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Reati contro la persona

Violenza sessuale: sulla procedibilità d'ufficio

Violenza sessuale

Cassazione penale sez. III, 14/09/2020, n.31512

In materia di delitti di violenza sessuale, fra le ipotesi di connessione che determinano la procedibilità d'ufficio ai sensi dell'art. 609-septies, comma 4, n. 4, c.p., è ricompresa quella in cui il fatto sia legato ad altro delitto, per il quale si deve procedere d'ufficio, in ragione del vincolo della continuazione, previsto dall'art. 12, comma 1, lett. b), c.p.p.

Violenza sessuale: sullo stato di inferiorità della vittima in caso di alterazione causata da alcool

Violenza sessuale: sulla legittimità del diniego dell'attenuante del fatto di minore gravità

Violenza sessuale: si configura aggravante speciale nel caso in cui la vittima sia stata provocata dall'autore del reato all'assunzione di sostanze alcoliche

Violenza sessuale: sull'abuso di autorità e posizione di preminenza

Violenza sessuale: anche credenze esoteriche come condizioni inferiorità psichica

Violenza sessuale: assorbe reato di maltrattamenti in caso coincidenza condotte

Violenza sessuale: sulla rilevanza della qualità di pubblico ufficiale ai fini di procedibilità d'ufficio

Violenza sessuale: sull'applicazione del divieto di sospensione dell'esecuzione della pena

Violenza sessuale: sul divieto di concessione di misure alternative alla detenzione

Violenza sessuale: sulla procedibilità d'ufficio

Violenza sessuale: elementi applicazione attenuante minore gravità riduzione pena

Violenza sessuale: può concorrere con il delitto di sequestro di persona

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa in data 2 dicembre 2019, la Corte di appello di Torino ha in parte confermato e in parte riformato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Tribunale di Torino nei confronti di M.P., V.B., Vo.Ca. ed altri imputati, relativamente ad accuse concernenti eminentemente reati di violenza sessuale. Per quanto di specifico interesse in questa sede, la Corte d'appello ha ritenuto: a) M. e V. responsabili del reato continuato di violenza sessuale di gruppo ex art. 609-octies c.p. commesso in più occasioni in danno di S.A. tra il (OMISSIS) (capo B), e di A.A. tra il (OMISSIS) (capo J); b) M., V. e Vo. responsabili del reato continuato di violenza sessuale di gruppo ex art. 609-octies c.p. commesso in più occasioni in danno di A.V., tra il 2006 ed il 2016 (capo L); c) M. responsabile del reato di violenza sessuale ex art. 609-bis c.p., commesso in più occasioni in danno di S.A. tra il (OMISSIS) (capo C), di F.M. tra il (OMISSIS) (capi D ed E), di Fi.Mi. tra la primavera del 2009 ed il 2010 (capi F e G), epoca in cui quest'ultima era minorenne, di F.F. tra il (OMISSIS) (capi H e I), di A.A. tra il (OMISSIS) (capo K), di D.R. tra il (OMISSIS) (capi N e O), e di C.G. tra il (OMISSIS) (capo P). Ha inoltre dichiarato estinti per prescrizione i reati di violenza sessuale ex art. 609-bis c.p., commessi in danno di F.M. fino al giorno (OMISSIS) (capo D), di F.F. fino al giorno (OMISSIS) (capo H), di D.R. fino al giorno (OMISSIS) (capo N), e di C.G. fino al giorno (OMISSIS) (capo P). Il giudice di secondo grado è pervenuto a questo esito: a) confermando la sentenza di primo grado con riferimento ai reati violenza sessuale di gruppo ex art. 609-octies c.p. di cui al capo B, nei confronti di M. e V., e di violenza sessuale ex art. 609-bis c.p. di cui ai capi C, E, G, I, e O nei confronti di M.; b) riqualificando i fatti di cui ai capi D, F, H, N e P da violenza sessuale di gruppo ex art. 609-octies c.p., così come ritenuto dal Tribunale, in violenza sessuale ex art. 609-bis c.p., nei confronti di M.; c) riformando, in accoglimento dell'appello del Pubblico Ministero, la sentenza di assoluzione in sentenza di condanna per i reati di violenza sessuale di gruppo ex art. 609-octies c.p. di cui ai capi J e L nei confronti di M. e di V., e, per il solo capo L, anche nei confronti di Vo., nonchè per il reato di violenza sessuale ex art. 609-bis c.p. di cui al capo K nei confronti di M.. Secondo i giudici di merito, M. avrebbe indotto le vittime a compiere e subire atti sessuali presentandosi come persona dotata di particolari capacità nel campo esoterico, in grado di fornire supporto spirituale e di liberare dal malocchio, e prospettando alle stesse gravi ed imminenti pericoli nel caso non avessero acconsentito alle sue richieste ed indicazioni. Alla consumazione di alcune delle condotte illecite avrebbero partecipato anche V. e Vo., e precisamente il primo con riferimento agli episodi in danno di S.A., di A.A. e di A.V., il secondo con riferimento agli episodi in danno di A.V., i quali avrebbero entrambi agito nella consapevolezza che le precisate vittime erano state indotte a compiere e a subire atti sessuali da M. mediante la prospettazione alle stesse della necessità di aderire alle sue richieste ed indicazioni per liberarsi dall'influsso di "forze negative". 2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe M.P., con atto a firma dell'avvocato D., V.B., con atto a firma dell'avvocato E., e Vo.Ca., con atto a firma dell'avvocato E. 3. Il ricorso proposto nell'interesse di M.P. è articolato in cinque motivi, preceduti da una premessa, nella quale si stigmatizza il risalto "mediatico" della vicenda, e l'incidenza di tale situazione sulle persone offese. 3.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), avendo riguardo alla mancata declaratoria di inammissibilità dell'appello del Pubblico Ministero. Si deduce che l'appello del Pubblico Ministero era privo di specificità, e che, anzi, questo vizio è stato rilevato dalla stessa sentenza impugnata con riferimento alle censure proposte nell'atto di gravame in relazione all'assoluzione di Vo. per il reato di cui al capo N. Si rappresenta che l'atto di appello, per essere in linea con la disciplina di cui all'art. 581 c.p.p., avrebbe dovuto indicare le ragioni di diritto e gli elementi di fatto da porre a base della riforma della sentenza di primo grado, e contenere richieste specifiche, e che, però, ciò non è accaduto nella specie. Si conclude che, stante l'inammissibilità dell'appello del Pubblico ministero, il giudice di secondo grado avrebbe dovuto confermare le assoluzioni relative ai capi J, K e L, pronunciate dal Tribunale. 3.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), avendo riguardo alla mancata declaratoria di improcedibilità per difetto di querela relativamente alle imputazioni di cui ai capi N, O, D ed E. Si deduce che la sentenza impugnata illegittimamente ha pronunciato nel merito con riguardo ai reati di violenza sessuale ex art. 609-bis c.p. commessi in danno di A.A., A.V., D.R., C.G. e F.M., per l'assenza di querela o di tempestiva querela. Precisamente, tutte queste persone offese erano maggiorenni all'epoca dei fatti; le prime quattro, poi, non hanno mai sporto querela, mentre la quinta ha formulato istanza di punizione solo a distanza di cinque anni dai fatti. 3.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), avendo riguardo alla parzialità della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello e, segnatamente, al mancato esame di A.V.. Si premette che la Corte d'appello ha riformato l'assoluzione in condanna con riferimento ai fatti in danno di A.V. ed A.A., dopo aver disposto con ordinanza la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale con riferimento all'esame testimoniale di entrambe, "visto l'art. 603 c.p.p.", e dopo aver poi revocato tale ordinanza con riferimento all'esame di A.V., ritenuta "non più necessaria (...) anche alla luce delle dichiarazioni rese dalla teste che è stata escussa in data odierna ( A.A.)". Si osserva che la soluzione istruttoria prescelta è manifestamente illogica, perchè o era necessario risentire entrambe le persone offese, o, invece, non occorreva sentirne alcuna. Si aggiunge che la denunciata illogicità non è superata da quanto esposto nelle motivazioni della sentenza impugnata, la quale ha spiegato le sue scelte istruttorie, affermando che "pur non ravvisando la necessità di provvedere alla rinnovazione delle (...) deposizioni ai sensi dell'art. 603 c.p.p., comma 3 bis la Corte ha ritenuto di provvedervi ai fini di una più corretta formazione del proprio convincimento", e trascurando, però, che, proprio con riferimento agli episodi in danno di A.V., il Tribunale aveva diffusamente argomentato per escludere la condizione di inferiorità della persona offesa. 3.4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all'art. 609-bis c.p., nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), avendo riguardo alla ritenuta sussistenza di una condotta di abuso delle condizioni di inferiorità psichica delle persone offese al momento del fatto. Si deduce, in linea generale, che la sentenza impugnata, con riferimento a tutti i fatti di reato, ha accolto una nozione erronea di inferiorità psichica e di consenso agli atti sessuali di persona in condizioni di inferiorità psichica. Si premette che, nella specie, le condizioni di inferiorità psichica non erano collegate ad alcun parametro medico/clinico, e che ciò ha influito sull'effettiva capacità degli imputati di percepire la sussistenza di queste. Si rappresenta, poi, che, per comprendere il significato di quanto accaduto nella specie, occorre considerare alcune specifiche circostanze; in particolare, si segnala che i fatti sono emersi a distanza di molto tempo dalla loro commissione, che molte persone offese avevano conservato buoni rapporti con l'imputato, che le relazioni oggetto di contestazione si sono protratte a lungo nel tempo, che gli incontri erano anche di notevole durata e che le dichiaranti avevano il timore di essere coinvolte in indagini se non si fossero dichiarate vittime. Si rileva, quindi, che la sentenza impugnata non mette in luce una situazione di cieca ed acritica credenza delle vittime nella valenza protettiva dei riti, ed anzi riconosce che i rapporti sessuali spesso risultano appaganti anche per le medesime, che le stesse erano spesso pronte a mandarsi tra loro fotografie e video nei quali erano "nude", e che le donne, inoltre, erano libere di rifiutarsi di partecipare agli incontri quando non volevano. Si deduce, con specifico riferimento alle condotte in danno di S.A., che è mancata sia una reale valutazione circa l'attendibilità delle sue dichiarazioni, sia una effettiva indicazione delle circostanze indicative dello "squilibrio" di posizione tra la persona offesa e l'imputato. Si rileva che la donna, prima di sporgere denuncia, ha intrapreso una importante causa civile in danno dell'ex-fidanzato, anche lui coinvolto nei "riti", e si è costituita parte civile. Si aggiunge che i messaggi intercorsi tra questa persona offesa e M. sono di tenore inequivocabile - spesso ricorre la frase: "Ti amo", o simili - e che la "comprensibile vergogna" riconosciuta in sentenza non è mai stata menzionata dalla donna, nonostante le molteplici escussioni anche in fase di indagine. Si segnala, ancora, che, secondo le affermazioni di diversi testimoni, questa persona offesa risultava "normale" ed aveva, in pubblico, atteggiamenti "anomali" con M. (cfr. pagg. 20 e 21 del ricorso). Si deduce, con specifico riferimento alle condotte in danno di F.M., F.F. e F.M., che la sentenza impugnata ha affermato l'esistenza di uno "squilibrio" di posizione tra persone offese e l'imputato senza valutare il contesto complessivo delle vicende. Si osserva, in particolare, che: a) l'introduzione di F. e M. ai rapporti con M. è avvenuta ad opera di Ma., la quale aveva chiarito alle altre due quale fosse la tipologia degli incontri; b) nessun accertamento è stato compiuto circa la consapevolezza dell'imputato di approfittare delle tre donne; c) F. ha addirittura convinto il ricorrente di essere il padre di un suo figlio; d) Ma. ha presentato suo marito, un poliziotto, a M., e i due uomini hanno avuto frequenti contatti telefonici, nel corso dei quali l'imputato ha anche chiesto consigli legali all'interlocutore; e) M. ha negato di aver avuto rapporti orali con un'altra persona offesa, D.R., pur documentati dai video sequestrati dagli inquirenti. Si deduce, con specifico riferimento alle condotte in danno di A.V. e A.A., che la sentenza impugnata ha affermato l'esistenza di uno "squilibrio" di posizione tra persone offese e l'imputato, ribaltando le conclusioni della sentenza di primo grado in modo del tutto immotivato, e comunque in difetto di una "forza persuasiva maggiore, tale da far venire meno ogni ragionevole dubbio". Si segnala che dalle conversazioni intercettate, come già rilevato dal Tribunale, emerge un atteggiamento delle due donne del tutto diverso da quello di una vittima, e che dalle dichiarazioni del cugino di esse, partecipe ad alcuni incontri, risulta la natura grottesca e molto poco esoterica di questi ultimi. Si sottolinea, poi, che A.V., dopo aver inviato a M. delle fotografie che li ritraevano insieme, dice allo stesso di avergli voluto tramettere quelle immagini perchè documentano "bei ricordi". Si osserva, ancora, che le dichiarazioni rese da A.A. davanti alla Corte d'appello non hanno introdotto alcun elemento di novità, almeno con riferimento al profilo della condizione di inferiorità psichica, in quanto la donna ha asserito: a) di aver iniziato ad avere contatti con M. per "curiosità", quando questi le aveva "letto le carte", ma senza ricordare "come è nata questa amicizia", e precisando di non versare, in quel momento, in particolari problemi, nemmeno sentimentali; b) di aver rifiutato ogni approccio con V., "perchè non mi andava", e di non aver subito conseguenze per tale decisione. Si rappresenta, quindi, che del tutto sganciata dalle risultanze processuali, e quindi incongrua, è la spiegazione dei commenti contenuti nelle conversazioni intercettate, e valorizzati in chiave assolutoria dal Tribunale, come frutto di una "reazione di superiorità" e di un "tentativo di darsi forza" di fronte al "disagio estremo" da affrontare dopo la pubblica emersione delle vicende: le due donne, infatti, non hanno mai riferito tali sentimenti, ma, anzi, come emerge anche dalle conversazioni intercettate, avevano conservato buoni rapporti con M. anche (OMISSIS), erano state informate proprio da questi della denuncia sporta a carico del medesimo, e, alla notizia della pubblicità della vicenda, si erano preoccupate di eliminare le foto "compromettenti", V. anche aggiungendo: "Ognuno fa quello che vuole nella propria vita". Si deduce, con specifico riferimento alle condotte in danno di D.R. e C.G., che la sentenza impugnata ha affermato l'esistenza di uno "squilibrio" di posizione tra persone offese e l'imputato in contrasto con le risultanze processuali. Si segnala che la prima ha dichiarato di aver spesso deciso di incontrare M. da solo, perchè "non volevo incontrare nessun altro", e nelle foto e nei video relativi agli incontri risulta "sorridente e priva di turbamento o dissenso". Si rappresenta, poi, che la seconda è stata introdotta agli incontri dalla "migliore amica" F.F., e, quindi, è ragionevole ipotizzare che abbia partecipato agli stessi "non già perchè fragile e indotta, ma per proprio volere esperienziale". 3.5. Con il quinto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all'art. 85 c.p., a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), avendo riguardo al mancato espletamento di perizia psichiatrica sul ricorrente. Si deduce che illegittimamente è stata respinta la richiesta di perizia psichiatrica sul ricorrente, sebbene altri imputati siano stati assolti in primo grado o in appello previa valorizzazione di perizie da cui emergeva l'incapacità di approfittare della situazione di vulnerabilità delle vittime e di comprendere l'assurdità delle soluzioni ricercate attraverso i "riti", e, soprattutto, sebbene la stessa Procura, nell'atto di appello, attribuisca a M. un "(apparente?) delirio narcisistico di onnipotenza". 4. Il ricorso proposto nell'interesse di V.B. è articolato in sette motivi. 4.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all'art. 603 c.p.p., comma 3-bis, nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e), avendo riguardo alla riforma in condanna dell'assoluzione per i fatti in danno di A.A. e A.V. (capi L e 3) nonostante la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale con riguardo all'esame di quest'ultima. Si premette che: a) l'appello del Pubblico Ministero aveva chiesto l'esame di entrambe le sorelle A. a norma dell'art. 603 c.p.p., comma 3-bis, avanzando critiche sulla valutazione del Tribunale circa le dichiarazioni delle persone offese; b) la Corte d'appello aveva disposto un nuovo esame delle due donne "genericamente" ex art. 603 c.p.p.; c) l'ordinanza con cui è stata revocata la decisione di procedere ad esame di A.V. osserva che l'escussione non era stata disposta ex art. 603 c.p.p., comma 3-bis e che l'esame di A.A. aveva "colmato" tutte le esigenze istruttorie; d) la sentenza impugnata ha spiegato ulteriormente la scelta rilevando che la pronuncia assolutoria del Tribunale era derivata non da una valutazione concernente l'attendibilità delle dichiarazioni delle due precisate persone offese, bensì dal contenuto delle conversazioni intercettate, essendo queste ultime indicative dell'assenza di una situazione di soggezione psicologica delle sorelle A. rispetto a M.. Si osserva, poi, che il Tribunale aveva fondato la decisione di assoluzione per i capi relativi ai fatti in danno di A.A. e A.V. non solo sulle conversazioni intercettate, ma sul tenore complessivo delle dichiarazioni, e che, anzi, ciò è particolarmente evidente con riguardo alla posizione di V.. Si sottolinea che tanto risulta dalla stessa sentenza di appello, la quale, nel ricostruire il contenuto della decisione di primo grado, ha riportato le dichiarazioni di A.V., laddove questa aveva ammesso di avere avuto, su indicazione di M. rapporti sessuali con V., al solo scopo di compiacere quest'ultimo e di "prenderlo in giro (...), per fargli capire come se lo avessi un interesse per nei suoi confronti, invece non è così". Si rappresenta, quindi, che la decisione impugnata, per rideterminare il significato delle conversazioni intercettate, ha dato espressa conferma di aver dovuto rivalutare la prova dichiarativa: in particolare, la Corte d'appello ha fatto ampio riferimento al nuovo esame di A.A. per ricostruire quale fosse la condizione psicologica della donna rispetto agli imputati, ed anzi precisando che l'atto istruttorio "è risultato molto importante" (pag. 88 e ss.). 4.2. Con il secondo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), avendo riguardo alla ritenuta sussistenza dell'abuso di una condizione di inferiorità psichica di A.V. (capo L). Si deduce che è manifestamente illogica e contraddittoria la motivazione in ordine alla sussistenza dell'abuso di una condizione di inferiorità psichica di A.V.. Si rappresenta che l'unico elemento di novità è costituito dalla diversa percezione soggettiva che la Corte d'appello ha avuto di A.A., come persona in "condizione di inferiorità e suggestionabilità", all'esito della rinnovazione dell'esame della stessa. Si conclude che questo argomento, in disparte da ogni altra considerazione, se anche può valere per A.A., ossia la persona riesaminata, non può certo valere per A.V., non risentita dalla Corte d'appello. 4.3. Con il terzo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), avendo riguardo alla ritenuta sussistenza dell'abuso di una condizione di inferiorità psichica di A.V. e di A.A. (capi L e 3). Si deduce che la motivazione in ordine alla sussistenza dell'abuso di una condizione di inferiorità psichica delle due persone offese è gravemente carente perchè trascura di confrontarsi con il significato delle dichiarazioni della persona offesa A.V. laddove questa, come riporta la stessa sentenza impugnata (si citano le pagg. 43, 44, 85, 86 e 87), ammette che M. le aveva chiesto di essere disponibile nei confronti di V. durante i "riti" per ragioni di carattere utilitaristico. Si segnala che questa parte delle dichiarazioni rese da A.V. erano state espressamente valorizzate dal Tribunale ai fini dell'assoluzione. 4.4. Con il quarto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), avendo riguardo alla ritenuta sussistenza della consapevolezza del ricorrente V. circa la condizione di inferiorità psichica di A.V. e di A.A. (capi L e 3). Si deduce che la sentenza impugnata ricostruisce la sussistenza dell'elemento psicologico dell'imputato per la sua partecipazione alle riunioni a sfondo sessuale, per la caratteristica di questi riti, e per il divario di età con le vittime, senza confrontarsi con altri elementi pure indicati in una prospettiva liberatoria nella pronuncia di primo grado. Tra questi elementi, il Tribunale aveva segnalato la partecipazione "attiva" e "propositiva" delle sorelle A. agli incontri sessuali, e la scarsa significatività in sè del divario di età, in quanto le due donne avevano oltre trent'anni di età ed avevano già avuto esperienze sessuali e sentimentali. 4.5. Con il quinto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), avendo riguardo alla ritenuta sussistenza della consapevolezza del ricorrente V. circa la condizione di inferiorità psichica di S.A. (capo B). Si premette che, secondo le decisioni di merito, V. partecipò ad incontri sessuali con S.A. "in un paio di occasioni", ma non ebbe alcun ruolo nell'indurre la vittima a compiere e subire atti sessuali, e che la consapevolezza, nel medesimo, di tale situazione è desumibile dall'età e dalla "sicura esperienza" dell'uomo, nonchè dalla sua esigenza di soddisfare le proprie pulsioni libidinose, dimostrata dalla messa a disposizione delle soffitte in cui avvenivano gli incontri e dalla disponibilità di oggetti erotici. Si rappresenta che queste motivazioni sono lacunose ed incongrue perchè: -) il desiderio di appagare le pulsioni sessuali è un dato neutro; -) gli oggetti erotici rinvenuti non sono direttamente attribuibili a V., perchè rinvenuti nelle soffitte affittate a M.; -) S.A. si presentava come una ragazza di età superiore a quella effettiva e risultava essere accompagnata costantemente dal padre nei suoi incontri con M.. 4.6. Con il sesto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), avendo riguardo alla ritenuta sussistenza della responsabilità del ricorrente V. per gli episodi in danno di S.A. in epoca successiva ad (OMISSIS) (capo B). Si deduce che la sentenza impugnata non ha in alcun modo risposto alla specifica censura formulata in proposito con l'atto di appello, sulla base delle dichiarazioni della persona offesa. 4.7. Con il settimo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all'art. 609-octies c.p., comma 4, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), avendo riguardo al mancato riconoscimento dell'attenuante del contributo di minima importanza con riferimento agli episodi in danno di A.V. e di A.A. (capi L e 3). Si deduce che nessuna motivazione è addotta con riferimento alla esclusione dell'attenuante per i reati in danno di A.V. e di A.A.. 5. Il ricorso proposto nell'interesse di Vo.Ca. è articolato in tre motivi. 5.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all'art. 603 c.p.p., comma 3-bis, art. 530 c.p.p. e art. 609-bis c.p. e art. 609-octies c.p., nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e), avendo riguardo alla riforma in condanna dell'assoluzione per i fatti in danno di A.V. (capo L) nonostante la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale con riguardo all'esame di quest'ultima. Si deduce che, come osserva la giurisprudenza delle Sezioni Unite (si cita Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267490-01), non è consentito riformare l'assoluzione in condanna in difetto di nuova escussione della prova dichiarativa, neppure quando questa sia impossibile per irreperibilità o infermità, e che, nella specie, non è stata nuovamente esaminata dalla Corte d'appello proprio l'unica persona offesa e teste diretta in relazione al fatto per cui il ricorrente è stato condannato (capo L), ossia A.V.. Si aggiunge che, secondo la giurisprudenza, l'obbligo di rinnovazione istruttoria in appello riguarda le dichiarazioni anche di coloro che hanno "soltanto contribuito a determinare un esito liberatorio" in primo grado. Si osserva, ancora, che non può essere ritenuta sufficiente la rinnovazione dell'esame di A.A., perchè questa ha detto di non aver mai avuto rapporti con Vo. e di non aver partecipato agli incontri tra questo e la sorella V., nè ha riferito di confidenze ricevute da quest'ultima in proposito. Si rappresenta, inoltre, che la rivalutazione della posizione di A.A. è stata effettuata in ragione della diversa percezione soggettiva che la Corte d'appello ha avuto di quest'ultima, come persona in "condizione di inferiorità e suggestionabilità", all'esito della rinnovazione dell'esame della stessa, e che, però, questo argomento, se anche potesse valere per la persona riesaminata, non sarebbe spendibile con riguardo alla situazione di A.V., non risentita dalla Corte d'appello, nè a carico del ricorrente Vo., il quale non ha mai avuto rapporti con la prima. 5.2. Con il secondo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), avendo riguardo alla riforma in condanna dell'assoluzione per i fatti in danno di A.V. (capo L) in ragione della valorizzazione delle dichiarazioni di A.A. e dell'assenza di effettive indicazioni circa la consapevolezza di costui della condizione di inferiorità i psichica di A.V.. Si deduce che in modo manifestamente illogico sono state valorizzate le dichiarazioni di A.A., posto che quest'ultima nulla ha riferito con riguardo a Vo., nè, a maggior ragione, ha potuto riferire circa la consapevolezza di costui della condizione di inferiorità psichica di A.V.. Si aggiunge che, anzi, la sentenza impugnata nessun elemento specifico fornisce a dimostrazione di tale consapevolezza da parte del ricorrente, salvo osservare che Vo. e V. partecipavano agli incontri sessuali "sempre solo ed esclusivamente a seguito di determinazione in tal senso presa da M.". 5.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 192 e 530 c.p.p., art. 533 c.p.p., comma 1 e art. 603 c.p.p. e artt. 609-bis e 609-octies c.p., nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), avendo riguardo alla affermazione di penale responsabilità per i fatti in danno di A.V. (capo L). Si deduce che le motivazioni della sentenza impugnata non offrono specifici elementi da cui desumere la condizione di inferiorità psichica di A.V., e la consapevolezza di Vo. di tale situazione, nonostante la necessità, affermata anche dalla giurisprudenza, di superare la pronuncia assolutoria di primo grado con una maggiormente persuasiva interpretazione del compendio probatorio. Si premette che il Tribunale aveva pronunciato sentenza di assoluzione, all'esito di un'analisi estremamente approfondita delle fonti di prova, osservando, in particolare, che: a) A.V., nelle sue dichiarazioni testimoniali, aveva escluso di aver subito violenze o minacce per partecipare ai riti organizzati da M., precisando di aver aderito alle iniziative di questi, in quanto si era trovata "in un momento di difficoltà" ed aveva "bisogno di qualcuno che mi aiutasse"; b) diverse conversazioni intercettate tra questa persona offesa e la sorella o la mamma evidenziavano come la donna non si considerasse vittima dell'imputato. Si rappresenta, poi, che la sentenza di appello: a) non ha proceduto a nuovo esame della persona offesa in questione; b) ha escluso, nella parte concernente l'esame dell'appello del Pubblico Ministero in ordine alla configurabilità di un'associazione per delinquere, l'esistenza di contatti preventivi e successivi agli incontri sessuali tra Vo., o V., e M.; c) non ha motivato sul significato delle conversazioni intercettate, pur valorizzate in una prospettiva assolutoria dal Tribunale, salvo che facendo ricorso a congetture, e precisamente spiegando le espressioni oggetto di captazione come frutto di una "reazione di superiorità" e di un "tentativo di darsi forza" di fronte al "disagio estremo" da affrontare dopo la pubblica emersione delle vicende, per di più sulla base di percezioni ricevute dalla rinnovazione dell'esame di altra persona, A.A.; d) non ha indicato come Vo. avrebbe "spinto" o "convinto" A.V. a soddisfare i suoi impulsi sessuali; e) ha valorizzato impropriamente le proprie percezioni in ordine alle condizioni di inferiorità psichica di A.A. estendendole immotivatamente anche a A.V.. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. La sentenza deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio, nei confronti di tutti e tre i ricorrenti, con riferimento alla violenza sessuale di gruppo contestata come commessa nei confronti di A.V., e di cui al capo L. I ricorsi di M.P. e V.B., debbono essere dichiarati inammissibili nel resto. 2. Nell'esame delle censure, si muoverà dalle questioni poste nel primo motivo del ricorso di M., relative all'inammissibilità dell'appello del Pubblico Ministero avverso l'assoluzione in primo grado dei tre attuali ricorrenti per i fatti in danno di A.A. e A.V., perchè logicamente pregiudiziali allo scrutinio di tutte le censure concernenti la dichiarazione di responsabilità dei medesimi in relazione a tali episodi, ovviamente nei limiti di quanto a ciascuno ascritto. Si proseguirà, poi, con l'approfondimento delle questioni formulate nel terzo motivo del ricorso di M., nel primo motivo del ricorso di V., e nel primo motivo del ricorso di Vo., tutte relative alla legittimità della riforma in condanna dell'assoluzione in primo grado per i fatti in danno di A.A. e A.V., nonostante la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale con riguardo a quest'ultima, e anch'esse logicamente pregiudiziali allo scrutinio delle ulteriori censure concernenti la dichiarazione di responsabilità dei ricorrenti, ovviamente nei limiti di quanto a ciascuno ascritto, per i fatti in danno delle sorelle A.. Si procederà, quindi, alla valutazione delle ulteriori censure formulate nei singoli ricorsi, e che non sono assorbite dall'accoglimento delle questioni concernenti la illegittimità della riforma in condanna dell'assoluzione in primo grado per i fatti in danno di A.V., a causa della mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in ordine agli stessi. 3. Le censure esposte nel primo motivo di ricorso di M. contestano la mancata declaratoria di inammissibilità dell'appello del Pubblico Ministero, per difetto di specificità, con conseguente illegittimità della affermazione di responsabilità per i fatti in danno di A.A. e A.V., pronunciata in riforma della sentenza di primo grado. Dette censure sono esse stesse inammissibili per difetto di specificità. Il ricorrente, invero, assume che nell'atto di appello manca l'indicazione sia degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto da porre a base della invocata riforma, sia delle richieste specifiche dell'impugnante Pubblico Ministero. E' sufficiente rilevare, però, che, come anche evidenziato dalla sentenza di secondo grado, il secondo motivo di appello del Pubblico Ministero ha contestato l'assoluzione dei tre imputati per i fatti in danno delle sorelle A. sulla base di puntuali rilievi. In particolare, il Pubblico Ministero ha criticato il ragionamento del Tribunale laddove questo aveva escluso la condizione di inferiorità psico-fisica delle due donne, ed ha osservato che dalle risultanze istruttorie emergeva come le stesse fossero state completamente soggiogate da M., tanto da corrispondergli denaro per la celebrazione di pratiche necessarie per scacciare "negatività". Ha inoltre richiamato, a sostegno delle sue conclusioni, sia le conversazioni tra M. e A.V., intercettate tra l'ottobre ed il novembre 2016, sia le dichiarazioni rese in udienza da A.A., anche con puntuale indicazione delle pagine del pertinente verbale. 4. Le censure formulate nel terzo motivo del ricorso di M., nel primo motivo del ricorso di V., e nel primo motivo del ricorso di Vo., contestano la legittimità della riforma in condanna dell'assoluzione in primo grado per i fatti in danno di A.A. e A.V., nonostante la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale con riguardo a quest'ultima. Queste censure sono fondate con riferimento alla condanna pronunciata dalla Corte d'appello per i fatti che si assumono commessi in danno di A.V., e che sono compendiati al capo L della rubrica accusatoria. 4.1. Risulta utile indicare, preliminarmente, quali sono, ad avviso del Collegio, i principi applicabili in tema di obbligatorietà della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello ex art. 603 c.p.p., comma 3-bis, in caso di gravame del pubblico ministero avverso sentenza di proscioglimento. Innanzitutto, costituisce principio ormai ripetutamente ribadito nella giurisprudenza di legittimità, quello secondo cui, ai fini della rinnovazione dell'istruttoria in appello ex art. 603 c.p.p., comma 3-bis, per "motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa" devono intendersi non solo quelli concernenti la questione dell'attendibilità dei dichiaranti, ma tutti quelli che implicano una "diversa interpretazione" delle risultanze delle prove dichiarative, posto che un "fatto" non sempre presenta una consistenza oggettiva di natura astratta e asettica, ma è talvolta mediato attraverso l'interpretazione che ne dà il dichiarante, con la conseguenza che la risultanza probatoria risente di tale mediazione che incide sull'approccio valutativo del giudice, anch'esso pertanto mediato (cfr., in particolare: Sez. 3, n. 16444 del 04/02/2020, C., Rv. 27942501; Sez. 2, n. 13953 del 21/02/2020, Iacopetta, Rv. 279146-01; Sez. 5, n. 27751 del 24/05/2019, 0., Rv. 276987-01). Questa indicazione, che, come già evidenziato nelle precedenti decisioni (v., specificamente, Sez. 3, n. 16444 del 2020, cit.), risulta desumibile dalla stessa giurisprudenza delle Sezioni Unite (si citano, in particolare, Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269785-01, e Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267487-01), trova un significativo fondamento del testo dell'art. 603 c.p.p., comma 3-bis, come introdotto dalla L. 23 giugno 2017, n. 103. In effetti, questa disposizione prevede che, in caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento "per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa", il giudice dispone la rinnovazione dibattimentale. Ora, il sintagma "valutazione della prova dichiarativa", sotto il profilo lessicale, attiene non solo alla attendibilità, ma, più in generale, al significato della stessa. E, del resto, una conferma di tale conclusione ermeneutica può essere desunta dall'art. 192 c.p.p., comma 1: detta disposizione, quando stabilisce che "il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati", evidenzia il collegamento di causa-effetto tra la valutazione delle risultanze istruttorie e il risultato conseguito; l'attività di "valutazione" della prova, poi, se rileva in quanto funzionale all'acquisizione dei "risultati", non può non comprendere anche l'analisi del significato attribuibile agli elementi istruttori. Per quanto concerne il limite della necessità di procedere alla rinnovazione dell'istruttoria in appello ex art. 603 c.p.p., comma 3-bis, si è più volte precisato che detto obbligo non riguarda tutte le prove dichiarative assunte in primo grado, ma solo quelle che, secondo le ragioni specificatamente prospettate nell'atto di impugnazione del pubblico ministero, siano state oggetto di erronea valutazione da parte del giudice di primo grado e siano ritenute decisive ai fini della valutazione di responsabilità (così Sez. 1, n. 12928 del 07/11/2018, dep. 2019, P., Rv. 276318-01, e Sez. 2, n. 5231 del 13/12/2018, Prundaru, Rv. 276050-01). 4.2. Nella specie, risulta evidente che la Corte d'appello ha proceduto ad una "diversa interpretazione" delle risultanze delle prove dichiarative. In particolare, la sentenza impugnata rappresenta che il Tribunale era pervenuto all'esito assolutorio con riferimento ai fatti che si assumono commessi in danno di A.A. e di A.V., richiamando non solo le conversazioni intercettate, ma anche le dichiarazioni rese da A.V. in udienza il 3 luglio 2018 (cfr., specificamente, pagg. 87-88). Aggiunge, inoltre, quale introduzione alla sintesi delle deposizioni delle due sorelle, e specificamente: "A ben diversa conclusione rispetto a quelle prese dal Tribunale avrebbero dovuto condurre le dichiarazioni rese da entrambe le persone offese nel corso già del giudizio di primo grado" (v., ancora, pag. 88). Di conseguenza, per la riforma della sentenza di assoluzione in condanna con riferimento ai fatti contestati come commessi in danno di A.A. e di A.V., era necessario procedere alla rinnovazione dell'esame testimoniale di entrambe. 4.3. La mancata rinnovazione dell'esame di A.V., tuttavia, vizia la sola parte della sentenza impugnata che ha affermato la responsabilità degli odierni ricorrenti in danno di questa persona offesa, ma non inficia la parte della decisione che ha dichiarato la colpevolezza dei medesimi imputati per i fatti in danno di A.A.. Invero, dal contenuto delle sentenze di primo e di secondo grado, e dell'atto di appello del Pubblico Ministero, alle dichiarazioni di V., non riesaminata dalla Corte d'appello, non è attribuito alcun rilievo ai fini della ricostruzione dei fatti in danno di A.. Invero, ognuna delle due sorelle ha raccontato degli episodi vissuti in prima persona, e quelli dell'una si sono verificati in gran parte in assenza dell'altra. Inoltre, i riti "esoterici" e gli incontri sessuali, nella loro oggettiva materialità, non sono oggetto di discussione: quello che costituisce oggetto di controversia è se ciascuna delle due sorelle versasse in una situazione di soggezione psicologica nei confronti di M., e, solo per questa ragione, accettasse i rapporti con lo stesso e con gli atri due ricorrenti. Questa situazione, segnatamente con riferimento ad A.A., è stata negata in primo grado e poi affermata in secondo grado sulla base delle dichiarazioni della stessa e dei risultati delle intercettazioni telefoniche, ma non anche mediante richiamo al contenuto dell'altra sorella. 4.4. Alla fondatezza della questione concernente l'illegittimità della sentenza impugnata nella parte relativa alla dichiarazione di colpevolezza di A.V., per violazione dell'obbligo di rinnovazione istruttoria, segue l'assorbimento, allo stato, delle ulteriori questioni proposte nei ricorsi dei tre ricorrenti con riferimento ai fatti contestati come commessi in danno di questa persona offesa. Si tratta, innanzitutto, delle questioni dedotte nel quarto motivo del ricorso di M., nel secondo, nel terzo e nel quarto motivo del ricorso di V., e nel secondo e nel terzo motivo del ricorso presentato di Vo., nelle parti che contestano la sussistenza di una condotta di abuso, da parte degli stessi, delle condizioni di inferiorità psichica di A.V. al momento del fatto. Le indicate questioni, infatti, potranno trovare risposta solo dopo rinnovazione dell'esame di A.V.. Allo stesso modo, solo nel giudizio di rinvio, ed anzi solo se questo pervenga ad affermare la sussistenza di una condotta di abuso delle condizioni di inferiorità psichica di A.V. al momento del fatto da parte di V., potranno essere esaminate le questioni formulate nel settimo motivo del ricorso di quest'ultimo, laddove si contesta la mancata applicazione della attenuante della minore gravità del fatto con riguardo al reato in danno di questa persona offesa. 5. Le censure esposte nel secondo motivo di ricorso di M. contestano la mancata declaratoria di improcedibilità per difetto di querela relativamente alle imputazioni di cui ai capi N, O, D ed E, in quanto relative a violenze sessuali ex art. 609-bis c.p. in danno di persone offese maggiorenni. Dette censure sono inammissibili per manifesta infondatezza, perchè è applicabile, nella specie, la previsione di cui all'art. 609-septies c.p., comma 3, n. 4, in forza della quale si procede d'ufficio "se il fatto è connesso con un altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio". 5.1. Invero, tra le ipotesi di connessione, rientra anche il vincolo di continuazione. Precisamente, l'art. 12 c.p.p., nel prevedere i "casi di connessione", annovera, al comma 1, lett. b), anche l'ipotesi che si configura "se una persona è imputata di più reati commessi (...) con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso". Nè risultano ragioni per escludere l'applicabilità della regola in esame quando i fatti sono legati ad altri, procedibili di ufficio, in ragione del vincolo di continuazione. Del resto, la giurisprudenza ha interpretato questa disposizione in modo ampio. Per un verso, infatti, è costante l'affermazione secondo cui, in materia di delitti di violenza sessuale, la procedibilità d'ufficio determinata dalla ipotesi di connessione prevista dall'art. 609-septies c.p., comma 4, n. 4 si verifica non solo quando vi è connessione in senso processuale (art. 12 c.p.p.), ma anche quando vi è connessione in senso materiale, cioè ogni qualvolta l'indagine sul reato perseguibile di ufficio comporti necessariamente l'accertamento di quello punibile a querela, in quanto siano investigati fatti commessi l'uno in occasione dell'altro, oppure l'uno per occultare l'altro oppure ancora quando ricorrono i presupposti di uno degli altri collegamenti investigativi indicati nell'art. 371 c.p.p. (così, per tutte, Sez. 3, n. 37166 del 18/05/2016, B, Rv. 268313-01, e Sez. 3, n. 2856 del 16/10/2013, dep. 2014, B., Rv. 258583-01). Con riguardo altro profilo, poi, è diffusa anche la precisazione secondo cui, ai fini della perseguibilità senza querela dei delitti di violenza sessuale in ragione della connessione con un reato procedibile d'ufficio, non è necessario che quest'ultimo sia stato contestato all'autore della violenza, operando il criterio di cui all'art. 609-septies c.p., comma 4, n. 4 tutte le volte in cui il pubblico ministero, indagando comunque su altri fatti perseguibili d'ufficio, debba esaminare anche quello sessuale procedibile a querela (v., in particolare, Sez. 3, n. 27068 del 20/05/2008, B., Rv. 240260, e Sez. 4, n. 2371 del 25/10/2000, dep. 2001, Lauceri, Rv. 218475-01). 5.2. Nella specie, i reati di violenza sessuale ex art. 609-bis c.p. in danno di persone maggiorenni per tutto il periodo in contestazione, quelli di cui ai capi N, O, D ed E, in danno F.M. e D.R., sono connessi, in ragione del vincolo della continuazione, ai reati di violenza sessuale di gruppo, procedibili di ufficio, e, in particolare, a quello in danno di A.A. di cui al capo 3, nonchè ai reati di violenza sessuale in danno delle minorenni F.M., di cui al capo F, F.F., di cui al capo H, e C.G., di cui al capo P. Questo dato, che non risulta mai contestato dai ricorrenti, è anzi rimarcato sotto molteplici profili, specificamente rilevanti anche ai fini dell'accertamento dei fatti procedibili di ufficio. Innanzitutto, F.M., ossia la persona offesa dei fatti di cui ai capi D ed E, e D.R., ossia la persona offesa dei fatti di cui ai capi N ed O, sono indicate essere state talvolta presenti alle violenze sessuali di gruppo in danno di A.A., nonchè alle violenze sessuali in danno delle minorenni F.M. e F.F.. Vi è poi una sostanziale sovrapponibilità temporale tra i diversi episodi: in particolare, quelli in danno di F.M. si sono verificati tra il 2006 ed il 2012, quelli in danno di D.R. si sono consumati tra il (OMISSIS), e quelli in danno di A.A. sono stati commessi tra il (OMISSIS). Ancora, F.M. ha dichiarato di essere entrata in rapporti con l'imputato M., perchè questi gli era stato presentato dalla collega di lavoro A.A., e di essere stata colei che aveva determinato l'instaurazione dei rapporti tra il medesimo imputato e le sorelle minorenni F.M. e F.F.. Ancora, C.G. ha detto di essere stata presentata a M. dall'amica F.F.. 6. Le censure esposte nel quarto motivo di ricorso di M. contestano la ritenuta sussistenza di una condotta di abuso delle condizioni di inferiorità psichica delle persone offese al momento del fatto, svolgendo sia osservazioni di carattere generale, riferite a tutte le vittime, in particolare sottolineando l'assenza di parametri medico/clinici di riferimento, sia rilievi specifici a ciascuna di esse. Dette censure sono inammissibili per manifesta infondatezza. 6.1. La nozione di abuso delle condizioni di inferiorità psichica della persona offese al momento del fatto è stata oggetto, in giurisprudenza, di plurimi approfondimenti utili ai fini della soluzione delle questioni in esame. In primo luogo, è fuori discussione che, ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. 609-bis c.p., comma 2, n. 1, sia necessaria una condotta di induzione a compiere o a subire atti sessuali, la quale si realizza quando, con un comportamento attivo di persuasione sottile e subdola, l'agente spinge, istiga o convince la vittima ad aderire ad atti sessuali che diversamente non avrebbe compiuto (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 38011 del 17/05/2019, A., Rv. 277834-01, e Sez. 3, n. 38787 del 23/06/2015, P., Rv. 264698-01). E' stato ripetutamente affermato, poi, che, "nelle condizioni di inferiorità (...) psichica, vi rientrano anche quelle che, prescindendo da patologie mentali, siano tali da determinare una posizione particolarmente vulnerabile della vittima" (così, in motivazione, Sez. 3, n. 52835 del 19/06/2018, P., Rv. 274417-02, ma anche Sez. 3, n. 52041 del 11/10/2016, N, Rv. 268615-01, e Sez. 3, n. 38261 del 20/09/2007, Fronteddu, Rv. 237826-01). Si è anzi più volte puntualizzato che la condizione di inferiorità psichica può dipendere, invece che da una precisa patologia, anche dal limitato processo evolutivo mentale e culturale ovvero dalla minore età accompagnata da una situazione individuale e familiare che rendano la persona offesa vulnerabile alle richieste dell'agente (cfr., specificamente, Sez. 3, n. 52041 del 2016, cit., e Sez. 3, n. 38261 del 2007, cit.). Non mancano, inoltre, precedenti, che, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 609-bis c.p., comma 2, n. 1, valorizzano la strumentalizzazione di credenze esoteriche. In particolare, in una occasione, è stata ritenuta la sussistenza del delitto in questione con riferimento ad una situazione in cui la persona offesa, da tempo versante in stato di depressione ansiosa e convinta che ciò dipendesse da un sortilegio, era stata indotta dall'imputato ad un rapporto sessuale sul presupposto che ciò era necessario per contrastare il maleficio in atto (Sez. 3, n. 33761 del 09/05/2007, Venturini, Rv. 237398-01). A fondamento di tale decisione, specificamente, si è affermata, innanzitutto, "la idoneità delle affabulazioni di un maleficio in atto (da contrastare con indispensabili riti esoterici) a coartare la volontà della vittima o comunque a persuaderla"; si è poi precisato: "La situazione di inferiorità psichica, ancorchè non certificata da documentazione sanitaria, risulta palesata dalla convinzione, dichiarata dalla medesima, che i suoi malori fossero da attribuire ad un qualche sortilegio dei suoi stretti familiari, convinzione questa avvalorata dall'ambiente e dal contesto parentale nei quali la donna era inserita". In altra occasione, si è ritenuta correttamente ravvisabile la fattispecie di induzione delle persone offese, di età minore, a compiere atti sessuali mediante abuso di inferiorità psichica, benchè la stessa non fosse collegata ad uno stato patologico di carattere organico, ma fosse conseguenza di una situazione ambientale di soggezione generale, nella quale l'imputato appariva come persona dotata di poteri occulti, temibile, e pertanto in grado, sotto l'egida dei riti magici, di vincere i poteri di resistenza delle vittime, abusando sessualmente delle stesse (cfr. Sez. 3, n. 2215 del 02/12/2005, dep. 2006, Cannatella, Rv. 233269-01). In linea con queste indicazioni della giurisprudenza, deve accedersi ad una duplice conclusione. Da un lato, le condizioni di inferiorità psichica possono essere determinate anche da credenze esoteriche le quali, innestandosi su uno stato di limitato processo evolutivo mentale e culturale o su ulteriori fattori di debolezza, quali la minore età o una disagiata situazione individuale e familiare, rendono la persona offesa vulnerabile alle richieste dell'agente. Dall'altro, l'induzione a compiere o subire atti sessuali mediante abuso delle condizioni di inferiorità psichica può consistere in un comportamento attivo di persuasione sottile e subdola, con la quale l'agente, approfittando della forte suggestionabilità della vittima a causa dalle credenze esoteriche, spinge, istiga o convince la stessa ad aderire ad atti sessuali che diversamente non avrebbe compiuto. In particolare, se tra le condizioni di inferiorità psichica rilevanti a norma dell'art. 609-bis c.p., comma 2, n. 1, rientrano tutte quelle che siano tali da determinare una posizione particolarmente vulnerabile della vittima, indipendentemente dall'esistenza di patologie mentali, alle quali infatti la disposizione appena citata non fa alcun cenno, nel medesimo ambito sono da includere anche quelle determinate da credenze esoteriche in grado di suggestionare fortemente la persona offesa. Invero, anche queste credenze possono essere caratterizzate da una incisiva capacità di condizionamento delle scelte della persona alla quale si rivolgono, e, quando raggiungono tale intensità, sono tali da determinare una posizione particolarmente vulnerabile della vittima e di indurla a credere nella necessità di aderire ad atti sessuali per respingere o superare situazioni negative, anche superando una forte sensazione di disagio. La capacità di condizionamento di queste credenze, inoltre, secondo la comune esperienza, risulta ancor più marcata quando la suggestione è suscitata e rafforzata attraverso un'attività sottile e subdola protratta continuativamente nel tempo, e si innesta su situazioni di debolezza psichica, culturale, o sociale, o su un vissuto personale percepito come fortemente negativo. 6.2. La sentenza impugnata è pervenuta all'affermazione di colpevolezza del ricorrente all'esito di un esame analitico delle vicende, distinguendo per persone offese. 6.2.1. I fatti in danno di A.A. sono ricostruiti sulla base delle dichiarazioni della stessa. La donna ha detto di aver conosciuto M. nel 2005, per averlo incontrato nel bar dove lei lavorava e di avere iniziato a recarsi a casa dell'uomo per farsi leggere i tarocchi, al fine di conoscere se un ragazzo che le piaceva avrebbe corrisposto ai suoi sentimenti. Ha poi affermato che M. le aveva assicurato di essere in grado di risolvere il problema e, dopo alcuni mesi, le aveva fatto la "mappa" dei nei facendola restare vestita solo degli indumenti intimi e pronunciando frasi incomprensibili; in epoca ancora successiva, l'uomo l'aveva indotta a spogliarsi completamente, perchè "doveva vedere la luce", e l'aveva fotografata; passato altro tempo, infine, erano iniziati i rapporti sessuali, orali e completi. Ha precisato, inoltre, che ella aveva accettato i rapporti sessuali per aver creduto alle prospettazioni esoteriche dell'imputato, il quale le aveva riferito di aver rilevato la presenza su di lei di "entità negative", da contrastare con "scambi di forza", ossia con atti sessuali, e che a questi ultimi aveva partecipato anche N.L., da cui era stata abbracciata e baciata su indicazione dell'uomo. Ha quindi riferito di aver presentato la sorella V. a M., di aver saputo che i due avevano avuto rapporti tra loro al fine di risolvere i problemi sentimentali di V., e di aver interrotto i rapporti con l'imputato nel 2007, quando si era fidanzata ed era rimasta incinta. A.A., a questo punto, ha dichiarato di aver ricontattato M. nel 2014, per "bisogno di sicurezza, di aiuto", allorchè era entrata in crisi con il compagno ed aveva temuto di perdere per questa ragione la figlia, oltre a soffrire di problemi economici e ad avere difficoltà nei rapporti con la famiglia di origine, dalla quale si era allontanata. Ha rappresentato che i contatti con il ricorrente erano ripresi inizialmente per telefono, ma che poi ella si era recata a casa dell'imputato, e questi, dopo averle messo dei segni e letto le carte, le aveva prospettato quanto sarebbe stato necessario "lavorare", ossia avere rapporti sessuali, per superare le "negatività". Ha poi rammentato che l'uomo l'aveva condotta in una soffitta nel centro di (OMISSIS), dove aveva partecipato ad un incontro al quale erano presenti, oltre a lei, M.P., V.G. e N.L.; nei vari "riti" che si erano susseguiti, ella aveva avuto rapporti sessuali con Fo.Ma., indicatogli come un giovane che doveva essere aiutato perchè non aveva ancora una ragazza, D.R.R., F.M., B.L. e N.L., mentre V. aveva rapporti sessuali diretti con quest'ultima; ha aggiunto che in uno di questi incontri aveva avuto rapporti anche con la sorella V.. Ha precisato di non aver avuto rapporti sessuali diretti con V. per essersi rifiutata, ed ha spiegato che costui aveva partecipato ai "riti" seguendo le indicazioni di M., mettendosi nudo e fungendo da "ponte" con N.L., con la quale ella aveva rapporti omosessuali. Ha quindi affermato che M. non solo le aveva detto che, se ella non avesse continuato a frequentarli, i suoi problemi non sarebbero stati risolti, ma, quando lei aveva deciso di troncare i rapporti, era andato in compagnia della moglie a cercarla nel bar in cui lavorava. Ha pure chiarito che, nei "riti", M. era il "maestro", V. il "catalizzatore", ossia colui che attirava su di sè le "negatività", N. la "vestale", e le altre donne le "ancelle"; i rapporti sessuali completi erano definiti "scambi di forza", mentre quelli orali venivano evocati con le espressioni "portare rispetto" o "dare il ventuno". La Corte d'appello osserva che A.A. era caduta nella "rete" di M., perchè soffriva per un amore non corrisposto, e l'imputato le aveva detto di avere riscontrato in lei negatività superabili solo partecipando ai "riti" da lui organizzati, convincendola in modo subdolo, con una tecnica progressiva, fondata prima sulla lettura delle carte, poi sulla "mappatura" dei nei, quindi sulla ripresa di immagini nelle parti intime, e infine su rapporti sessuali, orali e completi. Aggiunge che la donna aveva perso ogni capacità critica, ed aveva ritenuto che la partecipazione ai "riti" fosse l'unico modo per superare le "negatività" che, a dire di M., le si opponevano. Precisa che la reazione di calma manifestata da A.A. nel corso delle conversazioni intercettate dagli inquirenti deve ritenersi costituire un estremo tentativo della donna di nascondere disagio e vergogna per essere stata soggiogata per anni a causa della sua dabbenaggine. 6.2.2. I fatti in danno di S.A. sono ricostruiti sulla base delle dichiarazioni della stessa, di una consulenza tecnica, delle immagini e dei video sequestrati presso M. e di conversazioni intercettate. Si premette che la donna, minorenne all'epoca dei primi rapporti con M., versava in una situazione di "povertà cognitiva e culturale", di difficoltà familiare e di evidente inferiorità psichica, quest'ultima comprovata anche da specifica consulenza tecnica, attestante la presenza nella persona offesa di "tratti patologici del Disturbo di personalità dipendente sec. DSM 5 con sintomi depressivi", da cui derivava "una dipendenza patologica da chi le porta pressione", e una situazione di "passività e dipendenza dall'altro, (...) visibile anche a soggetti non esperti in scienze psichiatriche e psicologiche". Si rappresenta, poi, che la giovane era stata adescata dall'uomo con il solito modo suadente e subdolo, il quale l'aveva convinta dell'incombenza su di lei di fattori negativi, eliminabili solo "lavorando", e che la partecipazione della stessa ai "riti", individuali e di gruppo, documentata anche da fotografie e video, era cessata allorchè ella aveva chiuso il rapporto sentimentale con Fo.Ma., anche lui coinvolto negli incontri organizzati da M., ed aveva avuto il coraggio di confidarsi con il padre ed il nuovo fidanzato. Si aggiunge che la ragazza, anche nelle conversazioni intercettate, aveva manifestato il timore di aver subito una "fattura" e la convinzione di essere "ritornata in se stessa" dopo aver "perso la testa", e che i rapporti economici dalla medesima instaurati con Fo.Ma. per aprire un bar confermavano la posizione di "superiorità" assunta da M., in quanto questi, pur non avendo alcuna partecipazione economica nell'affare, si atteggiava da "padrone" all'interno del locale. Si rileva, ancora, che i filmati documentano come il precisato M., sebbene anziano, obeso, e costretto all'uso di un supporto per deambulare, fosse in grado di "celebrare" i "riti" sessuali di cui è stato accusato, e che anche terze persone avevano notato anomali scambi di effusioni in pubblico tra questi e la ragazza. 6.2.3. I fatti in danno delle sorelle Ma., F. e F.M. sono ricostruiti sulla base delle dichiarazioni delle tre donne e di altre partecipanti ai "riti", delle immagini e dei video sequestrati presso M. e di conversazioni intercettate. Fi.Ma. ha raccontato di aver conosciuto detto imputato perchè presentatole dalla collega A.A. nel 2006, e di essere rimasta molto impressionata quando l'uomo, mentre le leggeva le carte, aveva "letto" nel passato di altra ragazza presente, dicendo alla stessa che aveva avuto un aborto, e così facendola scoppiare a piangere. Ha poi riferito che le successive frequentazioni con M. erano state determinate dalla volontà di essere aiutata nell'affrontare i problemi sentimentali con il futuro marito, e che l'imputato, progressivamente, era passato dalla lettura delle carte alla richiesta di spogliarsi pur mantenendo la biancheria intima, per procedere alla "mappatura" dei nei e all'apposizione di segni con l'uso di oli, con contestuale pronuncia di frasi in latino. Ha quindi rappresentato che l'odierno ricorrente, all'esito di queste pratiche, le aveva detto di aver riscontrato delle "negatività", e che per allontanare le "entità" negative occorreva "portare rispetto", ossia procedere a rapporti orali, ai quali si era prestata in presenza dell'amica A.A., la quale le aveva confermato di essersi sottoposta anch'ella a quella pratica, e che, successivamente, erano iniziati i riti di gruppo, con la partecipazione anche di quest'ultima, di D.R.R. e di N.L.. La donna, ancora, ha riferito di essersi allontanata da M. nel 2007, allorchè era andata a convivere con il futuro marito, ed era rimasta incinta, e di essere quindi ritornata dall'uomo dopo otto o nove mesi, avendo perso il bambino e non riuscendo rimanere nuovamente incinta. Ha precisato che il predetto imputato l'aveva rimproverata, asserendo che aveva perso il figlio perchè non gli aveva chiesto l'autorizzazione, e l'aveva intimata a seguire le sue successive indicazioni, in quanto, altrimenti, le sarebbe potuto accadere "di tutto". Ha poi affermato di aver partecipato ai riti di gruppo organizzati dal "maestro", di aver attribuito a queste pratiche la nuova gravidanza del 2009, e di aver cessato i rapporti nel 2012, per non aver creduto più a quanto prospettatole. F.M. ha anche dichiarato che i suoi rapporti con M. si innestavano su una situazione di profonda difficoltà familiare, con un padre inesistente ed una madre alcolizzata, per cui ella "aveva bisogno di qualcuno che mi volesse bene e mi ascoltasse". Ha poi aggiunto che il predetto imputato le incuteva il timore di conseguenze negative in caso di abbandono dei "riti", e, precisamente, la "paura che ti potesse succedere qualcosa, tutto quello che hai fatto per ottenere qualcosa, che poi era avere una famiglia sana, si potesse distruggere". F.F. ha raccontato di aver conosciuto M. quando aveva sedici anni, perchè presentatole dalla sorella per farle leggere le carte, e che da questo si era passato al controllo dei nei, all'apposizione di segni rituali ed alla individuazione di un "alone". La ragazza ha precisato di aver collegato questo "alone" ad una violenza sessuale subita da bambina, di aver confidato ciò all'uomo, e di aver ricevuto dallo stesso un bacio sulla bocca, esperienza mai vissuta prima. Ha poi affermato che, dati i problemi familiari, per il padre assente e la madre alcolizzata e giocatrice d'azzardo, aveva iniziato a fidarsi di M.; questi, in un successivo incontro a casa di A.A., oltre a leggerle le carte, la aveva fatta spogliare per la "mappatura" dei nei, le aveva apposto segni sul corpo recitando frasi in latino, aveva riscontrato la presenza di "negatività", e le aveva detto che, per contrastare le stesse, risolvere i suoi problemi, e riunificare la sua famiglia, era necessario "portare rispetto", ossia praticare rapporti orali. La ragazza ha poi detto di essersi allontanata da M. all'epoca dei suoi diciotto anni, allorchè si era fidanzata e non aveva più sentito il bisogno di essere assistita dall'uomo, e di essersi però riavvicinata allo stesso l'anno successivo, in seguito alle crisi dei rapporti con il secondo fidanzato. Ha spiegato che, dopo questo riavvicinamento, erano iniziati riti di gruppo, ai quali partecipava anche B.L., e che l'imputato l'aveva aiutata a trovare lavoro, ma le aveva anche rappresentato la necessità di "lavorare", ossia di avere rapporti sessuali completi, per superare le negatività, non essendo più sufficienti i soli rapporti orali. Ha quindi precisato che ella si era fidata, e che così erano iniziate "sedute" con cadenze di due o tre volte al mese, alle quali partecipavano B.L., N.L., D.R.R., A.V., e, in due occasioni, Vo.Ca., con le funzioni di "catalizzatore", al quale occorreva praticare la masturbazione. Ha segnalato che l'intervento del "catalizzatore" era avvenuto su precisa indicazione di M., quando ella lo aveva informato di aver passato la notte con il suo secondo fidanzato: l'imputato, nell'occasione, le aveva tirato uno schiaffo e le aveva detto che, per purificarsi, non era sufficiente lo "scambio di forza" con una sola donna, F.F., infine, ha dichiarato di essere rimasta legata ai riti organizzati dal predetto imputato, perchè questi gli diceva che era necessario "lavorare" ("se non lavori guarda che cade tutto quello che abbiamo costruito, magari tua madre comincia di nuovo a bere"), e di aver presentato all'uomo anche la sorella M., all'epoca quindicenne, la quale le dava preoccupazioni per avere iniziato una relazione con una ragazza, al fine di farla "purificare". Ha pure aggiunto si essersi sottoposta ad un "rito", e precisamente ad un rapporto sessuale con M. nel 2015, allorchè voleva avere un figlio con il marito, di aver interrotto i rapporti con l'imputato durante la gravidanza, e di aver ripreso a "lavorare" con lo stesso nel 2016, a causa di problemi lavorativi e di una depressione post-parto. F.M. ha affermato di aver conosciuto M. quando aveva appena quindici anni, perchè presentatole dalla sorella F. per farle leggere le carte, e che, già nell'occasione, l'uomo l'aveva invitata a spogliarsi per il controllo dei nei, le aveva detto di aver individuato in lei "negatività" e l'aveva indotta ad un rapporto orale reciproco per "purificarsi". La ragazza ha poi precisato di avere ribrezzo a quei rapporti, ma di essere convinta ad accedervi perchè l'uomo le parlava delle "negatività" ed ella si riteneva persona non molto fortunata. Ha quindi chiarito che i rapporti erano durati fino a quando non aveva raggiunto i diciassette anni e mezzo ed erano stati, complessivamente, tra i sei ed i dieci. Ha pure precisato di aver avuto rapporti essenzialmente di natura orale sempre con M., e in alcune occasioni anche con N.L.; ha aggiunto che, sporadicamente, avevano partecipato anche D.R. e le sorelle F. e Ma., e che quest'ultima, in sua presenza, aveva avuto un rapporto sessuale con M.. La Corte d'appello, a questo punto, richiama anche il contenuto dei video e delle immagini sequestrate presso M., effigianti tutte e tre le sorelle, nonchè alcune conversazioni l'uomo e F.F., in cui l'imputato parla di "alone", di "entità", ripetutamente della necessità di "lavorare" insieme, e, in una occasione, del bisogno dell'intervento di un "catalizzatore", al quale la donna si oppone, in quanto dice di sentirsi "a disagio" e di sentire il "corpo sporco". Ricorda, inoltre, che la partecipazione ai riti delle sorelle F. è ammessa, almeno in parte, da B.L. e da N.L.. La sentenza conclude osservando che le tre sorelle Fischetti avevano accettato i rapporti con M. perchè versavano in forte stato di vulnerabilità, causata dalla giovane età (due di esse avevano iniziato a contattare l'uomo da minorenni), dalla modesta condizione culturale, dalla sottile e continua opera di condizionamento e dalle significative avversità personali e familiari vissute da7, ciascuna delle ragazze. 6.2.4. I fatti in danno di D.R. sono ricostruiti sulla base delle dichiarazioni della stessa, e delle immagini e dei video sequestrati presso M.. D.R. ha dichiarato di aver conosciuto l'imputato tramite la collega F.F., quando aveva ventidue anni, allorchè versava in un momento di crisi con il fidanzato, e si era fatta leggere le carte. Ha raccontato che, nell'occasione, M. le aveva detto che era circondata da "negatività", che potevano essere vinte,ma che, a tal fine, era necessario rivedersi; ella era rimasta negativamente impressionata, e non aveva voluto ricontattare l'uomo per circa un anno. Ha quindi affermato di aver ripreso i contatti con l'imputato, perchè aveva continuato ad avere problemi sentimentali e lavorativi, ed era rimasta suggestionata dai discorsi di "positività" e "negatività" che M. le aveva fatto. Ha quindi ricordato di essere passata per il percorso: lettura delle carte, "mappatura" dei nei, accompagnata gesti rituali compiuti sul suo corpo con l'olio, conferma dell'esistenza di "negatività", prospettazione della necessità di vincere le stesse sia "portando rispetto", ossia con rapporti orali, sia mediante rapporti anali e vaginali. Ha inoltre rappresentato di aver provato una sensazione di "schifo" per queste pratiche, ma di essere rimasta legata alle stesse fino al 2016, allorchè vi aveva fatto ricorso per il desiderio di avere figli, ostacolato dalla endometriosi di cui soffriva, e per le chiamate ricevute da M., il quale le diceva che occorreva "lavorare" per soddisfare questo desiderio, come "per evitare di perdere tutto" e di subire "cose brutte". Ha precisato che ai riti avevano partecipato, oltre a M., N.L., le sorelle A., Ma. e F.F., S.A., Fo.Ma., e V.B., il quale ultimo fingeva da "catalizzatore", e cioè riceveva le "negatività", e con cui aveva anche avuto un rapporto sessuale, e che ella era arrivata a sentire M. più volte al giorno, a raccontargli tutto, e a non prendere più decisioni senza consultarlo. La Corte d'appello conclude rilevando che D.R. aveva accettato i rapporti con M. per il forte stato di vulnerabilità in cui versava, a causa dalla giovane età, dallo scarso livello culturale, dalle avversità sofferte, in particolare per il grave impedimento ad avere figli, e dalla sottile e continua opera di persuasione posta in essere dal ricorrente per superare le "negatività". 6.2.5. I fatti in danno di C.G. sono ricostruiti sulla base delle dichiarazioni rese della stessa e da N.L.. C.G. ha dichiarato di essere stata presentata a M. dall'amica F.F., quando aveva diciassette anni, nel 2006, e di essersi rivolta all'uomo sperando di ricevere un aiuto per trovare lavoro e poter contribuire alla vita della sua famiglia, in grave difficoltà per la gravissima malattia della madre, affetta da sclerosi multipla. Ha poi raccontato che l'imputato, al quale aveva confidato i suoi problemi sentimentali e l'abuso subito quando aveva sei anni, le aveva letto le carte a casa di N.L. e, successriamente, a casa di B.L., l'aveva invitata a spogliarsi, le nreva fatto la "mappatura" dei nei, aveva riscontrato la presenza di "negatività" e le aveva prospettato la necessità di "portare rispetto" e di avere "scambi di forza", così alludendo a rapporti sessuali di tipo orale e vaginale. Ha quindi detto di essersi fidata completamente dell'uomo, anche perchè tanto più grande di lei, e capace di suggestionarla attraverso il riferimento a specifici eventi negativi, come un incidente stradale da lei subito a diciannove anni e la morte di un amico. Ha inoltre precisato di aver avuto rapporti esclusivamente orali con M. e di aver partecipato, fino al 2012, ai "riti" svolti anche in presenza di F.F., di N.L. e, in due o tre occasioni, di F.M.. La sentenza aggiunge che N.L. ha ricordato di avere avuto, su richiesta di M., insieme a F.F., rapporti orali "per conto della C.". La Corte d'appello conclude osservando che anche C.G. aveva accettato i rapporti con M. per il forte stato di vulnerabilità in cui versava, a causa della giovane età, essendo all'inizio ancora minorenne, di "una situazione personale e familiare molto,pesante, e dalla sottile e continua opera di persuasione posta in essere dal ricorrente per superare le "negatività". 6.3. La sentenza impugnata ha operato una ricostruzione dei fatti immune da vizi ed una corretta qualificazione degli stessi. Le critiche circa l'attendibilità ed il significato delle dichiarazioni delle persone offese si risolvono nella mera prospettazione di elementi eventualmente utili per un diverso esito di tale giudizio, senza però evidenziare nè manifeste illogicità, nè travisamenti di prove, e senza nemmeno compiutamente confrontarsi con l'analisi che di tali risultanze istruttorie ha compiuto la sentenza impugnata. Corretta, poi, è la definizione giuridica dei fatti a norma dell'art. 609-bis c.p., comma 2, n. 1, posti i principi giuridici indicati in precedenza al p. 6.1. La Corte d'appello, invero, ha indicato compiutamente ed analiticamente gli elementi fattuali da cui desumere una situazione di particolare vulnerabilità di ciascuna delle vittime, determinata sempre da età, basso livello culturale, disagi e difficoltà personali e familiari, e, nel caso di S.A., anche da tratti patologici di "Disturbo della personalità dipendente", nonchè, decisivamente, dalle credenze esoteriche e dalle relative paure, che su quelle debolezze avevano trovato terreno fertile, e che erano state abilmente alimentate da M.P., mediante un percorso a tappe progressive ed il ricorso a tecniche di suggestione. Un dato appare estremamente indicativo circa la non manifesta illogicità delle conclusioni della Corte d'appello: tutte le persone offese hanno riferito di essere state fortemente combattute al loro interno sul se aderire alle richieste dell'uomo, e talvolta hanno addirittura precisato di avvertire una sensazione di "schifo", e, ciononostante, hanno ritenuto di dover continuare partecipare ai "riti" a sfondo sessuale organizzati da M. al fine di superare le loro personali difficoltà. 7. Le censure esposte nel quinto motivo di ricorso di M. contestano il mancato espletamento di una perizia psichiatrica sul ricorrente, ai fini di individuare se, e in che misura, fosse capace di intendere e di volere. Queste censure sono inammissibili perchè diverse da quelle consentite. Costituisce, infatti, principio consolidato in giurisprudenza quello secondo cui, spetta al giudice di merito la valutazione delle risultanze processuali per apprezzare, con giudizio insindacabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione, la meritevolezza di una richiesta di perizia psichiatrica (cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 456 del 21/09/2012, dep. 2013, Cena, Rv. 254226-01, nonchè Sez. 4, n. 20593 del 12/04/2005, Mezzetti, Rv. 232096-01) Nella specie, la sentenza impugnata ha spiegato il rigetto della richiesta di procedere a perizia sulla base di congrua motivazione. In particolare, la Corte d'appello ha evidenziato l'assenza di elementi utili e della benchè minima allegazione di documentazione sanitaria in proposito; ha pure rilevato che nessuna indicazione a sostegno della richiesta di perizia è inferibile dalla condotta dell'imputato, il quale ha ammesso la materialità dei fatti contestatigli, ma, molto lucidamente, ha attribuito l'adesione delle vittime alle sue richieste al loro pieno consenso, 8. Le censure esposte nel terzo motivo di ricorso di V., per quanto residua all'esito dell'annullamento con rinvio della condanna per i fatti in danno di A.V., contestano la ritenuta sussistenza di una condotta di abuso delle condizioni di inferiorità psichica di A.A., deducendo vizio di motivazione. Queste censure sono inammissibili perchè manifestamente infondate e prive di specificità, siccome non si confrontano compiutamente con quanto indicato nella sentenza impugnata, e precedentemente sintetizzato al p. 6.2.1. Per rispondere alle stesse, quindi, può farsi richiamo a quanto esposto in precedenza ai p.p. 6.1., 6.2.1. e 6.3, 9. Le censure esposte nel quarto motivo di ricorso di V., per quanto residua all'esito dell'annullamento con rinvio della condanna per i fatti in danno di A.V., contestano la ritenuta sussistenza della consapevolezza del ricorrente circa le condizioni di inferiorità psichica di A.A., deducendo vizi di motivazione. Queste censura sono inammissibili perchè manifestamente infondate e, insieme, prive di specificità. La sentenza impugnata ha affermato che la consapevolezza di V. in ordine alle condizioni di inferiorità psichica di A.A. sono desumibili dal ruolo che l'imputato ha assunto quale "catalizzatore", ossia di ricettore delle "negatività" delle persone offese, e dalla fruizione di rapporti sessuali con ragazze molto più giovani di lui, persona abbastanza in avanti negli anni e di certo non attraente. L'indicata motivazione non solo si fonda su elementi fattuali incontroversi, ma procede sulla base di criteri di valutazione che non possono definirsi manifestamente illogici. Le critiche circa la mancata considerazione del ruolo attivo di A.A. e l'età di circa trent'anni della stessa, del resto, si risolvono nella mera prospettazione di elementi eventualmente utili per supportare un diverso esito del giudizio di merito, senza però evidenziare nè manifeste illogicità, ne travisamenti di prove, e senza nemmeno compiutamente confrontarsi con l'analisi che di tali risultanze istruttorie ha compiuto la sentenza impugnata. Ciò a maggior ragione se, si considera che gli elementi fattuali valorizzati - il singolare ruolo di "catalizzatore", la grandissima differenza di età e l'assenza di una attrattiva fisica da lui esercitata sulla ragazza - debbono essere valutati congiuntamente ai fini della ricostruzione della consapevolezza dell'inferiorità psichica della persona offesa. 10. Le censure esposte nel quinto motivo di ricorso di V. contestano la ritenuta sussistenza della consapevolezza del ricorrente circa le condizioni di inferiorità psichica di S.A., deducendo vizio di motivazione. Anche queste censure sono inammissibili perchè manifestamente infondate e, insieme, prive di specificità. La sentenza impugnata ha affermato che la consapevolezza di V. in ordine alle condizioni di inferiorità psichica di S.A., sono desumibili dal ruolo che l'imputate ha assunto quale "catalizzatore", dalla giovanissima età della ragazza, comunque evidente anche a voler ammettere l'ignoranza dell'uomo circa la condizione di minorenne della stessa, e dal fattivo contributo del ricorrente ai riti, con la messa disposizione di una delle soffitte in cui avvenivano gli incontri, e di oggetti erotici per trasformare i "riti" in orge. Ha inoltre sottolineato che, per i fatti in questione, sono molto significative anche le modalità di svolgimento dei "riti", in quanto caratterizzati dalla partecipazione di S.A. e, insieme, del di lei fidanzato, Fo.Ma., e della madre di costui, N.L., nonchè dai rapporti incestuosi tra questi ultimi due, ossia da fatti che "agli occhi di una persona minimamente avveduta non potevano essere sintomatiche, quantomeno a livello di dolo eventuale, stato di particolare suggestione e suggestionabilità della ragazza e pertanto dell'inadeguatezza del consenso dalla stessa prestato (e conseguentemente dell'esistenza di una situazione di induzione e di abuso (...)". Ha richiamato, infine, le risultanze della consulenza tecnica sulla persona di S.A., che, come già rilevato in precedenza al p. 6.2.2., avevano evidenziato la presenza nella persona offesa di "tratti patologici del Disturbo di personalità dipendente sec. DSM 5 con sintomi depressivi", e una situazione di "passività e dipendenza dall'altro, (...) visibile anche a soggetti non esperti in scienze psichiatriche e psicologiche". Pure questa parte di motivazione poggia su elementi fattuali incontroversi, e ricorre a criteri di valutazione non manifestamente illogici. Le critiche circa la mancata considerazione del modo di presentarsi della ragazza, dell'accompagnarsi della stessa con il padre, della non immediata riferibilità degli oggetti erotici a V., per essere state le soffitte da lui affittate a M., e della irrilevanza dei desideri sessuali, sono meri argomenti eventualmente utili per supportare un diverso esito del giudizio di merito, ma non evidenziano nè manifeste illogicità, nè travisamenti di prove, e non si confrontano compiutamente con tutti gli elementi richiamati dalla sentenza impugnata. In particolare, manca un apprezzabile confronto sia con le inferenze desumibili dalle eccezionali anomalie dei riti, caratterizzati dalla contemporanea presenza della persona offesa, del fidanzato e della madre di questo e da rapporti incestuosi tra questi due, sia con le risultanze della consulenza tecnica sulla persona offesa, che avevano evidenziato la presenza nella stessa di una situazione di "passività e dipendenza dall'altro, (...) visibile anche a soggetti non esperti in scienze psichiatriche e psicologiche". 11. Le censure esposte nel sesto motivo di ricorso di V. contestano la mancata pronuncia di una sentenza di assoluzione per le condotte in danno di S.A. per il periodo successivo ad (OMISSIS), nonostante le dichiarazioni della stessa che fissano tale periodo come limite temporale delle condotte dell'imputato, e l'espresso motivo di appello. Le censure appena indicate sono inammissibili perchè non sorrette da interesse giuridicamente apprezzabile. Ed infatti, premesso che lo stesso imputato ha riconosciuto di aver partecipato in un paio di occasioni ai riti sessuali con la ragazza, va rilevato che le condotte in questione, di cui al capo B, sono contestate "sino al mese di giugno 2016", ma cumulativamente, con riferimento a più luoghi e a più persone. Di conseguenza, la soluzione del problema posto dalle censure in esame può avvenite eventualmente meglio precisando e delimitando il tempo in cui il ricorrente ha partecipato ai fatti descritti nell'imputazione cui al capo B, ma non richiede la pronuncia di una sentenza di assoluzione parziale. 12. Le censure esposte nel settimo motivo di ricorso di V., per quanto residua all'esito dell'annullamento con rinvio della condanna per i fatti in danno di A.V., contestano il mancato riconoscimento dell'attenuante del contributo di minima importanza con riferimento agli episodi in danno di A.A.. Le censure in questione sono anch'esse inammissibili perchè non sorrette da interesse giuridicamente apprezzabile. Deve infatti darsi applicazione al principio costantemente enunciato dalla giurisprudenza secondo cui è inammissibile, per carenza d'interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello inammissibile ab origine per manifesta infondatezza, in quanto l'eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, Bercigli, Rv. 27728101). Nella specie, dalla sentenza, impugnata risulta come il contributo dell'imputato nei "riti" sia stato tutt'altro che secondario, innanzitutto per la specifica funzione di "catalizzatore", ma anche per la messa a disposizione delle soffitte. 13. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al capo L) dell'imputazione nei confronti di M.P., V.B. e Vo.Ca., con rinvio per nuovo giudizio su tale capo. Il giudice del rinvio procederà a nuova valutazione del materiale istruttorio, previa rinnovazione dell'esame testimoniale di A.V.. Inammissibili, invece, sono, nel resto, i ricorsi di M.P. e di V.B., con conseguente irrevocabilità della affermazione di colpevolezza del primo per i reati di cui ai capi B), C), D), E), F), G), H), I), 3), K), N), O) e P), e del secondo per i reati di cui ai capi B) e 3). Alla inammissibilità dei ricorsi di M.P. e di V.B. con riferimento ai capi B) e C), segue la condanna degli stessi alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, S.A., ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte d'appello di Torino con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo L) dell'imputazione nei confronti di M.P., V.B. e Vo.Ca., e rinvia per nuovo giudizio sul capo ad altra Sezione della Corte d'appello di Torino. Dichiara inammissibili nei resto i ricorsi di M.P. e V.B.. Dichiara irrevocabile L'affermazione di responsabilità nei confronti di M.P. in relazione ai reati di cui ai capi B), C), D), E), F), G), H), I), 3), K), N), O) e P), nonchè nei confronti di V.B. in relazione ai reati di cui ai capi B) e 3). Condanna M.P. e V.B. alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, S.A., ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte d'appello di Torino con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato. Dispone, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, che - a tutela dei diritti o della dignità degli interessati - sia apposta a cura della cancelleria sull'originale della sentenza, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi degli interessati riportati sulla sentenza. Così deciso in Roma, il 14 settembre 2020. Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2020
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