Corte appello , Bologna , 14/09/2023 , n. 1703
Il reato di appropriazione indebita si configura quando il detentore di un bene, pur avendo acquisito legittimamente il possesso dello stesso, si rifiuta di restituirlo al legittimo proprietario, manifestando così una chiara volontà di interversione del possesso e arrecando un ingiusto profitto a sé stesso.
Svolgimento del processo
Con decreto di citazione in giudizio emesso dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Bologna il 26.03.21, Na.Az. veniva tratto a giudizio per rispondere del reato ascrittogli, riportato in epigrafe. Incardinato il processo, all'udienza del 12.10.23, dichiarata l'assenza dell'imputato ritualmente citato, il apriva il dibattimento ed ammetteva le prove così come richieste.
All'udienza del 21.12.23 veniva escusso l'unico teste ammesso Or.Ma. ed acquisita la documentazione allegata alla querela. Il Giudice dichiarava chiusa l'istruttoria ed invitava le parti a concludere; dopo essersi ritirato in camera di consiglio, pronunciava il dispositivo in udienza, con motivazione contestuale.
Motivi della decisione
I fatti per cui si procede sono stati ricostruiti dal teste, nonché parte offesa, sig. Or.Ma., e dall'acquisizione della documentazione allegata alla querela.
Il teste ha riferito di avere una concessione per la distribuzione di gelati e surgelati; ha riferito inoltre che nell'ambito della sua attività ha concluso un contratto di fornitura con il Bar Pizzeria Oc. di Na.Az..
Il teste Or. ha precisato che i contratti di fornitura continuativa prevedono la concessione in comodato d'uso gratuito di frigoriferi, congelatori, forni per la conservazione e somministrazione dei prodotti.
Nello specifico venivano concessi in comodato gratuito all'odierno imputato i seguenti beni:
una vetrina Vertical 3 matr. (...), un forno ventilato Alfa 43 Marca Smeg matr. (...) ed un congelatore Iarp modello (...).
Il Teste ha poi riferito che rendendosi il Na. inadempiente i rappresentanti della ditta lo contattavano per la restituzione dei beni indicati. Venivano fissati due appuntamenti per il ritiro, ma in entrambe le occasioni il Na. rifiutava di consegnare i beni.
Il teste si determinava a sporgere denuncia dopo la quale non ha più avuto alcuna contezza circa la reale collocazione dei beni.
Da quanto emerso dal vaglio dibattimentale risulta provata la penale responsabilità dell'imputato.
Dall'istruttoria dibattimentale può infatti dirsi raggiunta la prova che il Na. si sia appropriato illegittimamente dei beni come indicati in imputazione nella cui disponibilità era entrato in virtù di contratto di somministrazione stipulato con la ditta Se. srl.
L'art. 646 c.p. punisce chi, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria del denaro o della cosa mobile altrui, di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso.
La Cassazione ha affermato che le condotte aventi ad oggetto il conferimento di una destinazione ovvero di una collocazione tali da rendere irreperibile il bene oggetto di doverosa restituzione, a seguito della scadenza del contratto di noleggio, integrano il reato di appropriazione indebita (Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza n. 20225/19, depositata il 10 maggio). Dall'istruttoria dibattimentale è emerso che la ditta Se., per mezzo dei suoi rappresentanti, ha consegnato all'odierno imputato i beni in esecuzione di un contratto di fornitura.
Visto l'inadempimento del Na. gli veniva richiesta la riconsegna dei beni di cui aveva il comodato gratuito.
Il Na., pur fissando almeno due appuntamenti per il ritiro, si rifiutava poi di consegnare i beni.
Il comportamento tenuto dal Na. integra sicuramente una interversione nel possesso essendo espressione della manifesta volontà di affermare il dominio sull'oggetto del comodato (vedi ad esempio Cass. Pen. Sez. 2 del 1 aprile 1978 n. 3660).
Dagli atti di indagine legittimamente acquisiti sono quindi emerse sufficienti prove che dimostrano che il Na. si sia appropriato dolosamente dei beni, dando luogo a una lesione del diritto di proprietà mediante abuso di cosa o denaro altrui (Cass. n.6958/2018).
Può infatti affermarsi con certezza che il Na. abbia agito contro la volontà della società Se., rappresentata da Or.Ma., il quale ha dichiarato, e non vi è motivo di dubitartene, di aver inviato per due volte i suoi agenti per il ritiro dei beni, ma che questo non è stato possibile per il rifiuto del Na.
Si deve peraltro sottolineare che l'imputato, rimanendo assente dal processo, non ha fornito alcuna versione alternativa rispetto a quella univocamente emergente dalle risultanze processuali e non ha offerto alcuna giustificazione plausibile in merito alla mancata restituzione dei beni.
Tale comportamento, pur rispondendo al legittimo esercizio del diritto di difendersi col silenzio, impedisce evidentemente di esplorare itinerari alternativi e di confermare una prova d'accusa da ritenersi, in ogni caso, solida ed inequivocabile (dovendosi rammentare il consolidato insegnamento della Suprema Corte secondo cui: "in tema di libero convincimento, al giudice non è precluso di valutare la condotta processuale dell'imputato coniugandola con ogni altra circostanza sintomatica, con la conseguenza che egli ben può considerare, in concorso di altri elementi, la portata significativa del silenzio serbato su circostanze potenzialmente idonee a scagionarlo", Cass. 19.06.2019 n. 28008).
Il reato appare pertanto integrato in tutti i suoi elementi costituitivi: è chiara infatti la condotta di appropriazione posta in essere dall'imputato, il quale, regolarmente posto nella detenzione del bene per un determinato periodo ne faceva un uso indebito eccedendo i limiti del titolo in virtù del quale deteneva lo stesso, di modo che l'atto compiuto ha comportato un impossessamento del bene.
L'elemento soggettivo, da individuarsi nel dolo specifico, è dunque integrato in quanto l'imputato ha certamente agito con coscienza e volontà al fine di procurarsi il profitto rifiutandosi espressamente di restituire i beni.
Nel reato per cui si procede il dolo consiste nella volontà di compiere un atto di disposizione che compete esclusivamente al proprietario.
L'ingiusto profitto va individuato nell'aver utilizzato i beni oltre il periodo consentito.
Il reato è procedibile, avendo la persona offesa presentato regolare querela ed avendo confermato in giudizio di avere interesse alla condanna dell'imputato. Quanto al trattamento sanzionatorio, visti i criteri di cui all'art. 133 c.p., unitamente e singolarmente considerati, si ritengono concedibili le attenuanti generiche anche per adeguare la pena alla scarsa gravità del fatto e l'attenuante di cui all'art. 62 n.4, si stima equa la condanna ad anni 1 di reclusione, così determinata pena base anni 2 e mesi tre, ridotta per le generiche ad anni 1 e mesi 6, ulteriormente ridotta ad anni 1 oltre ad Euro 1.000,00 di multa.
Alla decisione consegue la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali.
Il casellario non consente di concedere il beneficio della sospensione condizionale e neppure la conversione con pena pecuniaria che allo stato non risulta rieducativa.
P.Q.M.
Visti gli artt. 533, 535 c.p.p.
dichiara
Na.Az. responsabile del reato ascrittogli e concesse le attenuanti generiche, e l'attenuante di cui all'art. 62 n. 4 lo condanna alla pena di anni 1 di reclusione, così determinata pena base anni 2 e mesi tre, ridotta per le generiche ad anni 1 e mesi 6, ulteriormente ridotta ad anni 1 oltre ad Euro 1.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.
Motivazione contestuale.
Così deciso in Bologna il 21 dicembre 2023.
Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2023.