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Atti persecutori: necessità di elementi probatori concreti e dimostrativi dell’evento lesivo (Giudice Alessandra Zingales)

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Tribunale Nola, 08/08/2022, n.1047

Il reato di atti persecutori richiede la dimostrazione di un comportamento reiterato idoneo a generare nella vittima uno stato di ansia o paura o un fondato timore per la propria incolumità, oppure un cambiamento delle abitudini di vita; in mancanza di tali elementi, non si configura il reato.

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La sentenza integrale

Svolgimento del processo
Con decreto emesso all'esito dell'udienza preliminare del 26.04.2018, il G.U.P. del Tribunale di Nola, disponeva il rinvio a giudizio nei confronti di CA. Pa. affinché rispondesse dei reati di cui in epigrafe.

All'udienza del 13.12.20l8, accertata la irregolarità delle notifiche nei confronti sia dell'imputato che della persona offesa, il Giudice ne disponeva la rinnovazione e rinviava il processo al 18.07.2019 per tale attività e per l'istruttoria.

Neppure in tale data la notifica andava a buon fine nei confronti dell'imputato e ne veniva nuovamente disposta la rinnovazione, rinviandosi il processo all'udienza del 6.02.2020, nel corso della quale, constatandone la mancata comparizione, ne veniva dichiarata l'assenza; di seguito, essendo i testi citati non comparsi, il processo veniva rinviato per l'istruttoria al 14.05.2020.

Tale udienza non poteva essere celebrata a causa delle limitazioni imposte dall'esigenza di fronteggiare le emergenze epidemiologiche correlate al Covid-19 ed il processo veniva differito d'ufficio al 21.10.2020, con sospensione dei termini di prescrizione come da decreto di rinvio, fino al 30.06.2020 (1 mese e 16 giorni).

In tale data, in mancanza di questioni preliminari, dichiarata l'apertura del dibattimento, con ammissione delle prove richieste dalle parti, e l'acquisizione ai fini della procedibilità delle denunce della persona offesa (rispettivamente del 6.10.2014, del 15.10.2014, del 13.01.2015, del 26.01.2015 e dell'11.06.2016, con annesso referto medico nr. (omissis) del 30.05.2015 e rilievi fotografici e con allegato CD rom; di seguito veniva escussa la persona offesa Le. Ma., al cui esito le parti concordavano l'acquisizione dei verbali di s.i.t. delle altre due testi presenti, Ma. Ma. Pi. e Ca. It., mentre la difesa riservava la valutazione sull'acquisizione delle s.i.t. dell'altra teste Ca. Im.. Il processo era rinviato all'11.02.2021 per tale valutazione e per i testi della parte civile.

In quella data veniva escussa Ca. Ma., madre della p.o., e si differiva il processo per gli altri testi della p.c., non comparsi e per l'esame dell'imputato, che veniva effettuato all'udienza del 4.03.2021, mentre i testi della p.c. erano assenti ed avendo dunque le parti prestato il consenso all'inversione dell'ordine di assunzione delle prove. All'udienza del 25.03.2021 la scrivente era assente per congedo, ma i testi della p.c., regolarmente citaci, non erano presenti, come a quella successiva del 17.06.2021, rinviandosi così all'11.11.2021 per tale attività.

In tale data veniva escusso il teste Mo. Vi., poi il processo era rinviato per i testi della difesa all'udienza del 16.12.2021, nel corso della quale veniva escusso il teste Ca. Ca., al cui esito la difesa rinunciava alla seconda teste della propria lista, Ca. Gi., la cui ordinanza ammissiva veniva revocata. Il processo veniva rinviato per la sola discussione al 7.04.2022, ma in tale data la scrivente era assente per congedo straordinario essendo affetta da Covid-19 ed il processo era rinviato al 18.05.2022.

All'udienza così fissata la scrivente dichiarava chiuso il dibattimento ed utilizzabili gli atri legittimamente acquisiti, ed invitava le parti a formulare le rispettive richieste finali e conclusioni. Esaurita la discussione, all'esito della successiva deliberazione, avvenuta in camera di consiglio, veniva resa pubblica la presente sentenza mediante lettura del dispositivo allegato al verbale di udienza.

Motivi della decisione
Ritiene questo Giudice che la completa istruttoria eseguita consenta di affermare senza incertezze la penale responsabilità dell'imputato solo per il secondo dei due delitti a lui ascritti, mentre con riguardo al capo a) va emessa pronuncia assolutoria, sebbene con la formula dubitativa del secondo comma, non essendo stata raggiunta la piena prova della sua sussistenza.

In via preliminare va dato atto della sospensione dei termini di prescrizione, in relazione alle cause sopra indicate, per complessivi mesi 1 e 16 giorni

La piattaforma probatoria portata al vaglio di questo Giudice è costituita in parte da atti contenuti nel fascicolo del PM, rispetto ai quali le parti hanno concordato, ai sensi dell'art. 493 co. 3 c.p.p., l'acquisizione al fascicolo del dibattimento: tali atti sono pertanto utilizzabili ai fini della presente decisione, ai sensi dell'art. 526 c.p.p., nel loro integrale contenuto, ed in parte dalle risultanze dell'escussione testimoniale dei testi delle diverse liste.

Tanto premesso, è invero innegabile che la fonte principale di prova, in questo processo (come in quelli caratterizzati dalla stessa tipologia di relazione tra le parti), siano la denuncia sporte e le dichiarazioni rese da Le. Ma., persona offesa dei reati per cui si procede, peraltro corroborati dalle dichiarazioni rese dagli altri testi e dalla documentazione acquisita nel corso del dibattimento.

Nella valutazione delle dichiarazioni cella persona offesa, questo giudice segue l'orientamento espresso dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass. Sez. V del 14 giugno-18 settembre 2000n. 9771, e da ultimo Cass. Sez. II 16 giugno-11 settembre 2003 n. 35443), che, ormai da tempo ed in modo consolidato, hanno fissato i parametri di riferimento che il giudice deve adottare quando la prova sia rappresentata dalle dichiarazioni della persona offesa dal reato.

Sul punto è necessario premettere che la persona offesa, pur essendo considerata dal legislatore, anche quando si costituisce parte civile, alla stregua di un qualunque testimone - tanto che la Corte Costituzionale, con la decisione del 19 marzo 1992 nr. 115 ha escluso l'illegittimità dell'art. 197 lettera c), c.p.p., nella parte in cui non include tra i soggetti per i quali vi è l'incompatibilità con l'ufficio di testimone, la parte civile - viene collocata, dalla giurisprudenza, in una posizione diversa rispetto a quella del testimone, e ciò proprio per il ruolo che assume nell'ambito del processo, sia quando si costituisce parte civile nel processo penale, sia quando non eserciti tale facoltà, come nel caso di specie.

Se infatti il testimone è per definizione una persona estranea agli interessi in gioco del processo, che si limita a rendere una deposizione su fatti a cui ha assistito personalmente, senza altre o diverse implicazioni, la persona offesa è per definizione in posizione di antagonismo nei confronti dell'imputato, per la semplice istanza di ottenere giustizia con la condanna di questi, ovvero perché portatore di un interesse privato al buon esito del processo e, con la costituzione di parte civile, di un evidente interesse, di natura economica, alle restituzioni ed al risarcimento del danno.

Ne deriva che se in relazione al contenuto delle sommarie informazioni rese dal testimone, vanno seguiti i canoni di valutazione unanimemente e costantemente espressi dalla giurisprudenza, di merito e di legittimità, che si esprimono nel principio secondo il quale il giudice può motivare il proprio convincimento con una valutazione centrata sulla personalità del dichiarante e sulla attendibilità del contenuto intrinseco della dichiarazione, traendo la prova del fatto rappresentatogli dal semplice racconto del teste, senza la necessità dì altri elementi che ne confermino la credibilità; con riferimento, invece, al contenuto della denuncia sporta dalla persona offesa occorre svolgere un esame più rigido e rigoroso della attendibilità intrinseca del narrato, e, qualora la piattaforma probatoria lo consenta, occorre valutare anche gli altri elementi probatori, verificando se gli stessi confortino o meno il contenuto della denuncia (cfr., tra le altre, Cass. Sez. II del 19 novembre 1998 n. 12000).

Pertanto quando la persona offesa rappresenta il principale (se non il solo) testimone che abbia avuto la percezione diretta del fatto da provare e sia, quindi, sostanzialmente l'unico soggetto processuale in grado di introdurre tale elemento valutativo nel processo, affinché il suo racconto possa essere posto a fondamento del giudizio di colpevolezza dell'imputato, occorre sottoporlo ad una puntuale analisi critica, mediante la comparazione con il rimanente materiale probatorio acquisito (laddove ciò sia possibile) utilizzabile per corroborare la sua dichiarazione, ovvero, laddove, una verifica "ab estrinseco" non sia possibile, attraverso un esame attento e penetrante della testimonianza, condotto con rigore e spirito critico, che investa la attendibilità della dichiarazione e la credibilità soggettiva di chi l'abbia tesa e che, tuttavia, non sia improntato da preconcetta sfiducia nei confronti del teste, dovendosi comunque partire dal presupposto che, fino a prova contraria, il teste, sia esso persona offesa sia esso parte civile, riferisca fatti veri, o da lui ritenuti tali.

Ciò premesso, in applicazione dell'enunciato canone di valutazione, ritiene questo Tribunale che la persona offesa sia risultata credibile solo in parte e che le sue dichiarazioni, pur confortate da elementi estrinseci, siano idonee a fondare un giudizio di certezza in ordine alla penale responsabilità dell'imputato solo con riguardo al secondo capo di imputazione. Quanto al primo, infatti, come meglio sarà illustrato nel prosieguo, nel corso del dibattimento è emerso che le relazioni degenerate tra le parti, con gli strascichi conseguenti soprattutto in relazione alla condivisione genitoriale della bambina, hanno portato il CA., descritto come soggetto dal carattere particolarmente fumantino, ad assumere atteggiamenti eccessivi ed intolleranti, che tuttavia, ad avviso di questo Giudice, non si sono tradotti nella condotta tipica del reato a lui contestato, né, soprattutto, hanno determinato il verificarsi dell'evento che lo connota.

Venendo alla disamina del materiale probatorio, cinque sono le denunce sporte dalla persona offesa nei confronti dell'imputato, e sopra analiticamente indicate, cui la stessa faceva riferimento nel corso della propria escussione testimoniale. Le. Ma. riferiva di essersi sposata con CA. Pa. nel 2009, che dal matrimonio è nata una figlia e di essersene separata nel 2013, tornando a vivere a casa dei propri genitori, a causa delle violenze subite dal marito, che tuttavia non aveva mai denunciato. La teste riferiva che durante tutto il corso del matrimonio il marito aveva mostrato nei suoi confronti una fortissima gelosia, che si esprimeva anche con insulti e violenze nei suoi confronti, finché, a causa di una banale lite, lei decideva di non fare più rientro nella casa coniugale e di rimanere a casa dei genitori. Inizialmente la separazione era stata solo di fatto, poi erano passati ad una separazione legale, non consensuale, terminata con sentenza di separazione giudiziale. Da quel momento, riferiva la teste, erano iniziati gli atteggiamenti persecutori del marito nei suoi confronti. A seguito degli accordi il CA. doveva versare una certa somma alla Le. per il mantenimento della bambina, che tuttavia spesso decideva di non corrispondere. Nella regolamentazione del diritto di visita, l'imputato aveva il diritto di vedere la figlia negli orari e nei giorni stabiliti e gli incontri avvenivano sempre a casa della donna, che tuttavia non usciva mai dal perimetro del cancello della propria abitazione.

La donna poi riferiva degli episodi citati in denuncia. Il 13 maggio 2015, in particolare, il CA. si era recato presso l'abitazione dei genitori per prendere la bambina e tra i due iniziava una forte discussione a causa del mancato versamento della cifra stabilita a suo carico per il mantenimento, in quanto lei gli chiedeva di corrispondere la somma dovuta e lui si rifiutava di dargliela. La Le. riferiva che in quell'occasione erano iniziati, come al solito, gli insulti e le offese nei suoi confronti (la teste confermava che si trattava di quelle riportate nel capo di imputazione), accompagnati da minacce di morte verso di lei e nei confronti di eventuali accompagnatori che lei avesse avuto. La bambina, che nel frattempo era salita sull'auto del padre, spaventata dalla lite tra i genitori, voleva scendere dall'auto, ma il CA. la tratteneva per la maglietta, finché lei riusciva a prendere la bambina e lo invitava ad attendere finché si fosse calmata per poi farla andare con lui, ma l'uomo assumeva un atteggiamento assolutamente intemperante (alzando tanto i toni della voce tanto da far affacciare anche i vicini di casa), compresi sputi attraverso il cancello nella sua direzione, finché attraverso le sbarre riusciva ad afferrarle il braccio e a darle un violento morso (evento ripreso dal sistema di videosorveglianza e trasfuso nel c.d. in atti), che la faceva urlare e spaventava ancora di più la bambina. A quel punto la donna rientrava in casa con la figlia, in attesa dell'arrivo dei Carabinieri che nel frattempo avevano chiamato, e, dopo la deposizione, si recava in ospedale per farsi refertare {cfr. referto in atti). Alla Le. venivano anche mostrate le immagini estrapolate dal sistema di videosorveglianza che riprendevano la scena, che lei riconosceva come riferentesi proprio all'episodio da lei narrato.

In precedenza si erano verificati anche altri episodi, che la teste riferiva, a partire dall'ottobre 2014 in cui aveva dovuto staccare tutte le utenze, fissa e mobile, per le continue telefonate e messaggi che le arrivavano a tutte le ore del giorno e della notte, compresa su quella dell'abitazione dei genitori. Riferiva che inizialmente usciva fuori dal cancello di casa quando lui la chiamava con qualche scusa (portarle degli abiti, parlarle della bambina), ma in realtà le domandava in continuazione con chi fosse uscita e chi frequentasse, tanto da indurla alla fine a avere il minimo contatto necessario per la figlia. Riferiva poi dell'episodio dell'ottobre del 2014, ripreso anche dalle telecamere del sistema di videosorveglianza di casa propria, in cui il CA. si era presentato a casa sua e le aveva consegnato un bossolo, dicendole, che in seguito il proiettile le sarebbe arrivato in forma differente, e dunque implicitamente minacciandola di un successivo male. In realtà dalla visione delle immagini sì vede che l'imputato arriva a casa della Le., di sera, per accompagnare la bambina, che invero appare molto tranquilla, e tenta qualche approccio molto sconveniente con la moglie, che lo respinge con forza; ma della asserita consegna del bossolo, invero, non si riesce ad avere contezza, sebbene si percepisca che l'uomo tenta di instaurare una interlocuzione con la donna, in maniera piuttosto grossolana invero.

La persona offesa riferiva anche che il marito, che nel frattempo si era in qualche modo stabilito a (omissis), dove lei abita, la faceva seguire da altre persone per capire i suoi spostamenti, la chiamava in continuazione, la perseguitava, al punto da indurla a staccare telefoni e a cambiare il numero del proprio cellulare e che a quel punto lui si presentava direttamente sotto casa sua e cominciava a citofonare insistentemente, ed una volta era arrivato perfino a bruciare il citofono. Tuttavia, riferiva la teste, nessuno aveva assistito a questo episodio, che accadeva prima che fosse installato il sistema di videosorveglianza, e dunque non era sicura che fosse stato proprio lui a farlo. Con riferimento all'episodio del 15 ottobre 2014, la donna riferiva poi che quella sera, dopo che il CA. aveva riportato la bambina a casa, si era introdotto nel cancello e non ne voleva più uscire ed al proprio invito ad andarsene le gettava una sigaretta accesa addosso, per poi allontanarsi. Dopo una mezz'oretta ritornava e cominciava a suonare al citofono, tanto da costringerla a chiamare i Carabinieri di (omissis), che arrivavano poco dopo e che, visto la resistenza dell'uomo a mostrate i propri documenti, lo conducevano in Caserma per generalizzarlo, mentre lui inveiva aspramente contro di lei. La Le. riferiva anche di un altro episodio accaduto in precedenza, il 15.01.2015 - peraltro ripreso anche dal sistema di videosorveglianza - in cui l'uomo, dopo aver accompagnato la bambina a casa sua - le dava, uno schiaffo e la minacciava.

Il 13 gennaio 2015 era accaduto un altro episodio, sempre in occasione dell'accompagnamento della bambina a casa della Le. da parte del CA., il quale, mentre la donna apriva lo sportello dell'auto per far scender la bambina, le chiedeva con insistenza dove e con chi fosse stata e tratteneva la bambina per la maglietta all'interno della vettura, per poi ingranare la marcia e fare la mossa di ripartire, incurante dello sportello aperto, ripetendo l'azione più volte finché lei riusciva a prendere la bambina dall'auto, che piangeva spaventata, e rientrava all'interno del cancello di casa propria. In realtà,, poi, su sollecitazione del proprio difensore, la donna rettificava il narrato, dicendo che quel giorno era accaduto un altro episodio, ovvero che dopo aver riportato la bambina a casa il CA. si era appostato fuori

casa sua, assieme ad un amico, e aveva iniziato a chiamare un suo amico, Fa. Co., ed una sua amica, Ce. Ro., per sapere dove lei fosse, sebbene lei si trovasse in casa, e ciò, riferiva in quanto lei non rispondeva più alle sue chiamate.

Sollecitata poi dalle domande sia delle parti che della scrivente su quale fosse stato l'impatto di tale comportamento del CA. sulle proprie abitudini di vita, la donna riferiva di averle dovute cambiare, ma faceva affermazioni molto generiche e non circostanziate su quale fosse stato il reale impatto sulla propria vita delle pressioni che esercitava l'imputato su di lei, limitandosi a dire di essere sempre di umore negativo, e di sentirsi oppressa, ma di non aver sentito la necessità di intraprendere un percorso psicologico di recupero, ma solo un percorso personale, cercando di recuperare la propria autostima e di riprendere in mano la propria vita.

Sollecitata dalle domande del difensore dell'imputato, la Le., poi, ammetteva che già immediatamente dopo il matrimonio il marito si voleva separare e che comunque la responsabilità della separazione era stata addebitata a lei.

I verbali si sommarie informazioni che venivano acquisiti con il consenso della difesa, di Ma. Ma. Pi., zia della Le.. e di Ca. It., sua vicina di casa, corroboravano il narrato della persona offesa in relazione all'episodio del maggio 2015, quando il CA. aveva dato il morso al braccio della moglie.

La teste Ca. Im., madre della persona offesa, dopo aver riferito con dovizia di particolari della fase in cui la figlia aveva deciso di separarsi, sui fatti in contestazione riferiva che il CA. era molto insistente nelle telefonate che faceva a tutte le ore del giorno, anche sul telefono fisso di casa, e che chiedeva sempre, più che della bambina, della moglie, informandosi di cosa facesse e di chi frequentasse, tanto che lei ed il marito, che in qualche frangente era stato minacciato dall'imputato (una volta gli avrebbe riferito "quando vai al lavoro guardati le spalle"), erano sempre molto agitati quando lui doveva venire a prendere la bambina, con la quale l'uomo, aggiungeva, aveva un ottimo rapporto, così come lei con lui, e quando andava a prenderla era sempre molto contenta di vederlo, senza mostrare alcuna paura.

Il teste Mo. Vi., in servizio presso i Carabinieri di (omissis), riferiva dell'intervento presso la casa della Le. il 14 ottobre 2014, dichiarando di aver ricevuto una richiesta di intervento per una lite in famiglia e che arrivati sul posto, poco dopo le 17.30 - ora della chiamata - avevano trovato un uomo, poi identificato nell'odierno imputato, che la Le. dichiarava essere l'ex marito che la perseguitava. L'uomo, alla loro richiesta di esibire i documenti, si era mostrato molto insofferente ed arrogante, minacciandoli anche di far loro vere delle ritorsioni, tanto che avevano dovuto portarlo in Caserma, dopo che si era calmato, essendo molto agitato ed infastidito dal fatto che la donna avesse richiesto il loro intervento, per identificarlo.

L'imputato, nel corso dell'esame cui decideva di sottoporsi, negava gli addebiti, in particolare di aver nutrito interesse morboso per la moglie dopo il suo allontanamento dalla casa coniugale, riferendo che i loro rapporti si limitavano a quello che era necessario per la bambina. Affermava di aver sempre corrisposto la somma che era stata stabilita nella sentenza di separazione a suo carico per il mantenimento della piccola, sebbene versasse questi soldi in contanti, negando di aver mai minacciato la moglie verbalmente o in altro modo (in particolare negava di averle mai consegnato una cartuccia), pur riconoscendo di averle rivolto delle offese e degli insulti in qualche occasione, che lui giustificava con il fatto di preoccuparsi delle persone con cui la donna poteva entrare in contatto a causa della figlia.

Ammetteva poi di aver dato il morso alla Le. una sera in cui aveva riportato la bambina a casa della madre, ma, pur ammettendo di aver fatto un errore, riferiva di essere stato provocato dalla stessa Le., che dall'interno del cancello lo aveva afferrato per la maglietta tirandolo verso il cancello e che dunque, istintivamente, era stato indotto a darle quel morso. Quanto alla sera del 14 ottobre del 2014, quando poi erano intervenuti i Carabinieri, riferiva che si era trattato di un tranello della moglie, la quale, dopo che lui aveva riportato la bambina a casa, gli aveva detto di aspettare sotto casa che voleva parlargli. Dopo qualche minuto erano arrivati i Carabinieri, che gli chiedevano ragione del suo stare sotto casa, e lui, avendo appreso che era stata la donna a chiamarli, si era innervosito.

Circa il proprio matrimonio, confermava che lui vi era stato indotto, controvoglia, dalla famiglia della Le., poiché lei era rimasta incinta e che già la sera della celebrazione le aveva detto che avrebbe voluto subito divorziare, che durante tutto il rapporto matrimoniale lui aveva avuto altre relazioni sentimentali, più o meno stabili, e che effettivamente trascurava molto la moglie. Con riguardo all'episodio del 13 giugno 2013 (giorno in cui la Le. aveva dichiarato di essersene andata da casa) l'uomo riferiva che quella sera avevano mangiato tutti insieme a casa dei genitori della moglie, per festeggiare l'onomastico del fratello e che poi loro due e la bambina erano tornati a casa insieme.

Il teste Ca. Ca., padre dell'imputato, riferiva che il figlio, dopo il matrimonio, era andato a vivere a casa sua, che effettivamente il figlio non aveva nessun desiderio di sposarsi e che era stato indotto a farlo dalla famiglia della fidanzata, rimasta incinta, ma che comunque nel corso di tutto il periodo in cui erano stati insieme lui non aveva mai alzato una mano sulla moglie, cosa che lui non gli avrebbe mai permesso di fare. Non ricordava di particolari questioni o discussioni tra loro due, se non come accade in una qualsiasi coppia, e che la Le. non si era mai trovata bene dove loro vivevano, a (omissis), perché era lontano dalla propria famiglia. Riferiva che da quando se n'era andata, non aveva più permesso loro di vedere la bambina, che usava come arma di ricatto anche con il marito.

Orbene, sulla scorta delle risultanze dell'istruttoria dibattimentale così sintetizzata questo Giudice ritiene provata la responsabilità di CA. Pa. solo per il reato contestatogli al capo b), ammesso dallo stesso.

Quanto al primo capo, occorre evidenziare che in diritto, ai fini della integrazione della fattispecie di cui all'art. 612 bis c.p. devono concorrere tre elementi costitutivi: è necessario in primo luogo che gli atti ed i comportamenti volti alla molestia o alla minaccia siano reiterati; inoltre che tali atti e comportamenti siano intenzionali ed, infine, occorre che i suddetti comportamenti abbiano l'effetto di creare in capo alla vittima disagi psichici o timore per la propria incolumità e per quella delle persone care, ovvero pregiudizio alle abitudini di vita. Il delitto di atti persecutori è reato abituale, a struttura causale e non di mera condotta, che si caratterizza per la produzione di un evento di "danno" consistente nell'alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero, alternativamente, di un evento di "pericolo", consistente nel fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva (Cass. Sez. 3 - sent. n. 23485/2014). Pertanto, ai fini della sua configurazione non è essenziale il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità.

Nel caso concreto, deve rilevarsi come le dichiarazioni rese dalla persona offesa siano state solo in parte confermate da quelle rese dalle altre persone escusse e dal resto del materiale probatorio acquisito. Infatti, dalla visione dei filmati, che sono stati presentati come dirimenti rispetto alle presunte minace ed insulti rivolte alla Le., occorre evidenziare che la loro visione non ha restituito il quadro allarmante prospettato dalla persona offesa: non si sentono minacce di sorta, né si vedono atteggiamenti particolarmente minacciosi del CA. verso di lei. Sicuramente emerge un atteggiamento un po' arrogante da parte dell'uomo, ma nessuna conferma a quanto riferito in merito agli episodi in essi riportati.

Occorre poi evidenziare che dalle dichiarazioni della stessa persona offesa non è emersa la verificazione dell'evento lesivo sopra descritto, del mutamento delle abitudini di vita o del timore per la propria incolumità. Che la donna ha descritto in maniera molto generica e poco circostanziata, senza illustrare in quale modo concreto fossero mutate le sue abitudini in relazione al comportamento del marito. Tanto basta per ritenere non raggiunta la prova certa dell'integrazione del reato sotto il profilo oggettivo, che porta ad un'assoluzione, quantomeno con la formula dubitativa del secondo comma dell'art. 530 c.p.p., perché il fatto non sussiste.

Quanto alle lesioni, risulta del pari provata la condotta di lesioni di cui al secondo capo di imputazione, ampiamente riscontrata dalle deposizioni testimoniali e dalla documentazione clinica prodotta, per la quale, va dunque affermata la penale responsabilità del CA..

Venendo al trattamento sanzionarono, non vi sono le condizioni, a parere di questo Giudice, per la concessione delle circostanze attenuanti generiche, in considerazione delle modalità di realizzazione delle lesioni. Escluso il primo reato, devono invece escludersi le aggravanti contestate, correlate al primo reato.

Valutati, pertanto, i criteri direttivi di cui all'art 133 c.p., si stima equo irrogare la pena di mesi otto di reclusione, la cui effettiva espiazione, in considerazione della verosimile portata precettiva della vicenda, può essere sospesa nei termini di legge.

Alla condanna consegue per legge l'obbligo per l'imputato del pagamento delle spese processuali, per mero errore materiale non riportate nel dispositivo della sentenza a cui si può provvedere con separata ordinanza.

Il carico di lavoro dell'ufficio e l'assunzione in decisione di altre sentenze nella stessa giornata giustifica la riserva del termine.

P.Q.M.
Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p.

dichiara CA. Pa. colpevole del reato di cui al capo b) dell'imputazione e, esclusa la circostanza aggravante di cui all'art. 61 n. 2 e 585 in relazione all'art. 576 n. 2, lo condanna alla pena di mesi otto di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa. Letto l'art. 530 2° co. c.p.p.

assolve CA. Pa. dal reato a lui ascritto al capo a) perché il fatto non sussiste.

Letto l'art. 544 c.p.p., fissa in giorni 90 il deposito della motivazione.

Così deciso in Nola, il 18 maggio 2022

Depositata in Cancelleria l'8 agosto 2022

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