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Omesso versamento IVA: il mancato incasso per inadempimento contrattuale non esclude la sussistenza del dolo

Omesso versamento IVA

Cassazione penale , sez. III , 19/05/2022 , n. 27202

In tema di reati tributari, l'omesso versamento dell'IVA dipeso dal mancato incasso per inadempimento contrattuale non esclude la sussistenza del dolo richiesto dall' art. 10-ter d.lg. 10 marzo 2000, n. 74 , atteso che l'obbligo del predetto versamento prescinde dall'effettiva riscossione delle relative somme e che il mancato adempimento del debitore è riconducibile all'ordinario rischio di impresa, evitabile anche con il ricorso alle procedure di storno dai ricavi dei corrispettivi non riscossi.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 1/4/2021, la Corte di appello di Napoli confermava la pronuncia emessa il 29/10/2019 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con la quale N.D. era stato riconosciuto colpevole del delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 10 marzo 2000, art. 10-ter, e condannato alla pena di otto mesi di reclusione. 2. Propone ricorso per cassazione il N., a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi: - con la prima, ampia censura, si contesta la motivazione della sentenza nella parte in cui ha escluso la scriminante della forza maggiore, della quale, invece, sarebbero stati presenti - e documentati - tutti i presupposti, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte. Il ricorrente, infatti, dopo aver stipulato contratti di appalto, avrebbe visto numerosi committenti venire meno ai propri obblighi, tra il 2011 ed il 2012, così verificandosi un'improvvisa ed imprevedibile crisi di liquidità; a questa, peraltro, il N. avrebbe cercato di porre rimedio, anche con mezzi personali, senza tuttavia riuscirvi, tanto da chiedere l'autofallimento. La sentenza, inoltre, affermerebbe che l'imputato avrebbe emesso fatture "con leggerezza", senza però considerare che la normativa di settore (D.P.R. n. 633 del 1972 art. 3, comma 3, art. 6, comma 3, art. 21,) obbligava alla stessa emissione prima della riscossione del corrispettivo, con ogni conseguenza anche di natura fiscale. Tutto ciò avrebbe poi evidenti ricadute anche sul dolo, che la Corte di appello non avrebbe in realtà riconosciuto; anzi, la responsabilità del ricorrente sarebbe stata affermata solo per colpa - un rimprovero di imprudenza e negligenza - così difettando il profilo psicologico imposto dalla natura del reato; - violazione di legge e vizio di motivazione, infine, si lamentano quanto alla pena irrogata, peraltro distante - senza alcuna giustificazione - dal minimo edittale. CONSIDERATO IN DIRITTO 3. Il ricorso risulta manifestamente infondato. 4. Secondo il maggioritario e condiviso orientamento di questa Corte, l'omesso versamento dell'IVA dipeso dal mancato incasso per inadempimento contrattuale dei propri clienti non esclude la sussistenza del dolo richiesto dall'art. 10-ter del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, atteso che l'obbligo del predetto versamento prescinde dall'effettiva riscossione delle relative somme e che il mancato adempimento del debitore è riconducibile all'ordinario rischio di impresa, evitabile anche con il ricorso alle procedure di storno dai ricavi dei corrispettivi non riscossi (Sez. 3, n. 6506 del 24/09/2019, Mattiazzo, Rv. 278909; Sez. 3, n. 6220 del 23/01/2018, Ventura, Rv. 272069, ove si osserva che, tranne i casi di applicabilità del regime di "IVA per cassa", l'obbligo penalmente sanzionato è ordinariamente svincolato dalla effettiva riscossione delle somme-corrispettivo relative alle prestazioni effettuate). 5. Con riguardo, ancora, all'elemento soggettivo del reato, va ribadito che è sufficiente il dolo generico (Sez. 3, n. 3098 del 05/11/2015, Vanni, Rv. 265939), configurabile anche nella forma del dolo eventuale (Sez. 3, n. 34927 del 24/06/2015, Alfieri, Rv. 264882), integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità, a nulla rilevando i motivi della scelta dell'agente di non versare il tributo (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, Schirosi, Rv. 263127), mentre l'inadempimento della obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all'imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Sez. 3, n. 8352/2015 del 24/06/2014, Schirosi, Rv. 263128). 6. In particolare, nel reato di omesso versamento dell'IVA, ai fini dell'esclusione della colpevolezza è irrilevante la crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo (Sez. 3, n. 2614 del 06/11/2013, Rv. 258595), anche attingendo al patrimonio personale (Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055; Sez. 3, n. 43599 del 09/09/2015). Ne' la mancata riscossione di crediti costituisce circostanza idonea ad escludere il dolo, posto che si tratta di eventi che rientrano nel normale rischio di impresa (Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014, Zanchi, in motivazione). 7. Tanto premesso in termini generali, il Collegio ritiene che i Giudici del merito abbiamo fatto corretta applicazione di questi principi, riconoscendo il mancato versamento dell'IVA come frutto di una decisione consapevole e voluta dal ricorrente, quantomeno nei termini del dolo eventuale: in particolare, è stato evidenziato - con argomento in fatto che questa Corte non può ulteriormente esaminare - che: a) il N. aveva dichiarato, nel corso dell'interrogatorio, di aver fatturato con leggerezza, senza aver effettivamente incassato i corrispettivi e, dunque, accettando il rischio di inadempimento del debitore; b) le evenienze descritte - e documentate - con riguardo alla crisi di liquidità della società si riferivano (solo) in parte all'anno 2012, in parte al 2013, così da non poter avere - queste ultime - diretta attinenza alla contestazione in esame, mossa al dicembre 2012. 8. In senso contrario, peraltro, non rivestivano rilievo decisivo neppure le argomentazioni oggetto di gravame, che il ricorrente lamenta non essere state esaminate: a) la società era stata messa in liquidazione nell'ottobre 2013, l'istanza di concordato preventivo era stata depositata nel dicembre 2013 e quella di fallimento il 5/3/2014: eventi - tutti - verificatisi ben oltre il termine ultimo per il versamento dell'IVA 2011, risultante dalla dichiarazione presentata; b) l'inadempimento contrattuale ad opera di alcune delle società committenti: ebbene, nel gravame - poi ripreso nel ricorso - non ne erano stati indicati adeguatamente i riferimenti temporali ("Proprio nel periodo tra la maturazione del debito del 2011 e la scadenza ultima per il suo adempimento"), né l'effettiva incidenza rispetto al volume d'affari della società. Peraltro, anche alcune delle iniziative adottate dal N., come le lettere di sollecito, risultavano riferibili solo in parte nel 2012, ed altre nel 2013, così come le cambiali rimaste insolute erano state consegnate solo nel gennaio 2013, per quanto indicato dallo stesso ricorrente. La medesima genericità, inoltre, aveva interessato il riferimento ad altre delle committenti inadempienti, così come quello alle iniziative che il N. avrebbe adottato per reperire liquidità: l'unico richiamo, in tal senso, era alla chiusura dell'unità operativa in Selvazzano Dentro, per la quale l'istanza di cancellazione dal registro delle imprese era stata presentata, tuttavia, soltanto nell'ottobre 2013, ossia - ancora - ben oltre il termine per il versamento di cui alla rubrica. Con riguardo, infine, ai contratti di garanzia ed alle polizze assicurative, dei quali si sconosce in questa sede la data, il ricorso - come, prima, il gravame - non ne aveva evidenziato la diretta incidenza sul mancato versamento dell'IVA in rubrica, ancora in termini cronologici e quantitativi, così emergendo una censura in fatto priva della necessaria specificità. Le sentenze di cognizione, pertanto, non meritano censura in punto di responsabilità, nella parte in cui hanno escluso la forza maggiore - perché non adeguatamente provata - con argomento congruo, legato ad oggettivi elementi istruttori e non manifestamente illogico. 9. Con riguardo, infine, al trattamento sanzionatorio, la Corte di appello ha sottolineato che al N. erano state riconosciute le circostanze attenuanti generiche, e che l'individuazione di una pena base in misura (di poco) superiore al minimo edittale si giustificava con l'entità dell'IVA evasa, pari a 378.000 Euro, ossia un importo di non poco superiore alla soglia di punibilità. 10. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto, il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 19 maggio 2022. Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2022
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