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Reati tributari

Omesso versamento Iva: quando è irrilevante la crisi aziendale ai fini della punibilità

Omesso versamento IVA

Cassazione penale sez. III, 07/06/2018, n.39211

Dal momento che l'elemento soggettivo relativo al reato in esame è costituito dal dolo generico, inteso quale mera consapevolezza dell'illiceità della condotta omissiva finale, senza cioè essere caratterizzato da una specifica finalità di evasione, è l'insussistenza concreta della possibilità di adempiere il pagamento, costituita dalla mancata riscossione dei pagamenti dalla controparte, dell'operazione commerciale in relazione alle prestazioni fatturate e dal doveroso accantonamento dell'IVA in vista della scadenza del debito erariale, che costituisce, come già affermato da questa Corte, indefettibile presupposto della sussistenza della volontà in capo al soggetto obbligato di non effettuare nei termini il versamento dovuto

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Omesso versamento Iva: quando è irrilevante la crisi aziendale ai fini della punibilità

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1.Con sentenza in data 14.6.2017 la Corte di Appello di Milano ha confermato la penale responsabilità di T.P.M.O. per i reati di cui agli artt. 10-bis e 10-ter d.lgs. 74/2000 per non avere, in qualità di amministratore unico della (OMISSIS) s.p.a., a partire dal 20.10.2008 versato l'IVA relativa agli anni di imposta 2009 e 2010 per un ammontare per entrambe le due annualità superiore alla soglia di punibilità (Euro 462.274 per il 2009 ed Euro 513.959 per il 2010), nè le ritenute relative all'anno di imposta 2011 risultanti dalle certificazioni rilasciate ai dipendenti per un ammontare di Euro 205.720, condannandolo alla pena di un anno di reclusione. Avverso il suddetto provvedimento l'imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando due motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p.. Con il primo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 10 bis e 10 ter, che la Corte territoriale, pur dando atto che la società versava in un grave crisi finanziaria, che questa fosse imputabile al noto scenario dell'epoca e all'aumento significativo degli insoluti, che l'imputato si fosse attivato per il superamento dell'impasse imprenditoriale mediante l'avvio di un sistema di distribuzione della merce che prevedeva la sostituzione degli esercizi di proprietà di terzi con propri negozi monomarca, che la mancata e non prevedibile erogazione del mutuo da parte del Banco Popolare avesse determinato un'incolpevole condizione di illiquidità in relazione all'omesso versamento IVA del 2010, che il T. avesse impiegato per far fronte alla crisi ingenti risorse economiche personali, perveniva tuttavia all'affermazione di colpevolezza proprio sulla base delle immissioni di liquidità effettuate da quest'ultimo, ritenute il frutto di una sua precipua scelta imprenditoriale. Sostiene la difesa che siffatta conclusione si ponga in palese contrasto con i principi fissati in materia dalla giurisprudenza, secondo i quali in presenza di una crisi di liquidità non imputabile all'imputato e del ricorso da parte di costui a tutte le misure anche personali idonee a fronteggiarla, si impone al giudice una valutazione complessiva della vicenda in cui l'accertamento dell'elemento soggettivo del reato deve essere parametrato all'esigibilità in concreto del comportamento doveroso, dovendo perciò essere esclusa la rilevanza penale del fatto quando il contribuente dimostri, come nel caso di specie, di essersi trovato nell'impossibilità di adempiere alle obbligazioni tributarie. 3. Con il secondo motivo deduce, in relazione al vizio motivazionale, la contraddittorietà delle argomentazioni spese che, in relazione alla scelta imprenditoriale intrapresa con l'avvio della creazione dei negozi monomarca, da un lato evidenziano la ragionevolezza della scelta e dall'altro censurano il rilevante impegno finanziario ad essa conseguente, così come e immissioni di liquidità personalmente effettuate dall'imputato vengono da un canto valorizzate per l'impegno profuso dal titolare della gestione e dall'altro assunte come la prova che avrebbe consentito all'imputato di onorare il debito tributario, di cui viene perciò esclusa l'impossibilità di adempimento. La libertà di scelta sottesa alla pronuncia di condanna disvela ad avviso della difesa un ragionamento manifestamente illogico venendo spacciata per volontaria un'opzione invece necessitata dall'unico obiettivo di evitare una cessazione ineluttabile della stessa attività di impresa e conseguente chiusura dell'azienda. CONSIDERATO IN DIRITTO I due motivi di ricorso devono essere esaminati congiuntamente afferendo entrambi all'inconfigurabilità dei reati ascritti all'imputato. In relazione all'eccepita carenza dell'elemento soggettivo, tale da escludere a detta del ricorrente l'esigibilità dell'adempimento, deve rilevarsi in primo luogo che la sentenza impugnata evidenzia, pur nell'andamento negativo ingravescente della società amministrata dall'imputato, come negli anni tra il 2009 ed il 2011 gli insoluti da parte dei debitori non superassero una media del 20% cui si accompagnava, in misura inferiore, una riduzione del volume di affari. Siffatta rilevazione di dati, non specificamente contestata dal ricorrente, esclude di per sè che la società versasse in condizioni tali da rendere inesigibile una condotta alternativa a quella posta in essere dal suo amministratore con riferimento all'omesso versamento IVA: a fronte degli accantonamenti che era costui era chiamato ad effettuare sugli incassi per la parte corrispondente al tributo IVA rispetto al termine fissato per il versamento, intanto può ritenersi sussistente una situazione di illiquidità rilevante ai fini del reato di cui all'art. 10 ter, in quanto si registri il mancato incasso, in misura pressochè integrale, delle fatture emesse, con l'addebito dell'IVA, riferite agli anni di imposta contestati. Dal momento infatti che l'elemento soggettivo relativo al reato in esame è costituito dal dolo generico, inteso quale mera consapevolezza dell'illiceità della condotta omissiva finale, senza cioè essere caratterizzato da una specifica finalità di evasione (non richiedendo la norma, quale ulteriore requisito, un atteggiamento antidoveroso di volontario contrasto con il precetto violato: Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014 - dep. 25/02/2015, Schirosi, Rv. 263127), è l'insussistenza concreta della possibilità di adempiere il pagamento, costituita dalla mancata riscossione dei pagamenti dalla controparte, dell'operazione commerciale in relazione alle prestazioni fatturate e dal doveroso accantonamento dell'IVA in vista della scadenza del debito erariale, che costituisce, come già affermato da questa Corte, indefettibile presupposto della sussistenza della volontà in capo al soggetto obbligato di non effettuare nei termini il versamento dovuto (Sez. 3, n. 40352 del 16.7.2015, Dorio, non mass.; v. anche Sez. 3 n.15176 del 6.2.2014, PG c. Iaquinangelo, non mass.). In ogni caso poichè il dolo generico accomuna il reato de quo a quello di cui all'art. 10 bis, del medesimo decreto legislativo (Sez. 3, n. 25875 del 26/05/2010 - dep. 07/07/2010, Olivieri, Rv. 248151), l'inesigibilità di una condotta alternativa rispetto a quella omissiva adottata dall'imputato impone, in presenza di una grave situazione di crisi aziendale quale quella invocata nella specie, specifici oneri di allegazione e di prova che vanno al di là della contingenza negativa incontrata dalla società, dovendo estendersi all'impossibilità, da valutarsi in concreto, di onorare i pagamenti dovuti quale soggetto IVA o sostituto di imposta del personale dipendente. Occorre cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, se del caso anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014; Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, Tonti Sauro; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055). Tale impossibilità non è configurabile, sulla base delle stesse prospettazioni del ricorrente, nella fattispecie in esame in cui la sua scelta omissiva è dipesa da una precisa strategia aziendale, che ancorchè necessitata al fine di tentare il salvataggio della società, non presupponeva la mancanza della liquidità necessaria ad onorare i debiti maturati nei confronti dell'Erario, avendo costui anche con l'ausilio materiale degli altri soci provveduto, di certo dando prova di coscienza e sacrificio personale, ad immettere a seguito del mancato finanziamento da parte dell'istituto bancario, nuova liquidità nell'azienda: quand'anche la causa dei nuovi versamenti sia stata la mancata erogazione del finanziamento, almeno per i pagamenti riferiti al 2010, su cui l'imputato aveva fatto affidamento al fine di incrementare la distribuzione dei propri prodotti attraverso la costituzione, comportante un ragguardevole impegno finanziario, di punti di vendita facenti capo direttamente all'azienda, non vi è dubbio che le nuove immissioni di liquidità, già effettuate l'anno precedente in cui il conseguimento del finanziamento non era ancora previsto, onde inconsistente si appalesa comunque l'argomento difensivo con riferimento all'omesso versamento dell'IVA per l'anno 2009, si siano ripetute l'anno successivo. A fronte di tale provvista che, ammontando per l'anno 2010 ad oltre Euro 800.000, era certamente idonea a fronteggiare il debito di imposta, è indubbio che la strategia imprenditoriale perseguita dall'imputato, e dunque la scelta effettuata dal T., sia stata la ragione che lo ha indotto a privilegiare il progetto di espansione rispetto al versamento delle somme dovute all'erario, non essendo le somme liquide di cui disponeva sufficienti a coprire entrambe le voci di spesa. Non è dunque alla mancanza di liquidità che può essere ascritta la condotta omissiva del prevenuto, bensì ad una sua specifica scelta imprenditoriale che in quanto tale non consente di ritenere insussistente l'elemento soggettivo del reato. Il ricorso deve essere pertanto rigettato, seguendo a tale esito la condanna, a norma dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 7 giugno 2018. Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2018
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