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Reati contro la persona

Violenza sessuale: può concorrere con il delitto di riduzione in servitù?

Violenza sessuale

Cassazione penale sez. V, 08/07/2022, n.37136

Il delitto di riduzione in servitù, attuato mediante violenza e minaccia costringendo la vittima a prestazioni sessuali, non può concorrere, per il principio di specialità, con quello di violenza sessuale configurato in relazione alle medesime condotte, in quanto contiene tutti gli elementi costitutivi di quest'ultimo, nonché, in funzione specializzante, l'ulteriore requisito della riduzione in stato di soggezione continuativa.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte di Assise di appello di Reggio Calabria ha confermato, anche agli effetti civili, la condanna, pronunciata all'esito di giudizio abbreviato, di R.R. per i seguenti reati: - riduzione in servitù (art. 600 c.p.) in danno di P.S., persona che, con violenza, inganno, abuso di autorità e approfittamento della situazione di vulnerabilità, l'imputato, più anziano di trent'anni, aveva ridotto e mantenuto in stato di soggezione continuativa, imponendole prestazioni sessuali, con l'aggravante prevista dall'art. 602-ter c.p., comma 1, lett. c), essendo derivato dal fatto un grave pericolo per l'integrità fisica della persona offesa, consistito nella sottoposizione a una procedura abortiva clandestina senza anestesia - fatto commesso dal (Omissis) (capo 1); - violenza sessuale (art. 81 c.p., comma 2 e art. 609-bis c.p.) in danno della medesima P., costretta, con violenza, minaccia e abuso di autorità, a compiere e a subire atti sessuali - fatto commesso dal (Omissis) (capo 2); - atti persecutori (art. 612-bis c.p.) in danno della stessa persona offesa - fatto commesso dal (Omissis), data di esecuzione della misura cautelare (capo 3); - calunnia (art. 368 c.p.) per avere l'imputato, avvalendosi di F.R.D. quale esecutore materiale, inviato al Commissariato di polizia di Gioia Tauro e alla Procura della Repubblica di Palmi numerosi esposti anonimi con cui, sapendoli innocenti, si incolpavano S.G., maresciallo capo della stazione carabinieri di Rizziconi, dei delitti di abuso di ufficio, omissione di atti di ufficio e favoreggiamento e P.S. dei delitti di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, dal (Omissis) (capo 4). 2. Avverso la sentenza ricorre l'imputato, tramite il difensore, articolando sette motivi principali e un motivo nuovo. 2.1. Con il primo si contesta la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie di riduzione e mantenimento in servitù (capo 1). L'istruttoria svolta dimostrerebbe l'assenza di un significativo annientamento della libertà di autodeterminazione della persona offesa. Verrebbero in rilievo solo situazioni di sofferenza e/o afflizione in cui la vittima si sarebbe trovata dopo essersi liberamente determinata nelle proprie scelte di vita, in difetto di prova di un significativo condizionamento psichico o fisico. La P. non si sarebbe mai trovata in una situazione paragonabile a quella di una "serva"; ella infatti: - avrebbe scelto "chi, come e quando frequentare, salvo poi accettare con rassegnazione l'idea di potere e/o dovere subire molestie e minacce che le provocavano inevitabili stati di ansia e di timore"; - avrebbe intrattenuto almeno due relazioni, tenendole nascoste all'imputato; - avrebbe rifiutato molto spesso il rapporto sessuale "che, nell'odierna imputazione, costituisce l'unica finalità dello sfruttamento del soggetto passivo"; - si sarebbe allontanata dal "territorio dove il padrone esercitava il suo asserito dominio" e altrettanto liberamente avrebbe deciso di farvi rientro "così dimostrando alcun condizionamento rispetto alle temibili ed ipotizzabili reazioni del dominus". Le circostanze valorizzate dal giudice di merito al fine di ritenere comprovata la condizione di asservimento sarebbero eccentriche rispetto a una condizione di sudditanza psicologica. La condotta dell'imputato sarebbe riconducibile, piuttosto, allo schema tipico dell'art. 612-bis c.p.. 2.2. Con il secondo motivo si contesta la configurabilità della circostanza aggravante di cui all'art. 602-ter c.p.. Anzitutto il giudice di secondo grado non avrebbe fornito alcuna risposta al motivo di gravame con cui si evidenziava come la lettera della norma consentisse il riconoscimento della aggravante solo allorché il grave pericolo per l'integrità fisica della vittima fosse derivato dalla costrizione alle prestazioni sessuali. Inoltre la Corte di appello avrebbe omesso di verificare l'esistenza di un concreto e reale pericolo per la vita o l'integrità fisica o psichica della vittima, arrestandosi al rilievo del mancato rispetto della procedura prevista dalla L. n. 194 del 1978. 2.3. Con il terzo motivo principale e il motivo nuovo contenuto nella memoria depositata il 13 giugno 2022, si lamenta il mancato assorbimento dei reati di violenza sessuale e di atti persecutori (capi 2 e 3) nel reato di riduzione in servitù di cui al capo 1). 2.3.1. La violenza sessuale è prevista tra gli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 600 c.p., di talché si verificherebbe l'assorbimento del primo delitto nel secondo. 2.3.2. L'art. 612-bis c.p. avrebbe carattere residuale. Le condotte contestate al capo 3) corrisponderebbero "alla maggior parte delle condotte che i giudici di appello hanno evocato per provare lo stato di soggezione continuativa di cui all'art. 600 c.p.". 2.3.3. A sostegno di questi argomenti viene richiamata la sentenza delle Sezioni Unite n. 38402 del 2021. 2.4. Con il quarto motivo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del reato di violenza sessuale aggravato dall'abuso di autorità (capo 2). I rapporti sessuali sarebbero stati sempre consenzienti, come riferito anche dalla persona offesa che avrebbe escluso l'impiego di violenza e minaccia da parte dell'imputato. Al più la condotta criminosa si sarebbe arrestata alla fase del tentativo. Non sarebbe dimostrato, comunque, un abuso di autorità, che non potrebbe essere ricavato in via presuntiva. 2.5. Con il quinto motivo si contesta il riconoscimento della circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 2, in ordine al reato di violenza sessuale. L'affermazione dei giudici di merito sul punto sarebbe meramente assertiva. Si richiamano le argomentazioni già spese a favore dell'assorbimento. 2.6. Con il sesto si deduce violazione di legge e vizio di motivazione circa la sussistenza del reato di calunnia (capo 4). L'affermazione di responsabilità si basa sulla presentazione di denunce anonime che, tuttavia, per giurisprudenza consolidata sarebbero inutilizzabili. 2.7. Con il settimo motivo ci si duole della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e della eccessiva severità della pena. La motivazione della sentenza in punto di trattamento sanzionatorio non terrebbe in adeguato conto: l'età avanzata dell'imputato; il suo stato di incensuratezza; il principio costituzionale di recupero del reo. 3. Si è proceduto a discussione orale su richiesta del difensore dell'imputato, che non vi ha partecipato. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato limitatamente alla questione dell'assorbimento del reato di cui all'art. 609-bis c.p. (capo 2) in quello di cui all'art. 600 c.p. (capo 1). 2. Il primo motivo, sulla configurabilità del reato di cui all'art. 600 c.p. (capo 1), è inammissibile in quanto esula dal novero di quelli consentiti dall'art. 606 c.p.p.. Infatti le censure con esso elevate, dietro l'apparente denuncia di violazione di legge o di vizi argomentativi, si traducono nella sollecitazione di un riesame del merito - non consentita in sede di legittimità - attraverso la rinnovata valutazione degli elementi probatori acquisiti. 2.1. Vanno premesse alcune notazioni di ordine generale sugli elementi costitutivi del reato in rassegna. L'art. 600 c.p., comma 1, nel vigente testo rimodulato nel 2003 -e nel 2014 senza modifiche sostanziali per i casi qui in rilievo- descrive in maniera analitica due autonome fattispecie alternative (Sez. 3, n. 24269 del 27 maggio 2010, K., Rv. 247704), le quali abbracciano vuoi la situazione, decisamente residuale, di schiavitù di diritto, vuoi la schiavitù di fatto ovvero la condizione di assoggettamento di una persona a un'altra. La prima ipotesi delittuosa, indicata in rubrica come riduzione o mantenimento in schiavitù, è integrata dall'esercizio su altri di poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà. La seconda ipotesi concerne quelle forme di asservimento, diverse dalla disposizione in modo pieno ed esclusivo dell'altrui persona, che il legislatore ha sintetizzato, nella rubrica della norma, con il termine "servitù". Questa seconda è l'ipotesi in contestazione al capo 1); su di essa, pertanto, si appunterà la disamina nel prosieguo. La fattispecie è integrata dalla condotta di chi riduce o mantiene altri in uno stato di soggezione continuativa. L'art. 600, comma 2, definisce ulteriormente la tipicità della condotta richiedendo che la stessa venga realizzata, alternativamente, mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona. Occorre inoltre un duplice evento. Anzitutto la condotta di violenza, minaccia (ecc.) deve essere causa dello stato di soggezione continuativa della vittima e cioè di un asservimento non episodico, ma protratto nel tempo (Sez. 5, n. 8370 del 27/09/2013, dep. 2014, Puiu, Rv. 259039), che dia luogo a una significativa compromissione della capacità di autodeterminazione della persona offesa, anche indipendentemente da una totale privazione della libertà personale (Sez. 5, n. 44385 del 24/09/2013, I, Rv. 257564; Sez. 5, n. 49594 del 14/10/2014, Enache, Rv. 261345). In secondo luogo tale stato di soggezione deve estrinsecarsi nella costrizione della stessa vittima a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all'accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportino lo sfruttamento ovvero a sottoporsi al prelievo di organi. Allo stato di soggezione deve accompagnarsi sempre uno sfruttamento. Dunque l'assoggettamento della vittima non rileva in quanto tale, ma come presupposto della condotta di costrizione e sfruttamento; pertanto l'entità di esso dovrà essere tale da consentire l'esercizio della coazione nel senso predetto, senza che il succube possa in alcun modo sottrarvisi. Lo sfruttamento costituisce, al pari dell'assoggettamento, un evento del reato nel quale si concreta l'elemento materiale della fattispecie tipica di cui all'art. 600 c.p.; a differenza di quanto accade nel reato di tratta di persone previsto dal successivo art. 601 c.p. in cui lo sfruttamento connota, invece, il fine perseguito dall'agente. 2.2. Nel caso in rassegna la affermazione di responsabilità dell'imputato è sostenuta da una c.d. "doppia conforme" di condanna, che risponde pienamente al dettato normativo e agli insegnamenti della Corte di cassazione sull'art. 600 c.p., come sopra ricordati. 2.2.1. I giudici di merito hanno ricostruito la vicenda con una meticolosa analisi del ricco materiale probatorio. Nel 1998 l'imputato entrava in contatto con P.S., che soffriva di anoressia ed era più giovane di lui di trent'anni, presentandosi come "sociologo" che praticava forme di ipnosi. Nell'approfondire la conoscenza, l'imputato, approfittando della condizione di estrema vulnerabilità della donna, la soggiogava, minacciandola anche di morte, picchiandola con schiaffi e millantando conoscenze nella massoneria, nel clero, nella magistratura, nel mondo politico, nei servizi segreti; così da costringerla a prestazioni sessuali protrattesi, con cadenza settimanale, sino al 2016. Lo stato di soggezione permeava la vita della persona offesa, sottoposta a controllo ossessivo sia nei rapporti personali e affettivi sia nell'attività lavorativa. Il (Omissis) la donna, rimasta incinta, veniva costretta dall'imputato a sottoporsi a una interruzione della gravidanza, praticata, in clandestinità, da un medico, conoscente dell'imputato, il quale le somministrava una pillola abortiva e procedeva al c.d. "raschiamento dell'utero", senza anestesia. Nel giugno 2013 la donna subiva un ulteriore ricovero e veniva sottoposta a intervento chirurgico a causa di una emorragia, scaturita da un rapporto sessuale violento. 2.2.2. La Corte di appello, nel rispondere al primo motivo di gravame sostanzialmente prospettato in termini non dissimili dal primo motivo di ricorso, ha dato pienamente conto delle ragioni che l'hanno indotta ad accreditare l'ipotesi accusatoria, ritenendo dimostrati: la condizione di vulnerabilità della vittima; lo stato di soggezione continuativo della stessa; lo sfruttamento delle prestazioni sessuali che l'imputato otteneva, a proprio piacimento, grazie alla condizione di sottomissione nella quale aveva ridotto la donna (pagg. 29-56 sentenza impugnata). Evidenzia il giudice di secondo grado che: "mediante un'accurata pianificazione progressiva a partire dal 1998 aveva inizio un'attività di coartazione inizialmente psichica e poi anche fisica predisposta dall'imputato e, successivamente, dai suoi complici. Dopo l'iniziale avvicinamento connotato da apparente cordialità, avvenuto presso la casa di cura ove lavorava la sorella (della persona offesa), approfittando del particolare momento di debolezza in cui la P. versava e, in seguito, non esitando a picchiarla e minacciarla esplicitamente, l'imputato riduceva e manteneva la stessa in uno stato di soggezione durato circa venti anni, sì come la disposizione incriminatrice richiede. Il che era reso possibile da tutta una serie di atti di sopraffazione sistematica protrattisi per un lunghissimo arco temporale, idonei a cagionare sofferenze e a rendere l'esistenza stessa particolarmente dolorosa, al punto da ingenerare nella donna propositi suicidiari" (pag. 47 sentenza impugnata); lo stato di soggezione "si assume pieno, essendosi tradotto in una profonda compromissione della libertà di autodeterminazione della vittima che, soggiogata e coartata psicologicamente, si vedeva costretta a limitare le proprie frequentazioni, a rinunciare alle attività lavorative che più le piacevano, a interrompere le relazioni sentimentali, fino a subire rapporti sessuali con un uomo che in realtà la ripugnava" (pag. 37 sentenza di primo grado). 2.2.3. La linea argomentativa sviluppata dal giudice di merito è immune da qualsiasi caduta di consequenzialità logica, mentre il tentativo del ricorrente di proporre una diversa ricostruzione del fatto si risolve nella prospettazione di una rilettura soggettiva e frammentaria dell'imponente materiale probatorio, nel tentativo di sollecitare il giudice di legittimità o a rivisitare gli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o ad adottare nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione, che invece gli sono preclusi. 3. E' manifestamente infondato il secondo motivo che attiene alla configurabilità della circostanza aggravante di cui all'art. 602-ter c.p., comma 1, lett. c). 3.1. La norma prevede un aumento di pena (da un terzo alla metà) "se dal fatto deriva un grave pericolo per la vita o l'integrità fisica o psichica della persona offesa". Con la doglianza in esame, depurata delle inammissibili cadute nel fatto, il ricorrente sostiene che il pericolo contemplato dalla norma dovrebbe essere la conseguenza degli abusi sessuali. La tesi difensiva non trova alcun aggancio testuale, dato che si chiede che dal fatto (inteso come condotta di asservimento continuativo) derivi il grave pericolo per la vita o l'integrità fisica o psichica della vittima. 3.2. La censura è inammissibile anche nella parte in cui contesta la tenuta argomentativa della sentenza sul punto. La Corte di appello non si è attenuta a valutazioni meramente formalistiche, ma ha spiegato come l'aborto clandestino avesse posto concretamente in pericolo l'integrità fisica della persona offesa, alla quale venne somministrata una pillola abortiva, a casa, senza adeguato monitoraggio e venne praticato un intervento chirurgico senza l'assistenza di un anestesista e senza ausilio di personale medico e paramedico (pag. 58). Si tratta di motivazione, esente da illogicità manifesta, non suscettibile di censura. 4. Il terzo motivo è fondato nei termini di seguito indicati. Il ricorrente pone il tema dei rapporti tra il reato di riduzione in servitù (capo 1) e quelli di violenza sessuale (capo 2) e atti persecutori (capo 3). 4.1. Il reato di riduzione in servitù (capo 1). 4.1.1. Sui caratteri della fattispecie delittuosa si rimanda a quanto già esposto al paragrafo 2. 4.1.2. Nella specie la condotta illecita è stata contestata e declinata dai giudici di merito come segue: riduzione della persona offesa, originariamente libera, attraverso violenze, minacce, abuso di autorità e approfittamento della situazione di vulnerabilità (anoressia e giovane età) in uno stato di soggezione continuativa, con imposizione di prestazioni sessuali a favore dell'autore del reato; fatto protrattosi dal (Omissis). 4.2. I reati di violenza sessuale (capo 2) e di atti persecutori (capo 3). 4.2.1. L'art. 609-bis c.p., punisce chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali. La fattispecie di cui all'art. 612-bis c.p. punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. Il reato di atti persecutori si configura come specificazione delle condotte di minaccia o di molestia già contemplate dal codice penale che il legislatore ha ulteriormente connotato richiedendon che le stesse siano realizzate in modo reiterato e idoneo a cagionare almeno uno degli eventi indicati nel testo normativo (stato di ansia o di paura, timore per l'incolumità e cambiamento delle abitudini di vita). 4.2.2 Nel caso in esame il delitto di cui all'art. 609-bis c.p. (capo 2) è stato ravvisato nella condotta di violenza, minaccia descritta al capo 1) attraverso cui la persona offesa è stata costretta a compiere e subire gli atti sessuali indicati, anch'essi, nel capo 1), accaduti nel periodo dal 2009 al 2016. I giudici di merito hanno ritenuto che il reato di atti persecutori (capo 3) fosse integrato dagli innumerevoli comportamenti di molestia e minaccia attuati dall'imputato (anche avvalendosi di altri) ai danni della persona offesa, nel periodo dal 6 ottobre 2016 al 13 marzo 2019 (data di esecuzione della misura cautelare). 4.3. I rapporti tra i reati. 4.3.1. Come si è visto il reato di riduzione in servitù richiede, tra l'altro, che lo stato di soggezione - ottenuto grazie all'impiego di violenza, minaccia, abuso di autorità - si ponga in connessione con l'ulteriore evento rappresentato dallo sfruttamento della vittima; sfruttamento che può atteggiarsi secondo varie modalità compresa quella, espressamente prevista, della costrizione a prestazioni sessuali. 4.3.2. Secondo la consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite l'unico criterio idoneo a dirimere i casi di concorso apparente di norme è da rinvenirsi nel principio di specialità ex art. 15 c.p. (Sez. U, n. 41588 del 22/06/2017, La Marca, Rv. 270902; Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, Rv. 269668; Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, dep. 2011, Di Lorenzo, Rv. 248722; Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248865; Sez. U, n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, Rv. 235962; Sez. U, n. 47164 del 20/12/2005, Marino, Rv. 232302). Ove si escluda il concorso apparente è possibile derogare alla regola del concorso di reati solo quando la legge contenga l'espressione delle c.d. clausole di riserva, le quali, inserite nella singola disposizione, testualmente impongono l'applicazione di una sola norma incriminatrice prevalente che si individua seguendo una logica diversa da quella di specialità (Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla in motivazione). Le Sezioni Unite hanno ripetutamente archiviato il dibattito dottrinario tendente ad ampliare il concorso apparente di norme alle figure dell'assorbimento, della consunzione e dell'ante-fatto o post-fatto non punibile; si tratta di classificazioni prive di sicure basi ricostruttive, perché sganciate da riferimenti normativi che ne consentano un collegamento alla voluntas legis e perché affidate a elementi di discrimine incerti e indeterminati (l'identità del bene giuridico tutelato dalle norme in comparazione e la sua astratta graduazione in termini di maggiore o minore intensità) per questo suscettibili di opposte valutazioni da parte degli interpreti (Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla in motivazione; cfr. anche Sez. U, n. 47164 del 20/12/2005, Marino, Rv. 232302, ove si osserva che i diversi criteri della sussidiarietà e della sussunzione sono da ritenersi tendenzialmente in contrasto con il principio di legalità). E' il principio di specialità, dunque, ad assurgere a criterio euristico di riferimento (Sez. U, n. 41588 del 22/06/2017, La Marca, in motivazione). Detto principio consente alla legge speciale di derogare a quella generale, nel caso in cui le diverse disposizioni penali regolino la "stessa materia". Deve definirsi norma speciale quella che contiene tutti gli elementi costitutivi della norma generale e che presenta uno o più requisiti propri e caratteristici, in funzione specializzante, sicché l'ipotesi di cui alla norma speciale, qualora la stessa mancasse, ricadrebbe nell'ambito operativo della norma generale (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, cit.). Il criterio di specialità deve intendersi e applicarsi in senso logico-formale. Il presupposto della convergenza di norme risulta integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra fattispecie, alla cui verifica deve procedersi attraverso il confronto strutturale tra le norme incriminatrici astrattamente configurate, mediante la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definire le fattispecie di reato (Sezioni Unite La Marca, cit.). La medesima giurisprudenza di legittimità chiarisce che l'operatività del principio di specialità presuppone l'unità naturalistica del fatto e, pertanto, anche ove il principio di specialità operasse, resterebbe pur sempre impregiudicata l'ipotesi del concorso tra reati qualora l'agente abbia posto in essere una pluralità di condotte nell'ambito di una progressione criminosa (Sezioni Unite La Marca cit.). 4.3.3. Ritiene il collegio che, nel caso in esame, il principio sancito dall'art. 15 c.p., operi solo nel rapporto tra il reato di cui all'art. 600 c.p. e quello di violenza sessuale. 4.3.4. Al riguardo occorre premettere che nel caso in esame si verte in una situazione di unità naturalistica del fatto, nel senso che, in base alla ricostruzione offerta dai giudici di merito, le condotte di violenza sessuale di cui al capo 2) coincidono con quelle di sfruttamento sessuale integranti l'evento del delitto di riduzione in servitù (capo 1): la sottomissione conduceva allo sfruttamento "delle relative prestazioni sessuali che, in questa cornice, devono conseguentemente ritenersi non libere" (pag. 30 sentenza impugnata). Va poi ricordato che non posso evocarsi regole difformi da quella dell'art. 15 c.p., sicché è giuridicamente erroneo il parametro scelto dalla Corte di appello che fa riferimento alla diversità dei beni giuridici protetti dalle norme incriminatrici (pag. 63). La comparazione degli elementi costitutivi dei delitti dimostra la sussistenza di un rapporto di continenza, posto che il delitto di riduzione in servitù, come ricostruito nella fattispecie in esame (condotta attuata anche mediante violenza, minaccia, con costrizione della persona offesa a prestazioni sessuali) contiene tutti gli elementi costitutivi del delitto di violenza sessuale, rispetto al quale presenta, in funzione specializzante, l'ulteriore requisito caratteristico della riduzione in stato di soggezione continuativa. D'altronde se si eliminasse lo sfruttamento sessuale, difetterebbero i presupposti dell'art. 600 c.p., poiché, in base alla ricostruzione operata dai giudici di merito, quello e solo quello viene individuato come ulteriore evento che, nel caso concreto, si accompagna all'assoggettamento continuativo, non essendo state contestate né ipotizzate ulteriori forme di sfruttamento idonee a ricadere nell'alveo precettivo della norma incriminatrice citata. Ne deriva che il reato di violenza sessuale (capo 2) deve ritenersi assorbito in quello di riduzione in servitù (capo 1). 4.3.5. Di contro, se è vero che l'art. 612-bis c.p. contiene una clausola di riserva ("Salvo che il fatto costituisca più grave reato", cfr. Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla in motivazione, cit.), nell'ipotesi in rassegna l'assorbimento del reato di atti persecutori (capo 3) va escluso in ossequio alla regola, già ricordata, per cui l'operatività del principio di specialità presuppone l'unità naturalistica del fatto e, pertanto, resta impregiudicata la possibilità del concorso tra i reati qualora l'agente ponga in essere una pluralità di condotte (Sez. U, n. 41588 del 22/06/2017, La Marca). Nella specie alla riduzione in schiavitù (conclusasi nel 2016) sono seguite le condotte materiali che hanno dato luogo agli atti persecutori, che si collocano in un successivo segmento temporale (dal 6 ottobre 2016 al 13 marzo 2019). In difetto del requisito della unità naturalistica del fatto (così anche la sentenza impugnata a pag. 59), i reati di riduzione in servitù e atti persecutori concorrono. 5. Il quarto e il quinto motivo (concernenti le circostanze aggravanti del reato di violenza sessuale) sono assorbiti nell'accoglimento del terzo. 6. E' manifestamente infondato il sesto motivo, che eccepisce la inutilizzabilità degli scritti anonimi ai fini di prova del reato di calunnia (capo 4). 6.1. Va premesso che il reato di calunnia è configurabile anche nel caso, espressamente previsto dall'art. 368 c.p., in cui la falsa incolpazione sia contenuta in una denuncia anonima, in quanto - pur dopo l'entrata in vigore dell'art. 333 c.p.p., che esclude qualsiasi rilevanza indiziaria e probatoria della delazione anonima, sia nella fase delle indagini preliminari sia nel processo - il pubblico ministero e la polizia giudiziaria restano titolari del potere-dovere di svolgere i necessari atti preliminari di verifica conoscitiva al fine di acquisire, eventualmente, una valida notizia criminis, con conseguente idoneità di tali atti a ledere l'interesse al corretto funzionamento della giustizia e l'interesse privato della persona offesa, qualora la denuncia si riveli priva di fondamento (Sez. 6, Sentenza n. 40355 del 21/09/2001, Bottiglieri, Rv. 220314; conf. Sez. 6, n. 33694 del 02/07/2001, Nardone, Rv. 220727). 6.2. Gli scritti anonimi sono "corpo del reato" di calunnia e dunque legittimamente sono stati utilizzati come "fatto", come accadimento storico nel quale si è concretato il delitto. 7. Il settimo motivo è inammissibile. 7.1. La doglianza sul diniego delle circostanze attenuanti generiche è manifestamente infondata, perché, secondo l'indirizzo consolidato della giurisprudenza, ai fini in parola, il giudice di merito non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettatigli dall'imputato o risultati dagli atti, essendo sufficiente l'indicazione delle ragioni e di uno o più elementi preponderanti ritenuti ostativi, come avvenuto nella specie (si veda pag. 66). 7.2. La graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che, nel caso di specie, ne ha giustificato l'esercizio in maniera adeguata (cfr. pag. 66) rispetto a una pena applicata in misura decisamente inferiore alla media edittale. 8. Quanto osservato al paragrafo 4.2.4 conduce all'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata relativamente al delitto di violenza sessuale contestato al capo 2), che deve ritenersi assorbito in quello di riduzione in servitù di cui al capo 1). Per l'effetto, ai sensi dell'art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l), va eliminato il segmento di pena applicato a titolo di continuazione (anni due di reclusione, che, ridotti di un terzo per la scelta del rito, risultano pari a anni uno e mesi quattro) e rideterminata la pena, per i residui reati di cui ai capi 1), 3) e 4), in anni dieci e mesi otto di reclusione. Nel resto il ricorso va rigettato. L'annullamento che precede non si riverbera sulle statuizioni civili e sulla soccombenza dell'imputato rispetto alle parti civili anche nel presente giudizio di legittimità; ne consegue la condanna dell'imputato alla rifusione delle spese processuali: - in favore di S.G. nella misura, ritenuta congrua, di Euro 3.600,00 oltre accessori di legge; - in favore di P.S., ammessa al patrocinio a spese dello stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di Assise di appello di Reggio Calabria con separato decreto di pagamento ai sensi dell'D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato (cfr. Sez. U, n. 5464 del 26 settembre, 2019, dep. 2020, De Falco, Rv. 277760). La natura dei reati impone, in caso di diffusione della presente sentenza, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi, che sì dispone d'ufficio. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo 2), ritenuto assorbito nel reato di cui al capo 1), ed elimina per l'effetto la relativa pena di anni uno e mesi quattro di reclusione. Rigetta il ricorso nel resto. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile S.G., che liquida in complessivi Euro 3.600, oltre accessori di legge. Condanna, infine, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile P.S. ammessa al patrocinio a spese dello stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di Assise di appello di Reggio Calabria con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto disposto d'ufficio. Così deciso in Roma, il 8 luglio 2022. Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2022
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