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Reati tributari

Omesso versamento IVA: sulla competenza per territorio

Omesso versamento IVA

Corte appello Taranto, 18/11/2020, n.426

In tema di delitto di omesso versamento dell'Iva, ai fini della individuazione della competenza per territorio, non può farsi riferimento al criterio del domicilio fiscale del contribuente, ma deve ricercarsi il luogo di consumazione del reato ai sensi dell'art. 8 cod. proc. pen.; ne consegue che, essendo impossibile individuare con certezza il suddetto luogo di consumazione, considerato che l'obbligazione tributaria può essere adempiuta anche presso qualsiasi concessionario operante sul territorio nazionale, va applicato il criterio sussidiario del luogo dell'accertamento del reato, previsto dall'art. 18, comma 1, D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74, prevalente, per la sua natura speciale, rispetto alle regole generali dettate dall'art. 9 cod. proc. pen.

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La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con sentenza del Tribunale di Taranto, resa in data 06.11.2018, An.An. veniva ritenuto colpevole del reato di cui all'art. 5 D.Lgs. n. 74/2000 perché, in qualità di legale rappresentante della società "Sc. S.r.l.", con sede legale in Taranto, alla via (...), al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, ometteva di presentare, per l'anno d'imposta 2010, pur essendo obbligato, le dichiarazioni annuali ai fini delle imposte IRES, IRAP ed IVA, evadendo così imposte di ammontare superiore, con riferimento a ciascuna delle singole imposte, ad Euro 50.000,00 e segnatamente: Euro 2.698.918,00 di imposta IRES, Euro 473.047,00 di imposta IRAP ed Euro 3.081.638,00 di IVA. In Taranto il 29.12.2011. Tanto sulla scorta dell'istruttoria dibattimentale articolatasi nell'esame del teste Se., in servizio presso l'Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Taranto, e nell'acquisizione del verbale di accertato redatto da quest'ultima. Invero, la teste, nel corso del suo esame, aveva esposto, con riferimento all'anno d'imposta 2010, che la società in argomento avesse omesso di presentare la dichiarazione dei redditi ai fini IVA, IRAP e IRES pur essendovi tenuta alla stregua dell'esame dei dati emersi dalle lettere d'intento (ossia delle dichiarazioni rilasciate dalla stessa società con le quali la stessa attestava la volontà di volersi avvalere della facoltà di acquistare sul territorio nazionale in esenzione del pagamento dell'IVA), inviate telematicamente all'Anagrafe Tributaria dai fornitori che avevano avuto rapporti commerciali con la società, unitamente alle copie delle fatture emesse a fronte degli acquisti effettuati dalla predetta Sc.. L'analisi di queste fatture aveva consentito di comprendere che la società in parola avesse acquistato merce, del tipo vino, bottiglie, pedane ecc., poi rivenduta; circostanza, quest'ultima, desumibile dal rinvenimento anche di fatture relative all'acquisto di prestazioni quali il servizio di trasporto verso Inghilterra. A tal proposito, proprio dall'esame dei trasporti effettuati, erano emersi anche acquisti a "nero" di merce poi venduta sul territorio nazionale. L'applicazione di una percentuale di ricarico, desunta dalle medie di settore, aveva consentito di quantificare i ricavi e quindi l'ammontare dell'imposta evasa IRES, per un importo pari a Euro 2.698.918, Euro 473.047 per l'IRAP, e Euro 3.081.638 per l'IVA. Al di là della determinazione dei ricavi in via induttiva, dalla documentazione esaminata, e quindi dalle fatture, era emerso che parte dell'IVA evasa ammontasse ad Euro 928.263, perché relativa agli acquisti effettuati sul territorio nazionale in evasione d'imposta, per come accertato sulla scorta delle dichiarazioni d'intenti. L'importo di Euro 3.081.368,00 quale IVA evasa lo si era evinto sulla scorta del fatto che una parte della merce fosse stata trasportata in Inghilterra, circostanza questa desunta dal rinvenimento di documenti di trasporto (documentazione consegnata dai trasportatori). Infine, l'avviso di accertamento regolarmente comunicato alla società, non era stato impugnato. Anche con riferimento al numero di fatture emesse era stato spiegato il metodo e gli elementi utilizzati al fine di effettuarne la ricostruzione. Pertanto, alla stregua di tali risultanze, il primo Giudice condannava il predetto alla pena ritenuta di giustizia, con le statuizioni conseguenti. Avverso tale pronuncia propone tempestivo appello il difensore dell'An. il quale rileva la nullità della sentenza, ex artt. 178,180 e 185 c.p.p., derivata da quella del decreto di citazione diretta a giudizio per violazione degli art. 552, co. 3, 185 c.p.p. e 143 disp. att. c.p.p.. Infatti, ad uno dei difensori di fiducia, dopo che era stata eccepita la nullità per mancato rispetto del termine a difesa, non era stato notificato il nuovo decreto di citazione a giudizio contenente la nuova data di comparizione. Lamenta, inoltre, l'incompetenza per territorio del Giudice adito, ai sensi dell'art. 18 del D.Lgs. 74 del 2000, che stabilirebbe regole speciali di determinazione della competenza per territorio dal momento che il reato in questione dovrebbe considerarsi consumato nel luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale. L'imputato, all'epoca dei fatti, aveva domicilio fiscale e residenza in Ostuni (BR), pertanto la competenza a conoscere di tale violazione avrebbe dovuto ritenersi affidata al Tribunale di Brindisi. Infine, ritiene che il Giudice penale non si sia preoccupato di verificare la correttezza della tesi d'accusa finendo così per convalidare la mera illustrazione delle modalità dell'accertamento induttivo seguito dall'amministrazione finanziaria. In particolare, l'istruttoria dibattimentale non avrebbe offerto la benché minima prova di un coinvolgimento reale ed effettivo dell'odierno imputato in alcuna delle operazioni commerciali che farebbero da sfondo alla realtà economica imputabile alla società oggi incriminata, in assenza di documentazione e di adeguate indagini bancarie, attestanti l'effettività delle operazioni. Chiede, pertanto, la riforma della sentenza gravata in senso assolutorio e, in subordine, irrogarsi il minimo della pena previa esclusione dell'aumento per la contestata recidiva e/o con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla stessa laddove confermata. La Corte, dopo aver provveduto alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale con l'acquisizione della documentazione sulla scorta della quale era stato effettuato l'accertamento da parte dell'Agenzia delle Entrate (documentazione richiesta e inviata da tale Ufficio), in data odierna, decideva sul gravame proposto nell'interesse dell'imputato, previa discussione del P.G. e del suo difensore che concludevano come riportato in epigrafe. L'appello è infondato. 1) Sull'eccezione di nullità per omessa notifica del nuovo decreto di rinvio a giudizio. Il rilievo è privo di pregio. Invero, al secondo difensore il decreto di citazione è stato ritualmente notificato sebbene in violazione del termine a difesa, di talché l'assenza dello stesso alla prima udienza non può che imputarsi ad una scelta volontaria indipendente dalla suddetta violazione non certo sanata se prontamente eccepita. Inoltre dal verbale risulta che il codifensore fosse presente anche in sostituzione dell'altro, di talché l'avviso dato dal Tribunale della nuova udienza, fissata in modo da sanare il rilievo difensivo, risulta essere idonea allo scopo. 2) Anche l'eccezione di incompetenza per territorio appare infondata. Ed invero, la S.C. ha stabilito che: "In tema di delitto di omesso versamento dell'Iva, ai fini della individuazione della competenza per territorio, non può farsi riferimento al criterio del domicilio fiscale del contribuente, ma deve ricercarsi il luogo di consumazione del reato ai sensi dell'art. 8 cod. proc. pen.; ne consegue che, essendo impossibile individuare con certezza il suddetto luogo di consumazione, considerato che l'obbligazione tributaria può essere adempiuta anche presso qualsiasi concessionario operante sul territorio nazionale, va applicato il criterio sussidiario del luogo dell'accertamento del reato, previsto dall'art. 18, comma 1, D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74, prevalente, per la sua natura speciale, rispetto alle regole generali dettate dall'art. 9 cod. proc. pen." (Cass. sez. 3, n. 17060 del 10/01/2019 ud. - dep. 18/04/2019). Nel caso di specie è fuor di dubbio che l'accertamento del reato sia stato effettuato dalla Direzione Provinciale di Taranto - Ufficio controlli - Agenzia delle Entrate. 3) Nel merito. L'articolo 8, comma 1, lettera c), D.P.R. 633/1972, e il comma 2 dello stesso articolo, integrati dal D.L. 746/1983 (e modificati per effetto dell'entrata in vigore della L. 28/1997) permette a particolari categorie di soggetti (c.d. esportatori abituali) di acquistare e importare beni e servizi evitando l'assoggettamento a imposta. Per ottenere lo status di "esportatore abituale" è necessario aver registrato, nell'anno solare precedente (ovvero nei 12 mesi precedenti), cessioni all'esportazione e operazioni assimilate (articoli 8, lettera a) e b), 8-bis, 9,71 e 72, D.P.R. 633/1972), cessioni intracomunitarie (articoli 41 e 58, D.L. 331/1993) e operazioni assimilate, per un ammontare superiore al 10% del volume d'affari realizzato nell'anno (o nei 12 mesi precedenti), diminuito delle cessioni di beni in transito (o depositati in luoghi soggetti a vigilanza doganale) e delle operazioni di cui all'articolo 21, comma 6 – bis, D.P.R. 633/19721. Si tratta delle operazioni non soggette a Iva per carenza del presupposto territoriale (articoli da 7 a 1-septies, D.P.R. 633/1972) per le quali è stato espressamente previsto l'obbligo di emissione della fattura allorché si tratti di cessioni di beni e prestazioni di servizi diverse da quelle esenti (articolo 10, comma 1, n. da 1 a 4 e 9, D.P.R. 633/1972), effettuate nei confronti di un soggetto passivo che è debitore dell'imposta in un altro Stato membro dell'Unione Europea. In particolare, in virtù di quanto prescritto dal citato articolo 8, comma 1, lettera c, D.P.R. 633/1972, gli esportatori abituali possono: - acquistare beni e servizi (esclusi fabbricati, aree fabbricabili e beni o servizi per i quali l'iva è in-detraibile) senza dover corrispondere il tributo ai propri fornitori, ossia "in sospensione di imposta". La sospensione di imposta riguarda sia l'iva sull'acquisto di un bene o servizio da un fornitore extra Ue (che altrimenti verrebbe versata alla dogana), sia l'iva inerente gli acquisti di beni o servizi da un fornitore nazionale (ed esempio Piva esposta sulle fatture del centro elaborazione dati, sulle prestazioni professionali, sull'acquisto di prodotti finiti e materie prime, etc.), anche se non inerenti all'attività di esportatore esercitata dal soggetto passivo Iva; - nei limiti del "plafond disponibile" (soglia monetaria riferita ai beni e servizi che possono essere acquistati e importati senza applicazione dell'Iva) costituito dall'ammontare complessivo delle operazioni non imponibili (cessioni all'esportazione, cessioni intracomunitarie e operazioni assimilate, servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali) registrate nell'anno solare precedente (c.d. "plafond fisso"), ovvero nei 12 mesi precedenti (c.d. "plafond mobile"). La previsione normativa comporta, per l'esportatore abituale, secondo gli analisti "non una diminuzione dell'imposta dovuta, bensì la semplificazione del suo rapporto creditorio con l'Erario e l'attenuazione della correlativa sua esposizione finanziaria: l'obiettivo perseguito dall'istituto del plafond è, infatti, quello di non penalizzare finanziariamente i soggetti passivi Iva che operano prevalentemente con l'estero, i quali possono così evitare di anticipare l'imposta sugli acquisti a fronte del mancato ribaltamento della stessa sulle operazioni attive". L'esportatore abituale che intende acquistare beni o servizi senza applicazione dell'Iva è tenuto a redigere, in duplice esemplare, un'apposita dichiarazione recante: - l'attestazione del proprio status di "esportatore abituale"; - l'indicazione del numero di partita Iva; - la conseguente richiesta al fornitore di non applicare l'iva, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera c), del D.P.R. 633/1972. Con riguardo a tale adempimento, l'articolo 20, D.Lgs. 175/2014 (c.d. Decreto semplificazioni fiscali) ha previsto che, a partire dalle operazioni effettuate dal 1 gennaio 2015, la comunicazione all'Amministrazione finanziaria (o alla dogana) delle dichiarazioni d'intento deve essere effettuata dall'esportatore abituale e non più dal fornitore di quest'ultimo. Prima di acquistare in esenzione di imposta, l'esportatore abituale è tenuto: - a inviare all'Agenzia delle entrate (o alla dogana) l'apposito modello per la dichiarazione d'intento, - a consegnare al fornitore la dichiarazione di intento e la ricevuta di avvenuta presentazione della stessa presso l'Agenzia delle entrate (o alla dogana), secondo le disposizioni citate non applicabili al caso di specie; - a tenere l'apposito registro delle dichiarazioni d'intento; - a evidenziare nella dichiarazione Iva annuale (quadro VC) la modalità di determinazione del plafond nonché il relativo utilizzo. Così riassunto il quadro normativo applicabile al caso di specie, successivamente modificato da provvedimenti legislativi e da numerose circolari e risoluzioni dell'Agenzia delle Entrate, dal verbale di accertamento acquisito agli atti emerge che: - dal 2009 e fino al 2016, data dell'accertamento, il legale rappresentante della Sc., fosse proprio l'An., proprietario altresì dell'intero capitale sociale; - dal 17.11.2009 la società avesse trasferito la sede legale in Taranto sebbene all'indirizzo indicato fosse risultata sconosciuta ed avesse omesso di presentare le dichiarazioni ai fini HDD, IRAP e IVA né risultavano depositati i bilanci di esercizio; - conformemente alle disposizioni dell'epoca, i dati delle dichiarazioni d'intento erano stati trasmessi telematicamente dai diversi fornitori; - negli anni 2010, 2011 e 2012 la società avesse effettuato acquisti intracomunitari di servizi, in quanto erano state trasmesse le relative dichiarazioni dai prestatori comunitari sebbene non avesse presentato i Mod. "Intra". Orbene, ai fini della presente decisione rileva che le dichiarazioni d'intento fossero state rilasciate in assenza dei presupposti di legge, non avendo la società in questione effettuato la presentazione della dichiarazione IVA 2009 né risultando in altro modo i dati relativi alle esportazioni e/o cessioni intracomunitarie effettuate nell'anno precedente al 2010. Inoltre, al fine di confermare i dati in questione, ai fornitori erano stati inviati questionari relativi alle prestazioni effettuati, le cui risposte erano valse a determinare l'ammontare delle operazioni imponibili. Questa Corte, quale indispensabile rinnovazione istruttoria, ha provveduto ad acquisire la documentazione posta a base dell'accertamento. Alla stregua di tutto il materiale probatorio raccolto, occorre confermare, in primo luogo, il fatto che le dichiarazioni d'intenti fossero state emesse in assenza di presupposti di legge, per cui il mancato pagamento dell'imposta deve ritenersi privo della dovuta giustificazione. Dunque anche una sola operazione effettuata in esenzione del pagamento dell'Iva sarebbe da considerarsi in frode alla legge. Si tratta, quindi, di verificare il superamento della soglia di punibilità prevista dalla norma incriminatrice oggetto di contestazione. La difesa, a tal proposito, ha eccepito che la documentazione da ultimo acquisita (erroneamente ritenuta formata dopo la consumazione del reato laddove così non è né per i documenti di trasporto né per le fatture, men che meno per le lettere d'intento), sarebbe inidonea a fondare una pronuncia di condanna in quanto spedita in copia, spesso illegibile, senza la possibilità di ricostruire in termini reali sia gli acquisti sostenuti dalla Sc. s.r.l. Import-Export che la successiva vendita. Formula, quindi, la richiesta di acquisizione in originale di tale documentazione e l'esame dei legali rappresentanti delle società fornitrici, oltre all'espletamento di una perizia contabile. Occorre, innanzitutto, rilevare che della documentazione acquisita è fatto ampio riferimento nel verbale di accertamento redatto dall'Agenzia delle Entrate, sulla quale esso si fonda, di talché non può affermarsi che si tratti di una prova "a sorpresa". Inoltre non va dimenticato che (nella gran parte: ad eccezione dei formulari) la suddetta documentazione contabile è (o dovrebbe essere) nel possesso dello stesso assistito in quanto da lui emessa e ricevuta (fatture, documenti di trasporto, lettere d'intenti), per cui ben avrebbero potuto i difensori, da un accurato riscontro, rilevarne le eventuali discrasie rispetto al reale. A tal proposito rileva quanto dichiarato dal funzionario dell'Agenzia delle Entrate in merito al mancato deposito da parte dell'An. della documentazione contabile e dei registri societari nonostante l'invito comunicato nella sede legale della società (accertata essere sconosciuta all'indirizzo fornito). Così come non può trascurarsi la circostanza che la società in questione sia da considerarsi un "evasore totale" stante la mancata presentazione di qualsiasi dichiarazione fiscale, e che avesse persino omesso il deposito dei bilanci. E trascurano i difensori che la documentazione acquisita dall'Ufficio finanziario sia costituita dalle stesse copie inviate a questa A.G. in quanto le fatture in originale sono rimaste nella contabilità dei soggetti attori del rapporto commerciale (e dunque anche dello stesso An.); i documenti di trasporto e le dichiarazioni d'intento sono state trasmesse, come dovuto, all'Anagrafe Tributaria. Nel caso di specie, poi, trattandosi di documenti relativi a transazioni con l'estero i dati erano stati trasmessi al VIES (definito quale sistema di interscambio dati dell'Unione Europea) dagli stessi soggetti parti dell'operazione. Di talché non vi è un documento originale bensì un'interrogazione del citato sistema. La richiesta istruttoria appare dunque non necessaria ai fini del decidere e sostanzialmente dilatoria. Anche il rilievo relativo alla inidoneità della metodologia di accertamento dell'imposta evasa va ritenuto infondato. In primo luogo l'iva evasa all'atto dell'acquisto ammonta certamente a 928.263,00 Euro per i motivi innanzi esposti. Inoltre, prova della rivendita è costituita dall'acquisto di prestazioni di servizi, quali il trasporto verso l'Inghilterra, nonché di vendita di vino verso uno dei fornitori di merce diversa (fattura per 205.000,00 Euro con 41.000,00 Euro di iva evasa). Il numero progressivo della fattura emessa in tale occasione è il 258, né risulta aliunde (e l'interesse dell'An. a dimostrare un eventuale scarto con la realtà deve ritenersi oltremodo evidente), che detta numerazione fosse inconsistente. Infine, relativamente alla effettività delle operazioni, gran parte dei fornitori avevano inviato all'Ufficio territoriale in questione, la fotocopia di assegni ottenuti dalla Sc. inerenti il pagamento della merce venduta e i documenti relativi ai trasporti effettuati verso un deposito fiscale in Inghilterra. Sulla scorta di tali elementi, non soltanto le contestazioni mosse dai difensori dell'imputato risultano quanto mai generiche e non fondate su dati reali (si pensi all'ipotesi dell'esistenza di un amministratore di fatto sfornita di qualsiasi addentellato concreto, o alla contestazione circa l'esistenza dell'elemento soggettivo alla stregua della mancata presentazione di ogni dichiarazione, del deposito dei bilanci, dell'indicazione di una sede sociale inesistente), ma anche la metodologia dell'accertamento deve ritenersi valida in questa sede ai fini dell'attribuzione della responsabilità penale. Ed invero, calcolati gli acquisti effettuati dalla Sc. sulla scorta delle forniture indicate dalle ditte venditrici, nonché l'ammontare dei beni accessori e dei servizi prestati - dunque sulla scorta di tali reali - l'Ufficio finanziario si è limitato ad apporre a tali quantità una percentuale di ricarico desunta (per la vendita della pasta, dell'olio, dei pomodori pelati e delle passate di pomodoro) dai listini dei prezzi all'ingrosso del settore agricolo alimentare pubblicati dalla camera di Commercio di Teramo, o da dai prezzi al consumo, attualizzati al presumibile momento della vendita (maggio 2010, data intermedia del periodo in esame). Alla somma così ottenuta era stata aggiunta quella relativa a prestazioni di servizi resi da non residenti nonché i ricavi della vendita di vino applicandovi, solo a quest'ultima, il ricarico medio desumibile dagli studi di settore. Deve, inoltre, rilevarsi che tale atto di accertamento non é stato impugnato. Dunque, ad avviso della Corte, si tratta di metodologia fondata su dati reali, sulla verifica dei prezzi al consumo, sugli studi di settore, di talché, in assenza di qualsiasi contributo da parte dell'odierno imputato, nessun diverso accertamento sarebbe stato possibile. In punto di trattamento sanzionatorio, alla stregua delle considerazioni che precedono, non soltanto i fatti oggetto del presente processo rappresentato la conferma di una pericolosità sociale non certo risalente nel tempo se rapportata al momento di commissione del reato; condotta illecita, quella in esame, da cui si desume che l'An. avesse mantenuto la sua collocazione in ambiti delinquenziali di natura "predatoria", come lo spaccio di sostanze stupefacenti e la grande evasione fiscale, per cui la concretezza dell'addebito di recidiva reiterata mossogli rimane inalterato. Né si comprende per quali motivi le circostanze attenuanti generiche, già generosamente concesse dal primo Giudice, dovrebbero risultare prevalenti sulla stessa. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte, visti gli artt. 592 e 605 c.p.p., conferma la sentenza emessa dal Tribunale di Taranto, in data 6.11.2018, appellata dall'imputato An.An. che condanna al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio. Termine di 90 gg. per il deposito della motivazione. Così deciso in Taranto il 25 settembre 2020. Depositata in Cancelleria il 18 novembre 2020.
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