RITENUTO IN FATTO
1. Con l'ordinanza impugnata del 26 settembre 2019, il Tribunale distrettuale di Salerno ha rigettato l'istanza di riesame proposta da C.A. avverso l'ordinanza del Gip in sede, che aveva applicato al predetto la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati da D.D.A. e G.M. in relazione al reato di atti persecutori, oggetto di diversi procedimenti riuniti.
2. Avverso l'indicata ordinanza del Tribunale del riesame di Salerno ha proposto ricorso per cassazione l'indagato, con atto a firma dell'Avv. Pierluigi Vicidomini, svolgendo, con unico motivo, plurime censure.
2.1 Con un primo argomento, il ricorrente deduce violazione di legge in riferimento ai gravi indizi di colpevolezza, dei quali sarebbe stata resa una motivazione carente, contraddittoria ed illogica, riportando il testo del provvedimento impugnato ed operando una analitica segmentazione, con la quale si censura la verifica di attendibilità della persona offesa D.D.A., in un contesto di incertezza riguardo l'identificazione dell'autore dei rilevati atti di emulazione.
2.2. Un secondo argomento contesta l'attendibilità della persona offesa G.M., di cui sono state valorizzate le dichiarazioni pur non avendo la medesima sporto querela, nè indicata quale fonte informativa dal D.D..
2.3. Il terzo tema investe la sottovalutazione delle prospettazioni difensive in punto di individuazione del fattore causale dei danni rilevati, non riconducibili all'indagato.
2.4. Con un quarto argomento, si censura violazione di legge quanto all'evento del reato, non circostanziato nell'ordinanza impugnata.
3. Con memoria depositata in cancelleria il 27 novembre 2019, l'Avv. Vicidomini deduce come parte della condotta contestata - e relativa alle minacce rivolte alla persona offesa ed al suo legale nel 2017 - sia stata posta a fondamento di autonoma contestazione ex art. 612 c.p., in separato procedimento, pendente in fase di giudizio, con conseguente difetto sia degli elementi costitutivi del reato di atti persecutori che delle esigenze cautelari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1. Con l'unico, articolato, motivo di ricorso, il ricorrente prospetta da un lato, esplicitamente, la violazione dell'art. 606, lett. e), la cui deduzione è preclusa in questa sede (ex multis Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli, Rv. 276976) e, dall'altro, evoca solo formalmente violazione della legge processuale nella valutazione del compendio indiziario, rappresentando un'argomentazione che - già alla stregua dell'integrale richiamo delle fonti di prova - finisce per richiederne la rivalutazione.
1.1. Spetta, invero, a questa Corte di legittimità il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato e la ricorrenza di concrete esigenze cautelari, scrutinando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indiziari rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828). Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere interno al provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indiziari o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate.
In altri termini, è consentito, in questa sede, esclusivamente verificare se le argomentazioni spese siano congrue rispetto al fine giustificativo del provvedimento impugnato, alla stregua dei parametri, giustapposti, dell'esposizione delle ragioni giuridicamente significative su cui si fonda il provvedimento e dell'assenza di illogicità evidenti, risultanti prima facie dal testo del provvedimento impugnato.
1.2. Nel caso in esame, il ricorrente non solo non si confronta con la motivazione dell'ordinanza impugnata, aderente alle emergenze indiziarie in riferimento alla serie davvero imponente di atti di emulazione consumati in danno di D.D.A. e della convivente, G.M. e del conseguente stato d'ansia indotto sui medesimi, tanto da determinare il ricorso del primo all'uso di ansiolitici, atti di per sè soli sufficienti a fondare la prognosi di condanna, ma accredita un deficit di attendibilità della persona offesa la cui ricostruzione risulta non solo ampiamente scrutinata, bensì verificata anche alla stregua di oggettivi riscontri circa le condizioni del giardino dell'abitazione, sottoposto a continue illecite immissioni di materiali nocivi, e della presenza di componenti derivanti dall'esplosione di colpi ad aria compressa, che il Tribunale non ha mancato di evidenziare, ponendo la doglianza nell'alveo della inammissibilità.
Il ricorso, inoltre, indugia nella rappresentazione di circostanze di fatto - stato della causa già pendente tra le parti, ed indicata quale movente delle condotte persecutorie; determinazione di G.M. a non sporgere querela per gli insulti e le molestie perpetrate in suo danno - che pure risultano disaminate nell'ordinanza impugnata, che ne esclude del tutto ragionevolmente l'incidenza sulla valutazione d'attendibilità delle prove orali, e la cui diversa valutazione implica un accesso al merito, in questa sede precluso.
Ed anche l'asserito vizio della motivazione riguardo l'evento del reato denuncia un profilo di contraddittorietà logica non deducibile, mentre gli indicatori delle conseguenze della condotta persecutoria risultano analiticamente indicati nell'ordinanza impugnata, con la quale il ricorrente omette di confrontarsi (Sez. Un. 8825 del 27/10/2016 - dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822), proponendo, anche sul punto, una lettura frammentaria delle prove e sostanzialmente richiedendo, in questa sede, una inammissibile rivalutazione dei fatti e dei dati dimostrativi (ex multis Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico, Rv. 271623) mediante deduzioni, reiterative del riesame, in toto versate in fatto.
1.3. Nè s'appalesa ravvisabile la sottovalutazione degli argomenti difensivi denunciata nel ricorso, in riferimento alla pretesa involontarietà delle immissioni.
La prospettazione è manifestamente infondata, risultando dal tessuto giustificativo dell'ordinanza la riconduzione all'indagato dei denunciati danneggiamenti, taluni peraltro inequivocabilmente intenzionali (presenza di residui di esplosione; lancio di sassi e di acqua mirati verso la persona), in riferimento non solo alla sistematicità e reiterazione delle immissioni nocive, ma anche alla varietà delle sostanze (cemento, oli esausti) riversate dall'alto nel giardino della persona offesa.
Donde non si ravvisa, all'evidenza, la dedotta violazione, poichè l'omessa valutazione di memorie difensive, essendo suscettibile di incidere sulla congruità e correttezza logico-giuridica dell'argomentazione del provvedimento emesso all'esito della fase o del grado nel cui ambito siano state espresse le ragioni difensive, rileva sul piano del difetto motivazionale della decisione impugnata ed è, pertanto, onere della parte, che deduca l'omessa valutazione, indicare quale argomento decisivo per la ricostruzione del fatto le memorie contenevano, peccando, altrimenti, di genericità il motivo di impugnazione proposto sul punto (Sez. 5, n. 24437 del 17/01/2019, Armeli, Rv. 276511).
Va, infine rilevato come il reato di atti persecutori si configura anche quando la modalità esclusiva di consumazione consista in un'attività di danneggiamento (Sez. 5, n. 52616 del 23/09/2016, C., Rv. 268821) a seguito della quale - come insindacabilmente ritenuto nell'ordinanza impugnata - la persona offesa abbia riportato uno stato d'ansia ed abbia mutato le proprie abitudini di vita, in quanto condotta idonea a configurare sia la molestia, per i ripetuti danni in sè, sia la minaccia, in relazione alla probabilità di analoghi atti dannosi desumibile dalle precedenti condotte (Sez. 5, n. 52616 del 23/09/2016, C., Rv. 268821); idoneità tanto più ragionevolmente sussistente, in concreto, in presenza della forzosa coabitazione delle parti nel medesimo stabile condominiale.
2. E' inammissibilmente proposta anche la doglianza rappresentata nella memoria, con la quale il ricorrente documenta l'emissione del decreto di citazione a giudizio in altro procedimento, pendente a suo carico in danno del medesimo D.D., già richiamato nel ricorso e citato nell'ordinanza impugnata, e dal quale si pretende di trarre da un lato il ridimensionamento dell'attuale imputazione e, dall'altro, l'insussistenza delle esigenze di cautela.
La deduzione, oltre a proporre alla Corte una valutazione diretta dei rapporti di continenza tra le diverse fattispecie, oggetto di separati procedimenti, che implica un accesso al merito, non si confronta con la pluralità degli atti persecutori, oggetto di diverse e successive querele, che lasciano del tutto impregiudicata la configurabilità del reato abituale, a reiterazione necessaria delle condotte, oggetto di provvisoria incolpazione, pur all'esito dell'eventuale esclusione (V. Sez. 5, n. 48391 del 24/09/2014, C., Rv. 261024) della minaccia per la quale è stata esercitata l'azione penale, in presenza di atti diversi ed ulteriori rispetto a quelli descritti nell'imputazione del diverso procedimento, costituendo una serie autonoma, eventualmente solo unificabile alla precedente con il vincolo della continuazione (V. Sez. 5, n. 45376 del 02/10/2019, S., Rv. 277255).
Donde l'inammissibilità anche del motivo nuovo.
3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si stima equo determinare in Euro 3.000, in favore della Cassa delle Ammende.
4. Deve essere disposto, in caso di diffusione del presente provvedimento, l'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2020