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Reati tributari

Omesso versamento IVA: è sufficiente il consapevole inadempimento dell'imprenditore

Omesso versamento IVA

Cassazione penale sez. III, 15/02/2017, n.35786

Ai fini della integrazione dei reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 10-bis e 10-ter, è necessario e sufficiente il consapevole inadempimento dell'obbligazione tributaria, così come dichiarata dallo stesso contribuente nelle sue dichiarazioni annuali. Non è strutturalmente richiesto dalle due fattispecie, nè ai fini della sussistenza, della procedibilità o della punibilità del reato, tanto meno del dolo, che il ricorrente sia stato preventivamente messo a conoscenza della separata pretesa tributaria azionata in sede amministrativa o che la fondatezza di quest'ultima abbia un positivo riconoscimento in sede tributaria.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Il sig. F.P., in proprio e quale legale rappresentante della società "Isea di F. S.r.l.", ricorre per l'annullamento dell'ordinanza del 29/07/2016 del Tribunale di Catania che ha respinto la richiesta di riesame del decreto del 28/06/2016 del G.i.p. di quello stesso Tribunale di Catania che, sulla ritenuta sussistenza indiziaria dei reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 10-bis e 10-ter, aveva ordinato il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca di valore, di beni in disponibilità propria ovvero della società "Isea di F. S.r.l." fino alla concorrenza di Euro 653.785,25, corrispondente alla somma matematica delle ritenute operate sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori dipendenti nell'anno 2013 (pari ad Euro 214.951,25) e dell'imposta sul valore aggiunto relativa all'anno 2014 e non versata (pari ad Euro 438.834,00). 1.1.Con il primo motivo, deducendo dir non aver mai ricevuto la notifica dell'avviso di accertamento ed affermando di aver inutilmente investito della questione il Tribunale del riesame, eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis e L. n. 212 del 2000, art. 6 e vizio di omessa motivazione sul punto. 1.2.Con il secondo motivo, deducendo di essere stato ammesso al concordato preventivo prima della scadenza del termine per il versamento dell'IVA, eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), l'erronea applicazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 10-ter, e R.D. n. 267 del 1942, art. 182-bis e vizio di motivazione apparente in ordine alla allegata impossibilità di adempiere senza violare il principio della "par conditio creditorum". 1.3.Con il terzo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), la genericità del decreto di sequestro che non specifica, pur potendolo fare, i beni da sottoporre a sequestro e il fatto che, in sede esecutiva, oltre le disponibilità liquide, non siano stati cercati altri beni della società, sicuramente in grado di soddisfare il credito erariale, essendo stati sequestrati i propri beni immobili, in violazione del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 6. 1.4. Con il quarto motivo, riprendendo i temi esposti con il terzo, eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), che il sequestro preventivo è stato disposto nei suoi confronti senza aver prima accertato la capienza patrimoniale della società, e comunque in assenza di "periculum in mora", e aggiunge che su tali argomenti difensivi il Tribunale nulla ha argomentato. CONSIDERATO IN DIRITTO 2. Il ricorso è infondato. 3. Il primo motivo è manifestamente infondato. 3.1. Ai fini della integrazione dei reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 10-bis e 10-ter, è necessario e sufficiente il consapevole inadempimento dell'obbligazione tributaria, così come dichiarata dallo stesso contribuente nelle sue dichiarazioni annuali. Non è strutturalmente richiesto dalle due fattispecie, nè ai fini della sussistenza, della procedibilità o della punibilità del reato, tanto meno del dolo, che il ricorrente sia stato preventivamente messo a conoscenza della separata pretesa tributaria azionata in sede amministrativa o che la fondatezza di quest'ultima abbia un positivo riconoscimento in sede tributaria (l'abbandono della cd. "pregiudiziale tributaria", prevista dalla L. n. 4 del 1929, art. 21, comma 3, e già ripudiata dal D.L. n. 429 del 1982, art. 13, è stato nuovamente ribadito dall'art. 3 c.p.p. e dal principio della reciproca impermeabilità del processo penale da un lato e del procedimento amministrativo e del processo tributario dall'altro, espressamente sancito dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 20,; si veda, al riguardo, la giurisprudenza richiamata più avanti). 3.2.Quel che interessa al giudice penale è che entrambi i reati sono puniti a titolo di dolo generico consistente nella coscienza e volontà di non versare, alla scadenza, le ritenute effettuate nel periodo considerato e/o l'IVA maturata nel periodo di imposta precedente; la prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, entro il termine previsto (Sez. U., n. 37425 del 28/03/2103, Favellato; Sez. U, n. 37424 del 28/03/2013, Romano). 3.3.Resta perciò insuperata l'affermazione del Tribunale che non vi è contestazione in ordine all'effettiva omissione, circostanza - del resto oggettivamente data per implicita dalla tesi difensiva sviluppata con il secondo motivo. 4. Il secondo motivo è generico (ed infondato). 4.1. Il ricorrente deduce di essere stato ammesso alla procedura di concordato preventivo nei primi mesi dell'anno 2015, garantendo il pagamento del 100% dei debiti tributari. 4.2. Il dato consente innanzitutto di affermare l'irrilevanza di tale deduzione quanto al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-bis, consumato e perfezionato in ogni suo elemento costitutivo nel settembre dell'anno 2014, in epoca anteriore alla ammissione al concordato preventivo. 4.3. Quanto invece al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, il Collegio ricorda che secondo l'orientamento prevalente della sezione l'ammissione alla procedura di concordato preventivo, seppure antecedente alla scadenza del termine previsto per il versamento dell'imposta, non esclude il reato in relazione al debito IVA scaduto e da versare (Sez. 3, n. 12912 del 04/02/2016, Rv. 266708; Sez. 3, n. 39101 del 24/04/2013, Mammi, Rv. 257285; Sez. 3, n. 44283 del 14/05/2013, Rv. 257484). 4.4. Altra pronuncia, cui s'appella il ricorrente, afferma, invece, il contrario principio secondo il quale non è configurabile il "fumus commissi delicti" del reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 ter per il mancato versamento del debito IVA scaduto, nel caso in cui il debitore sia stato ammesso al concordato preventivo in epoca anteriore alla scadenza del termine per il relativo versamento, per effetto della inclusione nel piano concordatario del debito d'imposta, degli interessi e delle sanzioni amministrative (Sez. 3, n. 15853 del 12/03/2015, Fantini, Rv. 263436). 4.5.L'indirizzo maggioritario spiega che "l'Iva è un tributo comunitario e che, in base al diritto dell'Unione ed alle decisioni della Corte di Giustizia (sentenza 29.3.2012, causa C 500/10) gli Stati membri sono tenuti a garantire la riscossione sul proprio territorio; la disciplina del concordato preventivo, inoltre, impone il pagamento integrale dell'Iva con la disposizione di cui all'art. 182 ter L. Fall., norma di ordine pubblico e, pertanto, inderogabile, che, nel prevedere la "transazione fiscale" vieta il pagamento parziale dell'Iva e consente unicamente la dilazione del pagamento (analoga disposizione di rinviene nella L. n. 3 del 2012, art. 7 in materia di crisi da sovraindebitamento del debitore non fallibile); il debitore concordatario, infine, non violerebbe il principio di uguaglianza tra i creditori ove versi il tributo pur dopo la presentazione della domanda di concordato. In definitiva, all'iniziativa del debitore di accedere alla procedura di concordato preventivo, frutto di una scelta di natura privatistica, non consegue l'elisione di obblighi giuridici di natura pubblicistica, come il versamento dell'Iva alla scadenza di legge, la cui omissione è sanzionata penalmente. Il reato tributario, inoltre, ha natura istantanea e si consuma con l'inutile scadenza del termine per il versamento, così come individuato dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter". 4.6. L'indirizzo minoritario, invece, valorizza il fatto che "il concordato preventivo, pur originandosi da un impulso del debitore come sottolinea Cass. sez. 3, 14 maggio 2013 n. 44283, non è confinato in un dispositivo privatistico, governato esclusivamente dalle parti (debitore e creditore) dei negozi coinvolti in quell'inadempimento complessivo che integra lo "stato di crisi" (L. Fall., art. 160, comma 1) o addirittura "lo stato di insolvenza" (art. 160, u.c.), bensì attinge alla soglia pubblicistica, si snoda in un percorso giurisdizionalmente disegnato e vigilato, per ricevere infine una ratifica di quanto deliberato dai creditori sulla proposta del debitore da parte dell'organo giurisdizionale che non può ritenersi irrilevante ai fini delle conseguenze penali della condotta conforme al deliberato accordo (...) Se, dunque, la dilazione del pagamento del debito Iva (dilazione compensata dalla non elisione di interessi e sanzioni amministrative) rientra nell'ambito del piano concordatario - come conferma un solido orientamento della giurisprudenza civile di questa Suprema Corte già richiamata - e se il concordato preventivo non è una manifestazione di autonomia negoziale, bensì un istituto prevalentemente pubblicistico (che poi il suo stesso accesso sia libera scelta da parte dell'imprenditore in crisi è vero fino a un certo punto, poichè l'alternativa, perlomeno quando la situazione di crisi coincide con lo stato di insolvenza, è il fallimento), è più che illogico considerare ciò tamquam non esset ai fini penali, dissociando settori parimenti pubblicistici dell'ordinamento, ovvero consentendo da un lato al giudice fallimentare di ammettere al concordato preventivo l'imprenditore che nel suo piano progetta di commettere un reato e poi di omologare la deliberazione con cui i creditori hanno approvato (anche) un siffatto progetto criminoso, e dall'altro al giudice penale di sanzionare il soggetto che ha eseguito un accordo omologato (la cui relativa domanda era stata, tra l'altro, ab origine comunicata al pubblico ministero) condannandolo per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter. Questa evidente e insostenibile frattura ordinamentale, d'altronde, nulla ha a che fare con l'autonomia che intercorre tra il processo tributario e il processo penale, più volte riconosciuta dalla giurisprudenza nomofilattica (nel D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 20 si ravvisa un vero e proprio principio di reciproca indipendenza: cfr. Cass. sez. 2, 22 novembre 2011-28 febbraio 2012 n. 7739, in motivazione) ma relativa all'accertamento della sussistenza dell'evasione non esistendo alcun vincolo del giudice penale rispetto all'accertamento tributario, e al contrario spettando esclusivamente al giudice penale di accertare e determinare l'importo della imposta evasa ai fini di valutare la concreta configurabilità del reato tributario (sulla inesistenza della pregiudiziale tributaria v. pure Cass. sez. 3, 15 luglio 2014 n. 37335; Cass. sez. 3, 4 giugno 2014 n. 38684; Cass. sez. 3, 7 ottobre 2011 n. 36396; Cass. sez. 3, 18 maggio 2011 n. 36396; Cass. sez. 3, 28 maggio 2008 n. 21213; e sulla non incidenza anche dell'accertamento concordato con l'Autorità finanziaria v. Cass. sez. 3, 2 dicembre 2011-14 febbraio 2012 n. 5640) (...) la questione verte sul dato che detta condotta rientra nel contenuto di un istituto prevalentemente pubblicistico realizzato sotto una governance giurisdizionale, dal quale, logicamente, non può trarre una liceità relativa esclusivamente all'ambito di detto istituto, ovvero una liceità cui il diritto penale rimane impermeabile al punto che il giudice fallimentare avrebbe ricevuto dal legislatore il potere di ammettere la proposta prima, e omologare poi una condotta penalmente illecita. Una siffatta intersecazione tra le norme penali e le norme concorsuali non può, pertanto, svuotare di contenuto queste ultime, relativizzandone gli effetti di applicazione; un imprescindibile coordinamento dovrà dunque riflettersi non solo sull'elemento soggettivo che anima la condotta, bensì, a priori, sulla sussistenza dell'elemento oggettivo di illecito penale, nel senso di escluderla". 4.7.Ritiene il Collegio che il contrasto è più apparente che reale. L'indirizzo da ultimo citato presuppone, in realtà, l'intervenuta omologazione del concordato preventivo prima della scadenza del termine previsto per il pagamento del debito tributario non la semplice ammissione alla relativa procedura. 4.8. Peraltro, è necessario, per quanto qui rileva, che l'accordo di ristrutturazione dei debiti di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 182-bis, ovvero della transazione fiscale di cui al successivo art. 182-ter prevedano espressamente la dilazione del pagamento del debito tributario ad epoca successiva alla scadenza del termine previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, agli artt. 10-bis e 10-ter, e che l'omologa intervenga, a sua volta, prima di detta scadenza. Solo in tal caso, l'omologazione dell'accordo determinerebbe la modifica di un elemento strutturale della fattispecie penale, quale conseguenza di un provvedimento giurisdizionale, tale da incidere sulla sussistenza del reato al momento della scadenza in esso prevista. 4.9. Il pagamento dell'IVA ovvero il versamento delle ritenute operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti effettuati nel suddetto termine prima della omologazione non espongono il contribuente al rischio di incriminazione per il reato di bancarotta preferenziale di cui all'art. 216, u.c. (richiamato dal R.D. n. 267 del 1942, art. 236, comma 2, n. 1), e ciò per la decisiva osservazione che manca, in questi casi, il dolo specifico (la volontà cioè di favorire un creditore a danno di altri) richiesto ai fini della sussistenza del reato. 4.10. Orbene, il ricorrente non fornisce alcun elemento di valutazione circa la rilevanza della sua eccezione. Egli infatti non specifica se prima della scadenza del termine previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, la procedura di concordato preventivo fosse stata solo aperta ovvero definita con decreto di omologazione, nè se l'accordo proposto ed (eventualmente) omologato prevedeva la dilazione del debito IVA. 4.11. Tale genericità è oltremodo accentuata dal fatto che il Tribunale del riesame dà atto della attuale insussistenza della procedura concorsuale e del fatto che il ricorrente ha presentato una istanza di rateazione del debito non ancora esitata. 5. Il terzo ed il quarto motivo sono generici ed infondati. 5.1. Il D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 6, comma 5, invocato a sostegno della eccezione, si applica solo nei casi di responsabilità amministrativa dell'ente per i reati in detto decreto espressamente previsti, tra i quali non sono contemplati quelli previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000 (in questo senso, espressamente, tra l'altro, Sez. U, n. 11170 del 25/09/2014, dep. 2015, Uniland Spa). 5.2. Ne deriva la fallace impostazione dell'intera doglianza che, facendo leva sul fatto che la società rappresentata dal ricorrente ha una capienza immobiliare di valore superiore all'entità del tributo evaso, non considera che nei confronti dell'ente la confisca del profitto è possibile solo in via diretta e non per valore. Il ricorrente non deduce, sul punto, che la società è solo uno schermo privo di autonomia attraverso il quale egli ha operato, tantomeno che gli immobili costituiscono forma di reinvestimento del profitto (Sez. U. n. 1561 del 30/01/2014, Gubert). 5.3.Non è sovrapponibile al caso in esame quello scrutinato da questa Corte con sentenza Sez. 3, n. 28225 del 07/07/2016 (citata dal ricorrente a sostegno delle proprie ragioni) ove si trattava del mancato reperimento dei beni costituenti il profitto del reato, non della mancata escussione preventiva dei beni della società. Nel caso di specie, invece, il sequestro degli immobili del ricorrente ha fatto seguito a quello delle (insufficienti) disponibilità liquide della società. 5.4. Tra l'altro il G.i.p. ha disposto il sequestro dei beni mobili ed immobili della società e solo in via residuale di quelli dell'autore materiale del fatto. Sicchè la questione, così come posta, non riguarda la legittimità formale del decreto ma le sue modalità esecutive avendo il Giudice mandato al PM la concreta individuazione di beni della società costituenti il profitto del reato secondo uno schema procedimentale ritenuto non illegittimo da questa Corte (si vedano, sul punto, tra le tante, Sez. 2, n. 36464 del 21/07/2015, Armeli, Rv. 265058; Sez. 3, n. 37848 del 07/05/2014, Chidichimo, Rv. 260148). 5.5. L'insussistenza del "periculum" è argomento privo di rilevanza. 5.6. Il sequestro preventivo delle cose confiscabili ai sensi dell'art. 321 c.p.p., comma 2, non necessita, ai fini della sua adozione, del pericolo della dispersione del bene, nemmeno in caso di confisca facoltativa. Il concetto è stato ripetutamente affermato dalla prevalente giurisprudenza di questa Corte che ha spiegato come tale forma di sequestro costituisca figura specifica ed autonoma rispetto al sequestro preventivo regolato dall'art. 321 c.p.p., comma 1, per la cui legittimità non occorre necessariamente la presenza dei requisiti di applicabilità previsti per il sequestro preventivo "tipico", essendo sufficiente il presupposto della oggettiva confiscabilità, con la conseguenza che compito del giudice è quello di verificare che i beni rientrino nelle categorie delle cose oggettivamente suscettibili di confisca, tanto nell'ipotesi facoltativa che in quella obbligatoria (Sez. 6, n. 3343 del 25/09/1992, Garofalo, 192862; Sez. 3, n. 47684 del 17/09/2014, Mannino, Rv. 261242). Non occorre, dunque, alcuna prognosi di pericolosità connessa alla libera disponibilità delle cose medesime (Sez. 6, n. 4114 del 21/10/1994, Giacalone, Rv. 200854; Sez. 3, n. 1810 del 02/05/2000, Rv. 217682). Qualche pronuncia di questa Corte lascia trasparire la possibilità che, in caso di confisca facoltativa, il giudice debba dar conto del potere discrezionale di cui si è avvalso, compresa l'esigenza di non consentire che la cosa confiscabile sia modificata, dispersa, deteriorata, utilizzata o alienata (così Sez. 6, n. 1022 del 17/03/1995, Franceschini, Rv. 201943). 3.6. Nel caso specifico, però, la confisca di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis, introdotta dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 10, comma 1, che ha "sostituito" la confisca di cui all'art. 322-ter c.p., ha natura obbligatoria, come reso chiaro dal tenore letterale della norma stessa ("è sempre ordinata la confisca"). Al riguardo questa Corte ha già spiegato che la confisca, anche per equivalente, dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo di uno dei delitti previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, deve essere sempre disposta nel caso di condanna o di sentenza di applicazione concordata della pena, stante l'identità della lettera e la piena continuità normativa tra la disposizione di cui al D.Lgs., art. 12-bis, comma 2, (introdotta dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158), e la previgente fattispecie prevista dall'art. 322-ter c.p., richiamato dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 143, abrogata dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 14 (Sez. 3, n. 50338 del 22/09/2016, Lombardo, Rv. 268386; Sez. 3, n. 35226 del 16/06/2016, D'Agapito, Rv. 267764). 3.7.Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2017. Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2017
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