RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Roma, con sentenza del 20 gennaio 2023, ha confermato la condanna di Ce.Pi. alla pena di un anno di reclusione per il reato di cui all'art. 328 cod. pen. perché, quale consulente tecnico di ufficio, ometteva di depositare il proprio elaborato nonostante i ripetuti rinvii concessi dal giudice, trascorsi trenta mesi dal giorno in cui aveva ricevuto l'incarico, reato consumato in Latina il 28 febbraio 2017 quando, dopo la PEC inviatagli il 16 novembre 2016 aveva continuato a non depositare, entro il termine perentorio del 28 febbraio 2017, la relazione peritale limitandosi a inviare una nota al Tribunale.
2. Con unico motivo di ricorso l'imputato denuncia erronea applicazione della legge penale poiché il fatto, da qualificare ai sensi dell'art. 328, comma 2, cod. pen. è stato erroneamente ricondotto alla violazione dell'art. 328 comma 1 cod. pen., in mancanza del requisito di urgenza dell'attività richiesta, urgenza tassativamente richiesta dalla fattispecie incriminatrice, che sanzione il rifiuto di atti di ufficio nel caso i cui l'inerzia comprometta l'adozione efficace dell'atto urgente. La Corte ha travisato le censure proposte con l'appello, alle quali non ha dato risposta, ove si faceva rilevare che l'urgenza era smentita dal notevole arco temporale (trenta mesi) che l'autorità giudiziaria aveva fatto trascorrere prima della revoca dell'incarico, lasso di tempo ex se incompatibile con la pretesa urgenza dell'attività delegata al perito che non era soggetta a termine perentorio in mancanza del quale non è ravvisabile il reato di cui all'art. 328, comma 1, cod. pen.
3. Il ricorso è stato trattato con procedura scritta, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. 137 del 28 ottobre 2020 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 176 del 18 dicembre 2020, la cui disciplina continua ad applicarsi per effetto della proroga da ultimo disposta dall'art. 17 del d.L. 22 giugno 2023 n. 75.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato e la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.
2. Il reato di cui all'art. 328, comma 1, cod. pen. sanziona l'indebito rifiuto di atti qualificati e dà rilievo alla violazione degli obblighi di agire per la realizzazione dei compiti istituzionali della pubblica amministrazione e, nell'ambito di questi ultimi, attribuisce rilievo penale soltanto a determinate condotte.
Ai fini dell'integrazione dell'ipotesi del rifiuto non è sufficiente che questo abbia per oggetto un qualsiasi atto d'ufficio, ma è necessario che ricorrano anche due imprescindibili condizioni: a) che l'atto sia da compiersi per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o di ordine pubblico o di igiene e sanità; b) che l'atto debba essere compiuto senza ritardo, cioè che si tratti di atto "qualificato" e "indifferibile".
Un profilo imprescindibile per la configurabilità del reato in esame è, pertanto, quello della indifferibilità dell'atto qualificato.
Questa Corte ha rilevato che l'indifferibilità dell'atto da compiere va riferita non al generico dovere di diligenza del pubblico ufficiale, ma piuttosto alla connotazione oggettiva dell'atto medesimo in funzione dell'interesse perseguito dalla pubblica amministrazione, intesa in senso lato. L'indifferibilità dell'atto va, dunque, accertata in base all'ordinamento (al cui interno sono individuabili - al di là di una eventuale previsione esplicita - le condizioni di non rinviabilità dell'atto stesso) con riferimento all'entità del danno che il ritardo potrebbe potenzialmente provocare: il che significa che l'atto deve essere compiuto senza ritardo quando, per espressa previsione ovvero per emergenze oggettive insite nella sua natura strutturale, non può essere differito, proprio per garantire il perseguimento dello scopo cui è preordinato e gli effetti ad esso concretamente ricollegabili (ex plurimis: Sez. 6, n. 47531 del 20/11/2012, Cambria, Rv. 254039-01).
Si è affermato, inoltre, che la stessa legge può prevedere una scadenza esplicita per l'adozione dell'atto, ma ciò non significa che il ritardo integri automaticamente il reato, ove la mancata osservanza del termine, anche perentorio, fissato magari per ragioni estranee alla sostanza degli effetti che con fatto s'intendono raggiungere, non abbia determinato, in concreto, la compromissione del bene protetto; all'opposto, l'assenza di un termine esplicito o la previsione di un termine meramente ordinatorio non esclude che l'atto debba comunque essere compiuto in un ristretto margine temporale, delimitato dal sostanziale aumento del rischio per gli interessi tutelati dalla fattispecie incriminatrice (cfr. 47351 cit.).
3.La Corte di appello ha dato atto che l'imputato, architetto iscritto all'Albo e nominato consulente tecnico di ufficio in procedimento civile, aveva ricevuto l'incarico e prestato il giuramento all'udienza del 5 ottobre 2006, con termine di 120 giorni per il deposito di perizia che non era stata depositata, senza neppure chiedere proroga, nonostante il rinvio dell'udienza di volta in volta fissato (il 25 marzo 2008; 30 luglio 2008), fino a quando era rimasto vano anche l'ultimo termine perentorio fissato al 28 febbraio 2017. A tale udienza il giudice aveva trasmesso gli atti al Presidente del Tribunale e, su impulso di questi, aveva revocato l'incarico e trasmesso gli atti, per quanto di competenza, al Pubblico Ministero.
La sentenza impugnata, con una motivazione laconica, ha confermato la qualificazione giuridica del fatto come reato di indebito rifiuto di atto di ufficio dovuto per ragioni di giustizia e, pertanto, da compiersi senza ritardo, evidenziando che il comportamento dell'imputato aveva determinato il rallentamento del processo e ha ritenuto infondato il motivo di appello che censurava la decisione del giudice di revocare l'incarico "solo dopo trenta mesi", a smentita dell'urgenza che avrebbe dovuto connotare l'attività delegata.
4.Rileva il Collegio che la nomina dell'imputato quale consulente tecnico di ufficio è intervenuta in un procedimento dinanzi al G.O.T. che aveva ad oggetto la determinazione dell'asse ereditario e la valutazione dei cespiti immobiliari ai fini della individuazione di quanto spettante alle parti interessate; che certamente la consulenza tecnica non è stata depositata nel termine (ordinatorio) fissato dal giudice e che solo a distanza di anni è intervenuta la revoca della nomina del consulente.
Cionondimeno, il mancato deposito della consulenza tecnica di ufficio nel termine fissato dal giudice o prorogato, in una fattispecie in cui, in ragione della tipologia dell'accertamento delegato, non sia di per sé ravvisabile l'urgenza non può integrare un indebito rifiuto che sarebbe così qualificato solo in conseguenza del mero ritardo, quand'anche prolungato, dell'atto, tenuto conto che il termine di deposito della perizia è un termine ordinatorio e che è lo stesso ordinamento (art. 195 cod. proc. civ.) a regolare l'ipotesi del ritardo prevedendo, in presenza di grave ritardo non giustificato, la revoca dell'incarico.
La Corte di appello, solo in ragione della generica tipologia di atto delegato e della sua inerenza al processo civile, ha ritenuto che l'atto, certamente riconducibile alla categoria degli atti di giustizia, fosse, per ciò, solo urgente e indifferibile, ma non ha fatto corretta applicazione dei descritti principi che richiedono di accertare, ai fini della configurabilità del rifiuto, la indifferibilità dell'atto cioè le condizioni di non rinviabilità dell'atto stesso con riferimento all'entità del danno che il ritardo potrebbe potenzialmente provocare, indifferibilità e urgenza che non possono essere individuate nel mero rallentamento dell'iter processuale, aspetto, questo, sul quale le parti e il giudice possono intervenire attraverso la revoca dell'incarico.
Si è, del resto, affermato, con riferimento al mancato deposito nei termini delle sentenze (Sez. 6, n. 8870 del 15/12/2021, dep. 2022, Mineo, Rv. 283378), che il ritardo, anche prolungato, non integra, di per sé solo, il reato di rifiuto di atti d'ufficio per ragioni di giustizia ex art. 328, comma primo, cod. pen., se non sussista una indifferibilità dell'atto omesso, la quale non può essere desunta dall'esigenza di regolare andamento dell'attività giudiziaria, ma presuppone che il ritardo determini un pericolo concreto di pregiudizio per le parti interessate, derivante dalla mancata definizione dell'assetto regolativo degli interessi coinvolti nel procedimento.
Nel caso in esame, diversamente dai casi in cui è stata valorizzata l'urgenza dell'atto in ragione della natura strutturale della consulenza richiesta (cfr. Sez. 6, n. 28615 del 28/04/2022, Landi, Rv. 283608, in materia di accertamento tecnico preventivo connotato dalla natura cautelare dell'accertamento richiesto e la stessa sentenza Cambria, innanzi richiamata, in cui il ritardo aveva riguardato il deposito di un supplemento di perizia), non sono state individuate nella sentenza impugnata, rispetto all'atto omesso, cause che possano avere influito sull'attuazione del diritto oggettivo nel caso concreto affinché il ritardo assuma il significato di rifiuto di un atto divenuto indifferibile.
Né è dato comprendere la concreta dinamica dei fatti poiché non sono state spiegate, rispetto al conferimento dell'incarico risalente al 5 ottobre 2006, né le ragioni dei rinvii (del 2008) né la ragione dell'apparente stasi processuale determinatasi fino al novembre 2016, quando il giudice invitava il consulente a depositare la perizia entro il 28 febbraio 2017.
5.Va, tuttavia, verificato, in relazione alla ricostruzione dei fatti contenuti in sentenza, che fa generico riferimento all'invito a provvedere inoltrato al consulente in occasione dei rinvii del 2008 e del 16 novembre 2016 e alle stesse argomentazioni difensive, se nei fatti possa ravvisarsi l'ipotesi di cui all'art. 328, comma secondo, cod. pen., configurabile in presenza di una diffida ad adempiere quando questa sia rivolta a sollecitare il compimento dell'atto o l'esposizione delle ragioni che lo impediscono e, in presenza di tale presupposto, sia decorso il termine di trenta giorni senza che l'atto richiesto sia stato compiuto, o senza che il mancato compimento sia stato giustificato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.
Così deciso il 7 febbraio 2024
Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2024.