RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 13 marzo 2023, la Corte di appello di Brescia ha parzialmente riformato la sentenza del Gup del Tribunale di Bergamo del 16 febbraio 2022, resa all'esito di giudizio abbreviato, con cui l'imputato era stato condannato alla pena di anni 4 e mesi 4 di reclusione, con sanzioni accessorie di legge, e al risarcimento del danno non patrimoniale liquidato in Euro 10.000,00, per: capo A) il reato di cui agli artt. 609-bis, primo comma, e 609-ter, primo comma, n. 5), cod. pen., perché, abusando delle condizioni di inferiorità psichica del minore Ca.Da., costringeva lo stesso a subire atti sessuali, palpandolo ripetutamente, al di sopra degli indumenti e sul sedere; capo B) il reato di cui agli artt. 81, comma 2, 609-bis, secondo comma, n. 1), cod. pen., perché, con diverse azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, abusando delle condizioni di inferiorità psichica del medesimo minore, lo induceva ad avere diversi rapporti sessuali con penetrazione anale e, in due o tre occasioni, un rapporto orale.
La Corte di appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado -qualificato il fatto di cui al capo A) ai sensi dell'art. 609-bis, primo comma, cod. pen., aggravato per essere stato commesso nei confronti di minore degli anni 14, e qualificati i fatti di cui al capo B) ai sensi dell'art. 609-bis, secondo comma, n. 1), cod. pen., aggravati per essere stati commessi nei confronti di minore degli anni 18, riconosciuta per il solo reato di cui al capo A) l'attenuante di cui all'art. 609, ultimo comma, cod. pen., fermo restando il giudizio di equivalenza tra le concesse attenuanti generiche e l'aggravante contestata in fatto al capo B) - ha rideterminato la pena nei confronti dell'imputato in anni quattro e mesi uno di reclusione; ha revocato la pena accessoria dell'interdizione legale durante l'esecuzione della pena e sostituito quella della interdizione perpetua dai pubblici uffici con l'interdizione dai pubblici uffici per anni 5, confermando nel resto il provvedimento impugnato.
2. Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, sii lamentano la violazione degli artt. 192 e 533, cod. proc. pen., e vizi della motivazione. In primo luogo, il ricorrente sostiene che i giudici di merito abbiano illegittimamente operato un automatismo per far discendere dalla valutazione circa la credibilità della persona offesa la veridicità di tutte le dichiarazioni rese dalla stessa, che risulterebbero in realtà non genuine e viziate da elementi di contraddittorietà. Infatti, la persona offesa avrebbe reso nel corso del procedimento differenti versioni tra loro inconciliabili. La difesa sostiene che tali supposte incongruenze riguardano, in particolare, l'incontro in chiesa e i fatti di cui al capo A) dell'imputazione; sul punto, si sostiene che, dalle dichiarazioni rese dal minore, si evince l'insussistenza del reato contestato, posto che nessuna zona erogena è stata coinvolta nel suo narrato. Ulteriori contraddizioni investirebbero i fatti di cui al capo B) dell'imputazione, perché il minore avrebbe contraddittoriamente riportato l'episodio del primo approccio e del primo rapporto con l'imputato. Sul punto, si sostiene che le sentenze di merito non danno conto di quale delle due differenti versioni rese dalla persona offesa è stata ritenuta attendibile e di quali sono stati i criteri adottati per giungere a tale risultato; anzi, le differenze tra le versioni sarebbero state occultate dalla Corte territoriale che avrebbe ricostruito i fatti attraverso una selezione dei singoli frammenti di entrambe, senza dare alcuna indicazione dei criteri logico-giuridici utilizzati. Il tentativo di avvalorare la ricostruzione accusatoria attraverso il riferimento ai riscontri esterni, in particolare alle dichiarazioni della madre della persona offesa, determina - per il ricorrente - una contraddittorietà intrinseca della motivazione, in quanto il riferimento alla scoperta dei messaggi da parte della madre confligge con quanto affermato nella medesima motivazione impugnata, ove si precisa che i messaggi scambiati tra il minore e l'imputato erano tutti successivi all'ultimo rapporto avuto tra i due. Dal tema del presunto rapporto anale si dedurrebbe un ulteriore vizio motivazionale del provvedimento impugnato; ciò in quanto risulterebbero implausibili le dichiarazioni del minore secondo cui quest'ultimo non aveva provato dolore durante l'atto; i giudici avrebbero omesso di valutare adeguatamente tale affermazione e la susseguente, ove si richiamava una indifferenza rispetto all'atto sessuale contestato.
2.2. Con una seconda censura, si denunciano il vizio della motivazione del provvedimento impugnato e la violazione degli artt. 533, cod, proc. pen. e 609, secondo comma, n. 1), cod. pen. La difesa rileva una contraddittorietà tra i percorsi motivazionali dei giudici di merito, che inficerebbe la coerenza interna della sentenza impugnata. Innanzi tutto, i vizi motivazionali investirebbero l'accertamento relativo alla sussistenza della condizione di inferiorità al momento del reato: le presunte condizioni di vulnerabilità individuate dalla Corte di appello risulterebbero prive di incidenza sulla concreta capacità di autodeterminarsi del minore; infatti, lo stesso avrebbe deciso liberamente di frequentare l'oratorio per imparare la professione di barista e non, come erroneamente sostenuto dai giudici di merito, perché spinto dai genitori al fine di rafforzare la propria autostima. La problematica dell'autostima, in ogni caso, risulterebbe erroneamente valutata, posto che risulterebbe circoscritta al mero ambito scolastico, come affermato nella relazione della dott. Trussardi, travisata in più passaggi motivazionali del provvedimento impugnato. La valutazione resa dalla Corte di appello si porrebbe in contraddizione con quella effettuata in primo grado: i disturbi dell'apprendimento del minore sarebbero stati valutati come seri dalla Corte territoriale, mentre in primo grado i medesimi disturbi sarebbero stati diagnosticati in misura moderata. A parere del ricorrente, dunque, il collegio territoriale avrebbe ritenuto rilevanti ai fini dell'affermazione della condizione di vulnerabilità del minore, elementi che non consentirebbero di concludere che all'epoca dei fatti contestati all'imputato il minore versasse in condizioni di inferiorità. Con riferimento al vizio del consenso, si sarebbe omesso di esaminarne il processo eziologico di formazione per procedere alla formulazione di un inammissibile sindacato sulle ragioni dello stesso. Si sarebbe omesso di valutare la circostanza che il minore aveva alternato dissensi a consensi espressi nelle ipotesi nelle quali "aveva voglia", logicamente spiegabile - secondo la difesa - in base a una piena capacità di autodeterminazione, che gli aveva consentito di negare liberamente il consenso nei casi in cui non voleva prestarlo. Evidente sarebbe il travisamento probatorio in ordine alla rilevanza dei messaggi scambiati tra il ricorrente e il minore, in quanto i giudici di merito avrebbero considerato tali messaggi antecedenti o coevi ai ritenuti rapporti sessuali, ma tale valutazione si porrebbe in aperto contrasto con le dichiarazioni rese dal minore, il quale avrebbe affermato che lo scambio di messaggi aveva avuto inizio solo a seguito dell'ultimo rapporto sessuale consumato con l'imputato. Relativamente al tema delle attenzioni verso il minore, si sostiene che è meramente congetturale l'ipotesi di ritenere che queste avessero un secondo fine, ma soprattutto si sarebbe omesso di considerare che queste erano successive ai fatti contestati e, dunque, irrilevanti ai fini dell'integrazione della condotta induttiva contestata al ricorrente. L'ulteriore emergenza probatoria che non sarebbe stata valutata riguarderebbe quanto affermato dal minore, ovvero che la richiesta di recarsi al bagno con l'imputato sarebbe stata formulata la prima sera in cui i due si erano incontrati al bar, e dunque senza che l'attività di monitoraggio valorizzata dal collegio di merito potesse avere luogo; da ciò ne discenderebbe l'esclusione della natura induttiva delle attenzioni rivolte dall'imputato alla persona offesa. La motivazione del provvedimento impugnato risulterebbe altresì omessa in merito alla contestazione difensiva secondo cui la mera ripetizione, a distanza di una settimana, della richiesta di avere un rapporto con la persona offesa, non può assurgere a condotta induttiva. Un altro travisamento probatorio investirebbe, inoltre, l'affermata disparità di posizioni desunta dalla circostanza che gli atti sessuali non erano mai stati diretti a soddisfare desideri sessuali del minore, né che lo stesso manifestasse iniziative in merito; tale affermazione risulterebbe smentita dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa, secondo le quali quest'ultimo aveva acconsentito agli atti sessuali con l'imputato perché "ne aveva voglia" e aveva potuto liberamente decidere quando interrompere gli stessi, senza ricevere alcuna forma di sollecitazione. Con riferimento al presunto mancato scambio di baci, la persona offesa avrebbe reso due differenti versioni sul punto. In ordine alla consapevolezza in capo all'imputato delle ritenute condizioni di vulnerabilità della vittima, la motivazione della sentenza impugnata si porrebbe alla stregua di una mera congettura, elaborata travisando gli atti e contraddicendo ulteriori passaggi motivazionali, posto che dagli elementi valutati dalla Corte di appello emergerebbe l'assenza della pianificazione di una strategia per condizionare l'agire della persona offesa. L'imputato non avrebbe avuto modo di rendersi conto di alcuna delle manifestazioni fisiche sintomatiche delle presunte problematiche che investivano il minore; problematiche lievi e di difficile individuazione. A conferma di tale ricostruzione, deporrebbe la circostanza che neanche i genitori del minore avevano saputo cogliere le sue lievi difficoltà.
2.3. Con un ultimo motivo di ricorso, si censurano la violazione degli artt. 609-bis, ultimo comma, e 62, n. 6), cod. pen. e il vizio della motivazione. Si richiama quanto già eccepito in ordine alla presunta fallacia motivazionale in ordine alla prova dei rapporti anali, alla loro durata e all'incongruenza del narrato della persona offesa. In ogni caso, l'affermazione della sentenza secondo cui il minore avrebbe riferito indifferenza rispetto agli atti sessuali si porrebbe in contraddizione con la ritenuta invasività degli stessi, da considerarsi di minore gravità. Analogamente, dovrebbe concludersi per i rapporti orali, in quanto la persona offesa avrebbe dichiarato di avere prestato consenso agli stessi per desiderio di porli in essere. L'accertamento compiuto dai giudici di merito non avrebbe focalizzato l'attenzione sul tema centrale dell'indagine, ovvero il grado di compromissione della libertà sessuale. In ogni caso, anche ove si dovesse considerare sussistente la compromissione del consenso prestato dalla persona offesa, tale compromissione risulterebbe modestissima, cosi come modestissima sarebbe la condotta induttiva attribuita all'imputato. Infine, dalla ritenuta non minore gravità del fatto discenderebbe anche un vizio nell'accertamento circa la sussistenza dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 6), cod. pen.
3. Il ricorrente ha depositato memoria, con la quale insiste nell'accoglimento del ricorso, censurando, in particolare, la ritenuta sussistenza del riscontro esterno ravvisabile nelle dichiarazioni della madre del minore relativamente alla scoperta dei messaggi sul telefono del figlio, la cui ricostruzione temporale non si concilierebbe con le dichiarazioni rese dalla persona offesa. Si riafferma inoltre la contraddittorietà delle versioni rese dalla persona offesa in sede di sommarie informazioni prima, ed in sede di incidente probatorio poi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Va premesso che, in tema di impugnazione, il requisito della specificità dei motivi implica, a carico della parte impugnante, non soltanto l'onere di dedurre le censure che intenda muovere in relazione ad uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi fondanti le censure medesime, al fine di consentire al giudice di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (ex plurimis, Sez. 6, n. 17372 del 08/04/2021, Rv. 281112). Ne consegue che il ricorrente che intende denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., ha l'onere - sanzionato a pena di a-specificità, e quindi di inammissibilità, del ricorso - di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione (ex multis, Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, Rv. 277518).
1.1. Il primo motivo - sostanzialmente riferito alle dichiarazioni accusatorie delia persona offesa quale prova della responsabilità penale - è manifestamente infondato.
Deve premettersi che, in tema di ricorso per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, il sindacato di legittimità è limitato alla sola verifica dell'esposizione dei fatti probatori e dei criteri adottati al fine di apprezzare la rilevanza giuridica, nonché della congruità logica del ragionamento sviluppato nel testo del provvedimento impugnato rispetto alle decisioni conclusive. Ne consegue che resta esclusa la possibilità di sindacare le scelte compiute dal giudice in ordine alla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova, a meno che le stesse non siano il frutto di affermazioni apodittiche ed illogiche (ex plurimis, Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Rv. 284556; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Rv. 280747).
Va ribadito, inoltre, che per il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, la testimonianza della persona offesa può costituire fonte probatoria esclusiva e determinante dell'affermazione di responsabilità dell'imputato, ove la sua attendibilità intrinseca sia confermata attraverso il rigoroso vaglio delle garanzie procedurali emergenti dalla progressione processuale, senza la necessità di reperire i riscontri esterni di cui all'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. (ex plurimis, Sez. 5, n. 12045 del 16/12/2020; Sez. 2, n. 41751 del 04/07/2018).
Nel caso di specie, i principi sopra richiamati trovano applicazione, perché le censure relative alla supposta contraddittorietà delle dichiarazioni della persona offesa e alla sua conseguente non credibilità non sono tali da scalfire la tenuta logica del provvedimento impugnato. Non appare ravvisabile - né compiutamente prospettata - nessuna illogicità argomentativa nella valutazione degli elementi probatori effettuata dalla Corte di appello, che risultano essere stati coerentemente e correttamente apprezzati. Con riguardo alla supposta incongruenza rispetto alle dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di querela prima, ed in sede di incidente probatorio poi, le censurate marginali differenze rinvenibili nelle dichiarazioni non sono tali da intaccarne la credibilità. Infatti, quanto al capo A) dell'imputazione, i giudici di merito hanno sottolineato come nel caso di specie la violenza sia stata integrata dalla repentinità dei toccamenti fatti con le mani dell'imputato, certamente connotati da una valenza sessuale, riguardando il fondoschiena e le gambe del minore; quanto invece al contesto, alle modalità e all'esito della prima richiesta in ordine ai fatti di cui al capo B), il ricorrente fornisce una lettura differente da quella resa dalla Corte di appello delle dichiarazioni rese dalla persona offesa - la cui interpretazione esula dal sindacato di questa Corte di legittimità - e che in ogni caso non appare conforme alle evidenze probatorie, da cui discende una lineare descrizione delle modalità di approccio ai danni del minore nei pressi del bar dell'oratorio, e di quanto accaduto in occasione del primo rapporto consumatosi nel bagno adiacente al summenzionato bar. Anche le considerazioni relative alla data dello scambio di messaggi tra l'imputato e la persona offesa, e alla loro presunta valenza scriminante rispetto alla versione accusatoria fatta propria dai giudici di merito, risultano frutto di un'erronea interpretazione della motivazione resa sul punto dalla Corte di appello. Infatti, il riferimento al fatto che i messaggi partissero dal 19 novembre 2019 non inficia la logicità del percorso argomentativo basato sulle dichiarazioni della persona offesa, la quale ha spiegato che l'ultimo rapporto sessuale avuto con il ricorrente è avvenuto prima del Natale 2019 ed è dunque conciliabile con la scoperta dei messaggi da parte dei genitori del minore nel dicembre 2019. In ultimo luogo, le censure relative alla plausibilità delle dichiarazioni della vittima secondo le quali quest'ultima non provò dolore nel subire la penetrazione anale e le susseguenti considerazioni proposte dalla difesa risultano meramente valutative e congetturali e, come, tali inidonee ad intaccare la logicità della motivazione del provvedimento impugnato.
1.2. La seconda censura - con la quale si denunciano la violazione di legge ed il vizio della motivazione ancora in relazione alla prova della responsabilità penale - è infondata.
Deve rilevarsi che l'art. 609-bis, secondo comma, cod. pen., punisce chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto; l'art. 609-quater cod. pen., al primo comma, sottopone alla stessa pena dell'art. 609-bis chiunque, al di fuori delle ipotesi ivi previste, compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto non ha compiuto gli anni quattordici (n. 1), ovvero gli anni sedici quando il colpevole sia l'ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato, o che abbia con quest'ultimo una relazione di convivenza (n. 2); mentre al secondo comma punisce, con la reclusione da tre a sei anni, questi ultimi soggetti quando, con l'abuso dei poteri connessi alla loro posizione, compiono atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni sedici. La giurisprudenza ha chiarito che, mentre nella violenza sessuale ex art. 609-bis, secondo comma, cod. pen., l'eventuale consenso della persona offesa è viziato, non solo per le condizioni di inferiorità psichica della stessa ma anche per la condotte di induzione, per tale intendendosi l'attività di persuasione del minore nel compiere o subire la prestazione sessuale, nel reato ex art. 609-quater cod. pen., il consenso del minore è viziato solo dalla condizione di inferiorità dovuta all'età della vittima, senza che vi sia il presupposto dell'induzione (ex plurimis, Sez. 3, n. 44530 del 17/05/2018, Rv. 274235). Si è quindi osservato che, per escludere la configurabilità del reato di violenza sessuale con abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa, non è sufficiente che la persona con la quale è intercorso il rapporto sessuale abbia acconsentito a compiere o a subire l'atto sessuale, ma è necessario accertare se tale consenso non si configuri quale conseguenza di una strumentalizzazione della inferiorità della vittima da parte dell'autore del fatto, che abbia sfruttato le condizioni di minorata capacità di resistenza o di comprensione della natura dell'atto da parte del soggetto passivo mediante una condotta di induzione, consistente nel convincimento del minore a sottostare ad atti che diversamente non avrebbe compiuto, e di abuso che sii verifica quando le condizioni di menomazione - che possono dipendere sia dal limitato processo evolutivo, mentale e culturale sia dalla minore età accompagnata da una compromessa situazione individuale - sono strumentalizzate per accedere alla sfera intima della persona che, versando in una situazione precaria, viene ridotta a mezzo per soddisfare l'altrui libidine (ex plurimis, Sez. 3, n. 44171 del 19/09/2023, Rv. 285289 - 02; Sez. 3, n. 52041 del 11/10/2016, Rv. 268615; Sez. 3 n. 20766 del 14/04/2010, Rv. 247654). Dunque, deve essere fatto rientrare nella categoria dell'induzione mediante abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della vittima il procedimento di graduale "sessualizzazione" operato nel tempo da un soggetto in posizione di dominio, allo scopo di condizionarne la libertà (Sez. 3, n. 6148 del 08/10/2020, dep. 17/02/2021, Rv. 281338).
Alla luce di tali considerazioni, nel caso di specie, la sussunzione della condotta posta in essere dall'imputato sotto l'alveo dell'art. 609-bis, secondo comma, cod. pen., risulta immune dai denunciati vizi, dal momento che, come ben evidenziato in entrambi i gradi di merito, il consenso del minore al compimento degli atti sessuali risultava "viziato" non solo dall'età dello stesso, ma anche dalla condotta induttiva esercitata dall'imputato, consistita in un'opera di persuasione e nella volontaria strumentalizzazione della condizione di vulnerabilità in cui egli versava. Quanto alle condizioni di inferiorità, i giudici di merito hanno evidenziato come le problematiche che riguardavano il ragazzo fossero risalenti e rilevanti, tanto da indurre i genitori ad affidarlo ad un supporto psicologico. Vero è che tale percorso psicologico originava da problematiche di apprendimento scolastico, ma dai risultati dei test psicologici ai quali è stato sottoposto il minore si è evidenziato come l'indice di velocità - che misura la capacità di focalizzare l'attenzione - costituisca un punto di debolezza individuale nel profilo di funzionamento cognitivo del ragazzo; inoltre l'osservazione diretta del minore, operata dalla dottoressa Trussardi, ha evidenziato la tendenza di questo a rispondere impulsivamente per poi spesso autocorreggersi, manifestando altresì tensione motoria agli arti. La necessità di offrire al minore un supporto ed un rafforzamento dell'autostima risulta dimostrata altresì dalla decisione dei genitori di inserire lo stesso in un contesto ritenuto sicuro - quale l'oratorio - per svolgere un'attività lavorativa sotto la supervisione di un adulto, proprio al fine di aiutarlo a superare le proprie difficoltà relazionali. Dall'insieme delle valutazioni psicologiche effettuate sul minore, la Corte di appello ha dunque correttamente ricavato un quadro di complessiva difficoltà. E in generale, deve ricordarsi come la vulnerabilità della vittima rilevante ai fini della configurabilità dell'abuso della sua condizione di inferiorità vada valutata sul piano oggettivo, indipendentemente, cioè, dalle cause che l'hanno generata; con la conseguenza che il reato di violenza sessuale mediante induzione si configura anche nel caso dell'approffitamento di una condizione di vulnerabilità preesistente o comunque indipendente rispetto alla condotta del reo.
Con riguardo, poi, alla sussistenza dell'induzione posta in essere dal ricorrente, la Corte territoriale ha - con motivazione logicamente coerente - valorizzato molteplici elementi di prova: è stato sempre l'imputato a proporre al minore il compimento di un atto sessuale e solo alla persona offesa veniva richiesto di soddisfare le esigenze sessuali dell'adulto, risultando del tutto assenti richieste di tipo sessuale da parte del ragazzo; le richieste di appartarsi nel bagno dell'oratorio erano state formulate in più occasioni al minore e lo stesso aveva ceduto alle insistenze dell'imputato non per un proprio desiderio, ma solo per il sentimento di pena che provava nei confronti dell'adulto; l'affermazione resa dal minore, secondo cui avrebbe acconsentito a soddisfare i bisogni sessuali dell'imputato perché lo stesso "gli faceva pena", dà conto della sua incapacità di assumere determinazioni ponderate al momento di disporre del proprio corpo, cedendo di fatto al compimento di un atto sessuale, perché non voleva offendere colui che glielo aveva richiesto, nell'ambito di una chiara "sessualizzazione" indotta.
Anche la motivazione resa dalla Corte di appello in merito alla sussistenza in capo all'imputato dell'elemento psicologico necessario ai fini dell'integrazione del reato contestato deve considerarsi logicamente sufficiente. Infatti, risulta dimostrato che il Lu.Ar. frequentasse l'oratorio al fine di adescare minori per il soddisfacimento dei propri bisogni sessuali: tale circostanza è riscontrata dal tenore dei messaggi scambiati con la persona offesa, dai quali si desume la volontà dell'imputato di coinvolgere altri minori nei rapporti intimi che avevano i due; ad ulteriore conferma di ciò vi è poi il tentativo posto in essere dal ricorrente di avere un rapporto con un altro minore frequentante il medesimo oratorio. La Corte territoriale ricostruisce l'agire posto in essere dal Lu.Ar. spiegando come lo stesso, frequentando assiduamente l'oratorio, abbia preso contezza della particolare vulnerabilità della vittima e delle possibilità logistiche che gli si offrivano per portare a termine le condotte che si era proposto di porre in essere. Il minore ha riferito che l'imputato era particolarmente attento allo stato d'animo in cui egli versava, e il collegio di merito, con argomentazioni logiche e coerenti, ha evidenziato che le premure rivolte al ragazzo erano dirette a fare breccia nello stesso, sfruttandone le fragilità, al fine di soddisfare gli impulsi sessuali dell'imputato. L'induzione dell'imputato è indice inequivocabile del fatto che la violenza sia stata accompagnata da un abuso che ha determinato nel minore una compromissione della libertà di autodeterminazione tale da assecondare, come se fossero normali, le richieste sessuali provenienti dal ricorrente.
1.3. L'ultimo motivo di ricorso - con il quale si censura il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti di cui agli artt. 609-bis, ultimo comma, e 62, n. 6), cod. pen. - è inammissibile. Deve ritenersi coerente il giudizio operato dal collegio di appello in ordine alla impossibilità di attenuare ulteriormente il trattamento sanzionatorio riservato al ricorrente. Gli elementi valorizzati dalla Corte di merito risultano logicamente ostativi alla concessione delle summenzionate attenuanti, infatti non può dubitarsi in ordine alla invasività degli atti posti in essere nei confronti del minore e delle particolari condizioni di tempo e di luogo nelle quali sono stati posti in essere, ovvero all'interno di un oratorio, luogo nel quale il minore si considerava protetto e nel quale l'imputato ha sfruttato la fiducia in lui riposta; abusi ripetuti e invasivi, che non possono considerarsi esenti da conseguenze dannose sul versante della psiche del minore, posto che lo stesso, a seguito delle violenze subite, ha dovuto riprendere un percorso psicologico di supporto.
2. Il ricorso, per tali motivi, deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
L'imputato deve essere anche condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte d'appello di Brescia con separato di decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 del d.P.R. n. 115 del 2002, con pagamento in favore dello Stato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte d'appello di Brescia con separato di decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 del d.P.R. n. 115 dei 102, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Così deciso il 15 dicembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2024.