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Reati contro il patrimonio

Truffa assicurativa: sulla operatività del ne bis in idem processuale

Truffa assicurativa

Cassazione penale sez. II, 11/10/2018, n.4389

La fattispecie prevista dall'art. 642 c.p. costituisce un'ipotesi speciale di truffa e non integra un reato “proprio” attribuibile esclusivamente al contraente del rapporto assicurativo, ma può essere ravvisata in ogni azione fraudolenta diretta a ledere il patrimonio delle compagnie assicuratrici attraverso la manipolazione illecita del rapporto contrattuale, attuabile anche da soggetti estranei al sinallagma.(Fattispecie nella quale la Corte riteneva esente da censure la sentenza impugnata, sotto il profilo della penale responsabilità in capo agli imputati (con specifico riferimento all'art. 642 c.p.), ancorché questi risultassero estranei al rapporto contrattuale con le compagnie assicuratrici patrimonialmente danneggiate).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Bari, dichiarava la prescrizione dei reati contestati che risultavano consumati prima del 16 maggio 2010, oltre che la non procedibilità del reato di furto; confermava invece la condanna degli imputati per il concorso in plurime truffe ai danni delle assicurazioni e per i correlati falsi ideologici nei certificati medici attestanti le condizioni dei presunti danneggiati. 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore della D. che deduceva: 2.1. vizio di legge in relazione alla condanna per il reato di truffa alla società di assicurazione Lloyd Adriatico descritta al capo B5): mancherebbe la condizione di procedibilità dato che la società assicuratrice non avrebbe sporto querela; 2.2. vizio di legge in relazione alla condanna per i reato di truffa alla società AXA assicurazioni descritto al capo B2): la querela sarebbe illegittima in quanto non sarebbe stata allegata la procura speciale a P.G.; dall'atto emergerebbe solo la presenza di una procura generale risalente al (OMISSIS) che non indicherebbe gli specifici reati per i quali vi era mandato, non potendosi ritenere specifico il riferimento ai "reati contro il patrimonio"; 2.3. violazione di legge in relazione alla condanna per i reato di truffa ai danni della "Zurich assicurazioni": mancherebbe agli atti la procura speciale conferita a Ba.Ma.; 2.4. violazione di legge in relazione alla condanna per il reato di truffa ai danni della Sara assicurazioni descritto al capo B4): anche in questo caso mancherebbe la procura speciale a A.R.; la querela inoltre sarebbe generica; 2.5. violazione di legge in relazione alle condanne per il reato di cui all'art. 642 c.p.: il reato non sarebbe configurabile dato che la fattispecie si riferirebbe solo alle truffe consumati dai contraenti con la società assicuratrice e non, come nel caso di specie, da terzi non legati da alcun contratto con la Compagnia assicuratrice danneggiata; 2.6. violazione del divieto di reformatio in peius: la sentenza impugnata avrebbe affermato la responsabilità in relazione a certificati medici e relazioni medico legali firmate dal B. dal 16 maggio 2010 senza tenere conto nè del fatto che in relazione alle relazioni mediche vi era stata assoluzione in primo dato che la condanna era limitata alle sole certificazioni, nè del fatto che la sentenza di primo grado aveva circoscritto il riconoscimento della falsità ai certificati relativi a visite non effettuate o effettuate senza le attività di digitopressione e palpazione certificate illecitamente; pertanto la Corte territoriale nel condannare indistintamente per tutti i reati di falso consumati dal (OMISSIS) in poi avrebbe violato il divieto di reformatio in peius di fatto condannando anche per le condotte riferite a relazioni mediche per le quali vi era stata assoluzione e non avrebbe valutato che in relazione agli unici certificati medici stilati nel periodo sottratto alla prescrizione non si attestavano falsi contatti con il paziente; 2.7. violazione di legge per mancato riconoscimento del decorso del termine massimo di prescrizione prima della pronuncia della sentenza di secondo grado per i seguenti reati: - capo B1), che sarebbe prescritto in quanto sarebbe consumato con la emissione di certificati medici riferibili a D.V. e B. del (OMISSIS); - capo B2) relativo agli infortuni patiti da P. e D.P. si riferirebbe, da un lato, ad un certificato del (OMISSIS), dunque a fatti prescritti prima della pronuncia della sentenza di secondo grado e, dall'altro, a certificati del (OMISSIS) ovvero in astratto si tratterebbe di fatti non prescritti, ma i certificati in questione non si riferiscono ad attività di palpazione o digitopressione, le uniche attività colpite dalla censura di "falso" dal giudice di primo grado; - anche il capo B4) relativo agli infortuni di St. e N. sarebbe prescritto prima della pronuncia della sentenza di appello nella parte in cui si riferirebbe al certificato del (OMISSIS), i restanti certificati non sarebbero stati invece vagliati dal tecnico incarico dai giudici di merito; - il capo B5) relativo agli infortuni di S.N. e S.V. si riferirebbe a certificati mediche del (OMISSIS), dunque a fatti prescritti; Si invocava infine la prescrizione per i fatti descritti nel capo H) relativi a certificazioni rilasciate "fino" alla data del (OMISSIS), mentre per i fatti successivi a tale data vi sarebbe assoluzione con formula piena; 2.8. violazione di legge: la ricorrente non avrebbe partecipato alle visite mediche e dunque non potrebbe essere considerata concorrente nei reati contestati. 3. Ricorreva anche il difensore del B. che deduceva: 3.1. nullità del decreto di citazione a giudizio in grado di appello per omessa notifica all'imputato dell'avviso di deposito della sentenza di primo grado. Si deduceva che tale avviso non poteva ritenersi sostituito dall'avviso del decreto di proroga dei termini per il deposito della motivazione della sentenza emesso ai sensi dell'art. 154 disp. att. c.p.p., comma 4 bis; tale notifica sarebbe comunque nulla in quanto effettuata al solo difensore di fiducia nonostante l'imputato avesse un domicilio eletto per le notificazioni; si deduceva altresì che la relata di notifica era generica e non indicava la provenienza dell'atto da cancelliere abilitato ad effettuare la notifica e non veniva inviata in più copie; 3.2. violazione dell'art. 525 c.p.p., comma 2: si deduceva che, in seguito alla modifica della composizione del collegio giudicante, veniva disposta una rinnovazione del dibattimento "formale" sulla base del consenso delle parti senza che il nuovo collegio partecipasse ad alcuna fase del dibattimento; sarebbe stato violato pertanto il principio di oralità; la violazione di tale principio, nella prospettiva del ricorrente non poteva essere sanato dalla volontà delle parti, trattandosi di un principio non disponibile come sarebbe evidenziato dal fatto che l'art. 525 comma 2 cod. proc. pen. prevede una nullità assoluta; 3.3. violazione di legge: i danneggiati avrebbero dovuto essere ascoltati nel rispetto dello statuto processuale previsto per il dichiarante coinvolto nel fatto, non essendo chiara la loro estraneità alla vicenda processuale; si denunciava altresì la violazione dell'art. 198 c.p.p., comma 2. 3.4. violazione di legge: la responsabilità per il reato di truffa all'assicurazione era stata riconosciuta anche se non vi era un rapporto contrattuale con i danneggiati, relazione ritenuta dal ricorrente essenziale per la configurazione del reato contestato; 3.5. violazione di legge e di motivazione in relazione all'accertamento del falso in relazione ai quattro certificati medici non prescritti (relativi a P., D.P., St. e N., senza verificare se tali certificati attestassero visite non compiute o effettuate senza esame obiettivo; 3.6. violazione di legge in ordine alla valutazione della decorrenza dei termini di prescrizione: assunto che la data di consumazione delle truffe è quella della redazione dei certificati, gli unici reati non prescritti alla data della sentenza dì appello dovrebbero essere quelli contestati ai capi B2) e B4) nonchè i corrispondenti falsi riportati nel capo H); senonchè anche tali fatti avrebbero dovuto ritenersi prescritti in quanto, contrariamente a quanto ritenuto la redazione dei certificati tenuto conto della data dei sinistri sarebbe ragionevolmente anteriore alla data in essi riportata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso di entrambi gli imputati è fondato nella parte in cui deduce che il termine di prescrizione dei reati contestati ai capi 61) e B5) nei quali erano descritte due truffe alle assicurazioni (rispettivamente AXA Assicurazione ed Allianz Lloyd assicurazione) era decorso prima della pronuncia della sentenza di secondo grado. 1.1.Con ampia motivazione sul punto la Corte di appello identificava il momento consumativo del reato previsto dall'art. 642 c.p., determinante per il computo dei termini di prescrizione, in quello della redazione dei certificati, ritenuti falsi (pag. 7 della sentenza impugnata). Pur partendo da tale corretta premessa che inquadrata l'art. 642 c.p. come reato a consumazione anticipata, che non richiede per il suo perfezionamento che sia stato lucrato l'indennizzo, la Corte non dichiarava estinte per prescrizione le truffe descritte ai capi B1) e B5), nonostante le stessero risultassero consumate attraverso la redazione di certificati medici redatti prima del (OMISSIS). La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata per decorso dei termini di prescrizione limitatamente ai capi B1) e B5); si dispone la trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte di appello Bari per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio che dovrà essere definito tenuto conto della dichiarazione di estinzione per prescrizione dei reati descritti ai capi B1) e B5). 1.2. Le statuizioni civili disposte in relazione all'accertamento di responsabilità per i reati prescritti devono essere invece confermate. L'art. 578 c.p.p. prevede che il giudice di appello e la Corte di Cassazione, nel dichiarare estinto per amnistia o prescrizione il reato per il quale in primo grado è intervenuta condanna, siano tenuti a decidere sulla impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili. Nella prospettiva di tale decisione, i motivi di impugnazione proposti dall'imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi dare conferma alla condanna (anche solo generica) al risarcimento del danno in ragione della mancanza di prova dell'innocenza degli imputati, secondo quanto previsto dall'art. 129 c.p.p., comma 2 (Sez. 6, n. 21102 del 09/03/2004 - dep. 05/05/2004, Zaccheo, Rv. 22902301) Nel caso di specie l'accertamento di responsabilità confermato dalla sentenza impugnata resiste alle doglianze presentate dai ricorrenti (nel dettaglio i motivi di ricorso saranno esaminati al p. 2): la Corte territoriale rilevava infatti che gli imputati in concorso tra loro avevano illecitamente falsato i certificati che attestavano le lesioni dei danneggiati dei sinistri descritti nei capi B1) e B5) come emergeva dalle relative testimonianze riportate alle pagg. 9 e ss della sentenza di primo grado, sul punto richiamata dalla sentenza di appello. 2. Nel resto i ricorsi sono inammissibili. 2.1. In via preliminare il collegio ribadisce che in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l'autonomia dell'azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l'ammissibilità dell'impugnazione per uno dei reati possa determinare l'instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello (Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016 - dep. 14/02/2017, Aiello e altro, Rv. 268966). 2.2. Segnatamente: sono inammissibili i residui motivi proposti nell'interesse della D.. 2.2.1. Sono inammissibili, in quanto proposte per la prima volta in sede di legittimità, le doglianze relativa alla assenza della querela proposta dalla Lloyd Adriatico ed alla illegittimità delle procure di Axa assicurazioni, Zurich assicurazioni e Sara Assicurazioni. Sul punto si ribadisce che la questione di improcedibilità del reato per mancanza di querela non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità (Sez. 3, n. 39188 del 14/10/2010 - dep. 04/11/2010, S. e altri, Rv. 248568; Sez. 5, n. 19241 del 09/02/2015 - dep. 08/05/2015, Grasso, Rv. 264847; Sez. 2, n. 37383 del 21/06/2016 - dep. 08/09/2016, Federici, Rv. 267948; Sez. 3, n. 35767 del 21/04/2017 - dep. 20/07/2017, Galizia, Rv. 271245). Nel caso di specie la ricorrente con la prima impugnazione si limitava a dedurre la tardività delle querele, senza contestarne la legittimità nei termini proposti in questa sede: il motivo è pertanto inammissibile ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 3. 2.2.2. E' inammissibile anche il motivo (condiviso dal B.: p. 3.4.) che ritiene con configurabile il reato di truffa all'assicurazione nei confronti di persone che, come nel caso di specie non sono legate alla Compagnia assicuratrice da un contratto. Il collegio ribadisce che l'art. 642 c.p., strutturato come una norma penale mista del tutto peculiare, prevede nei suoi commi 1 e 2, cinque diverse fattispecie di reato - in particolare, il danneggiamento dei beni assicurati e la falsificazione o alterazione della polizza, nel comma 1; la mutilazione fraudolenta della propria persona, la denuncia di un sinistro non avvenuto e la falsificazione o alterazione della documentazione relativi al sinistro, nel comma 2 - che, ove ricorrano gli estremi fattuali, possono concorrere fra loro (Sez. 2, n. 1856 del 17/12/2013 - dep. 17/01/2014, Unipol Assicurazioni Spa, Rv. 258012). Il legislatore con la fattispecie in esame ha inteso predisporre una tutela speciale e in qualche modo "rafforzata" a tutela del mercato delle assicurazioni, predisponendo la tutela anticipata nel caso in l'azione fraudolenta tipica del reato di truffa si innesti su un rapporto assicurativo. L'art. 642 c.p. costituisce cioè un'ipotesi criminosa speciale rispetto al reato di truffa di cui all'art. 640 c.p.: nel primo, infatti, sono presenti tutti gli elementi della condotta caratterizzanti il secondo e, in più, come elemento specializzante, il fine di tutela del patrimonio dell'assicuratore (Sez. 1, n. 4352 del 10/04/1997 - dep. 10/05/1997, Musso ed altro, Rv. 207438). La fattispecie prevista dall'art. 642 c.p. si presenta "speciale" rispetto all'archetipo della truffa perchè predispone una tutela anticipata e rafforzata del patrimonio delle società che gestiscono le assicurazioni; non si tratta dunque di un reato "proprio" attribuibile esclusivamente al contraente, essendo riconoscibile in presenza di ogni azione fraudolenta diretta invece a ledere il patrimonio delle compagnie assicuratrici, attraverso la manipolazione illecita del rapporto contrattuale, all'evidenza effettuabile anche da soggetti estranei al sinallagma. Nè depone in senso contrario la giurisprudenza secondo cui non risponde del reato di cui all'art. 642 c.p. il soggetto che utilizzi il certificato assicurativo di una vettura ed il relativo contrassegno, entrambi contraffatti, qualora non sussista un valido contratto assicurativo tra il soggetto agente e la Compagnia (Sez. 2, n. 41261 del 28/09/2006 - dep. 16/12/2006, P.G. in proc. Russo, Rv. 235779), dato che tale giurisprudenza chiarisce che la falsificazione del contrassegni non lede il patrimonio della Compagnia assicuratrice, ma la fese pubblica e dunque si colloca fuori dalla fattispecie in esame. 2.2.3. Il motivo di ricorso che lamenta la violazione del divieto di reformatio in peius è manifestamente infondato: la condanna per i reati di falso non prescritti si riferisce infatti non a tutti i fatti di falso descritti nel capo H) di imputazione, ma solo a quelli per i quali vi era stata condanna in primo grado, ovvero i certificati medici con esclusione delle "relazioni" medico legali. Che la decisione di condanna sia riferita solo ai falsi non dichiarati prescritti, per i quali non vi è stata assoluzione, si ricava con chiarezza da quanto riportato nella motivazione della sentenza impugnata laddove, definendo il trattamento sanzionatorio, fa espresso riferimento ad aumenti in continuazione per la falsità nei "certificati", che non siano prescritte, evitando ogni riferimento alle "relazioni" (pagg. 9 della sentenza impugnata). 2.2.4. Manifestamente infondata è anche la parte del motivo (comune anche al B.) che lamenta difetto di motivazione in relazione alle condanne per í fatti nella parte in cui non sarebbe stata analizzata la riferibilità dei certificati ad attività di palpazione o digito-pressione invero mai effettuate. Contrariamente a quanto dedotto la verifica in questione è stata effettuata, come risulta in modo non equivoco dal compendio motivazionale integrato emergente dalle due sentenze conformi di merito: la sentenza di primo grado rileva infatti che la P. non aveva effettuato alcuna visita (pag. 10 che riporta il verbale stenotipico del 26 giugno 2013), come anche la N., il D.P. e lo St. (pagg. 10 e 11 della sentenza del Tribunale che riportano i verbali stenotipici del 21 maggio 2014). 2.2.5. Il motivo che denuncia il decorso dei termini di prescrizione prima della pronuncia della sentenza di secondo grado in relazione ai capi B2), B4) ed H) è manifestamente infondato in quanto le truffe in questione sono state consumate attraverso la redazione di falsi certificati recanti data (OMISSIS), e sono dunque pacificamente resistenti alla invocata estinzione. Anche il motivo che invoca il riconoscimento della prescrizione per i falsi relativi ai certificati recanti la data del (OMISSIS) è manifestamente infondato tenuto conto che la Corte di appello ha correttamente dichiarato prescritti i reati consumati in data "anteriore" al (OMISSIS), giorno dal quale la prescrizione non era decorsa alla data della pronuncia della sentenza di secondo grado. 2.2.6. Manifestamente infondato è anche l'ultimo motivo di ricorso proposto nell'interesse della D. con il quale si denuncia il difetto di motivazione in relazione all'efficacia causale o agevolatrice della condotta posta in essere dalla ricorrente. Il collegio ribadisce che si ha concorso ai sensi dell'art. 110 c.p. e non semplice connivenza, ogni qualvolta l'agente partecipa in qualsiasi modo alla realizzazione dell'illecito e quindi anche quando con la propria presenza agevola o rafforza il proposito criminoso altrui, giacchè tale situazione è ben diversa, sotto il profilo ontologico e giuridico dell'adesione interna ad una altrui realizzazione criminosa, che nessun contributo arreca alla connessione del delitto (Cass. sez. 1, n. 1172 del 27/11/1991 - dep.1992, Terranova, Rv. 189075; Cass. sez. 5, n. 21082 del 13/04/2004, Terreno, Rv. 229200). Invero la Corte territoriale rilevava con le emergenze processuali fossero incompatibili con la dedotta estraneità della ricorrente che era a conoscenza della mancata effettuazione delle visite e del fatto che le stesse si risolvessero in un mero colloquio; rilevava altresì che era la D. ad indirizzare l'operato del medico e ad occuparsi della ricezione di certificati (pag. 7 della sentenza impugnata). 2.3. Anche il ricorso proposto nell'interesse del B., nella parte non accolta al p. 1 è inammissibile. 2.3.1. Il motivo che deduce l'illegittimità della notifica dell'avviso di proroga dei termini per il deposito della sentenza è inammissibile in quanto non tempestivo. Si premette che, contrariamente a quanto dedotto, nel caso in cui il provvedimento di proroga ex art. 154 c.p.p., comma 4 bis sia stato notificato alle parti non è necessario l'avviso di deposito se non nei casi in cui la motivazione venga depositata oltre i termini prorogati (conformemente ha deciso la corte di appello come si rileva dalla motivazione riportata a pag. 4 della sentenza impugnata). Si è infatti deciso, con giurisprudenza condivisa dal collegio che il "dies a quo" per l'impugnazione decorre dalla scadenza del termine risultante dal provvedimento di proroga qualora questo sia stato comunicato e notificato alle parti del processo, in caso contrario il termine decorre dal giorno di notificazione alle parti dell'avviso di deposito della sentenza (Sez. 6, n. 29150 del 09/05/2017 - dep. 12/06/2017, Briganti e altri, Rv. 270697; Sez. 6, n. 15477 del 28/02/2014 - dep. 07/04/2014, P.G. in proc. Ambrosino e altri, Rv. 258963). Tanto premesso, quanto alla eccezione che denuncia la nullità della notifica effettuata ex art. 157 c.p.p., comma 8 bis al solo difensore, nonostante l'imputato abbia eletto domicilio per le notifiche, il collegio ribadisce che la notificazione della citazione a giudizio mediante consegna al difensore di fiducia ai sensi dell'art. 157 c.p.p., comma 8-bis, anzichè presso il domicilio dichiarato o eletto, dà luogo ad una nullità di ordine generale a regime intermedio, (Sez. U, n. 58120 del 22/06/2017 - dep. 29/12/2017, Tuppi, Rv. 271771). Nel caso di specie il vizio in questione non veniva tempestivamente denunciato con l'atto d'appello, dato che il ricorrente si è limitato a denunciare in udienza, a mezzo del difensore, la omessa notifica dell'avviso di deposito della sentenza di primo grado, senza dedurre la irregolarità della notifica del provvedimento di proroga che veniva eccepita solo con il ricorso per cassazione, dunque tardivamente. 2.3.2. E' manifestamente infondato anche il motivo che denuncia il difetto del diritto al contraddittorio e la lesione al principio di oralità che sarebbero conseguita alla modifica del collegio giudicante ad istruttoria terminata. Il collegio ribadisce che non sussiste la nullità della sentenza qualora le prove siano valutate da un collegio in composizione diversa da quello davanti al quale le stesse siano state acquisite qualora le parti presenti non si siano opposte, nè abbiano esplicitamente richiesto di procedere alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, in quanto, in tal caso, si deve intendere che esse abbiano prestato consenso, sia pure implicitamente, alla lettura degli atti suddetti (Sez. 5, n. 36813 del 23/05/2016 - dep. 05/09/2016, Renzulli e altri, Rv. 267911; Sez. 6, n. 17982 del 21/11/2017 - dep. 20/04/2018, Mancini, Rv. 273005). La tesi sostenuta dal ricorrente, ovvero che il consenso abbia efficacia sanante solo se prestato ad istruttoria dibattimentale "in corso" non trova alcun conforto nella giurisprudenza di legittimità che, invece, è univocamente orientata ad assegnare alle parti la facoltà di rinunciare al diritto al contraddittorio, anche nella sua declinazione di diritto all'oralità, attraverso la prestazione del consenso, anche tacito, all'utilizzo delle prove già formate. Il collegio ribadisce invece quanto autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite secondo cui "è ormai indiscussa - anche per effetto di talune pronunce della Corte costituzionale (sentenza n. 17 del 1994 e ordinanza n. 99 del 1996) - la legittimità dell'allegazione al fascicolo per il dibattimento dei verbali delle prove acquisite nel corso dell'istruttoria dibattimentale, svoltasi dinanzi al giudice poi sostituito. Nelle pronunce ora dette si afferma infatti che i verbali delle prove assunte nella pregressa fase dibattimentale "fanno già parte del contenuto del fascicolo per il dibattimento a disposizione del nuovo giudice" e che quella fase "pur soggetta a rinnovazione conserva comunque il carattere di attività legittimamente compiuta": di talchè "non è irragionevole, nè lesivo dei principi di oralità e immediatezza che la medesima, attraverso lo strumento della lettura (successivamente alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale) entri nel contraddittorio delle parti e venga recuperata ai fini della decisione". Tali enunciazioni devono però essere coordinate con l'art. 511, comma 2, il quale prescrive che "la lettura dei verbali di dichiarazioni è disposta solo dopo l'esame della persona che le ha rese, a meno che l'esame non abbia luogo (...) Le Sezioni Unite osservano che la norma in esame tende ad assegnare alla lettura una funzione integrativa dell'escussione della prova orale che sia stata ammessa su richiesta delle parti. Nel corso del dibattimento rinnovato a causa del mutamento del giudice può accadere che nessuna delle parti riproponga la richiesta di ammissione della prova assunta in precedenza. In tal caso si deve ritenere che, non avendo alcuna parte esercitato la facoltà di nuova richiesta di prove, il giudice possa d'ufficio disporre la lettura delle dichiarazioni precedentemente raccolte nel contraddittorio delle parti e inserite legittimamente negli atti dibattimentali. Tali dichiarazioni, in sostanza, sono trattate alla stessa stregua delle dichiarazioni rese nell'incidente probatorio. L'ultimo inciso del secondo comma dell'art. 511, "a meno che l'esame non abbia luogo", postula infatti che l'esame non si compia o per volontà delle parti, espressamente manifestata ovvero implicita nella mancata richiesta di riaudizione del dichiarante, o per sopravvenuta impossibilità della riaudizione. (...) Tale interpretazione - confortata, per desunzione a contrario, dalla speciale disciplina prevista in tema d'incompatibilità dei magistrati dal D.L. n. 553 del 1996, art. 1.2 conv. in L. n. 652 del 1996 - è imposta dal carattere eccezionale delle norme che, deviando dai principi di oralità e immediatezza del processo, derogano al generale divieto di lettura (art. 514 c.p.p.) dei verbali delle dichiarazioni non raccolte dal giudice stesso che deve deliberare" (Sez. U, n. 2 del 15/01/1999 - deo. 17/02/1999, Iannasso ed altro, Rv. 212395). Nel caso di specie non si rinviene, pertanto, alcuna nullità dato che il ricorrente, come rilevato anche dalla Corte territoriale, non chiedeva la nuova audizione dei testimoni, ribadendo la disponibilità alla utilizzazione delle prove già raccolte manifestata all'udienza del 28 gennaio 2016 (pag. 4 della sentenza impugnata). 2.3.3. E' manifestamente infondato anche il motivo che deduce la illegittimità della acquisizione delle dichiarazioni delle persone danneggiate alle quali, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto essere applicato lo statuto processuale dell' imputato di reato connesso. Quanto all'inquadramento del dichiarante come indagato/imputato di reato connesso la Corte di legittimità si è più volte pronunciata nel senso, condiviso dal collegio, secondo cui le dichiarazioni della persona che fin dall'inizio avrebbe dovuto essere sentita nella qualità di indagata sono inutilizzabili "erga omnes" e la verifica della sussistenza di tale qualità va condotta non secondo un criterio formale (esistenza di "notizia criminis", iscrizione nel registro degli indagati) ma secondo il criterio sostanziale della qualità oggettivamente attribuibile al soggetto in base alla situazione esistente nel momento in cui le dichiarazioni sono state rese (Cass. sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Rv. 243417; Cass. Sez. 6, 20 maggio 1998, dep. 15 giugno 1998, n. 7181; Cass. Sez. 4, 10 dicembre 2004, dep. 6 febbraio 2004, n. 4867). Tale approdo interpretativo valorizza la funzione di controllo dell'organo giudicante sulla discrezionalità che il pubblico ministero esercita attraverso la iscrizione nel registro delle notizie di reato, evidenziando la necessità che lo statuto della prova dichiarativa corrisponda alla qualifica sostanziale del dichiarante identificabile anche in carenza del requisito formale della iscrizione nel registro. La Corte di cassazione ha chiarito che "quanto al tipo e alla consistenza degli elementi apprezzabili dal giudice al fine di verificare l'effettivo status del dichiarante, devono ritenersi rilevanti i soli indizi non equivoci di reità, sussistenti già prima dell'escussione del soggetto e conosciuti dall'autorità procedente (in tal senso, oltre a Sez. Unite, 23 aprile 2009, n. 23868, Fruci, vedi anche Sez. 5, 15 maggio 2009, n. 24953, Costa ed altri; Sez. Unite, 22 febbraio 2007, n. 21832, Morea; Sez. 2, 2 ottobre 2008, n. 39380, Galletta; Sez. 5, 5 dicembre 2001, n. 305/02, La Placa)". In assenza di indici formali, come l'iscrizione, cui ancorare la definizione dello statuto di prova testimoniale diventa centrale la valutazione delle emergenze processuali eventualmente indicative del coinvolgimento nel fatto per cui si procede di chi dichiara. Il collegio condivide, in materia, quanto affermato dalla Corte di cassazione a sezioni unite secondo cui spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, e quindi al di là del riscontro di indici formali l'attribuibilità al dichiarante della qualità di indagato, ma "il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità" (Cass. sez. un. 15208 del 25/02/2010, Rv. 246584). La valutazione della qualifica di indagato si inquadra dunque nell'area delle valutazioni di merito e "costituisce accertamento in punto di fatto che, in caso di congrua motivazione da parte del giudice di merito, è sottratto al sindacato di legittimità" (Cass. sez. un. 15208 del 25/02/2010, Rv. 246584; Cass. Sez. 3, 30 settembre 2003, n. 43135, Marciante e altri); sicchè può essere affermato che, in assenza di iscrizione nel registro delle notizie di reato la valutazione della posizione processuale del dichiarante e l'attribuzione del relativo statuto rappresentano un valutazione di merito, che se offerta con motivazione logica ed aderente alle emergenze processuali, si sottrae al sindacato di legittimità. Nel caso di specie, con giudizio espresso in modo conforme e non illogico dai giudici di entrambi i gradi di merito, veniva rilevato che i danneggiati si erano limitati ad affidare la pratica di risarcimento alla D. senza conoscere le modalità di gestione delle pratiche, sicchè non vi era alcun elemento che indicasse il loro coinvolgimento nella complessa attività illecita gestita dagli imputati (pag. 5 della sentenza impugnata). Si tratta di una motivazione priva di vizi logici coerente con le emergenze processuali che non risulta incisa dalle doglianze difensive che si limitano a riproporre quelle già avanzate con l'atto di appello e ad invocare una rivalutazione della capacità dimostrativa delle prove che non rientra nella cognizione del giudice di legittimità. 2.3.4. Manifestamente infondato è il motivo che deduce il difetto degli elementi che strutturano la fattispecie prevista dall'art. 642 c.p.p.. Si tratta di doglianza omogenea rispetto a quella proposta dalla D. e trattata al p. 2.2.2. al quale si rinvia per la descrizione delle ragioni della inammissibilità della doglianza. 2.3.5. Il motivo che deduce il difetto di motivazione in relazione alla verifica della falsità dei certificati in relazione ai quali alla data della pronuncia della sentenza di appello il relativo falso non risultava prescritto non si confronta il compendio integrato delle due sentenze di merito dal quale, contrariamente a quanto dedotto, emerge l'accurata analisi del tema proposto ovvero della certificazione di attività medica non compiuta (pagg. 6 e 7 della sentenza impugnata). A ciò si aggiunge che l'apprezzamento della falsità era stata effettuata in modo analitico dalla sentenza di primo grado, richiamata sul punto da quella di appello: si rinvia sul punto a quanto descritto sub p. 2.2.4. in relazione ad analoga doglianza proposta dalla D.. Pertanto anche in questo caso la doglianza è inammissibile. 2.3.6. La parte dell'ultimo motivo di ricorso del B. che invoca la svalutazione della veridicità della data dei certificati che sono stati redatti dopo il (OMISSIS) si risolve in una inammissibile istanza di rivalutazione delle prove che è esclusa dall'area che circoscrive la cognizione affidata al giudice di legittimità. La Corte territoriale con giudizio di merito privo di illogicità manifeste ed aderente alle emergenze processuali, riteneva infatti che non vi era motivo per dubitare della falsità delle date, che non era prospettata neanche nei capi di imputazione (pag. 7 della sentenza impugnata). Anche in questo caso la motivazione censurata resiste alle doglianze doglianze difensive, che non rientra nella cognizione del giudice di legittimità. 3.Alla dichiarata inammissibilità dei ricorsi consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in Euro 2000,00 ciascuno; condanna inoltre i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Zurich Insurance PLC che, tenuto conto dei parametri di legge, liquida in Euro 3510 oltre spese generali al 15% CPA ed IVA. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati di cui ai capi B1) e B5) per essere gli stessi estinti per prescrizione confermando le relative statuizioni civili. Dichiara inammissibili i ricorsi nel resto e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Bari per la rideterminazione della pena. Condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Zurich Insurance P.L.C. che liquida in Euro 3510,00 oltre spese generali al 15% CPA ed IVA. Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2018. Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2019
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