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Violenza sessuale

Violenza sessuale: per la valutazione dell'attenuante della minore gravità è inconferente il fatto della commissione con abuso di relazione di ospitalità

Cassazione penale sez. III, 26/01/2021, n.6713

In tema di violenza sessuale, ai fini della valutazione in ordine alla sussistenza o meno della circostanza attenuante della minore gravità del fatto prevista dall'art. 609-bis, comma 3, c.p., è inconferente il fatto della commissione con abuso di relazioni di ospitalità, dovendo considerarsi unicamente, attraverso una valutazione globale, il grado di compromissione del bene tutelato.

Note

Norme di riferimento

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO
1. Con l'impugnata sentenza, in parziale riforma della decisione resa dal Tribunale di Catania e appellata dall'imputato, la Corte di appello di Catania riconosceva le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alle contestate aggravanti e, per l'effetto, rideterminava in cinque anni e cinque mesi di reclusione la pena inflitta nei confronti di G.S., nel resto confermando la penale responsabilità dell'imputato in relazione al delitto di cui agli artt. 609-bis e 609-ter c.p., a lui ascritto ai capi A) e B) per avere compiuto sulle nipoti Z.V.A. (di anni quattro) e Z.M.S. (di anni otto) atti sessuali, consistenti in toccamenti delle loro parti intime, fatti aggravati per aver approfittato delle circostanze di tempo e di luogo idonee ad ostacolare la privata difesa ed abusando della relazione di ospitalità.

2. Avverso l'indicata sentenza, l'imputato, tramite il difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

2.1. Con il primo, complesso, motivo si deducono violazione del principio di tassatività, violazione di legge in ordine all'art. 192 c.p.p., comma 1, e art. 195 c.p.p. in tema di valutazione della prova, inosservanza ed, erronea applicazione delle norme processuali in relazione all'art. 125 c.p.p. e art. 546 c.p.p., lett. e), vizio di travisamento della prova e difetto di motivazione in relazione alla testimonianza della minore Z.A.. La difesa censura la sentenza impugnata, avendo la Corte territoriale travisato la testimonianza della minore, resa in incidente probatorio, assumendo che questa non avesse risposto alle domande del G.i.p. e dell'esperto psicologo, mentre la minore ha espressamente negato di essere stata abusata dallo zio S., come emerge dalle pag. 34, 35, 39, 45 e 49 del verbale di incidente probatorio, manifestando nei confronti del congiunto simpatia ed affetto. La Corte d'appello avrebbe perciò attribuito alla testimonianza della minore un significato distorto e in contrasto con il tenore delle dichiarazioni medesime, essendo il nervosismo delle minore spiegabile con le modalità con le quali é stato condotto l'esame, in contrasto con le linee guida della Carta di Noto. La Corte d'appello, aggiunge il ricorrente, ha compiuto un salto logico, laddove ha desunto gli avvenuti toccamenti dal solo fatto che la minore, pur negandoli, ha ribadito più volte di vergognarsi di "qualcosa" e di non volerne parlare; la Corte d'appello avrebbe perciò disatteso la norma processuale da cui deriva la inutilizzabilità ai fini decisori della disposizione del teste de relato, essendo la deposizione della minore in contrasto con quella della madre. La Corte territoriale non avrebbe valutato né la capacità a testimoniare della minore, né gli elementi a riscontro del narrato di costei, come l'esito negativo sul materiale informatico sequestrato all'imputato.

2.2. Con il secondo, plurimo, motivo di ricorso si eccepisce la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per violazione di legge in ordine all'art. 192 c.p.p., comma 1, errori di diritto nella motivazione con influenza decisiva sul dispositivo; la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) per violazione dell'art. 195 c.p.p., inosservanza ed erronea applicazione delle norme processuali in relazione all'art. 125 c.p.p. e art. 546 c.p.p., lett. e); la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione o motivazione apparente circa la prova della condotta di abuso sui minori con riferimento ad entrambi i capi di imputazione. La difesa si duole che la sentenza impugnata non abbia vagliato rigorosamente l'attendibilità della testimonianza della minore M.S., la quale ha reso dichiarazioni disancorate da riferimenti spazio-temporali e prive di riscontri obiettivi, e considerando che: non si é tenuto conto delle forti riserve espresse sulla minore dal perito; non sono stati indicati gli asseriti riscontri al narrato della minore; non si sono affrontate le argomentazioni difensive con cui si evidenziavano le contraddizioni presenti nel narrato della minore; non si é correttamente valutato che l'imputato giocava regolarmente con le minori a nascondino, le cui modalità esecutive sono compatibili con i palpeggiamenti; é rimasta lacunosa e priva di riscontri l'affermazione secondo cui l'imputato trascorreva l'estate e il periodo natalizio a casa della sorella. La Corte territoriale avrebbe perciò ritenuto la credibilità della minore con una motivazione sostanzialmente apparente, e senza considerare il clima di suggestione familiare che avrebbe inquinato le sue dichiarazioni, in contrasto con i dettami della Carta di Noto. Il ricorrente censura, inoltre, il giudizio di attendibilità della deposizione di B.P., madre della minore, la quale ha riferito, de relato, una modalità di condotta dell'imputato, che é stata invece sconfessata da entrambi i testi di riferimento; la Corte avrebbe omesso di considerare il vissuto della teste e i rapporti economici scaturiti dalla ripartizione delle quote del prezzo di vendita della casa di genitori del G.. Argomenta il ricorrente che il contenuto delle conversazioni intercettate non può fungere da elemento di riscontro, essendo unicamente lo specchio delle ansie e delle preoccupazioni dei soggetti coinvolti nella vicenda.

2.3. Con il terzo, composito, motivo si censura la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per vizio di motivazione in relazione al rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale e alla mancata acquisizione del parere pro veritate del consulente, della perizia su B.P. e dell'audizione del teste G.R.. Ad avviso della difesa, la frammentarietà e la non univocità del compendio probatorio avrebbero imposto l'acquisizione del parere pro veritate redatto dal prof. P., il quale ha escluso, in capo all'imputato, disfunzioni comportamentali di tipo pedofilia o parafilia, come dettagliatamente riportato alle p. 23 ss. del ricorso.

2.4. Con il quarto motivo si lamenta la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per la mancata concessione della circostanza attenuante speciale di cui all'art. 609-bis c.p., comma 3, dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), vizio di travisamento della prova, difetto di motivazione in relazione alla disapplicazione di cui all'art. 609-bis c.p.. Dopo aver ricapitolato gli approdi giurisprudenziali in materia, la difesa si duole del mancato riconoscimento dell'attenuante in esame, che la Corte territoriale ha escluso richiamando il principio secondo il quale essa non può essere riconosciuta laddove i fatti di abuso ai danni di minori di dieci anni avvengano nell'ambito di un rapporto fiduciario di affidamento tra l'autore del reato e la vittima, situazione che non risulta provata nel caso in esame, e non avendo comunque la Corte d'appello valutato tutti i criteri indicati nell'art. 133 c.p., comma 1, in quanto una delle due minori ha riferito di aver subito toccamenti superficiali sopra i vestiti, mentre l'altra ha dichiarato di non aver subito alcun danno dallo zio.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso é fondato in relazione al quarto motivo, essendo gli altri, nel complesso, infondati.

2. Il primo motivo é infondato.

3. In primo luogo va sgombrato il campo da un equivoco di fondo: nel caso in esame non é dato ravvisare alcun travisamento della prova, come prospettato dal ricorrente. Si versa, invece, in una situazione differente: la minore, persona offesa del reato, esaminata in sede di incidente probatorio, non ha dichiarato di aver subito atti sessuali da parte dello zio S., mentre la madre della minore medesima ha riferito di avere appreso dalla figlioletta che l'imputato aveva commesso su di lei gli abusi sessuali.

Il travisamento della prova, infatti, é configurabile quando si introduce nella motivazione un'informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; nella vicenda in esame, invece, sono state acquisite informazioni contrastanti rese, rispettivamente, dal teste diretto e dal teste de relato, senza che ciò abbia comportato la violazione dell'art. 195 c.p.p., comma 3, proprio perché sono stati esaminati entrambi i dichiaranti.

A tal proposito, questa Corte ha affermato che la testimonianza de relato é inutilizzabile solo quando sulla richiesta di parte il giudice non chiami a deporre il teste diretto, ma quando il teste diretto, chiamato, non abbia risposto, non sussiste più alcuna limitazione al valore probatorio delle testimonianze indirette, che devono essere configurate, al pari di ogni altra prova storica, come rappresentazione dello stesso fatto che si assume di voler provare, sia pure soggettivamente mediata attraverso il testimone indiretto, e non come prova logica o indizio, dal quale desumere un fatto diverso, come invece pretende il ricorrente (Sez. 3, Sentenza n. 9801 del 29/11/2006, dep. 08/03/2007, Rv. 236005: fattispecie relativa alla testimonianza indiretta dei genitori in relazione ad abusi sessuali subiti dal figlio minore, che, chiamato a deporre nelle forme dell'incidente probatorio, non abbia risposto alle domande; in senso conforme Sez. 3, n. 529 del 02/12/2014, dep. 09/01/2015, Rv. 261793).

4. Così chiariti i termini della questione, essa va affrontata e risolta alla luce del principio, costantemente predicato da questa Corte di legittimità e con il quale il ricorrente omette di misurarsi, secondo cui, in tema di testimonianza indiretta, il giudice può ritenere attendibile la deposizione del teste de relato, sebbene sia contrastante con quella della fonte diretta, in quanto l'art. 195 c.p.p. non prevede alcuna deroga al principio di libera valutazione della prova (Sez. 6, n. 38064 del 05/06/2019, dep. 13/09/2019, Rv. 277062; Sez. 3, n. 529 del 02/12/2014, dep. 09/01/2015, Rv. 261793; Sez. 3, n. 2010 del 30/11/2007, dep. 15/01/2008, Rv. 238626; Sez. 6, n. 26027 del 05/03/2004, dep. 09/06/2004, Rv. 229967).

Si verte, quindi, in un tipico caso di valutazione della prova testimoniale: ciò implica che il giudice deve logicamente spiegare, sulla base dell'intero compendio probatorio acquisito, la preferenza accordata alla testimonianza de relato, spiegazione che non può essere censurata in sede di legittimità, s. che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni.

5. Venendo al caso in esame, la Corte territoriale si é attenuta ai principi ora richiamati, avendo logicamente motivato l'attendibilità della deposizione della madre della minore.

5.1. In primo luogo la Corte territoriale ha valorizzato la qualità del narrato, avendo la donna reso dichiarazioni coerenti, precise, circostanziate, prive di incongruenze o intime contraddizioni, circostanza che, peraltro, il ricorrente non contesta.

5.2. In secondo luogo, la Corte d'appello ha escluso la sussistenza di fattori tali da minare la credibilità intrinseca della teste, non essendo emersi motivi di astio o di rancore nei confronti dell'imputato. A tal proposito, per confutare la tesi difensiva secondo cui la donna avrebbe enfatizzato le confidenze ricevute dalla figlia minore con interventi manipolatori a causa del suo negativo pregresso vissuto e a motivo della sua disturbata personalità, la Corte territoriale ha indicato alcune conversazioni telefoniche, il cui contenuto riveste una duplice, concorrente, rilevanza: per un verso, smentisce l'indicata prospettazione difensiva, e, per altro verso, diversamente da quanto opinato dal ricorrente, rappresenta un elemento obiettivo di riscontro alle dichiarazioni de relato, perché dimostra come all'interno del nucleo famigliare vi fosse piena consapevolezza della veridicità di quanto accaduto in danno delle due minori da parte dell'imputato.

In particolare, la Corte territoriale ha indicato la telefonata n. 13 (p. 7 della sentenza impugnata), intercorsa tra C.F., moglie dell'imputato e G.R., fratello dell'imputato, dalla quale emerge, tra l'altro, come la prima avesse suggerito alla cognata - cioé alla madre delle minori - di denunciare il marito, ossia l'imputato, perché i famigliari, ben consapevoli dei comportamenti malsani di quest'ultimo, erano dalla sua parte. Come osservato dalla Corte d'appello, la conversazione appare rilevante perché la C. non mette in discussione gli abusi subiti della minore da parte del marito, i cui comportamenti devianti della sfera sessuale le erano ben noti, tanto da avergli consigliato di non giocare con i bambini perché ciò avrebbe potuto essere frainteso.

La Corte d'appello ha poi valorizzato la telefonata n. omissis (p. 8 della sentenza impugnata), intercettata tra C.F. e V.M., medico del 118 e psicoterapeuta, nel corso della quale, tra l'altro, la prima definiva una "porcheria" i comportamenti del marito, una sorta di perversione occasionale, spiegabile, agli occhi della donna, con un forte esaurimento che aveva colto il marito in quel periodo.

5.3. Al fine di accreditare l'attendibilità della madre delle minori, la Corte territoriale ha indicato altre telefonate intercettate tra i famigliari dell'imputato (riportate a p. 43 della sentenza di primo grado), in cui i soggetti dialoganti non mettono mai in discussione la veridicità delle accuse mosse all'imputato da B.P..

5.4. La Corte territoriale, inoltre, ha escluso qualsiasi interesse economico che abbia spinto la madre delle minori a sporgere denuncia nei confronti del cognato, ciò emergendo, in particolare, dalla telefonata n. 332 (p. 9 della sentenza impugnata), nel corso della quale, G.B., figlia dell'imputato, conversando con la madre, afferma che la denuncia sporta dalla B. era finalizzata a tutelare le proprie figlie minori, come avrebbe fatto qualsiasi madre, scelta che l'interlocutrice dice di non condividere, ma non, si badi, perché falsa, ma perché sproporzionata rispetto alla condotta del marito, che, in fondo, sia era "limitato" a palpeggiare la minore. In altre conversazioni intercettate emerge, inoltre, come i familiari dell'imputato abbiano invitato la B. a non sporgere denuncia: circostanza che la Corte d'appello ha logicamente ritenuto incompatibile con un asserito interesse economico, perché , se questo fosse stato lo scopo perseguito dalla donna, costei certamente non avrebbe affrontato con i famigliari dell'imputato alcun argomento al fine di chiarire gli abusi sessuali subiti dalle proprie figlie.

6. Sotto altro profilo, la Corte territoriale ha valutato la deposizione di V.A. (che aveva cinque anni e mezzo quanto fu sentita nell'incidente probatorio), la quale, per un verso, non ha negato i fatti, pur senza ammetterli, e, per altro verso, ha dichiarato più volte di vergognarsi di qualcosa e di non volerne parlare, manifestando, durante l'esame, un crescente nervosismo, tanto da quasi distruggere un pupazzo che aveva con sé .

La Corte d'appello ha spiegato, con logica motivazione, il comportamento reticente della minore, facendo leva sulle dichiarazioni del perito, che era presente all'atto, il quale ha associato le manifestazioni di disagio e di vergogna della minore alla paura di perdere gli affetti più cari e, soprattutto, quello della madre. In particolare, il perito ha ritenuto che, in un primo momento, la minore abbia parlato con la madre senza remore dei giochi a sfondo sessuale che faceva con lo zio S. in quanto non ne comprendeva il significato; successivamente, quando si rese conto che i rapporti tra i familiari si era incrinati a seguito della vicenda in esame, non volle più parlarne.

Ciò trova conferma, come evidenziato dalla Corte d'appello, nella conversazioni telefoniche, da cui emerge che, dopo la denuncia presentata dalla B., i suoi rapporti con la nonna delle minori si erano deteriorati, tanto che costei aveva esternato la volontà di allontanare dalla sua abitazione la nuora e le sue figliolette; ciò non era sfuggito alla minore A., la quale, definita dal perito come una bambina molto intelligente, aveva collegato l'allontanamento della casa della nonna, dove abitava insieme alla sua famiglia, alle sue rivelazioni fatte alla madre, a causa delle quali era insorto un contrasto, appunto, con la nonna.

7. Orbene, la motivazione con cui la Corte ha spiegato l'attendibilità di B.P., teste de relato, a discapito della reticente deposizione della figlia V.A., all'epoca di cinque anni, teste diretto, appare logica, circostanziata, esaustiva, saldamente ancorata al compendio probatorio, e quindi supera il vaglio di legittimità.

8. Il secondo motivo é parimenti infondato.

In tal caso, le dichiarazioni del teste diretto, ossia la minore M.S., si saldano con quelle, de relato, riferite dalla madre.

La Corte territoriale, diversamente da quanto prospettato dal ricorrente, ha vagliato in maniera adeguata l'attendibilità della minore, evidenziando, in primo luogo, che la piccola, come del resto la sorellina A., sia capace di rendere testimonianza, come accertato dal perito sulla base della somministrazione di test di funzionamento intellettivo e del linguaggio, le cui conclusioni sono oggetto di generica censura da parte del ricorrente, il quale si é limitato a prospettare un dubbio del tutto astratto, non essendo suffragato da elementi concreti.

La Corte territoriale, inoltre, ha messo in luce la modalità del disvelamento degli abusi da parte di M., circostanza assai significativa per valutare l'attendibilità della minore, evidenziando come L.G.V., sorella uterina delle due minori, confermando quando riferito dalla madre, abbia dichiarato che M., quando venne a conoscenza delle molestie sessuali subite dalla sorella A., scoppiò subito a piangere" raccontando immediatamente ai suoi familiari quanto le era accaduto. La Corte d'appello, con motivazione scevra da aporie logiche, ha disatteso la censura difensiva, secondo cui la deposizione di M. sarebbe stata determinata da comportamenti di compiacenza di protezione verso la sorella A., ciò essendo logicamente incompatibile con il pianto della minore, chiaramente indicativo del senso di disagio e di vergogna derivante dagli abusi patiti.

La Corte d'appello, infine, ha adeguatamente vagliato la qualità del racconto di M., ritenuto coerente ed estremamente dettagliato nella descrizione dei luoghi, dei tempi e delle modalità esecutive delle condotte abusanti poste in essere dallo zio.

9. Orbene, anche in tal caso si é al cospetto di una motivazione adeguata ed esauriente, che non é scalfita dalle censure del ricorrente, dirette a una rivisitazione del compendio probatorio, non consentita in sede di legittimità.

10. Il terzo motivo é inammissibile.

10.1. Si rammenta che la rinnovazione del giudizio in appello é istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (per tutti, cfr. Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996 - dep. 15/03/1996, Panigoni ed altri, Rv. 203974; Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015 - dep. 25/03/2016, Ricci, Rv. 266820). Va inoltre ribadito che solo nel caso di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado (art. 603 c.p.p., comma 2), la mancata assunzione può costituire violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), mentre, negli altri casi previsti (art. 603, commi 1 e 3), il vizio deducibile in sede di legittimità é quello attinente alla motivazione previsto dal medesimo art. 606, lett. e). (Sez. 4, n. 4675 del 17/05/2006 - dep. 06/02/2007, Bartalini, Rv. 235654; Sez. 5, n. 34643 del 08/05/2008 - dep. 04/09/2008, De Carlo, Rv. 240995).

10.2. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha rigettato la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale con riferimento ai mezzi di prova indicati dalla difesa, tutti stimati irrilevanti, osservando: quanto all'acquisizione del parere pro veritate relativo all'assenza, in capo all'imputato, di manifestazioni psicopatologiche riconducibili alla pedofilia, che non vi é alcuna correlazione tra pedofilia e il reato di abuso sessuale sui minori, il quale può essere commesso da un soggetto che non sia affetto da tale patologia; quanto alla perizia psichiatrica al fine di accertare la credibilità di B.P., che l'attendibilità della teste é corroborata da solide emergenze probatorie, come dinanzi illustrato.

Si tratta di una motivazione adeguata e non manifestamente illogica, che, é perciò incensurabile in sede di legittimità.

10.3. Quanto, infine, alla richiesta di audizione di R. G., seppure sia enunciata nell'indicazione del motivo, essa non é stata illustrata nella parte argomentativa, sicché , essendo del tutto generica ed immotivata, é inammissibile, anche considerando che tale teste non é nemmeno menzionato nella sentenza impugnata, laddove si indicano i mezzi di prova richiesti dalla difesa, che, con riguardo alla prova dichiarativa, erano circoscritti alla nuova audizione di C.F., G.M. e G.B. (p. 3 della sentenza impugnata).

11. Il quarto motivo é fondato.

11.1. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di violenza sessuale, l'attenuante di cui all'art. 609-bis c.p., u.c., può essere applicata allorquando vi sia una minima compressione della libertà sessuale della vittima, accertata prendendo in considerazione le modalità esecutive e le circostanze dell'azione attraverso una valutazione globale che comprenda il grado di coartazione esercitato sulla persona offesa, le condizioni fisiche e psichiche della stessa, le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all'età, l'entità della lesione alla libertà sessuale ed il danno arrecato, anche sotto il profilo psichico (Sez. 3, n. 50336 del 10/10/2019, L, Rv. 277615; Sez. 3, n. 19336 del 27/03/2015, G., Rv. 263516; Sez. 3, n. 39445 del 01/07/2014, S, Rv. 260501 ed altre prec. conf.).

Si é ulteriormente chiarito che, rispetto a tale valutazione, non rilevano i criteri soggettivi di commisurazione della pena di cui all'art. 133 c.p., comma 2, in quanto la mitigazione della pena prevista nell'ipotesi di minore gravità del reato di violenza sessuale non risponde all'esigenza di adeguamento alla colpevolezza del reo e alle circostanze attinenti alla sua persona, bensì alla minore lesività del fatto, da rapportare al grado di compromissione del bene giuridico della libertà sessuale della vittima (Sez. 3, n. 14560 del 17/10/2017, dep. 2018, B, Rv. 272584; Sez. 3, n. 31841 del 02/04/2014, C, Rv. 260289; Sez. 3, n. 23093 del 11/05/2011, D., Rv. 250682 ed altre prec. conf.). A tal fine, la reiterazione di rapporti sessuali é stata ritenuta espressione di una compressione non lieve della libertà sessuale della vittima, non compatibile con un giudizio di minore gravità del fatto (Sez. 3, n. 4960 del 11/10/2018, dep. 2019, S, Rv. 275693; Sez. 3, n. 21458 del 29/01/2015 - dep. 22/05/2015, T., Rv. 263749; Sez. 3, n. 24250 del 13/05/2010 - dep. 24/06/2010, D. e altri, Rv. 247286; Sez. 3, n. 2001 del 13/11/2007 - dep. 15/01/2008, R., Rv. 238847), perché la tale reiterazione approfondisce il tipo di illecito e compromette maggiormente l'interesse giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, a meno che detta condotta, in ragione della occasionalità o, comunque, delle non significativa reiterazione nei riguardi del medesimo soggetto passivo, non sia tale da compromettere maggiormente, in danno del medesimo, l'interesse tutelato dalla norma incriminatrice (Sez. 3, n. 13729 del 22/11/2018 - dep. 29/03/2019, C, Rv. 275188).

11.2. Nel caso in esame, richiamando il principio secondo cui deve escludersi la configurabilità dell'attenuante della minore gravità del fatto nel caso in cui la condotta sia stata tenuta ai danni di una minore nell'ambito di un rapporto fiduciario di affidamento tra l'autore del reato e la vittima (Sez. 3, n. 43623 del 20/06/2018, dep. 03/10/2018, Rv. 274061), la Corte d'appello ha negato i presupposti per il riconoscimento dell'attenuante in esame perché "l'imputato, abusando dell'ospitalità della sorella, ha tratto occasione per coinvolgere le minori in atti sessuali" (p. 13 della sentenza impugnata).

Si tratta di una motivazione errata, perché , per un verso, si appella a un principio inconferente, e, per altro verso, e soprattutto, nel caso di specie valorizza una circostanza - l'abuso di ospitalità per commettere gli atti sessuali che é del tutto eccentrica per valutare il grado di compromissione del bene tutelato: l'unico elemento da considerare per stabilire se l'abuso sessuale sia di "minore gravità".

La Corte d'appello, in altri termini, avrebbe dovuto valutare congiuntamente gli indici fattuali dinanzi indicati - tra cui anche la reiterazione degli abusi, alle condizioni sopra specificate - per verificare la concreta incidenza della condotta dell'imputato sul grado di compromissione della libertà sessuale delle due minori.

12. La sentenza impugnata deve perciò essere annullata limitatamente all'applicabilità della circostanza attenuante di cui all'art. 609-bis c.p., comma 3, in relazione ad entrambi i capi di imputazione, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Catania, che provvederà anche al regolamento delle spese per il presente grado di giudizio.

PQM
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all'applicabilità della circostanza attenuante di cui all'art. 609-bis c.p., comma 3, e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Catania. Rigetta nel resto il ricorso.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2021

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