RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d'appello di Lecce ha confermato la decisione di primo grado, che aveva condannato A.A. per atti persecutori in danno B.M..
Secondo la ricostruzione operata in sentenza l'imputato, avendo dato in prestito alla B., condomina dello stesso stabile, una somma di denaro, la assillò, minacciò e insolentì per lungo tempo, fino alla restituzione della somma, avvenuta ad (OMISSIS), e nel periodo successivo. Infine, la ingiuriò pesantemente nel corso di una riunione condominiale tenutasi nel mese di (OMISSIS).
2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell'imputato, con due motivi.
2.1. Col primo lamenta l'erronea applicazione degli artt. 124 e 612 bis c.p., nonchè un vizio di motivazione - comprensivo del travisamento della prova - con riguardo alla tempestività della querela, contestata dalla difesa. Deduce che, secondo quanto si desume dalle dichiarazioni della stessa persona offesa, gli atti persecutori - se ritenuti esistenti - sarebbero cessati, al più tardi, ad (OMISSIS), epoca di restituzione della somma mutuata, dal momento che l'episodio del (OMISSIS) rappresenta un fatto a sè, con origine e motivazione diversa (sarebbe sorto un contrasto, in sede assembleare, circa l'utilizzo degli spazi condominiali) e differente qualificazione giuridica (ingiuria, ormai depenalizzata), e quindi del tutto inidoneo a spostare in avanti il termine semestrale di proposizione della querela. Tanto più che il dies as quo per la proposizione della querela decorre - secondo il ricorrente - dalla verificazione dell'evento; vale a dire, nel caso di specie, dal momento, certamente precedente all'(OMISSIS), in cui sarebbe insorto il grave e perdurante stato di ansia e di paura preso in considerazione dalla norma, ovvero il mutamento delle abitudini di vita.
2.1. Col secondo motivo deduce un vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta attendibilità della persona offesa e del teste M. e alla sussistenza dell'elemento psicologico. Rimarca che il teste M. non è stato testimone diretto di nessuno degli atti persecutori lamentati dalla B. e che quest'ultima si è contraddetta su un dato di rilievo, rappresentato dall'epoca in cui si sarebbe trasferita presso la madre per far fronte alle pressanti richieste dell'imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non merita accoglimento.
1. Va preliminarmente rimarcato che non è fondata la tesi difensiva, secondo cui non sarebbero rilevanti, per la tempestività della querela, gli atti persecutori posti in esser dopo l'insorgenza - per fatto del reo - di uno degli eventi previsti dall'art. 612 bis c.p..
La verificazione dell'evento costituisce - invero - un elemento della fattispecie, indispensabile per la configurabilità del reato, ma non rende irrilevanti gli atti successivi, i quali - saldandosi con quelli precedenti approfondiscono ed estendono l'offesa al bene giuridico protetto ed assumono, pertanto, rilevanza ai fini della perseguibilità, spostando il dies a quo per la proposizione della querela all'ultimo atto della serie. La contraria opinione, oltre a non essere supportata da nessun serio argomento giuridico, finisce col creare una zona franca a vantaggio del persecutore, che si avvantaggerebbe della tolleranza o dello spirito di sopportazione della vittima allorchè questa si risolvesse a proporre querela dopo l'ennesimo (e magari più grave) atto persecutorio, quando fossero già cambiate le sue abitudini di vita o fosse già insorto in lei un grave e perdurante stato di ansia o di paura. Paradossalmente, proprio nei casi più gravi - caratterizzati da una intensa e prolungata attività persecutoria - si assisterebbe al tentativo del reo di anticipare nel tempo l'evento del reato, al fine di dedurre l'intempestività della querela. L'assurdità della conclusione prova l'evidenza e la logicità, oltre che l'aderenza al dettato normativo, della tesi sostenuta dalla Corte d'appello, che ha valutato la complessività della condotta posta in essere dall'imputato ed ha ricollegato al fatto del (OMISSIS) il termine iniziale per la manifestazione della volontà querelatoria.
2. Ugualmente infondata è la pretesa del ricorrente di escludere l'ingiuria dal novero degli atti persecutori. Sebbene l'ingiuria fosse ricompresa, fino alla sua espunzione dal codice penale, tra i delitti contro l'onore e costituisca, tuttora, una delle più frequenti forme di aggressione all'onore, sanzionato civilmente, tale illecito costituisce anche una forma - e tra le più frequenti - di molestia, soprattutto quando è posto in essere in luogo pubblico o alla presenza di altre persone, siccome idoneo a incidere dolorosamente e fastidiosamente sulla condizione psichica della vittima. Ne consegue che - ove le ingiurie costituiscano fatto isolato, che non si inserisce in un più ampio contesto di aggressione alla sfera psichica e morale della persona - l'autore delle stesse sarà sanzionabile civilmente, mentre, quando le ingiurie assumono consistenza, ripetitività e incidenza tali da determinare, in sinergia con le altre forme di illecito previste dall'art. 612 bis c.p., uno degli eventi previsti da detta norma, risponderà del reato di atti persecutori.
Pertanto, correttamente i giudici di merito hanno tenuto conto (anche) delle ingiurie per giudicare del reato contestato ad A., sia sotto il profilo della integrazione del reato che della tempestività della querela.
3. Le doglianze in tema di credibilità della persona offesa e quelle inscenate sotto forma di travisamento della prova sono inammissibili perchè infondate, in maniera manifesta, e perchè, nonostante la loro rappresentazione formale, sono rivolte, in realtà, a sollecitare una nuova valutazione della prova da parte di questa Corte, in palese violazione delle regole del giudizio di legittimità. La lettura della sentenza impugnata e di quella di primo grado dimostra che entrambi i giudici di merito hanno effettuato una attenta e approfondita valutazione delle dichiarazioni della B., riscontrandone la coerenza e la puntualità, oltre che una precisa collocazione temporale; hanno tenuto conto delle obiezioni difensive, anche per ciò che concerne l'epoca del trasferimento della B. presso la madre; hanno apprezzato le dichiarazioni dell'unico teste in grado di riferire circostanze rilevanti ( M.), accertandone la sostanziale conformità a quelle della persona offesa, nonostante comprensibili defaillances della memoria, pure tenute in conto dal giudicante. Il che dimostra che il Tribunale e la Corte territoriale non si sono sottratte all'obbligo di valutazione su di loro gravante e che l'hanno fatto con completezza e logicità, con conseguente incensurabilità in questa sede.
4. Quanto al dedotto travisamento della prova, va qui ricordato che tale vizio ricorre allorchè viene introdotta nel procedimento una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (cass., n. 48050 del 2/7/2019, rv 277758-01). Il travisamento della prova costituisce un errore percettivo, e non valutativo, tale da minare il fondamento del ragionamento giudiziale ed il sillogismo che ad esso presiede. Come chiarito da questa Corte, ai fini della configurabilità del vizio di travisamento della prova dichiarativa è necessario che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della dichiarazione e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (cass., n. 8188 del 4/12/2017, rv 272406-01). ps unto non è predicabile nella specie, in quanto il ricorrente si limita a proporre una diversa lettura delle frasi - relative all'epoca del reato - pronunciate da B. a dibattimento, senza evidenziare alcuna reale discrepanza tra il significato ad esse attribuito dal giudicante e quello emergente dal testo della deposizione, tanto più che la Corte d'appello non si è limitata all'interpretazione di una sola espressione, avendo letto unitariamente quelle di pag. 15 e pag. 19 della trascrizione e avendo tratto, dalle stesse, la conclusione - posta a base della decisione - che gli atti persecutori non cessarono con la restituzione del prestito, ma proseguirono, senza sostanziale interruzione, fino alla riunione condominiale del (OMISSIS). Il "travisamento della prova" costituisce, pertanto, deduzione del ricorrente, basata su una lettura alternativa della prova nemmeno poggiante su dati testuali di palese significato liberatorio, atteso che il senso probatorio, attribuito dal ricorrente all'espressione riportata in ricorso, in contrasto con quello eletto nel provvedimento impugnato, non presenta una evidenza inequivocabilmente deponente nel senso da lui proposto, tale da poter essere assunto senza ulteriori valutazioni in relazione al contenuto complessivo dell'esame della dichiarante.
5. Inammissibile, infine, è la doglianza in tema di elemento soggettivo, dal momento che - a quanto emerge dalla sintesi di motivi di appello, non contestata dal ricorrente - non risulta che, sul punto, siano state sollevate specifiche e apprezzabili questioni nel corso del giudizio di merito. In ogni caso, l'ampia illustrazione delle condotte persecutorie, contenuta in sentenza, e l'indicazione delle conseguenze da esse determinate costituiscono dimostrazione del dolo richiesto dall'art. 612 bis c.p., atteso che ogni persona dotata di comune discernimento è in grado di comprendere quale effetto avranno - sullo stato d'animo del soggetto preso di mira - i comportamenti invasivi, e ripetuti nel tempo, attribuiti all'imputato.
Consegue a tanto che il ricorso, manifestamente infondato sotto ogni profilo, va dichiarato inammissibile. Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento a favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro tremila, commisurata all'effettivo grado di colpa dello stresso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità. Il ricorrente va anche condannato alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro 3.600,00, oltre accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto disposto d'ufficio e/o imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 16 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021