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Reati tributari

Omesso versamento IVA: il mancato incasso per inadempimento contrattuale di un cliente non esclude il dolo

Omesso versamento IVA

Cassazione penale , sez. III , 16/10/2019 , n. 5513

In tema di reati tributari, qualora un gruppo societario eserciti l'opzione per il regime fiscale del consolidato nazionale, disciplinato dagli artt. 117 e ss. d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 , testo unico delle imposte sui redditi, è configurabile la responsabilità della società consolidante, e per essa dei suoi amministratori, per il reato di omesso versamento di i.v.a. di cui all' art. 10-ter d.lg.17 marzo 2000, n. 74 , anche nel caso della mancata corresponsione delle imposte dovute dalle società controllate.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO Con sentenza del 13 febbraio 2019, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza con la quale, il precedente 21 marzo 2018, il Tribunale di Milano aveva dichiarato la penale responsabilità di M.F. in ordine al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, per avere, in qualità di amministratore unico della Limousine 8.4 Coach Company Srl, omesso di versare l'IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale relativa all'anno di imposta 2012 per un importo pari ad Euro 276.428,00 e lo aveva, pertanto, condannato alla pena ritenuta di giustizia. Ha interposto ricorso per cassazione la difesa del prevenuto, affidandolo a tre motivi di ricorso. Il primo motivo riguarda la violazione di legge per avere i giudici del merito ritenuto integrato il reato contestato, sebbene il M. non avesse, nella spiegata qualità, riscosso le somme che avrebbe successivamente dovuto versare a titolo di IVA; il motivo di doglianza può essere riassunto nella seguente proposizione contenuta nel ricorso: "Poiché la rilevanza penale dei reati di omesso versamento si fonda sull'aspetto appropriativo di somme cui è stata impressa per legge una certa destinazione, se l'imprenditore non ha riscosso l'IVA, poiché non ha ricevuto i pagamenti ai quali l'imposta si riferisce, non può essere tacciato di mancato versamento della imposta". Il secondo motivo di impugnazione concerne, sempre con riferimento al vizio di violazione di legge, oltre che a quello di motivazione, la ritenuta sussistenza dell'elemento psicologico del reato in questione, avendo i giudici del merito ritenuto che l'imputato abbia piuttosto preferito corrispondere i trattamenti economici ai proprio dipendenti che non versare le imposte; la circostanza riferita sarebbe, secondo l'avviso del ricorrente, priva di rispondenza al vero, non essendo stata prospettata siffatta situazione in sede difensiva, essendo l'omesso versamento delle imposte dovuto esclusivamente alla crisi di liquidità cui l'impresa del ricorrente era andata incontro. Il terzo motivo attiene al vizio di violazione di legge e di motivazione relativamente alla mancata qualificazione del fatto come non punibile ai sensi dell'art. 131-bis c.p., avendo la Corte fondato la propria decisione negativa rispetto alle allegazioni del ricorrente unicamente in funzione della entità della omissione tributaria. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è risultato infondato e, pertanto, esso deve essere rigettato. Infondato è, infatti, il primo motivo di impugnazione formulato dal ricorrente; questi ha, infatti, tacciato di illegittimità, sotto il profilo della violazione di legge, la sentenza impugnata per essere stata in essa affermata la penale responsabilità dell'imputato in ordine all'omesso versamento dell'IVA, sebbene egli non abbia riscosso dal proprio avente causa la somma che egli avrebbe dovuto, poi, riversare all'Erario a titolo di imposta. Il motivo di impugnazione, il quale presupporrebbe un meccanismo di applicazione della imposta in questione che ne preveda la dovutezza a carico del contribuente inciso da ultimo da essa solo in quanto egli la abbia, a sua volta riscossa dal suo avente causa, è infondato. Come è stato, infatti, ancora di recente ricordato in sede tributaria, in tema di IVA, ai fini della variazione dell'imponibile in senso favorevole al contribuente, devono ricorrere i seguenti presupposti: a) la realizzazione di un'operazione imponibile, per la quale sia stata emessa fattura; b) il sopravvenire di una causa di scioglimento del contratto; c) la sussistenza di un titolo idoneo a realizzare gli effetti risolutori del precedente contratto; d) l'identità delle parti dell'accordo risolutorio e del negozio oggetto di risoluzione consensuale; e) il regolare adempimento degli obblighi di registrazione previsti dal D.P.R. n. 633 del 1972; f) un lasso di tempo infrannuale, entro il quale deve verificarsi la vicenda risolutiva, qualora essa trovi titolo in un accordo di mutuo dissenso (Corte di cassazione, Sezione V civile, 18 gennaio 2019, n. 1303). Nel caso che interessa il complesso meccanismo sopra delineato non risulta essersi realizzato, essendo semplicemente emerso che il M., pur avendo presentato regolarmente per l'anno di imposta 2012 la dichiarazione IVA, nella spiegata qualità di legale rappresentante della Limousine 8.4 Coach Company SrI, ha tuttavia omesso di versare gli importi relativi alla imposta in tal modo risultanti. D'altra parte la giurisprudenza di questa Corte ha, ancora di recente, ribadito che il reato omissivo previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter è integrato già dal semplice mancato versamento all'erario delle somme che risultino dovute sulla base della dichiarazione annuale che sia stata a tal fine presentata; siffatto obbligo, si è osservato, è ordinariamente svincolato, tranne i casi di applicabilità del regime di "Iva per cassa", dall'effettiva riscossione delle somme di cui il contribuente è creditore in quanto rappresentano il corrispettivo delle prestazioni che costituiscono il presupposto per l'applicabilità della imposta (Corte di cassazione, Sezione III penale, 9 febbraio, 2018, n. 6220; idem Sezione III penale, 3 maggio 2013, n. 19099). Prendendo posizione in relazione al secondo motivo di ricorso, riguardante la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la Corte di Milano nell'aver ritenuto ricorrere nel caso in esame l'elemento soggettivo del reato contestato al M., ritiene questo Collegio, discostandosi da una recente pronunzia resa in materia, che l'omesso versamento dei corrispettivi dovuti dal consumatore finale del bene o del servizio la cui prestazione costituisce il presupposto della imposta, neppure vale ad escludere la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato ora contestato. Al proposito si rileva come sia stato, invece, recentemente sostenuto che ai fini dell'accertamento del dolo generico del delitto di omesso versamento di IVA di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter occorre ravvisare la concreta possibilità di adempiere il pagamento nei termini di legge, che costituisce il presupposto della sussistenza della volontà del soggetto obbligato di non effettuare il versamento dovuto, con la ulteriore precisazione che va escluso il dolo generico nell'ipotesi in cui l'omesso versamento derivi dalla assenza della necessaria liquidità dovuta al mancato incasso delle fatture emesse con l'addebito d'imposta (Corte di cassazione, Sezione III penale, 3 luglio 2018, n. 29873). Siffatto principio, appare non in linea con le dianzi riportate indicazioni, cui invece si ritiene opportuno dare continuità, derivanti sia dalla giurisprudenza propriamente tributaria, la quale, per come dianzi osservato, non risulta affatto ancorare la sussistenza del presupposto per l'affermazione della dovutezza del pagamento dell'IVA da parte del contribuente tributariamente inciso da essa all'avvenuta rimessa della relativa provvista da parte del soggetto finanziariamente tenuto a tenere indenne il suo dante causa dagli effetti dell'imposta, che con la ampiamente prevalente giurisprudenza di questa stessa Corte penale che, oltre a disancorare, come sopra rilevato, la struttura del reato dall'effettiva riscossione da parte del contribuente delle somme che egli sarà tenuto a versare a titolo di Iva, ha, in svariate occasioni, anche assai prossime nel tempo, ribadito che la colpevolezza del contribuente, in caso di omesso versamento dell'IVA risultante dalla dichiarazione presentata non è esclusa dalla crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, anche se derivante dall'omesso versamento da parte dei fruitori dei suoi beni o servizi della necessaria provvista finanziaria, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate da quello tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo e, nel caso in cui l'omesso versamento dipenda dal mancato incasso dell'IVA per altrui inadempimento, non siano provati i motivi che hanno determinato l'emissione della fattura antecedentemente alla ricezione del corrispettivo (Corte di cassazione, Sezione III penale, 29 maggio 2019, n. 23796; idem Sezione III penale, 29 ottobre 2015, n. 43599). Nel presente caso, ritiene il Collegio, che non vi sia ragione per distaccarsi dalla prevalente indicazione giurisprudenziale, atteso che, per un verso, non risulta che il ricorrente abbia dato prova di avere compiuto tutto quanto era in suo potere onde evitare di incorrere nella omissione tributaria, cosa che avrebbe potuto fare attivando le opportune procedure relative allo storno dai redditi imponibili dei corrispettivi, soggetti ad IVA, non riscossi, e per altro, e più generale, verso, ove si osservi che, in linea generale, per l'imprenditore il rischio della insolvenza da parte del debitore è un fattore ordinariamente riconducibile al rischio di impresa, tale, pertanto, da non integrare di regola un fattore idoneo ad escludere il dolo del reato ora in questione, dovendo egli approntare in via generale, laddove il fenomeno non assuma aspetti macroscopicamente diffusi e generalizzati, gli appropriati e prudenziali strumenti preventivi per fare fronte, anche in relazione alle obbligazioni tributarie, agli eventuali inadempimenti contrattuali dei propri clienti. Concludendo l'esame del secondo motivo di impugnazione, rileva il Collegio che esso è in ogni caso privo di pregio, posto che, stante la natura meramente generica del dolo richiesto per la commissione del reato in questione, la integrazione del reato medesimo si ha in quanto il soggetto agente abbia avuto la coscienza e volontà di non adempiere alla obbligazione tributaria su di lui gravante. Dovendosi, peraltro, escludere che, nel caso in esame, l'agente abbia agito, secondo quanto dianzi esposto, poiché sospinto dallo stato di necessità, si osserva che, quali che siano state le ragioni che hanno indotto l'imputato alla contestata condotta - siano state quello ritenute, sia pur erroneamente, dalla Corte di merito, cioè ò avere privilegiato taluni pagamenti al posto di altri, siano state, invece, quelle dedotte dalla difesa del M., cioè l'assoluta carenza di liquidità stante la mancata riscossione dei crediti maturati - il fattore non ha alcuna incidenza in ordine alla sussistenza o meno della responsabilità penale in capo a quello e, di conseguenza, quanto alla tenuta motivazionale della sentenza impugnata. Riguardo, infine, al terzo motivo di impugnazione, relativo alla censurata inapplicabilità della causa di non punibilità dettata dall'art. 131-bis c.p., inapplicabilità argomentata dalla Corte di merito sulla esclusiva base della entità della imposta evasa, pari a oltre 275.000,00 Euro, senza che siano stati considerati altri elementi di valutazione da cui fa discendere un giudizio di particolare tenuità del fatto, rileva il Collegio come sia ben vero che, secondo il prevalente orientamento di questa Corte (che, sebbene in passato sporadicamente contrastato - cfr. infatti: Corte di cassazione, Sezione III penale, 29 dicembre 2015, n. 51020 - qui si intende in linea di principio confermare), non è incompatibile con la applicazione della fattispecie invocata dal ricorrente l'esistenza di una soglia normativamente precostituita di rilevanza penale del fatto. In tali ipotesi, si è osservato, ai fini della punibilità del fatto è compito del giudice valutare anche ulteriori elementi quali le modalità della condotta, l'esiguità del danno o del pericolo da essa derivante ed il grado di colpevolezza, avendo, altresì, precisato la Corte che in siffatte ipotesi l'entità del disvalore del fatto va considerato facendo riferimento alla sola esuberanza rispetto al valore soglia al di sotto del quale è esclusa non la sola punibilità ma la stessa rilevanza penale del fatto (cfr., infatti: Corte di cassazione, Sezione III penale, 28 dicembre 2018, n. 58442; e, per tutte, sul punto: Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 6 aprile 2016, n. 13681). Deve, tuttavia, considerarsi che in una tale fattispecie - cioè laddove già sia stata stabilita dal legislatore una soglia di rilevanza penale della condotta, logicamente connessa alla astratta valutazione del grado di potenziale elasticità della sacrificabilità del bene interesse tutelato dalla norma - il criterio di valutazione della particolare tenuità del fatto, ove i suoi caratteri siano esuberanti rispetto alla preordinata soglia di punibilità, deve essere estremamente rigoroso, potendo essere ritenuto il fatto comunque non punibile solo in quanto - in particolare ove si tratti di omissioni tributarie e comunque di inadempienze rispetto ad obbligazioni di diritto pubblico aventi un contenuto finanziario - la omissione patrimoniale abbia riguardato un ammontare di poco superiore alla soglia di punibilità (Corte di cassazione, Sezione III penale, 25 marzo 2019, n. 12906), sicché, ove la entità del valore della omissione tributaria sia, invece, sensibilmente superiore alla soglia di punibilità già fissata dal legislatore, non ha alcuna incidenza, trattandosi di verifica inutile e priva di interesse, l'esame dei restanti parametri di valutazione concernenti gli ulteriori profili della condotta posta in essere (Corte di cassazione, Sezione III penale, 5 aprile 2019, n. 15020). Poiché nel caso di specie la Corte di Milano, con valutazione discrezionale certamente non censurabile, dato il suo contenuto, sotto il profilo della plausibilità, ha rilevato che nella specie la tracimazione fra la soglia di punibilità prevista dal legislatore e l'ammontare della imposta evasa è stata considerevolmente rilevante, in quanto superiore a 26.000,00 Euro, somma pari, fra l'altro ad oltre il 10% del valore soglia, non appare illegittima la scelta da tale giudice operata di escludere l'applicabilità rispetto alla presente fattispecie della particolare ipotesi di non punibilità prevista dall'art. 131-bis c.p.. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato ed il ricorrente, visto l'art. 616 c.p.p., va condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 24 settembre 2019. Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2020
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