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Stalking: la consumazione prescinde dal momento iniziale di realizzazione delle condotte

Stalking

Cassazione penale sez. V, 09/10/2019, n.3042

Il delitto di atti persecutori ha natura di reato abituale e la sua consumazione prescinde dal momento iniziale di realizzazione delle condotte, assumendo, invece, a tal fine significato il comportamento complessivamente tenuto dal responsabile, sicché la competenza per territorio deve essere determinata in relazione al luogo in cui il comportamento stesso diviene riconoscibile e qualificabile come persecutorio ed in cui, quindi, il disagio accumulato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall'art. 612- bis cod. pen.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di Ancona, con ordinanza del 2 agosto 2019, ha respinto la richiesta di riesame presentata ai sensi dell'art. 309 c.p.p. da M.A.I.T. avverso il provvedimento del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Macerata del 13 luglio 2019, con il quale era stato sottoposto alla misura dell'obbligo di dimora in (OMISSIS) in relazione alle contestazioni preliminari e provvisorie dei delitti di cui all'art. 612-bis c.p., commi 1 e 2, e art. 610 c.p., per avere posto in essere condotte reiterate di minaccia e di molestia in pregiudizio di S.S., persona cui era legato da relazione affettiva ed alla quale aveva cagionato, per effetto di esse, un perdurante e grave stato di ansia o di paura ed un fondato timore per la propria incolumità, nonchè limitazioni della libertà morale. 2. Avverso il provvedimento del Tribunale del riesame ricorre per cassazione M.A.I.T. ed affida l'impugnazione a tre motivi. 2.1. Con il primo motivo denuncia la violazione dell'art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 8 c.p.p., comma 3, e il vizio argomentativo. Deduce, al riguardo, che il Tribunale del riesame avrebbe disatteso l'eccezione di incompetenza territoriale del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Macerata, formulata sul rilievo che, in ipotesi di reato permanente quale è quello di atti persecutori, la competenza territoriale si radica nel luogo ove inizia la condotta e non in quello in cui esaurisce i suoi effetti, con motivazione apparente. 2.2. Con il secondo motivo denuncia la violazione dell'art. 612 c.p., commi 1 e 2, e il vizio di motivazione in relazione all'art. 274 c.p.p., lett. c). Osserva, in proposito, che il Tribunale del riesame avrebbe omesso di considerare che le condotte accertate come commesse dall'indagato (lo svuotamento non autorizzato della borsa della vittima; l'intimazione rivoltale di cancellare il profilo social; la minaccia di distruggerle l'abitazione di Macerata) erano tali da integrare comportamenti inidonei a procurare alla vittima stessa un fondato timore per l'incolumità personale, trattandosi di condotte incidenti sulle cose e non sulla persona, dovendosi, di conseguenza, escludere ab origine un qualsivoglia nesso di causalità tra queste e il timore nutrito dalla persona offesa. Avrebbe, altresì, il Tribunale assegnato rilevanza sia a "vistosi ematomi", non attestati da certificazione sanitaria e smentiti dalla S., sia alle dichiarazioni rese da quest'ultima e dall'amica P.I., sebbene nè le une nè le altre fossero corroborate da riscontri estrinseci. Avrebbe, infine, il Collegio della cautela, riconosciuto aggravanti segnatamente l'essersi l'indagato avvalso di strumenti informatici per realizzare le condotte persecutorie - prive di addentellati nei fatti di causa e reso una motivazione presuntiva e congetturale in punto di esistenza delle esigenze cautelari, in quanto affermate in ragione della sola intrinseca abitualità del reato di atti persecutori. 2.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione dell'art. 125 c.p.p., comma 3, e il vizio argomentativo, sul rilievo che il Tribunale del riesame avrebbe reso una motivazione apparente in ordine alle ragioni per le quali il divieto di dimora nel luogo di residenza della vittima (Jesi) e in quello di studio di quest'ultima (Macerata) non sarebbe stata misura parimenti adeguata a fronteggiare le ravvisate esigenze cautelari rispetto all'obbligo, imposto al prevenuto, di dimora in (OMISSIS). CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso deve essere respinto. 1. Infondata è l'eccezione di incompetenza territoriale del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Macerata (di cui al primo motivo), in quanto poggiante su un presupposto giuridico errato: vale a dire che il delitto di atti persecutori costituisca un'ipotesi di reato permanente. 1.1. La giurisprudenza di legittimità è costante nell'affermare che il delitto previsto dall'art. 612-bis c.p. ha natura abituale e si consuma al compimento dell'ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato stesso. Ciascuno degli eventi delineati dalla norma incriminatrice è, infatti, il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso e la reiterazione degli atti considerati tipici costituisce elemento unificante ed essenziale della fattispecie, facendo assumere ad essi un'autonoma ed unitaria offensività, in quanto è proprio dalla loro reiterazione che deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che, infine, degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme descritte nella disposizione di riferimento (Sez. 5, n. 6742 del 13/12/2018 - dep. 12/02/2019, D., Rv. 275490; Sez. 5, n. 54920 del 08/06/2016, G., Rv. 269081). Ciò comporta che, a differenza del reato permanente, che presuppone un'unica azione compiuta in violazione di legge che prosegue nel tempo e che assume autonoma valenza antigiuridica fin dal primo atto della sua esecuzione (Sez. 6, n. 3032 del 16/12/1986 - dep. 13/03/1987, Nenna, Rv. 175315), nel reato abituale rilevano singole condotte, da sole non idonee ad integrare quel determinato reato, che perdono la loro individualità - nell'ipotesi del reato di cui all'art. 612-bis c.p., le condotte di minaccia o di molestia - per assumere una diversa configurazione giuridica a causa della loro reiterazione. Alla stregua di tale considerazione di ordine qualificatorio, va, dunque, affermato che, in tema di delitto di atti persecutori, che costituisce ipotesi di reato abituale, in cui, in riferimento alla individuazione della sua consumazione, è irrilevante il momento iniziale di realizzazione delle condotte, assumendo, piuttosto, significato il comportamento complessivamente tenuto dal responsabile, al fine di determinare la competenza per territorio, il locus commissi delicti è quello in cui il comportamento stesso diviene complessivamente riconoscibile e qualificabile come persecutorio e si identifica nel luogo in cui il disagio accumulato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dalla norma di cui all'art. 612-bis c.p.. 1.2. In conseguenza di ciò occorre riconoscere la competenza del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Macerata a conoscere dell'addebito cautelare mosso al M. e a decidere sulla relativa domanda, in (OMISSIS) essendosi conclamato - secondo l'insindacabile giudizio di merito del Collegio della cautela - il disagio psico-esistenziale accumulato dalla S. per effetto del complessivo comportamento persecutorio tenuto dall'indagato. 2. Le doglianze sollevate con il secondo e con il terzo motivo sono generiche e, comunque, deducono vizi non consentiti nel giudizio di legittimità. 2.1. Le stesse (soprattutto quelle di cui al secondo motivo), infatti, lungi dal confrontarsi con l'ordito argomentativo dell'ordinanza impugnata e svolgere censure critiche rispetto agli snodi fondamentali di esso, formulando rilievi dotati di effettiva valenza disarticolante del discorso giustificativo considerato nella sua interezza, si limitano a segnalare, in modo del tutto frammentario, alcuni profili - lo svuotamento non autorizzato della borsa della vittima; l'intimazione rivoltale di cancellare il profilo social; la minaccia di distruggerle l'abitazione di (OMISSIS); i "vistosi ematomi" di cui ha riferito P.I. di cui forniscono una lettura soggettiva e parziale; ciò senza contare le considerazioni, in punto di circostanze aggravanti o di pericolo di reiterazione del reato, sviluppate in maniera del tutto assertiva e svincolata dall'effettivo tenore della motivazione censurata. 2.2. Siffatta modalità di articolazione delle ragioni di impugnazione non tiene conto, peraltro, del diritto vivente, espressosi nel senso di ritenere che, in tema di misure cautelari personali, quando sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale per il riesame riguardo alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il controllo di legittimità è limitato, in relazione alla peculiare natura del giudizio e ai limiti che ad esso ineriscono, all'esame del contenuto dell'atto impugnato e alla verifica dell'adeguatezza e della congruenza del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828), senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente, più adeguata valutazione delle risultanze delle indagini (Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, De Lorenzo, Rv. 199391). 3. Immune da censura è, infine, la decisione impugnata anche in punto di giustificazione dell'adeguatezza della misura imposta al M., evincendosi dal complessivo impianto argomentativo del provvedimento del Tribunale l'idoneità del solo obbligo di dimora nel comune di sua residenza ((OMISSIS)) a fronteggiare la specifica pericolosità dimostrata dall'indagato: il quale, pur di tenere sotto controllo la vittima, non aveva esitato a seguirla da (OMISSIS), così facendo ragionevolmente prognosticare una replica del comportamento tenuto anche in ipotesi di spostamento della vittima in luoghi diversi da (OMISSIS) (suo luogo di residenza) e da (OMISSIS) (suo luogo di dimora per ragioni di studio). 4. S'impone, pertanto, il rigetto del ricorso, cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. In ragione della peculiarità dell'addebito, è d'obbligo disporre - ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52 - l'oscuramento, in caso di diffusione del presente provvedimento, delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti del processo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti del processo a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52. Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2019. Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2020
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