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Reati contro la persona

Violenza sessuale: sulla legittimità del diniego dell'attenuante del fatto di minore gravità

Violenza sessuale

Cassazione penale sez. III, 22/01/2020, n.16440

In tema di violenza sessuale, anche in caso di solo sopravvenuto dissenso della vittima al rapporto sessuale è legittimo il diniego della circostanza attenuante del fatto di minore gravità, quando, per i mezzi, le modalità esecutive della condotta, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, e le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all'età, si realizzi una significativa compromissione della libertà sessuale.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 30 aprile 2019, la corte di appello di Bologna confermava la sentenza del tribunale di Rimini, con cui S.A. era stato condannato, in relazione al reato di cui all'art. 609 bis c.p. (capo a), alla pena di anni 2 mesi 2 e giorni 20 di reclusione, con assoluzione dal reato di cui agli artt. 582 e 585 c.p. e art. 576 c.p., n. 5 (capo b). 2. Avverso la pronuncia della Corte di appello sopra indicata propone ricorso per cassazione S.A. mediante il proprio difensore, deducendo due motivi di impugnazione. 3. Deduce con il primo motivo i vizi ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) per la sussistenza di contraddizioni e illogicità che connoterebbero lo scarno iter argomentativo, a fronte di una ricostruzione intuitiva piuttosto che oggettiva dei fatti e di un mero richiamo alla motivazione elaborata dal Gup in primo grado. Si aggiunge che la corte, con motivazione illogica, avrebbe rinvenuto il reato contestato avendo riguardo alla seconda fase in cui si sarebbe svolta la condotta dell'imputato, nella misura in cui avrebbe rilevato come l'imputato avrebbe continuato nel consumare il rapporto sessuale, già iniziato con la vittima con pieno consenso, coartandola a fronte di un sopravvenuto e manifestato suo dissenso e a tal fine approfittando della sua superiorità fisica oltre che dell'angoscia della vittima. Ciò in quanto non vi sarebbe ragione per ritenere coartata la volontà della ragazza neppure nella seconda fase del rapporto. Invero, la ragazza non si sarebbe mai trovata in una situazione di prostrazione o diminuita resistenza, tale da non potersi opporre all'imputato, non avendo la stessa nè tentato di fuggire, pur potendolo, nelle primissime fasi dell'approccio nè successivamente, quando l'uomo aveva cominciato a spogliarla. Come dimostrato anche dalla assenza di segni da contatto fisico operato con forza sul corpo della ragazza e dallo stato degli indumenti della medesima, rimasti intatti. Peraltro, con riferimento alla fase successiva, in cui la ragazza, secondo il racconto reso, si sarebbe opposta al rapporto sessuale, respingendo l'imputato e urlando, le dichiarazioni della ragazza sarebbero inveritiere e prive di riscontro, tanto più in ragione della presenza, nelle vicinanze, di due giovani, che secondo la stessa ragazza avrebbero assistito alla scena, senza intervenire. Al contrario, sarebbe attendibile il racconto dell'imputato che, appena preso coscienza del dissenso avrebbe interrotto il rapporto. Deporrebbe nel senso dell'assenza di coartazione anche il riferito stato d'animo della ragazza, imbarazzato ma privo di paura e tale da far ritenere, quindi, che i due fossero pienamente d'accordo. 4. Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) con riguardo al diniego dell'attenuante di cui all'art. 609 bis c.p., comma 3. Alla luce di tutti gli aspetti dell'episodio contestato con riguardo ai mezzi, alla modalità della condotta e alle circostanze qualificanti il fatto, non vi sarebbe una grave compromissione della libertà sessuale della vittima, al contrario ridotta e tale da giustificare la denegata attenuante. Tanto più a fronte del dato per cui l'imputato non avrebbe portato a termine il rapporto sessuale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. La motivazione della sentenza impugnata appare priva dei vizi dedotti. Va premesso che si tratta di un caso di cd. "doppia conforme" in cui "le sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale, qualora i giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata" (cfr. Sez.3, n. 13926 del 01/12/2011 Rv.252615 Valeri; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 Argentieri). 1.2. Deve altresì aggiungersi che "in tema di integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e di secondo grado, se l'appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto o di diritto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate, il giudice dell'impugnazione ben può motivare per relationem; quando invece sono formulate censure o contestazioni specifiche, introduttive di rilievi non sviluppati nel giudizio anteriore o contenenti argomenti che pongano in discussione le valutazioni in esso compiute, è affetta da vizio di motivazione la decisione di appello che si limita a respingere con formule di stile o in base ad assunti meramente assertivi o distonici dalle risultanze istruttorie le deduzioni proposte (cfr. Sez.6, n. 28411 del 13/11/2012 Rv. 256435 Santapaola e altri). 1.3. Di rilievo, in tema di valutazione delle censure proposte in presenza di una cd. "doppia conforme", è anche il principio per cui "in tema di ricorso in cassazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la denunzia di minime incongruenze argomentative o l'omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all'annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l'esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell'impianto argomentativo della motivazione. (cfr. Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013 Rv. 254988 Reggio.; Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017 Rv. 271227 M e altri). 1.4. I giudici di merito hanno condiviso innanzitutto un giudizio di parziale attendibilità della p.o., ritenendo che la stessa, nel raccontare subito dopo i fatti quanto accaduto sulla spiaggia, ove si era recata assieme all'imputato, abbia illustrato falsamente solo la prima parte dell'approccio intercorso tra i due ragazzi, nel corso del quale i medesimi, diversamente da quanto narrato dalla donna - che avrebbe sostenuto il proprio dissenso anche per tale fase della vicenda, in uno con una reazione aggressiva del ricorrente -, inizialmente concordavano la consumazione di un rapporto anale, in ragione delle mestruazioni sopravvenute. Da qui l'assenza di tracce di danneggiamento dei vestiti della p.o., la quale si lasciava in parte denudare, posizionandosi su un lettino per consumare il concordato rapporto sessuale. Iniziato il rapporto tuttavia, la ragazza manifestava, anche divincolandosi e urlando, un sopravvenuto dissenso, a fronte del quale l'imputato invece di interrompere la propria condotta aveva proseguito con violenza nella consumazione del rapporto. La predetta, diversa valutazione del complessivo racconto della p.o., spiegata con il naturale imbarazzo avvertito da una ragazza (OMISSIS) nel dover ammettere, nel raccontare la violenza subita, un esordio condiviso dell'approccio sessuale con l'imputato, non dà luogo ad un palese e insormontabile contrasto tra quanto ritenuto veritiero del racconto stesso e quanto considerato frutto di menzogna. Si tratta, infatti, di fasi contrapposte seppur non incompatibili, siccome incentrate essenzialmente sulla circostanza di un originario consenso poi tramutatosi in dissenso, che, ben potendo rinvenirsi nel corso di un rapporto sessuale, non rende inverosimile una tale successione d'intenti in capo ad uno dei protagonisti. Cosicchè, la valutazione distinta dell'attendibilità del racconto offerto appare conforme al principio per cui, in tema di reati sessuali, è legittima una valutazione frazionata delle dichiarazioni della parte offesa e l'eventuale giudizio di inattendibilità, riferito ad alcune circostanze, non inficia la credibilità delle altre parti del racconto, sempre che non esista un'interferenza fattuale e logica tra le parti del narrato per le quali non si ritiene raggiunta la prova della veridicità e le altre parti che siano intrinsecamente attendibili ed adeguatamente riscontrate, tenendo conto che tale interferenza si verifica solo quando, tra una parte e le altre, esiste un rapporto di causalità necessaria o quando l'una sia imprescindibile antecedente logico dell'altra, e sempre che l'inattendibilità di alcune delle parti della dichiarazione non sia talmente macroscopica, per conclamato contrasto con altre sicure emergenze probatorie, da compromettere per intero la stessa credibilità del dichiarante (cfr. Sez. 3, n. 40170 del 26/09/2006 Rv. 235575 01 Gentile; più in generale e di recente sulla valutazione frazionata della medesima dichiarazione Sez. 6, n. 20037 del 19/03/2014 Rv. 260160 - 01 L; Sez. 6, n. 3015 del 20/12/2010 (dep. 27/01/2011) Rv. 249200 - 01 Farruggio). 1.6. Da tale considerazione, già consegue l'improponibilità della censura di illogicità, avanzata sul rilievo della impossibilità di sostenere l'attendibilità parziale della p.o. facendo seguire ad una prima fase non veritiera del racconto relativo al medesimo rapporto sessuale, una, successiva, al contrario ritenuta genuina. Tanto più che tale censura si specifica in realtà attraverso asserzioni meramente fattuali, e come tali inammissibili, circa la necessità di ritenere l'intera condotta della ragazza libera e quindi pienamente consenziente rispetto al rapporto sessuale in corso. 1.6. In ogni caso, va anche rilevato che, la ritenuta veridicità del racconto inerente la "seconda fase" del rapporto sessuale originariamente concordato, viene confortata dai giudici di merito sulla base non solo del carattere preciso e particolareggiato della narrazione, bensì anche di altri dati acclarati e rimasti incontestati. Si fa riferimento, in particolare, allo stato di evidente turbamento in cui la ragazza fu vista rientrare dal portiere notturno nel comune albergo assieme all'imputato, nonchè all'immediatezza con cui la stessa rivelò alla madre la patita violenza sessuale. Altro dato congruamente valorizzato dal collegio di secondo grado è costituito dalle risultanze della documentazione medica, redatta poche ore dopo dal personale del Pronto Soccorso e dalla quale emergono "segni di lotta e contusioni multiple", con particolare riferimento al polso ed all'addome: così da trovare conferma il racconto del tentativo di sottrarsi alla prosecuzione del rapporto e della costrizione operata dall'imputato nel proseguirlo. L'attendibilità, sul punto, della ragazza e l'assenza di acrimonia nei confronti dell'imputato, viene altresì adeguatamente spiegata anche attraverso la considerazione per cui la stessa ebbe a precisare che talune tracce di ecchimosi - quali quelle presenti sulle cosce - erano da ricondurre a vicende anteriori al fatto contestato. 1.7. Di converso, sul piano della valutazione delle dichiarazioni dell'imputato, i giudici hanno congruamente evidenziato la formulazione, da parte del medesimo, di versioni dei fatti parzialmente differenti, mentre con riferimento alla tesi difensiva, secondo cui la denunzia formulata dalla p.o. sarebbe il frutto di un sopraggiunto pentimento per avere tradito il fidanzato, essa appare adeguatamente confutata attraverso il rilievo per cui, ove la ragazza fosse stata percorsa da questo sopraggiunto stato d'animo, avrebbe più coerentemente e verosimilmente semplicemente taciuto e, in tal modo, nascosto a tutti l'intervenuto rapporto sessuale. Congrua è del resto anche la spiegazione del ritorno della p.o. in compagnia dell'imputato, a fronte del soggiorno degli stessi nel comune albergo e della comprensibile fretta con cui la p.o., a causa di quanto accaduto, voleva rientrare; dato incompatibile con una diversa scelta di allontanarsi dall'imputato che avrebbe avuto, come inevitabile e sgradito riflesso, la protratta permanenza all'esterno dell'albergo, per giunta sola e in stato di grave turbamento. In tale quadro i giudici hanno conseguentemente anche spiegato la ridotta - ma non totale - assenza di tracce di violenza sul corpo della ragazza, coerente, evidentemente, con l'iniziale consenso prestato dalla ragazza. 1.8. L'attenzione della corte si è soffermata anche sulla obiezione difensiva secondo cui, in maniera inverosimile, la ragazza avrebbe riferito di bagnanti che si sarebbero allontanati nonostante la stessa abbia ad un certo punto cominciato ad urlare, atteso che dall'analisi del compendio probatorio è emerso che la p.o., lungi dal riferire la presenza nelle vicinanze di persone, si limitò solo a ricordare di avere urlato per attirare l'attenzione di persone eventualmente presenti. Ed invero l'accenno alla presenza di persone vicine che avrebbero "visto la scena" fu formulato, secondo i giudici del gravame, senza che sia intervenuta una specifica censura al riguardo, dalla madre della ragazza, con dichiarazione resa quindi "de relato" e come tale ragionevolmente ritenuta inadeguata dalla corte di appello per comprendere, ove anche la ragazza avesse riferito tale circostanza, a quale distanza i bagnanti si trovassero e a quale "fase" del rapporto avessero effettivamente assistito. Laddove ove si fosse trattato della prima, ben potrebbe essere verosimile l'allontanamento dei medesimi "per discrezione". 1.9. L'inammissibilità del motivo di impugnazione proposto, a fronte di una così articolata quanto coerente ricostruzione, consegue non solo alla chiara assenza di profili di contraddittorietà od illogicità - che, come noto, devono emergere in maniera manifesta (cfr. in tal senso, per tutte Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260) - bensì anche alla mera riproduzione, da parte del ricorrente, dei medesimi rilievi critici già proposti in sede di gravame (cfr. par. V della sentenza impugnata in ordine alla illustrazione dei motivi di appello), evitando inammissibilmente ogni preciso confronto con tutti i plurimi argomenti contenuti in sentenza e prima riportati, talvolta anzi omettendone ogni citazione sino a configurare risultanze probatorie non conformi a quelle descritte dai giudici di merito. Si vuol fare riferimento, in particolare, alla intervenuta formulazione, da parte del ricorrente, di una critica incentrata esclusivamente sulla ritenuta incoerenza di un racconto della p.o. solo perchè considerato dai giudici parzialmente e non totalmente veritiero, e solo asseritamente confortata dalla assenza di tracce di violenza sugli indumenti e sul corpo, oltre che da una astratta ragione di pentimento; così obliterando oltre alle illustrate ragioni della parziale veridicità delle dichiarazioni della p.o., anche la correlata e perspicua rilevazione, al contrario di quanto sostenuto dalla difesa, di tracce di ecchimosi (al polso e all'addome), ben compatibili con la "seconda fase" della vicenda, assieme alle corrette considerazioni sulla inverosimiglianza delle tesi difensive relative alle ragioni della denunzia. Da questi ultimi rilievi deriva anche la necessaria evidenziazione di censure prive di specificità estrinseca (cfr. sull'onere del ricorrente di confrontarsi puntualmente con tutte le argomentazioni di cui alla sentenza impugnata, per tutte (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568), pertanto manifestamente infondate anche per tale ragione. 2. Il secondo motivo è infondato. Premesso che in tema di violenza sessuale, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del fatto di minore gravità, prevista dall'art. 609-bis c.p., comma 3, deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievi i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all'età, così da potere ritenere che la libertà sessuale sia stata compressa in maniera non grave, così come il danno arrecato alla vittima anche in termini psichici (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 19336 del 27/03/2015 Rv. 263516 - 01 G.), nel caso di specie la corte, nel considerare le modalità della condotta, consistita nella persistente consumazione di una rapporto anale, di per sè particolarmente invasivo, pur a fronte di una chiara, seppur sopravvenuta manifestazione di dissenso, ha sottolineato altresì l'età della persona offesa, comunque minorenne, oltre che il rilevato pregiudizio psichico evidenziato dallo stato di grave turbamento subito emerso. Così da elaborare un giudizio di significativa compromissione della libertà sessuale, seppur conseguente ad un dissenso soltanto sopravvenuto nel corso del rapporto sessuale, come tale in ogni caso estraneo alla invocata attenuante, in quanto coerente con i parametri di valutazione sopra indicati e quindi insindacabile in questa sede. 3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell'estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a). In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge. Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2020. Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2020
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