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Reati tributari

Omesso versamento IVA: sempre sequestrabile il denaro nei conti correnti della società

Omesso versamento IVA

Cassazione penale sez. III, 05/07/2016, n.37172

E' consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilità di tale persona giuridica.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 2.3.2016, il Tribunale di Roma, pronunciando in sede di rinvio a seguito della sentenza n. 15736 del 16.1.2015 di questa Corte, confermava il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma in data 13.6.2013 nei confronti di S.S. in relazione al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 bis, per le annualità dal 2006 al 2011 per un ammontare complessivo di Euro 1.709.330,88. 2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione S.S., per il tramite del difensore di fiducia, articolando il motivo di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1: violazione di legge con riferimento all'art. 627 c.p.p., comma 3. Il ricorrente deduce che il decreto di sequestro preventivo, emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma in data 13.6.2013 non ha mai riguardato conti correnti o altre disponibilità della Edizioni Roma scarl e non contiene l'esposizione delle ragioni che renderebbero impossibile procedere al sequestro diretto in pregiudizio della predetta società; la Corte di Cassazione ha annullato due ordinanze del Tribunale del riesame disponendo un nuovo esame diretto a verificare se fosse possibile eseguire il sequestro preventivo, prodromico alla confisca, direttamente sulle disponibilità liquide della Edizioni della Roma scarl; l'ordinanza impugnata è stata preceduta da provvedimento interlocutorio con il quale si chiedeva al PM di inviare ulteriori atti necessari a verificare la predetta disponibilità ma a tanto il PM non ha ottemperato; l'ordinanza impugnata ha, quindi, richiamato soltanto gli atti esecutivi dell'originario sequestro omettendo l'accertamento in concreto richiesto dalla Suprema Corte. Chiede, pertanto, l'annullamento dell'ordinanza impugnata e del decreto di sequestro preventivo. Il Procuratore Generale presso questa Suprema Corte ha rassegnato ex art. 611 cod. proc. pen. proprie conclusioni, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso rimarcando che in sede di rinvio il giudice ha valorizzato le emergenze fattuali che davano atto dell'assenza di provvista nei conti correnti della società al momento di disposizione del sequestro per equivalente in danno del ricorrente. In data 17.6.2016 la difesa del ricorrente ha depositato memoria difensiva nella quale ha ribadito il motivo di ricorso e confutato le argomentazioni contenute nella requisitoria scritta del Procuratore generale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è infondato. 2. Va premesso che le Sezioni Unite di questa Suprema Corte, con la sentenza n. 10561/2014, Gubert, hanno affermando i seguenti principi di diritto: "E' consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilità di tale persona giuridica". "Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio". "Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato". - "L'impossibilità del sequestro del profitto di reato può essere anche solo transitoria senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato". 2.1. La pronuncia delle Sezioni Unite rimarca, innanzitutto, la distinzione tra la confisca diretta del profitto del reato e l'istituto dalla confisca per equivalente. La confisca diretta (o confisca di proprietà), prevista dall'art. 240 c.p., come misura facoltativa e resa obbligatoria per alcuni reati dall'art. 322 ter c.p., ha per oggetto il profitto del reato, vale a dire l'utilità economica direttamente o indirettamente conseguita con la commissione del reato. La confisca per equivalente (o confisca di valore), invece, ha per oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente al profitto del reato ed è destinata ad operare nei casi in cui la confisca diretta non sia possibile. Nella nozione di profitto che consente la confisca diretta non rientrano solo i beni appresi per effetto diretto e immediato dell'illecito, ma anche ogni altra utilità comunque ottenuta dal reato, anche in via indiretta o mediata (ad esempio i beni acquistati con il denaro ricavato dall'attività illecita oppure l'utile derivante dall'investimento del denaro di provenienza criminosa). La L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 143, (legge finanziaria 2008), ha esteso ai delitti tributari di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10 bis, 10 ter, 10 quater e 11, le disposizioni di cui all'art. 322 ter c.p., norma che rende obbligatoria per alcuni reati contro la pubblica amministrazione la confisca del prezzo o profitto del reato e che introduce la possibilità di procedere alla confisca per equivalente nel caso in cui tale prezzo o profitto non sia facilmente aggredibile. Pertanto, nel caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle parti, per uno dei delitti tributari previsti dagli articoli sopra richiamati, "è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato" (confisca diretta); quando ciò non è possibile, avrà luogo "la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto" (confisca per equivalente). A seguito dell'abrogazione di tale norma ad opera del decreto legislativo n. 158/2015, l'art. 10 del predetto decreto legislativo ha contestualmente introdotto il D.Lgs. n. 74 del 2000, nuovo art. 12 bis, riconducendo cosi la disposizione contenuta nella L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 143, (legge finanziaria 2008) nell'ambito del decreto legislativo n. 74/2000. La nuova norma dispone, infatti, che "nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'art. 444 c.p.p., per uno dei delitti previsti dal presente decreto è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto. Consegue, pertanto, che la confisca diretta del profitto di reato è possibile anche nei confronti di una persona giuridica per le violazioni fiscali commesse dal legale rappresentante o da altro organo della persona giuridica nell'interesse della società, quando il profitto o i beni direttamente riconducibili a tale profitto siano rimasti nella disponibilità della persona giuridica medesima. Si deve, invece, escludere la possibilità di procedere a confisca per equivalente di beni della persona giuridica per reati tributari commessi dal legale rappresentante, salva l'ipotesi in cui la persona giuridica stessa sia in concreto priva di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso cui l'amministratore agisce come effettivo titolare. Si osserva, a tal profilo, che il rapporto organico che esiste tra persona fisica e società non è di per sè idoneo a giustificare l'estensione dell'ambito di applicazione della confisca per equivalente. Inoltre, non può trovare applicazione il principio per cui a ciascun concorrente devono imputarsi le conseguenze del reato. Nell'ordinamento vigente, infatti, è prevista solo una responsabilità amministrativa degli enti e non una responsabilità penale, sicchè l'ente non è mai autore del reato e non può essere considerato concorrente. Va pure osservato che il D.Lgs. n. 231 del 2001, non include i reati tributari fra quelli per cui è prevista la responsabilità della persona giuridica. Si evidenzia, inoltre, che la confisca per equivalente dei beni della società non può fondarsi neppure sull'assunto che l'autore del reato abbia la disponibilità di tali beni in quanto amministratore, essendo tale disponibilità nell'interesse dell'ente e non della persona fisica. Sul piano del diritto positivo, infine, non vi è alcuna disposizione normativa che consenta di disporre la confisca per equivalente di beni appartenenti a una persona giuridica nel caso di violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante e stante il carattere eminentemente sanzionatorio della confisca per equivalente, le norme che la prevedono non possono essere applicate oltre ai casi espressamente considerati, a ciò ostando il divieto di applicazione analogica in malam partem vigente nella materia penale. 2.2. Assume, quindi, rilievo la definizione del concetto di "profitto" nei reati tributari. Costituisce insegnamento di questa Suprema Corte che, in tema di reati tributari, il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell'accertamento del debito tributario (Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255036; Sez. 3, n. 11836 del 04/07/2012, Bardazzi, Rv. 254737; Sez. 5, n. 1843 del 10/11/2011, Mazzieri, Rv. 253480; più in generale, sulla riconducibilità al profitto del "risparmio di spesa" si veda, altresì, Sez. U, n. 38343, n. 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261117). Tali elementi concorrono, quindi, nel loro insieme a configurare quel vantaggio economico di natura illecita che è effetto della commissione del reato. Anche il bene acquisito in modo diretto con il reinvestimento delle somme non versate all'Erario va ascritto alla categoria del "profitto" del reato (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert; Sez. 6, n. 11918 del 14/11/2013, Rossi, Rv. 262613; Sez. 6, n. 4114 del 21/10/1994, Giacalone, Rv. 200855; più in generale, si veda anche Sez. U, n. 10280 del 25/10/2007, Miragliotta, Rv. 238700). Tale principio è stato affermato con riferimento a tutti i delitti in materia di dichiarazione, D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2, 3, 4 e 5, (Sez. 3, 27.11.2013, Rv 257918; Sez. 3, 2.12.2011, Rv 251893); con riferimento alle violazioni di cui agli artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater, che attengono alla fase esecutiva del rapporto tributario (Sez. Un. 28.3.2013, Rv 255757), con ragionamento sovrapponibile, il profitto del reato è stato individuato con le risorse finanziare che non sono state versate. 2.3. Secondo il recente arresto di questa Suprema Corte "qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia comunque la disponibilità deve essere qualificata come confisca diretta; in tal caso, tenuto conto della particolare natura del bene, non occorre la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della confisca e il reato" (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci). Si sostiene, a tal fine, che "ove il profitto o il prezzo del reato sia rappresentato da una somma di denaro, questa, non soltanto si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell'autore del fatto, ma perde - per il fatto stesso di essere ormai divenuta una appartenenza del reo - qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica. Non avrebbe, infatti, alcuna ragion d'essere - nè sul piano economico nè su quello giuridico - la necessità di accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell'illecito sia stata spesa, occultata o investita: ciò che rileva è che le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell'interesse del reo. Soltanto, quindi, nella ipotesi in cui sia impossibile la confisca di denaro sorge la eventualità di far luogo ad una confisca per equivalente degli altri beni di cui disponga l'imputato e per un valore corrispondente a quello del prezzo o profitto del reato, giacchè, in tal caso, si avrebbe quella necessaria novazione oggettiva che costituisce il naturale presupposto per poter procedere alla confisca di valore (l'oggetto della confisca diretta non può essere appreso e si legittima, così, l'ablazione di altro bene di pari valore)". 3. L'ordinanza impugnata ha fatto buon governo dei principi di diritto suesposti uniformandosi alla questione di diritto decisa con la sentenza di annullamento con rinvio di questa Corte del 16.1.2015, rilevando, dall'esame degli atti processuali, che risulta eseguito un sequestro diretto su conto corrente intestato alla "Edizioni del Roma s.c.a.r.l." (l'unico dei quattro intestati alla predetta società con saldo attivo) per la somma di Euro 1.258,18 (a fronte di un sequestro disposto per Euro 1.709.330,88). Ne deriva, pertanto, la legittimità del sequestro per equivalente effettuato sui beni personali del ricorrente, nella qualità di legale rappresentante della "Edizioni del Roma s.c.a.r.l.", emergendo l'impossibilità di disporre il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto del reato tributario. Non è, condivisibile l'impostazione del ricorrente nella parte in cui esige un vero e proprio accertamento preliminare da parte del PM - per il quale, invece, è sufficiente la valutazione di quanto già emerge dagli atti. Va ricordato che, in tema di reati tributari il pubblico ministero è legittimato, sulla base del compendio indiziario emergente dagli atti processuali, a chiedere al giudice il sequestro preventivo nella forma per "equivalente", in luogo di quella "diretta", all'esito di una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio dell'ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, non essendo invece necessario il compimento di specifici ed ulteriori accertamenti preliminari per rinvenire il prezzo o il profitto diretto del reato, incombendo al soggetto destinatario del provvedimento cautelare l'onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti per disporre il sequestro in forma diretta. (Sez. 3 del 11.11.2014 n. 1738, dep. 15/01/2015, Rv. 261929; Sez. 3, n. 41073 del 30/09/2015, Rv. 265028). La questione è stata adeguatamente considerata dal Tribunale, in linea con il principio di diritto suesposto, e la relativa motivazione è adeguata e si sottrae al sindacato di legittimità. Va ricordato che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 Sez. 5, n. 43068 del 13.10.2009, Rv. 245093; sez. 6, n. 6589 del 10.1.2013, Rv. 254893). 4. Consegue, pertanto, il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali a norma dell'art. 616 cod. proc. pen.. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 5 luglio 2016. Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2016
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