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Reati contro la persona

Violenza sessuale: per il dolo, non è necessario che la condotta sia finalizzata a soddisfare il piacere sessuale dell'agente

Violenza sessuale

Cassazione penale sez. III, 24/01/2019, n.20459

In tema di reati sessuali, ai fini dell'integrazione dell'elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, non è necessario che la condotta sia finalizzata a soddisfare il piacere sessuale dell'agente, in quanto è sufficiente che questi sia consapevole della natura oggettivamente sessuale dell'atto posto in essere volontariamente, ossia della sua idoneità a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, mentre l'eventuale concorrente finalità ingiuriosa o minacciosa dell'agente non esclude la connotazione sessuale dell'azione.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 13 ottobre 2016, la Corte di appello di Venezia confermava la sentenza del 6 dicembre 2007, con cui il G.U.P. presso il Tribunale di Treviso, all'esito di rito abbreviato, aveva condannato M.J. alla pena di anni 1 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all'art. 609 bis c.p., ritenuta l'ipotesi di minore gravità e riconosciuta l'attenuante ex art. 62 c.p., n. 6, per aver compiuto atti sessuali nei confronti di Mi.Ch., infilandole la mano nei pantaloni e toccandole inguine e vagina per alcuni secondi, fatti commessi in (OMISSIS). 2. Avverso la sentenza della Corte di appello veneta, M., tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi. Con il primo, la difesa deduce la carenza, l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione in relazione al giudizio di colpevolezza dell'imputato, censurando in particolare la valutazione di attendibilità della persona offesa, non avendo la Corte territoriale considerato le contraddizioni in cui era incorsa la Mi. sia rispetto a quanto dichiarato dalla medesima, sia in relazione a quanto riferito dal compagno prima alla P.G. e poi al P.M., essendovi stata una discrasia tra i due conviventi circa sia l'identità dell'aggressore, sia i luoghi dell'azione. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta l'erronea applicazione della legge penale, nonchè la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla mancata riqualificazione del fatto ai sensi dell'art. 610 c.p., evidenziando che, alla luce del contesto in cui era stato commesso il fatto, doveva escludersi che M. mirasse al soddisfacimento della propria libido, per cui l'atto compiuto doveva ritenersi privo di un'effettiva connotazione sessuale. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è infondato. 1. Iniziando dal primo motivo, occorre evidenziare che la valutazione di attendibilità della persona offesa compiuta sia dal G.U.P. che dalla Corte di appello non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede. E invero le due conformi sentenze di merito, le cui motivazioni sono destinate a integrarsi per formare un corpus argomentativo unitario, hanno innanzitutto ricostruito compiutamente i fatti di causa, valorizzando in particolare le dichiarazioni della persona offesa Mi.Ch., la quale ha descritto con chiarezza l'episodio dell'8 dicembre 2006, allorquando, di mattina presto, M.J. si recò presso la sua abitazione, chiedendo del suo convivente C.M., di cui era creditore; costatata l'assenza di questi, l'imputato aggrediva la donna, colpendola con pugni al viso e al torace e minacciandola di morte. In tale contesto, dopo aver bloccato con violenza la Mi., M. le infilava una mano dentro gli slip, toccandola la vagina e continuando a minacciarla anche con un coltello che il ricorrente aveva prelevato dentro un cassetto della cucina. Sopraggiunto poi il compagno della persona offesa, tra questi e l'imputato avveniva una colluttazione, all'esito della quale M. si allontanava. La Mi. nel frattempo sollecitava l'intervento dei Carabinieri, i quali eseguivano una perquisizione presso l'abitazione dell'imputato, dove venivano rinvenute delle fotografie che ritraevano C., la compagna e loro figlio, fotografie che M. ammetteva di aver preso quella mattina dalla casa della persona offesa. Orbene, il racconto della Mi. è stato ritenuto credibile dai giudici di merito sia perchè preciso, lineare e costante nel tempo a partire dalla sua iniziale e immediata rivelazione, sia perchè risultato privo di enfatizzazioni o comunque di finalità calunniatorie, non essendo emerso al riguardo alcun concreto elemento da cui potesse ragionevolmente desumersi che la denunciante intendesse risolvere i problemi economici del suo nucleo familiare con la proposizione di accuse mendaci ai danni di M., non potendo ritenersi decisiva in tal senso la circostanza che la persona offesa abbia sollecitato una composizione della controversia, accettando poi il risarcimento del danno offerto dall'imputato. Nel confrontarsi con le deduzioni difensive, i giudici di secondo grado hanno poi rimarcato che l'unica incongruenza nella narrazione della Mi. e del compagno era ravvisabile nel fatto che nel primo racconto della coppia non vi erano riferimenti all'identità dell'aggressore, il cui nome è stato poi fatto nella querela. Si è trattato tuttavia di una discrepanza marginale, posto che il silenzio dei due conviventi è durato poche ore, essendo stata presentata la querela, con l'indicazione nominativa dell'imputato, alle 9.56, mentre l'aggressione era avvenuta intorno alle ore 7, fermo restando che l'identificazione del destinatario della querela nell'odierno ricorrente è risultata essere circostanza pacifica. Quanto ai luoghi dell'aggressione, è stato sottolineato che la persona offesa ha sempre riferito che la violenza sessuale è avvenuta all'interno dell'abitazione, per cui sul punto alcuna reale contraddizione narrativa era ravvisabile, tanto più ove si consideri che anche il compagno della Mi., a partire dalla querela, aveva dichiarato che l'aggressione per cui si procede era iniziata in casa, mentre i fatti avvenuti fuori l'abitazione sono rimasti al di fuori dell'odierna imputazione. Nè può sottacersi che il racconto della denunciante ha trovato significativi riscontri sia nella certificazione medica attestante le contusioni subite dalla persona offesa a seguito dell'aggressione in casa, sia nelle parziali ammissioni dello stesso imputato che, pur negando il compimento dell'atto sessuale, ha però riconosciuto di aver strattonato la donna e di averla minacciata, essendo stato precisato nella sentenza impugnata, in maniera non illogica, che la diagnosi riportata nel referto non smentiva nè ridimensionava la versione della Mi., la quale aveva descritto le lesioni subite in termini compatibili con il tenore della certificazione medica, avendo la persona offesa ricollegato i colpi ricevuti a parti diverse dalle zone intime, per cui l'assenza di postumi riferibili al gesto sessuale si è rivelata circostanza neutra ai fini della valutazione di credibilità della vittima. Deve pertanto concludersi che il giudizio di colpevolezza dell'imputato, in quanto sorretto da argomentazioni razionali e fondato su una disamina esaustiva delle fonti dimostrative raccolte, resiste alle censure difensive, che invero si articolano essenzialmente nella proposta di una lettura alternativa del materiale probatorio, non consentita in questa sede, scontando peraltro il ricorso evidenti limiti di autosufficienza del ricorso nell'indicazione delle fonti di prova che si assumono non correttamente apprezzate dai giudici di merito, fermo restando che i richiami al materiale probatorio non sono risultati contraddistinti da adeguata specificità. 2. Passando al secondo motivo di ricorso, deve parimenti escludersi che la qualificazione giuridica della condotta presti il fianco alle censure difensive. Al riguardo deve infatti richiamarsi la condivisa e costante affermazione di questa Corte (cfr. ex multis Sez. 3, n. 21020 del 28/10/2014, dep. 2015, Rv. 263738 e Sez. 3, n. 3648 del 03/10/2017, dep. 2018, Rv. 272449), secondo cui, in tema di reati sessuali, la condotta vietata dall'art. 609 bis c.p. comprende, oltre a ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto idoneo, secondo canoni scientifici e culturali, a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dalle intenzioni dell'agente, purchè questi sia consapevole della natura oggettivamente "sessuale" dell'atto posto in essere con la propria condotta cosciente e volontaria, non escludendo ad esempio l'eventuale finalità ingiuriosa dell'agente la connotazione sessuale della condotta. In definitiva, ai fini dell'integrazione dell'elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, non è necessario che la condotta sia specificamente finalizzata al soddisfacimento del piacere sessuale dell'agente, essendo sufficiente che questi sia consapevole della natura oggettivamente "sessuale" dell'atto posto in essere volontariamente, ossia della sua idoneità a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dallo scopo perseguito. Alla stregua di tali premesse ermeneutiche, deve ritenersi che il gesto compiuto da M. nei confronti delle Mi. sia stato correttamente inquadrato nella fattispecie di cui all'art. 609 bis c.p., essendosi l'imputato reso autore di un repentino toccamento della vagina della persona offesa per alcuni secondi, dopo averle infilato la mano all'interno degli slip, condotta questa la cui natura sessuale appare indubitabile, stante la peculiare zona del corpo aggredita, e tanto a prescindere dalle finalità minatorie pure perseguite dal ricorrente. Ne consegue che legittimamente i giudici di appello hanno disatteso la richiesta difensiva, cui invero si era associato anche il Procuratore generale di udienza, di derubricare il fatto nell'ambito della previsione di cui all'art. 610 c.p.. 3. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell'interesse di M. deve essere rigettato, con conseguente onere per il ricorrente di sostenere il pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge. Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2019. Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2019
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