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Reati tributari

Omesso versamento IVA: sulla rilevanza della crisi d'impresa

Omesso versamento IVA

Cassazione penale sez. III, 13/11/2018, n.12906

Il reato di omesso versamento IVA è integrato dalla scelta consapevole di omettere i versamenti dovuti, non rilevando la circostanza che la società attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte al pagamento di debiti ritenuti più urgenti, elemento che rientra nell'ordinario rischio di impresa e che non può certamente comportare l'inadempimento dell'obbligazione fiscale contratta con l'erario.
Tale elemento può rilevare come causa di forza maggiore di cui all'art. 45 c.p., solo se siano assolti gli oneri di allegazione idonei a dimostrare non solo l'asserita crisi d liquidità, ma anche che detta crisi non sarebbe stata fronteggiabile tramite il ricorso ad apposite procedure da valutarsi in concreto, non ultimo il ricorso al credito bancario. L'imprenditore deve quindi prova aver posto in essere, senza successo per causa a cui non imputabile, tutte le misure (anche sfavorevoli per il proprio patrimonio personale) idonee a reperire la liquidità necessari per adempiere il proprio debito fiscale.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. - Con sentenza del 20 febbraio 2018 la Corte d'appello di Trieste ha parzialmente riformato la sentenza emessa il 9 dicembre 2015 dal Tribunale di Udine, che aveva condannato l'imputato, per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, perchè, quale rappresentante della F.P. SERVIZI s.r.l., non aveva versato, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo, l'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione relativa all'anno 2009, per un importo complessivo di Euro 259.657. La Corte d'appello ha concesso all'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena e ha confermato nel resto la sentenza impugnata. 2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. - Con un primo motivo di doglianza, si censurano il vizio di motivazione e la violazione di legge, con riferimento alla confisca per equivalente dei beni dell'imputato disposta in luogo della confisca diretta dei beni della società. Secondo la prospettazione difensiva, la Corte d'appello avrebbe errato nell'escludere la possibilità di confiscare i beni della società sulla base del fatto che la F.P. SERVIZI s.r.l. si era estinta per incorporazione nella società Fimtrapica s.r.l., dal momento che la giurisprudenza di legittimità, valorizzando il disposto di cui all'art. 2054 c.c., avrebbe riconosciuto la prevalenza della confisca diretta sulla confisca per equivalente anche nell'ipotesi di incorporazione. Pertanto, a parere della difesa, i giudici del merito avrebbero dovuto eseguire la confisca diretta del profitto del reato nei confronti della incorporante Fimtrapica s.r.l., anzichè procedere alla confisca per equivalente dei beni dell'imputato. 2.2. - Con un secondo motivo di ricorso, si censura la violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, con riferimento alla ritenuta sussistenza del dolo del reato e al mancato riconoscimento dell'inesigibilità soggettiva della condotta richiesta dalla norma. In particolare, i giudici del merito avrebbero dovuto considerare che la F.P. SERVIZI s.r.l. non aveva potuto adempiere alle obbligazioni tributarie per una seria crisi di liquidità dovuta alla difficile congiuntura economica e ad una annosa crisi di mercato che aveva spinto la società a fondersi con la Fimtrapica s.r.l. la quale, a sua volta, a causa dell'aggravamento debitorio e della procedura di concordato preventivo, non era stata in grado di adempiere. Inoltre, i giudici del gravame non avrebbero motivato con riferimento alla sussistenza del dolo generico di evadere le imposte in misura superiore alla soglia di punibilità prevista dalla norma incriminatrice. 2.3. - Con un ultimo motivo di ricorso, si lamenta la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p.. In particolare, la difesa censura la contraddittorietà della motivazione resa dalla Corte d'appello, che avrebbe prima escluso 2 la particolare tenuità del fatto sulla base della cospicua divergenza tra la soglia di punibilità prevista dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter e le somme evase dell'imputato e, nel passaggio immediatamente successivo, avrebbe riconosciuto che soglia "non era stata superata di moltissimo". Parimenti, la Corte d'appello avrebbe errato nel ritenere irrilevante il fatto che il mancato versamento aveva riguardato una sola annualità, circostanza che, secondo la difesa, avrebbe dimostrato la "non abitualità" della condotta contestata all'imputato. COSIDERATO IN DIRITTO 3. - Il ricorso è parzialmente fondato. 3.1. - Il primo motivo - con cui si censura la mancata disposizione della confisca diretta sui beni sociali in luogo della confisca per equivalente sui beni dell'imputato - è formulato in modo non specifico. Infatti, fermo restando il principio secondo cui la confisca per equivalente sui beni personali dell'imputato risulta sussidiaria rispetto alla confisca diretta del profitto del reato (ex plurimis, Sez. 2, n. 30484 del 28/05/2015; Sez. IV, n. 15736 del 16/01/2015), si rileva che il ricorrente si è limitato a segnalare un preteso errore interpretativo commesso dalla Corte d'appello di Trieste senza indicare, nè in sede d'appello, nè nel presente ricorso, alcun elemento idoneo a provare che la società Fimtrapica s.r.l. disponeva di un patrimonio sociale passibile di confisca diretta. Al contrario, la stessa difesa, nel motivo di ricorso sub 2.3., afferma che la Fimtrapica s.r.l. aveva a sua volta sofferto una seria crisi di liquidità che l'aveva costretta a ricorrere al concordato preventivo, di cui non si specificarlo i termini e la data, così evidenziando che neppure tale società possedeva un patrimonio su cui fosse possibile operare prima il sequestro e poi la confisca diretta del profitto del reato. 3.2. - Manifestamente infondato è anche il motivo di ricorso sub 2.3. con cui l'imputato censura la violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, con riferimento alla mancata sussistenza del dolo di reato conseguente all'inesigibilità della condotta imposta al ricorrente. Del tutto correttamente la Corte d'appello, richiamando i consolidati principi espressi da questa Corte, ha escluso la rilevanza scusabile della crisi societaria meramente prospettata dall'imputato. Infatti, il reato di omesso versamento IVA è integrato dalla scelta consapevole di omettere i versamenti dovuti, non rilevando la circostanza che la società attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte al pagamento di debiti ritenuti più urgenti (ex plurimis Sez. 3, n. 10813 del 6/2/2014; Sez. 3, n. 5467 del 5/12/2013), elemento che rientra nell'ordinario rischio di impresa e che non può certamente comportare l'inadempimento dell'obbligazione fiscale contratta con l'erario. Tale elemento può rilevare come causa di forza maggiore di cui all'art. 45 c.p., solo se siano assolti gli oneri di allegazione idonei a dimostrare non solo l'asserita crisi d liquidità, ma anche che detta crisi non sarebbe stata fronteggiabile tramite il ricorso ad apposite procedure da valutarsi in concreto, non ultimo il ricorso al credito bancario. L'imprenditore deve quindi prova aver posto in essere, senza successo per causa a cui non imputabile, tutte le misure (anche sfavorevoli per il proprio patrimonio personale) idonee a reperire la liquidità necessari per adempiere il proprio debito fiscale (ex plurimis, Sez. 3, n. 5467 del 5/12/2013). Nel caso di specie - come ben evidenziato dai giudici del gravame - la difesa si è limitata ad asserire l'esistenza di una pregressa crisi di impresa senza allegare elementi idonei a dimostrare l'entità della crisi, le incolpevoli cause della stessa, e l'impossibilità di superarla tramite il corso ad idonei strumenti da valutarsi in concreto. Analoghe considerazioni valgono per la censura relativa all'omessa motivazione con riferimento all'elemento soggettivo del dolo generico in ordine al superamento della soglia di punibilità prevista dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter. La difesa, infatti, non ha fornito elementi specifici a sostegno della sua prospettazione, mentre la Corte territoriale ha correttamente valorizzato la presentazione della dichiarazione IVA effettuata dall'imputato, evidenziando che, per la commissione del reato, è sufficiente la coscienza e volontà di non versare all'Erario l'IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale (ex plurimis, Sez. U, n. 37424 del 28/03/2013). 3.3. - L'ultimo motivo di ricorso - con cui si censura il diniego di riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p. - è invece fondato. 3.3.1. - Deve, innanzitutto, essere ricordato il principio espresso da Sez. U, Senterza n. 13681 del 25/02/2016, Rv. 266594; secondo l'indicata pronuncia "in tema di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all'art. 131 bis c.p., quando la sentenza impugnata è anteriore alla entrata in vigore del D.Lgs. n. 16 marzo 2015, n. 28, l'applicazione dell'istituto nel giudizio di legittimità va ritenuta o esclusa senza rinvio del processo nella sede di merito e se la Corte di cassazione, sulla base del fatto accertato e valutato nella decisione, riconosce la sussistenza della causa di non punibilità, la dichiara d'ufficio, ex art. 129 c.p.p., annullando senza rinvio la sentenza impugnata, a norma dell'art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l)". In forza di tale principio, è stata riconosciuta la possibilità per la Corte di cassazione di accertare d'ufficio, in presenza di un ricorso ammissibile, la sussistenza della indicata causa di non punibilità nel giudizio di legittimità, con l'adozione dei provvedimenti conseguenti. E La valenza dell'indicato principio non può essere limitata al caso in cui la sentenza impugnata sia stata pronunciata in data anteriore all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 16 marzo 2015, n. 28. Infatti, la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall'art. 131 bis c.p., nel giudizio di legittimità, può essere rilevata d'ufficio, in presenza di un ricorso ammissibile, anche se non dedotta nel corso del giudizio di appello pendente alla data di entrata in vigore della norma, a condizione che i presupposti per la sua applicazione siano immediatamente rilevabili dagli atti e non siano necessari ulteriori accertamenti fattuali a tal fine (ex multis, Sez. 1, n. 27752 del 09/05/2017, Rv. 270271 01; Sez. 6, n. 7606 del 16/12/2016 dep. 2017, Rv. 269164). Si deve poi ricordare che, come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema omesso versamento di IVA, la causa di non punibilità della "particolare tenuità del fatto", prevista dall'art. 131 bis c.p., è applicabile soltanto alla omissione per un ammontare vicinissimo alla soglia di punibilità, fissata a Euro 250.000,00 dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, in considerazione del fatto che il grado di offensività che dà luogo a reato è già stato valutato dal legislatore nella determinazione della soglia di rilevanza penale (ex plurimis Sez. 3, n. 13218 del 20/11/2015; Sez. 3, n. 40774 del 05/05/2015). 3.3.2. - Orbene, nel caso di specie, la divergenza tra gli importi non versati dall'imputato e la soglia di non punibilità ammonta a meno di Euro 10.000,00, importo che può ritenersi prossimo alla soglia predeterminata dal legislatore, discostandosi dalla stessa di meno del 4%, e che non preclude, conseguentemente, una valutazione positiva in termina di tenuità del fatto considerato. Nè sussistono, per quanto affermato dai giudici di merito ulteriori elementi ostativi ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità. 4. - In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, perchè il fatto non è punibile per particolare tenuità. Il ricorso deve essere nel resto rigettato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, per essere il fatto non punibile per particolare tenuità. Rigetta nel resto il ricorso. Così deciso in Roma, il 13 novembre 2018. Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2019
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