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Reati tributari

Omesso versamento IVA: sull'interesse ad impugnare per ottenere assoluzione con formula piena

Omesso versamento IVA

Cassazione penale , sez. III , 22/07/2020 , n. 27007

In tema di reati tributari, nel caso di assoluzione dal reato di omesso versamento dell'IVA previsto dall' art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 , in ragione del mancato raggiungimento della soglia di punibilità, con la formula perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, non sussiste l'interesse dell'imputato ad impugnare la sentenza al fine di ottenere l'assoluzione con la formula perché il fatto non sussiste, atteso che, ai sensi dell' art. 652 cod. proc. pen. , la sentenza penale irrevocabile di assoluzione non pregiudica comunque il potere dell'amministrazione finanziaria di procedere all'accertamento della violazione in relazione all'imposta dovuta e non versata in misura inferiore alla soglia di punibilità, in quanto integrante un fatto diverso da quello giudicato in sede penale.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 12 settembre 2019, la corte di Appello di Firenze confermava la sentenza del 12 maggio 2016 del tribunale di Lucca, con la quale B.G. era stato condannato in relazione ai reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter (capi b) e c)) ed assolto con la formula "perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato" in relazione alla fattispecie ex art. 10 ter citato, di cui al capo a). 2 Avverso la pronuncia della predetta Corte di appello propone ricorso B.G., mediante il proprio difensore, deducendo cinque motivi di impugnazione. 3. Ha dedotto, con il primo motivo,. il vizio ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b). Facendo rinvio all'atto di appello si sostiene che la corte di appello in accoglimento di un conforme motivo avrebbe dovuto assolvere l'imputato in relazione al capo a) con la formula "perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato", piuttosto che con quella "perchè il fatto non sussiste". L'interesse a tale soluzione si individua in quello del ricorrente ad essere assolto con la formula più ampia in reazione alle potenziali conseguenze sfavorevoli riconducibili alla formula assolutoria erroneamente usata. 4. Con il secondo motivo ha dedotto il vizio di erronea applicazione della legge penale con riguardo all'art. 45 c.p., al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter quanto ai capi a) e b), per assenza di colpevolezza del ricorrente. La corte non avrebbe verificato la documentazione in atti, tale da evidenziare un'ipotesi di forza maggiore. Ciò perchè la società "Il rustico creazioni Srl" non aveva potuto versare l'Iva per un plurimo evento imprevisto ed imprevedibile nel periodo di riferimento di cui al capo b) e c) della sentenza impugnata. Vi sarebbe stata una crisi di liquidità d'impresa, tale da escludere la responsabilità, per l'inesigibilità soggettiva, della condotta doverosa omessa. 5. Con il terzo motivo ha dedotto il vizio di mancanza e manifesta illogicità della motivazione con riferimento ai capi b) e c) e sotto il profilo della assenza di colpevolezza per inesigibilità soggettiva della condotta doverosa omessa. Richiamato quanto dedotto con il secondo motivo, si sottolinea la manifesta illogicità oltre che la mancanza della motivazione. Ciò perchè la corte di appello non avrebbe verificato la documentazione in atti, compresa una memoria, da cui emergerebbe che la società "Il rustico creazioni Srl" non aveva potuto versare l'IVA per forza maggiore. Il collegio non avrebbe adeguatamente specificato il ragionamento logico-giuridico e gli elementi a sostegno del proprio convincimento, a fronte delle doglianze difensive. La manifesta illogicità della sentenza deriverebbe anche dalla circostanza per cui, diversamente da quanto sostenuto dalla corte, sarebbe stato dimostrato che la società del ricorrente ha attinto alle somme accantonate per il versamento dell'Iva per pagare i propri dipendenti e conservare i loro posti di lavoro, così salvando l'impresa da crisi aziendale. Condotta valutata dal giudice di seconde cure come non deprecabile; quindi anche sotto tale aspetto emergerebbe l'illogicità della motivazione. 6. Con il quarto motivo ha dedotto il vizio di erronea applicazione della legge penale D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 12 bis con riferimento al sequestro preventivo e alla confisca per equivalente dei beni in sequestro e comunque dei beni dell'imputato fino a concorrenza delle somme costituenti evasione, per assenza del previo accertamento della presenza di beni costituenti il profitto diretto del reato. Non sarebbe stato dato atto mai dell'impossibilità, anche solo transitoria, del reperimento e quindi del sequestro dei beni della persona giuridica, tanto che di tale accertamento non vi è traccia. 7. Con il quinto motivo è stato addotto il vizio ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) per l'inosservanza dell'art. 125 c.p.p., comma 3, stante la mancanza di illustrazione degli argomenti con cui la corte di appello ha ritenuto infondato il terzo motivo di gravame proposto dal ricorrente. Con motivazione meramente apparente, la corte d'appello avrebbe ritenuto infondato il terzo motivo di gravame osservando come conformemente al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12 bis il giudice di primo grado avrebbe disposto, in via principale, la confisca dei beni costituenti il profitto o il prezzo del delitto e, solo in via subordinata, quella di beni per un valore corrispondente a tale profitto o prezzo. La corte, invero, non avrebbe esplicitato il ragionamento e gli elementi a sostegno del proprio convincimento, sul punto limitandosi a denunciare l'infondatezza del motivo sulla base dell'affermazione della sola corretta applicazione del citato art. 12 bis. 8. Il ricorrente ha altresì presentato memoria ex art. 121 c.p.p. ribadendo il fondamento del secondo e terzo motivo di impugnazione anche alla luce di richiamati precedenti giurisprudenziali, ed evidenziando la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in relazione al punto oggetto della terza censura, oltre a depositare replica rispetto alle conclusioni scritte del Procuratore Generale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo è manifestamente infondato. Come noto, nel D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10- ter e nelle fattispecie analoghe, che condividono la stessa struttura quanto agli enunciati di tipicità che caratterizzano la fattispecie incriminatrice, la soglia di punibilità rientra tra gli elementi costitutivi del reato. Essa si traduce nella fissazione di una quota di rilevanza quantitativa e/o qualitativa del fatto tipico, con la conseguenza che, alla mancata integrazione della soglia, corrisponde la convinzione del legislatore circa l'assenza nella condotta incriminata di una "sensibilità" penalistica del fatto, sicchè il comportamento sotto soglia è ritenuto non lesivo del bene giuridico tutelato, consistente, nel caso in esame, nella salvaguardia degli interessi patrimoniali dello Stato connessi alla percezione dei tributi, anche in ossequio alla necessità di esaltare il principio di offensività, dovendo alla soglia di punibilità spettare come si legge nella Relazione di accompagnamento al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 - anche il compito, conformemente alla previsione dell'art. 9, comma 1, lett. b) Legge Delega, di "limitare l'intervento punitivo ai soli illeciti di significativo rilievo economico", consentendo di riflesso un conseguente alleggerimento del carico penale. Consegue, in conformità all'insegnamento delle Sezioni Unite Romano, che il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter configura reato omissivo proprio (di mera condotta e, dunque, cd. formale) e di danno, il cui oggetto specifico della tutela penale è costituito dall'interesse dello Stato alla percezione dei tributi ed i cui elementi costitutivi sono: a) la situazione tipica da cui sorge l'obbligo di agire; b) la condotta omissiva (non facere quod debetur) la quale deve risolversi in un mancato versamento che raggiunge o supera la soglia quantitativa richiesta per l'integrazione del fatto tipico; c) il termine, esplicito o implicito, alla cui scadenza l'inadempimento dell'obbligo assume rilevanza e si consuma l'illecito; d) il dolo generico, con la conseguenza che, per la commissione del reato, è sufficiente la coscienza e volontà di non versare all'Erario l'imposta sul valore aggiunto legalmente dovuta. Ne consegue che tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia di punibilità (ora di Euro duecentocinquantamila a seguito del D.Lgs. n. 158 del 2015), che è un elemento costitutivo del fatto di reato, contribuendo a definirne il disvalore e che dunque deve rientrare, in uno con gli elementi costitutivi del fatto tipico, nel fuoco del dolo, con la sottolineatura che la prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, ora, di Euro duecentocinquantamila, entro il termine lungo previsto. Sul piano della formula assolutoria da adottare in caso di mancato raggiungimento dei valori soglia tipizzati, nel delitto previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter va considerato come le Sezioni Unite penali abbiano affermato che nel caso in cui manchi un elemento costitutivo, di natura oggettiva, del reato contestato, l'assoluzione dell'imputato va deliberata con la formula "il fatto non sussiste", non con quella "il fatto non è previsto dalla legge come reato", che riguarda la diversa ipotesi in cui manchi una qualsiasi norma penale cui ricondurre il fatto imputato (Sez. U, n. 37954 del 25/05/2011, Orlando, Rv. 250975; Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, cit.) e che, dunque, non potrebbe essere utilizzata neanche nell'ipotesi di mancanza di una condizione obiettiva di punibilità. Invero, secondo il dictum delle Sezioni Unite Orlando, l'adozione della formula "il fatto non è previsto dalla legge come reato" dipende dal tenore formale dell'imputazione, dalla circostanza cioè che con essa si assume la riconducibilità della fattispecie concreta ad una fattispecie astratta mai esistita, abrogata o dichiarata (in toto) costituzionalmente illegittima. Mentre, quando il fatto storico, così come ricostruito, non è idoneo, come nella specie in ordine al capo a), ad essere sussunto nella fattispecie astratta, per la mancanza di un elemento costitutivo del reato, occorre adottare la formula "il fatto non sussiste" (Sez. U, n. 37954 del 25/05/2011, Orlando, cit.). 1.1. Operata questa ampia premessa, deve altresì aggiungersi come in astratto possa sussistere l'interesse dell'imputato ad appellare una statuizione del giudice penale che, pur assolvendo l'imputato "perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato", implichi una responsabilità di natura amministrativa che tuttavia riguardi il medesimo fatto valutato in sede penale, come tale rilevante solo in altra sede (cfr. Sez. 6, n. 27726 del 11/06/2013 Rv. 255631 - 01 Musumeci). 1.2. Con specifico riguardo alla materia tributaria è stato altresì precisato (cfr. Cass. 5/11/2015 Vanni rv. 265940) che in tema di omesso versamento dell'Iva l'assoluzione con la formula "perchè il fatto non sussiste" nell'ipotesi di mancata integrazione dell'elemento costitutivo della soglia di punibilità non pregiudica il potere della amministrazione finanziaria di procedere all'accertamento della violazione e all'irrogazione delle relative sanzioni in relazione all'imposta "sotto soglia" dovuta e non versata (come tale evidentemente inerente un fatto "diverso" e distinto da quello esaminato in sede penale, in tal senso connotato per la diversa "soglia"); con la conseguenza che è esclusivamente rispetto a tale fatto che, ai sensi dell'art. 652 c.p.p., la sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata a seguito di dibattimento ha efficacia di giudicato, restando impregiudicato l'eventuale mancato versamento dell'Iva in misura inferiore alla soglia di punibilità (che integra un fatto diverso, penalmente irrilevante e sanzionabile in via amministrativa). 1.3. Dunque non si può configurare l'interesse a contrapporre in sede amministrativa il mancato raggiungimento dei valori soglia di rilevanza penale, astrattamente possibile con il passaggio in giudicato della sentenza che abbia adottato la formula "perchè il fatto non sussiste", atteso che l'oggetto dell'eventuale giudizio da svolgersi in altra sede si caratterizzerebbe nel caso di specie per valori soglia diversi ed inferiori e come tali in alcun modo "scudati" dall'intervenuto giudicato penale. Da qui l'assenza di interesse del ricorrente nell'invocare la diversa formula assolutoria e quindi l'inammissibilità del motivo esaminato. 2. Devono essere esaminati congiuntamente il secondo e terzo motivo, siccome omogenei, in quanto afferenti a vizi nella ricostruzione della responsabilità di cui ai capi b) e c). Va osservato che i giudici di merito hanno ricostruito una situazione d'impresa estranea a circostanze di forza maggiore, come tali non imputabili all'imprenditore e sottratte al suo dominio, attesa l'assenza di prova della dipendenza della crisi esclusivamente da cause estranee all'imputato, come anche dimostrato sia dal dato per cui la richiesta di concordato preventivo intervenne solo nel 2014, ovvero due anni dopo la scadenza del termine ultimo per il pagamento dell'Iva (quale sintomo, dunque, della prosecuzione dell'attività imprenditoriale dopo tale data), sia dalla circostanza per cui le somme riscosse a titolo di Iva furono deliberatamente impiegate per fini diversi da quelli fiscali, quali il pagamento dei dipendenti. Si è così evidenziata, in conformità alla costante giurisprudenza di legittimità, l'assenza di requisiti tali da escludere il dolo generico del reato ovvero da configurare una situazione di forza maggiore, da dimostrarsi attraverso l'assolvimento di precisi oneri di allegazione, che devono investire non solo l'aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l'azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto. Occorre, cioè, la prova che non sia stato altrimenti possibile, per il contribuente, reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un'improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere, comunque, il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014; Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, Tonti Sauro; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055). I motivi proposti sono dunque manifestamente infondati, sia perchè non emerge, per quanto sopra illustrato, alcuna concreta fattispecie di forza maggiore illegittimamente non riscontrata (come tale integrante l'invocato vizio ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b)), sia perchè i giudici hanno congruamente evidenziato la deliberata scelta di non procedere ai pagamenti contestati, anche a fronte del diverso impiego delle somme disponibili, ancorchè per assicurare stipendi e continuità aziendale. Rispetto alle suesposte argomentazioni, i motivi proposti si traducono nella unilaterale ricostruzione delle evidenze probatorie, così involgendo prospettive di merito precluse al sindacato di legittimità. Come noto infatti, l'epilogo decisorio non può essere invalidato da prospettazioni alternative che si risolvano in una "mirata rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell'autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perchè illustrati come maggiormente plausibili o perchè assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa, nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507). Quanto al vizio di manifesta illogicità esso, come quello di mancanza e contraddittorietà della medesima, deve essere di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità vertere su difetti di macroscopica evidenza, mentre rimangono ininfluenti le minime incongruenze e si devono considerare disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (cfr., Sez. un., n. 24 del 24 novembre 1999, Rv. n. 214794; Sez. un., n. 12 del 31 maggio 2000, Rv. n. 216260; Sez. un., n. 47289 del 24 settembre 2003, Rv. n. 226074). 3. Sono fondati il quarto e quinto motivo proposti, inerenti la disposta confisca "per equivalente". Posto che ai sensi del D.Lgs. n. n. 74 del 2000, art. 12-bis, "nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'art. 444 c.p.p. per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto", diversamente da quanto sostenuto con la sentenza impugnata, il giudice di primo grado ha ordinato la confisca "per equivalente" dei "beni in sequestro e comunque dei beni dell'imputato", nulla disponendo in ordine alla preliminare confisca diretta. Laddove costituisce consolidato indirizzo giurisprudenziale quello per cui, in tema di reati tributari, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto nei confronti del legale rappresentate di una società solo nel caso in cui, all'esito di una valutazione allo stato degli atti sullo stato patrimoniale della persona giuridica, risulti impossibile il sequestro diretto del profitto del reato nel patrimonio dell'ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, non essendo necessaria, tuttavia, ai fini dell'accertamento di tale impossibilità, l'inutile escussione del patrimonio sociale se già vi sono elementi sintomatici dell'inesistenza di beni in capo all'ente preliminare (cfr. Sez. 3 n. 3591 del 20/09/2018 (dep. 24/01/2019) Rv. 275687 01 Bennati). Con la conseguenza per cui la confisca per equivalente, disposta con sentenza, è legittima sul rilievo dell'appurata impossibilità della confisca diretta. Puramente apodittica appare quindi la risposta fornita dalla corte di appello rispetto alla censura proposta in sede di gravame e analoga al motivo in esame, secondo la quale, ed in contrasto peraltro con quanto formalmente indicato con la sentenza di primo grado, il primo giudice avrebbe disposto in via principale la confisca dei beni in sequestro intesi quale profitto o prezzo del reato e "solo in via subordinata" la confisca di altri beni per un valore equivalente al "profitto o prezzo" dei reati ascritti. Senza null'altro aggiungere a supporto e giustificazione di tale ricostruzione, a fronte del puntuale gravame del ricorrente. 4. A fronte del fondamento dei predetti due motivi, occorre rilevare come nelle more del presente ricorso sia maturata, in assenza di cause di sospensione, la prescrizione del reato di cui al capo b), alla data del giugno 2019. 5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che la sentenza impugnata debba essere annullata senza rinvio limitatamente al capo b) perchè il reato è estinto per prescrizione, nonchè limitatamente alla disposta confisca quanto al residuo reato di cui al capo c), con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Firenze per nuovo giudizio sul punto, anche con riguardo peraltro al trattamento sanzionatorio. Va dichiarato nel resto inammissibile il ricorso dichiarandosi altresì irrevocabile l'affermazione di responsabilità del reato di cui al capo c). P.Q.M. annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al reato di cui al capo b) perchè il reato è estinto per precrizione e, limitatamente alla disposta confisca quanto al residuo reato di cui al capo c), con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Firenze per nuovo giudizio sul punto. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso, dichiarando irrevocabile l'affermazione di responsabilità del reato di cui al capo c). Così deciso in Roma, il 22 luglio 2020. Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2020
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