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Reati tributari

Omesso versamento IVA: sussiste nell'ipotesi in cui il versamento non venga fatto nel termine dell'anticipo dell'anno successivo

Omesso versamento IVA

Tribunale Salerno sez. I, 28/10/2021, n.3127

La disposizione di cui all'articolo 10-bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa l'imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo": e cioè - in forza dell'art. 6, comma 2, della legge 29 dicembre 1990, n. 405, recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1991)" - entro il 27 dicembre dell'anno successivo al periodo di imposta di riferimento.

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La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con decreto di citazione diretta a giudizio emesso dal Pm in sede in data 24 marzo 2018 Pa. An. veniva citato innanzi al Tribunale di Salerno, in composizione monocratica, per rispondere del reato ascrittogli in rubrica. Alla prima udienza del 7 febbraio 2019, dichiarata l'assenza dell'imputato veniva aperto il dibattimento ed ammesse le prove richieste dalle parti. All'udienza del 16 maggio 2019 si procedeva all'istruttoria con l'esame del teste del Pm (Mar.llo Ma. Ma. in servizio presso la Gdf di (omissis)) e si acquisiva con il consenso delle parti l'annotazione a firma del teste, quindi il Pm, con il consenso della difesa, rinunciava all'esame del residuo teste di lista ed il Tribunale ne revocava l'ammissione, quindi si rinviava per il teste della difesa. Dopo un rinvio per assenza del teste della difesa. L'udienza del 2 aprile 2020 subiva rinvio di ufficio per l'emergenza sanitaria per rischio da contagio per COVID-19, sospesi i termini di prescrizione per giorni 64. All'udienza del 22 ottobre 2020 la prima dinanzi al sottoscritto Giudice, si disponeva la rinnovazione della istruttoria mediante lettura delle dichiarazioni del teste escusso, nulla osservando le parti secondo quanto disposto dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 41736 del 10 ottobre 2019, e si rinviava per assenza del teste della difesa. L'udienza del 22 aprile 2021 subiva rinvio di ufficio per l'emergenza sanitaria. All'udienza odierna del 28 ottobre 2021, il Giudice sentite le parti (le quali concludevano concordemente per la declaratoria di non doversi procedere, per intervenuta prescrizione), ha pronunciato, in via preliminare, sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., sul presupposto dell'intervenuta prescrizione del reato contestato. 2. In presenza di una causa estintiva del reato, il giudice è tenuto alla relativa declaratoria se dalle prove acquisite al processo non risulta evidente che il fatto non sussiste, che l'imputato non lo ha commesso, che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge reato, ipotesi queste ultime in cui si impone l'adozione di formule assolutorie nel merito (cfr. Cass. 13.11.1989, Be.; Cass. 30.6.1993, Mu.; Tribunale Napoli 25.9.1991, Mo.). Si tratta del tradizionale principio, fissato dal secondo comma dell'art. 129 c.p.p., che sancisce la (limitata) prevalenza delle formule assolutorie di merito, in presenza di una situazione di evidenza probatoria in ordine all'insussistenza del reato e all'innocenza dell'imputato, alla quale può essere equiparata soltanto la mancanza totale di prova circa la sussistenza del reato e della colpevolezza (cfr. Corte Costituzionale 16.1.1975 n° 5, che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale del previgente art. 152 c.p.p.). Quando, invece, dalla disamina degli elementi acquisiti emerga ima situazione di insufficienza e contraddittorietà della prova della colpevolezza dell'imputato, la formula di assoluzione nel merito è subvalente rispetto alla declaratoria di estinzione, in quanto la regola di giudizio contenuta nell'art. 129 c.p.p. è derogatoria rispetto a quella dettata dal secondo comma dell'art. 530 del nuovo codice di rito. Dal punto di vista della motivazione, la disposizione di cui all'art. 129 c.p.p. viene interpretata nel senso che il giudice, nel dichiarare estinto il reato, non è tenuto ad un'analisi specifica ed approfondita di tutte le emergenze processuali, né ad indicare puntualmente i motivi della mancata assoluzione nel merito, atteso che la sentenza non è destinata ad acquisire autorità di giudicato ai fini di un giudizio di colpevolezza, ma si esaurisce in una mera disamina del materiale acquisito agli atti, al fine di escludere l'applicabilità del secondo comma dell'art. 129; e si è anche sostenuto che, laddove il giudice si limiti ad applicare una causa di estinzione del reato senza motivare circa la mancata applicazione del secondo comma dell'art. 129 c.p.p., deve ritenersi che, così facendo, abbia inteso escludere la ricorrenza del requisito dell'evidenza della prova dell'innocenza dell'imputato, fino a concludere che, in tal caso, eventuali vizi di motivazione non sono deducibili in Cassazione, poiché l'inevitabile rinvio al giudice del merito non sarebbe compatibile con l'obbligo di immediata declaratoria della causa estintiva (Cass. 25.3.1992, Ma.). 3. Venendo al caso di specie, tenuto conto dell'epoca del commesso reato per cui si procede ritiene ((omissis)), il giudice che ricorrano le condizioni per pronunciare sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione ai sensi dell'art. 129 c.p.p.. Ed infatti, va evidenziato che secondo quanto stabilito dalla norma incriminatrice "la disposizione di cui all'articolo 10-bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa l'imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo": e cioè - in forza dell'art. 6, comma 2, della legge 29 dicembre 1990, n. 405, recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1991)" - entro il 27 dicembre dell'anno successivo al periodo di imposta di riferimento. Ne consegue che il reato contestato in rubrica essendosi consumato alla data del (omissis) (anno successivo all'imposta di riferimento per l'anno 2012) si è estinto per intervenuta prescrizione, essendo maturati i termini massimi di prescrizione. Considerati, invero, tutti gli atti interruttivi nelle more sopravvenuti, in applicazione dell'attuale art. 157 c.p. e tenuto conto degli atti interruttivi e della mancanza di sospensioni della prescrizione, il reato contestato, punito fino a due anni di reclusione, in base al vigente 157 c.p. si prescrive nel termine massimo di anni 7 e mesi 6 (anni 6 + 1/4 di 6). Per cui il termine di prescrizione massima, è interamente decorso, tenuto conto delle sospensioni, alla data del (omissis). Si ritiene che, nella specie, poi non ricorrano i presupposti per la disapplicazione del termine massimo di prescrizione come imposto dalla sentenza della Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, emessa l'8 settembre 2015 (causa C - 105/14, Ta.). In tale sentenza la Corte pronunziandosi sul rinvio pregiudiziale proposto, ai sensi dell'art. 267 TFUE, dal Gip del Tribunale di Cuneo con ordinanza del 17 gennaio 2014, in un procedimento penale riguardante reati in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA) relativi a "frodi carosello" ha statuito che: "Una normativa nazionale in materia di prescrizione del reato come quella stabilita dal combinato disposto dell'articolo 160, ultimo comma, del codice penale, come modificato dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, e dell'articolo 161 di tale codice -normativa che prevedeva, all'epoca dei fatti di cui al procedimento principale, che l'atto interruttivo verificatosi nell'ambito di procedimenti penali riguardanti frodi gravi in materia di imposta sul valore aggiunto comportasse il prolungamento del termine di prescrizione di solo un quarto della sua durata iniziale - è idonea a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall'articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE nell'ipotesi in cui detta normativa nazionale impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell'Unione Europea, o in cui preveda, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell'Unione Europea, circostanze che spetta al giudice nazionale verificare. Il giudice nazionale è tenuto a dare piena efficacia all'articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE disapplicando, all'occorrenza, le disposizioni nazionali che abbiano per effetto di impedire allo Stato membro interessato di rispettare gli obblighi impostigli dall'articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE." In base alla predetta pronuncia spetta al giudice italiano, caso per caso, valutare la sussistenza dei predetti presupposti per disapplicare la normativa interna sul termine massimo di prescrizione. A chiarire, poi, i termini della questione in esame, è intervenuta nuovamente la Corte di Giustizia, Grande Sezione, con la sentenza del 5 dicembre 2017, in cui ha ribadito l'interpretazione che all'art. 325 TFUE aveva dato nella precedente sentenza dell'8 settembre 2015, ma, nello stesso tempo, ha dato ragione alla Corte costituzionale italiana che, con l'ordinanza n. 24 del 26 gennaio 2017, aveva opposto a quella interpretazione il possibile contrasto con il principio di legalità penale. A questo risultato essa è pervenuta per effetto della sola precisazione che la sentenza Ta. non si applica ai reati commessi anteriormente alla sua emanazione. In particolare, nella sentenza da ultimo citata è stato precisato che l'articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE dev'essere interpretato nel senso che esso impone al giudice nazionale di disapplicare, nell'ambito di un procedimento penale riguardante reati in materia di IVA, disposizioni interne sulla prescrizione, rientranti nel diritto sostanziale nazionale, che ostino all'inflizione di sanzioni penali effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell'Unione o che prevedano, per i casi di frode grave che ledono tali interessi, termini di prescrizione più brevi di quelli previsti per i casi che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, a meno che una disapplicazione siffatta comporti una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene a causa dell'insufficiente determinatezza della legge applicabile, o dell'applicazione retroattiva di una normativa che impone un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato. Il principio di irretroattività rende del tutto ininfluente la (prima) sentenza Ta. rispetto a tutti i reati commessi entro l'8 settembre 2015, con la conseguente non prospettabilità della disapplicazione delle disposizioni del codice penale sulla prescrizione, che pertanto vanno applicate anche se contrastano con il diritto europeo. Ciò è affermato esplicitamente dalla sentenza del 5 dicembre 2017: le persone imputate di reati commessi in tale tempo "potrebbero essere retroattivamente assoggettate a un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato". La precedente sentenza della Corte Europea si riferiva implicitamente, ma necessariamente, anche ai reati commessi in epoca antecedente. È interessante osservare che la irretroattività viene espressamente riferita dalla Corte di giustizia alla "pronunzia della sentenza Ta.", mentre essa, in linea di principio, contrassegna la relazione temporale tra il reato commesso e la legge ad esso applicabile. Poiché la disposizione della cui applicabilità si discute è quella dell'art. 325 del Trattato di Lisbona, l'irretroattività dovrebbe essere operante rispetto a tale disposizione e non alla sentenza della Corte europea. Ed infatti nel dispositivo della Ta.-bis si fa divieto della "applicazione retroattiva di una normativa che impone un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato". Ma, come si è detto, nella motivazione la irretroattività è esplicitamente posta rispetto alla (prima) sentenza Ta.. Il passaggio del concetto di irretroattività dalla norma alla sentenza si spiega se si pone mente all'altro menzionato requisito del principio di legalità costituito dalla prevedibilità dell'applicazione della legge penale. In tal modo, la Corte europea dà ragione alla Corte costituzionale, la quale aveva espresso la convinzione "che la persona non potesse ragionevolmente pensare, prima della sentenza resa in causa Ta., che l'art. 325 TFUE prescrivesse al giudice di non applicare" la disciplina del codice penale sulla prescrizione. Nella specie, si ritiene che non ricorrano i presupposti per la disapplicazione della normativa interna sulla prescrizione in applicazione della sentenza Ta. della Corte di Giustizia, dato che il reato contestato, seppure lesivo degli interessi finanziari dell'UE, trattandosi di condotte aventi ad oggetto l'imposta IVA, sono stati commessi tutti anteriormente all'8 settembre 2015. Tanto premesso, poiché le risultanze processuali non consentono di addivenire ad una più favorevole assoluzione dell'imputato nel merito, vista la documentazione acquisita e quanto dichiarato dal teste escusso e non risultando evidenti prove a discarico che legittimino una pronuncia ai sensi del secondo comma dell'art. 129 c.p.p., va dichiarata l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione. In ordine al sequestro preventivo emesso dal Gip in sede il (omissis), si rileva che in caso di pronuncia di sentenza di non luogo a procedere a norma dell'art. 323 comma 1 c.p.p. perde immediatamente efficacia il sequestro, se non sussistono i presupposti della confisca obbligatoria. Pertanto, nella specie trattandosi di somme in sequestro e per equivalente pari al profitto del reato e visto l'esito del dibattimento con pronuncia di non doversi procedere, non sussistendo ipotesi di confisca obbligatoria, ne va disposta l'immediata restituzione all'avente diritto di quanto in sequestro. P.Q.M. letto l'art. 129 c.p.p. dichiara non doversi procedere nei confronti dell'imputato Pa. An. in ordine al reato ascrittogli in rubrica in quanto estintosi per intervenuta prescrizione; letto l'art. 323 c.p.p. dichiara la perdita di efficacia del decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip in sede il 01.12.2017 e depositato il 02.12.2017 ed ordina la immediata restituzione agli aventi diritto di quanto in sequestro, mandando alla P.G. per l'esecuzione ed alla cancelleria per le comunicazioni di rito. Così deciso in Salerno, il 28 ottobre 2021 Depositata in Udienza il 28 ottobre 2021
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