricorso alle procedure di storno dai ricavi dei corrispettivi non riscossi (Sez. 3, n. 6506 del 24/09/2019, dep. 2020, Rv. 278909; Sez. 3, n. 6220 del 23/01/2018, Rv. 272069, ove si osserva che, tranne i casi di applicabilità del regime di "IVA per cassa", l'obbligo penalmente sanzionato è ordinariamente svincolato dalla effettiva riscossione delle somme-corrispettivo relative alle prestazioni effettuate). Si è tuttavia talvolta affermato che, in taluni casi, può essere escluso il dolo generico nell'ipotesi in cui l'omesso versamento derivi dalla mancanza della necessaria liquidità dovuta al mancato incasso delle fatture emesse con l'addebito d'imposta (Sez. 3, n. 29873 del 01/12/2017, dep. 2018, Calabrò, Rv. 273690). 1.2. A proposito dell'elemento soggettivo del reato di omesso versamento di IVA, va ribadito che è sufficiente il dolo generico (Sez. 3, n. 3098 del 05/11/2015, dep. 2016, Rv. 265939), configurabile anche nella forma del dolo eventuale (Sez. 3, n. 34927 del 24/06/2015, Rv. 264882), integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità, a nulla rilevando i motivi della scelta dell'agente di non versare il tributo (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Rv. 263127), mentre l'inadempimento della obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all'imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, Rv. 263128). In particolare, nel reato di omesso versamento di Iva, ai fini dell'esclusione della colpevolezza è irrilevante la crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo (Sez. 3, n. 2614 del 06/11/2013, dep. 2014, Rv. 258595), anche attingendo al patrimonio personale (Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, dep. 2014, Rv. 258055; Sez. 3, n. 43599 del 09/09/2015, in motivazione). 1.3. La successiva giurisprudenza di legittimità ha temperato i principi di cui sopra, affermando che l'omesso versamento dell'IVA dipeso dal mancato incasso di crediti non esclude la sussistenza del dolo richiesto dal D.Lgs. n. 74 del 10 marzo 2000, art. 10-ter, trattandosi di inadempimento riconducibile all'ordinario rischio di impresa, sempre che tali insoluti siano contenuti entro una percentuale da ritenersi fisiologica (Sez. 3, n. 31352 del 05/05/2021, Rv. 282237, la quale ha ritenuto non fisiologica una presenza di insoluti per circa il 43% del fatturato, cui era seguita una gravissima crisi di liquidità). 2. Tali principi trovano applicazione nel caso di specie in cui, nell'atto di appello l'imputato aveva allegato una serie di elementi di prova emersi dall'istruzione dibattimentale e aveva richiesto la rinnovazione della stessa per l'acquisizione di ulteriori elementi, ritenuti decisivi in quanto relativi all'assoluzione dell'imputato per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-bis, per il medesimo periodo di imposta, nonché all'accertamento in altri procedimenti dell'esistenza della crisi, dell'entità e consistenza degli sforzi effettuati per fronteggiarla, della presenza di insoluti rilevantissimi da parte dei principali clienti. A fronte di tali circostanze - che, secondo i principi giurisprudenziali richiamati, avrebbero dovuto essere compiutamente valutate ai fini della colpevolezza - la Corte d'appello non ha provveduto alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, ritenendola immotivatamente superflua né ha tenuto conto dei dati istruttori a sua disposizione, così incorrendo nei vizi di mancanza e manifesta illogicità della motivazione, posto che in sentenza: - si sostiene illogicamente che il supplemento istruttorio richiesto è privo di decisività, a fronte della molteplicità degli elementi fattuali o valutativi offerti dalla relazione di consulenza di parte, mentre l'appellante aveva fatto preciso riferimento ai documenti e i verbali di altri procedimenti rilevanti ai fini della decisione sulla natura e le circostanze della crisi economica, nonché sul comportamento dell'imputato per fare fronte alla stessa; - si aggiunge, con passaggi non sufficientemente argomentati, che l'imputato avrebbe dato preferenza ad altri pagamenti pretermettendo il versamento delle imposte all'erario; - si attribuisce rilievo, a fronte di una perdita del fatturato di circa il 25% tra il 2013 e 2014, ad un elemento, quale la conservazione di un volume di affari di 19 milioni di Euro, di per sé neutro, se non adeguatamente contestualizzato e circostanziato, ai fini della verifica dell'effettiva sussistenza di uno stato di crisi d'impresa; - non vi è adeguata motivazione circa il ricorso dell'imputato al credito e circa le ragioni di tale ricorso e le relative tempistiche, in relazione alla volontà di estinguere i debiti tributari; - non vi è un'adeguata valutazione della dettagliata prospettazione difensiva secondo cui vi erano rilevantissimi insoluti da parte dei principali clienti, mentre la sentenza asserisce che la riscossione non è in discussione nel caso di specie (pag. 14); - quanto al mutamento, sfavorevole alla società dell'imputato, delle condizioni e dei prezzi di fornitura della materia prima, la sentenza si limita alla valorizzazione in senso negativo della mancanza di ricerca di alternative di mercato, in realtà puramente ipotetiche ed eventuali. 3. La sentenza impugnata va pertanto annullata, con rinvio alla Corte di appello di Perugia, perché proceda a nuovo giudizio, rivalutando sia la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale sia il quadro istruttorio già presente in atti, alla luce dei principi sopra delineati. PQM P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Perugia. Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2022. Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2022
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