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Stalking: è assorbito dal reato di maltrattamenti se pur cessata la convivenza la relazione fra i soggetti sia connotata da vincoli solidaristici

Stalking, Maltrattamenti

Cassazione penale sez. VI, 03/11/2020, n.37077

Il reato di maltrattamenti in famiglia assorbe quello di atti persecutori quando, nonostante l'avvenuta cessazione della convivenza, la relazione tra i soggetti rimanga comunque connotata da vincoli solidaristici, mentre si configura il reato di atti persecutori, nella forma aggravata prevista dall'art. 612-bis, comma 2, c.p., quando non residua neppure una aspettativa di solidarietà nei rapporti tra l'imputato e la persona offesa, non risultando insorti vincoli affettivi e di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza n. 3043/2019, la Corte di appello di Catania ha confermato la condanna inflitta, a conclusione di un giudizio abbreviato, dal Tribunale di Catania a M.B.F. per i reati ex art. 81 c.p., comma 2, art. 572 c.p. e art. 61 c.p., n. 11 quinquies, (capo A) e art. 612 bis c.p., commi 1 e 2, (capo B) descritti nelle imputazioni. 2. Nel ricorso presentato dal difensore di M.B. si chiede l'annullamento della sentenza deducendo: a) mancanza di motivazione e omessa considerazione dei motivi di appello vertenti sulla inattendibilità delle persone che hanno reso sommarie informazioni testimoniali; b) violazione di legge per non avere ritenuto il reato ex art. 612 bis c.p. assorbito in quello ex art. 572 c.p.; c) violazione di legge nel riconoscere la continuazione interna al reato di maltrattamenti, pur avendo questo la struttura del reato abituale, e così applicando illegittimamente un aumento di pena; d) violazione di legge nel disconoscere le circostanze attenuanti generiche trascurando la condotta post factum - in particolare, che l'imputato nei giorni immediatamente successivi alla querela sporta nei suoi confronti dalla persona offesa ha evitato di avere contatti di qualsiasi tipo con la stessa - la sua incensuratezza e la confessione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo di ricorso risulta del tutto generico perchè si risolve in una apodittica valutazione di inattendibilità delle persone che hanno reso sommarie informazioni testimoniali senza addurre argomentazioni a sostegno di tali assunti. Nè la Corte di appello ha mancato di valutare le deduzioni su questo punto sviluppate nei motivi di appello perchè - al contrario - ha dato conto di come il Tribunale abbia in realtà effettuato una "lettura incrociata degli atti di indagine" e delle dichiarazioni della persona offesa e ha indicato le ragioni per le quali gli informatori risultano attendibili (pp.5-9). 2. Il secondo motivo di ricorso è infondato. Il reato di maltrattamenti assorbe quello di atti persecutori anche in caso di avvenuta cessazione della convivenza se la tipologia della relazione fra l'agente e la persona indica il permanere di condizioni che richiedono solidarietà fra i due. Invece, si configura l'ipotesi aggravata del reato di atti persecutori (prevista dall'art. 612 bis c.p., comma 2) in presenza di comportamenti che, sorti nell'ambito di una comunità familiare (o a questa assimilata), o determinati dalla sua esistenza e sviluppo, continuino nonostante la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare e affettivo o comunque della sua attualità (Sez. 6, n. 8145 del 15/01/2020, S., Rv. 278358; Sez. 6, n. 30704 del 19/05/2016, D'A., Rv. 267942; Sez. 6, n. 7369 del 13/11/2012, dep. 2013, M., Rv. 254026). Nel caso in esame già nell'atto di appello non si prospettava una relazione fondata su una aspettativa di solidarietà, nè questa emerge dai dati acquisiti, mentre nell'imputazione è precisato che la convivenza fra M.B. e la persona offesa era cessata, seppure "da breve periodo" come confermato dalla madre della stessa. Ne deriva che, con la cessazione della convivenza e in assenza anche soltanto di una aspettativa di solidarietà nei rapporti fra l'imputato e la persona offesa, poichè non risultano insorti vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili, nei fatti, a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale,sono venute meno le precondizioni necessarie per delineare un contesto all'interno del quale le condotte del ricorrente successive alla cessazione della convivenza possano qualificarsi come maltrattamenti ex art. 572 c.p. (Sez. 6, n. 34068 del 21/10/2020, non mass.; Sez. 6, n. 31121 del 18/03/2014, C., Rv. 261472; Sez. 6, n. 22915 del 07/05/2013, I., Rv. 255628; Sez. 6, n. 8145 del 15/01/2020, S., Re. 278358). Su queste basi, correttamente la Corte di appello ha ritenuto che il reato ex art. 612 bis c.p. non è nella fattispecie assorbibile in quello di maltrattamenti perchè le condotte descritte nel capo B delle imputazioni sono avvenute dopo la cessazione della convivenza e del vincolo affettivo fra l'imputato e la persona offesa. 3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile. La Corte d'appello ha chiarito che il vincolo della continuazione è stato riconosciuto non all'interno del singolo reato di maltrattamenti ma fra due reati: quello in danno di L.R. e quello in danno del figlio minorenne M.B.G.. Il ricorso non si confronta con questa precisazione. 4. Il quarto motivo è infondato. Deve ribadirsi che il riconoscimento delle attenuanti generiche è un giudizio di fatto lasciato alla discrezionalità del giudice, che deve motivare quanto basta a chiarire la sua valutazione sull'adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo (Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, Straface, Rv. 248737; Sez. 1, n. 46954 del 4/11/2004, Dell'Anna, Rv. 230591) e la Corte d'appello ha evidenziato le ragioni del diniego delle circostanze attenuanti generiche indicandole nelle gravi modalità dei fatti e nella loro reiterazione nel tempo, denotanti una personalità incline alla violenza, e precisando di non rilevare elementi di valutazione favorevoli. 5. Dal rigetto del ricorso comporta ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Ne deriva, inoltre, la condanna alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Catania con separato decreto di pagamento ex D.P.R. n. 114 del 2002, artt. 82 e 83. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Catania con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 114 del 2002, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato. Così deciso in Roma, il 3 novembre 2020. Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2020
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