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Atti persecutori e trattamento sanzionatorio: obbligo di percorsi di recupero (Giudice Federico Somma)

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Tribunale Napoli sez. VI, 21/07/2020, (ud. 06/07/2020, dep. 21/07/2020), n.4221

La fattispecie di atti persecutori, disciplinata dall'art. 612 bis c.p., richiede la reiterazione di condotte minacciose o moleste che causino uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma (grave stato di ansia, timore per la propria incolumità o modifica delle abitudini di vita della vittima). Anche una temporanea rappacificazione tra l'autore e la vittima non esclude la configurabilità del reato. La concessione della sospensione condizionale della pena può essere subordinata alla partecipazione a percorsi di recupero specifici, in particolare nei casi di reati legati a dinamiche relazionali.

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La sentenza integrale

Svolgimento del processo
Con decreto di giudizio immediata emesso dal Gip in sede il 03 febbraio 2020, su conforme richiesta del Pubblico Ministero in data 20 gennaio 2020, Co.An. è stato tratto a giudizio davanti a questo Tribunale, in composizione monocratica, per rispondere dei reati riportati nella rubrica del presente provvedimento all'udienza del 23 marzo 2020.

L'udienza indicata non è stata di fatto celebrata, a motivo della sospensione delle attività ordinarie d'udienza dovuta all'emergenza epidemiologica ex art. 83 d.L. 18/2020.

Analogamente, anche l'udienza fissata con apposito decreto per il successivo 27 aprile 2020 non è stata celebrata, per lo stesso motivo, ed è stata differita d'ufficio, anche ai sensi dell'art. 36 d.L. 23/2020.

All'udienza del 6 luglio 2020, presente l'imputato, dopo la rinnovazione da parte del difensore della richiesta di applicazione della pena già formulata dopo l'emissione del decreto di giudizio immediato e non vagliata dal giudice per il mancato consenso del Pubblico Ministero, si è proceduto all'apertura del dibattimento e all'ammissione delle richieste istruttorie delle parti, che hanno contestualmente dichiarato di acconsentire all'acquisizione diretta al fascicolo del dibattimento dell'intero compendio degli atti procedimentali, rinunciando contestualmente ad ogni altra prova dichiarativa, fatta eccezione, per la difesa, per l'esame - su specifiche circostanze per lo più attinenti alla situazione all'attualità - della persona offesa Iz.Fa. e della madre della stessa Bi.Ro.; il giudice, dopo aver disposto in conformità, sentite le predette testimoni IZ. e BI., preso atto delle spontanee dichiarazioni dell'imputato (che ha ammesso l'addebito, facendo emenda del proprio comportamento), dichiarate infine la chiusura dell'istruttoria dibattimentale e l'utilizzabilità di tutti gli atti, ha invitato le parti a formulare e illustrare le rispettive conclusioni, in epigrafe riportate, sulle quali, all'esito della camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo letto e pubblicato in udienza.

ESITI DELL'ISTRUTTORIA DIBATTIMENTALE

Appare doveroso procedere innanzitutto ad una ricostruzione degli elementi fattuali emersi dagli atti utilizzabili ai fini della decisione.

Il 28 gennaio 2019 Iz.Fa., minore degli anni 18, accompagnata dalla madre Bi.Ro., ha denunciato presso la Questura di Napoli i fatti di seguito riassunti.

Dopo aver premesso di essere stata fidanzata con l'odierno imputato Co.An. fino a circa un anno addietro, allorquando la relazione si era interrotta anche per i comportamenti violenti tenuti dal giovane, in precedenza mai denunciati, la IZ. ha aggiunto di essere stata di tanto in tanto contattata tramite telefono dal CO., che aveva cercato di convincerla a riallacciare la loro relazione sentimentale, salvo poi, a fronte del rifiuto ricevuto, cominciare a insultarle e a minacciarla. Di conseguenza, la IZ. si era vista costretta a non rispondergli più e a chiudere il contatto dei social.

Il 28 gennaio 2019, poi, alle ore 20.30 circa, mentre si trovava presso la sua abitazione, Iz.Fa. aveva ricevuto per il tramite dell'utenza telefonica di un'amica del CO., Ci.Cl. (...), un messaggio dall'odierno imputato dal seguente tenore "appena ti incontro per strada ti devo picchiare e non mi ferma nessuno", accompagnato dalla sua immagine, dalla fotografia di un coltello e da un messaggio minatorio, ritenuto dalla vittima rivolto al suo nuovo fidanzato: "digli che si prepari". Risulta invero essere stata allegata alla denuncia un'immagine fotografica (verosimilmente uno screenshot) riportante la fotografia del CO. e di un coltello a serramanico, tra le frasi "t piac chist" e "Dincel ca s pripar".

In sede di sommarie informazioni rese presso il Commissariato di P.S. San Giovanni Ba. il 29 gennaio 2019, sempre alla presenza della madre, Iz.Fa. ha specificato di aver ricevuto il giorno precedente alle ore 20 dall'utenza (...) nella disponibilità di Ci.Cl. un messaggio del seguente tenore "Tu fin e ogg te vist e stori co cuntatt favz mo Pa.Or. a mis a stori ca t magnj vb gia ten ammasciat sts vac fin a bascj adu is lag arapi a cap famm cuntatta pur ro patatern sta vot nisciun m ferm miettatell ngapp", dicendosi sicura del fatto che il vero mittente fosse Co.An., con cui era stata fidanzata per dieci mesi fino a novembre del 2017. Dopo aver evidenziato che si era trattato di una frequentazione poco serena - poiché costui era geloso e possessivo e qualche volta era stato violento con lei, pur non avendola mai picchiata, limitandosi ad usarle una sorta di violenza psicologica e in alcuni casi giungendo a sputarle addosso - la denunciante ha ricordato che si era vista costretta, all'incirca 3 mesi addietro, a bloccare definitivamente l'utenza telefonica del CO., cosicché riteneva che proprio per questo motivo lo stesso le avesse mandato il predetto messaggio dall'utenza della CI., dalla quale peraltro aveva ricevuto subito dopo un messaggio del seguente tenore: "Vuole picchiare al tuo ragazzo ormai è partito con la testa". Ancora, la IZ. ha aggiunto che alle 20.40 dello stesso 28 gennaio 2019 ella aveva ricevuto dal telefono di un'amica, Su.Es., sul proprio profilo (...), la foto già esibita la sera prima all'atto della denuncia sporta in Questura, con in evidenza l'immagine di un coltello e quella dello stesso CO.. Sul punto, la persona offesa ha chiarito che i primi messaggi riportati sulla schermata prodotta erano a suo avviso attribuibili ad un amico del CO., mentre la scritta "Dincel ca s pripar" era invece attribuibile proprio all'odierno imputato ed era diretta al suo successivo fidanzato, Pa.Or., che quella stessa mattina l'aveva lasciata proprio a causa di quanto accaduto.

Ci.Cl., sentita - in quanto minorenne - alla presenza del padre Ci.Ge. presso il Commissariato di P.S. di San Giorgio a Cremano il 16 febbraio 2019, ha confermato di essere l'utilizzatrice dell'utenza telefonica avente numero (...) e ha affermato di conoscere soltanto di vista Iz.Fa., a lei nota come ex fidanzata di Co.An., suo amico da 7/8 mesi, che le aveva raccontato le vicissitudini del suo problematico rapporto con l'ex fidanzata. All'uopo specificamente interpellata, la CI. ha ammesso di aver acconsentito alla richiesta del CO. di inoltrare alla IZ. i messaggi da lui inviatile, chiarendo che la maggior parte degli stessi avevano ad oggetto i tentativi dell'odierno imputato di riconquistare la fidanzata. Ha quindi riconosciuto il messaggio trasmesso con tale modalità ad Iz.Fa. alle ore 20 del 28 gennaio 2020 e ha specificato che anche il messaggio inviato poco dopo dalla sua utenza alla stessa IZ. (Vuole picchiare al tuo ragazzo ormai è partito con la testa) le era stato mandato dal CO. con richiesta di inoltrarlo alla sua ex fidanzata, con specifica richiesta di farlo apparire come scritto da lei. Ha sul punto aggiunto di avere subito dopo ricevuto un messaggio dalla madre di Iz.Fa., del seguente tenore letterale "An. smettila mia figlia si è fatta una nuova vita sta con un altro ragazzo Pa.Or. e non vuole più essere molestata", dalla CI. prontamente girato al CO. con richiesta di smetterla e di non coinvolgerla più nelle vicende in questione.

La persona informata sui fatti, infine, ha tenuto a far presente di aver fatto da tramite tra i due ex fidanzati soltanto a motivo del fatto che la IZ. aveva bloccato il CO. sui suoi profili (...) e (...) e ha specificato di aver cancellato dal proprio telefono tutte le conversazioni in questione.

Or.Pa., in sede di sommarie informazioni rese in data 8 marzo 2019 presso il Commissariato di P.S. Montecalvario, ha confermato di aver conosciuto Fa.Iz. nel mese di novembre 2018 e di avere intrapreso dopo poco una relazione sentimentale con la stessa. Solo dopo circa un mese, però, il giovane aveva appreso dalla ragazza, in termini del tutto generici, di essere ancora talvolta infastidita dal suo precedente fidanzato, di nome An.. L'OR. ha quindi chiarito di non aver mai incontrato costui personalmente, ma di essere stato soltanto contattato dallo stesso sul proprio profilo (...), apprendendo in quella circostanza - alla stregua degli screenshot trasmessigli dal suo interlocutore - che i due continuavano ad intrattenere conversazioni, cosicché egli aveva ritenuto di informarlo della propria intenzione di porre fine alla relazione con la IZ., ciò che in effetti sarebbe avvenuto quasi immediatamente, dapprima con comunicazioni telematiche e poi con un confronto personale.

La persona informata sui fatti ha inoltre aggiunto che nell'unica conversazione intercorsa con il CO. a mezzo (...) costui, che pure non aveva adottato toni gentili, non gli aveva rivolto delle vere e proprie minacce.

In sede di sommarie informazioni rese presso il Commissariato di P.S. San Giovanni Ba. il 1 agosto 2019, sempre alla presenza della madre Bi.Ro., Iz.Fa. ha rappresentato alla polizia giudiziaria di non aver ricevuto messaggi od alcun tipo di fastidio dall'ex fidanzato Co.An. dopo la denuncia sporta nei suoi confronti nel precedente mese di gennaio.

Il successivo 23 ottobre 2019, tuttavia, la medesima IZ. si era ripresentata presso gli uffici del predetto Commissariato, rappresentando che la sera del precedente 12 ottobre, mentre si trovava a bordo di un ciclomotore in compagnia dell'amica Pe.An., aveva incrociato in piazza (...), il CO., da solo a bordo di una (...) di colore grigio; costui, dopo averla salutata, le aveva detto che voleva consegnarle un regalo, come in effetti avvenuto allorquando la giovane, salita da sola a bordo dell'autoveicolo, aveva ricevuto un pacchetto contenente calzini di marca Gucci dall'odierno imputato, il quale l'aveva poi riaccompagnata a casa. Dopo il predetto incontro il CO. aveva ripreso a inviare messaggi dal tono amichevole alla IZ.. Il 22 ottobre 2019, tuttavia, le aveva inviato un altro messaggio, dicendole che non doveva stare giù per il quartiere di Ba.; la stessa sera, poi, incontratala in piazza (...), aveva profferito al suo indirizzo la seguente frase - "si te veco insieme ad un altro ragazzo per Ba. vi picchio tutti e due" - per poi allontanarsi. Di seguito, aveva ripreso a mandarle svariati messaggi sulla piattaforma (...) (allegati alla denuncia), aventi contenuti particolarmente eloquenti, del tipo "T struppej", "mo chiamm o zi e veng", "tag rompr o cul", "Mo t arrtir scin o mes prossim ansi l'anno".

In sede di sommarie informazioni rese il 28 ottobre 2019, Iz.Fa. ha ripercorso la narrazione della propria recente denuncia, chiarendo di non sapere a chi si riferisse il CO. quando aveva prospettato di farsi accompagnare da un tale zio. Ha chiarito che, dopo i messaggi allegati alla precedente denuncia, l'odierno imputato non gliene aveva inviato altri e che in ogni caso dopo pochi giorni ella lo aveva bloccato su (...). Ha specificato che l'amica Pe.An. era stata si presente in occasione del riferito incontro in piazza (...), ma non aveva di fatto assistito allo scambio di parole intercorso con il suo ex fidanzato. Ha evidenziato che Co.An. non l'aveva mai toccata con un dito né in qualche modo malmenata, specificando che il suo unico desiderio era quello di non essere più infastidita dal giovane in questione.

In sede di denuncia-querela sporta il 26 novembre 2019 presso gli uffici del Commissariato di P.S. San Giovanni - Ba., alla presenza della madre Bi.Ro., Iz.Fa. ha riferito che la sera precedente, mentre si trovava al corso San Giovanni a Teduccio, all'altezza del civico 440, aveva visto avvicinarsi a lei a bordo di una (...), guidata nell'occorso da un amico, l'ex fidanzato Co.An., il quale, sceso dal veicolo, mentre ella - impaurita - stava telefonando alla madre per chiedere aiuto - aveva pronunciato al suo indirizzo le seguenti parole: "ti metto o cazz mocca, allanime e chitammuort, non ti faccio stare quieta, la tua vita diventerà un inferno, se stai con un altro ti devo picchiare, se ho una chiamata dalla guardie che mi mettono dentro ti faccio vedere chi ti mando a casa". I due giovani si erano quindi allontanati, proprio per aver appreso che la IZ. tramite la madre aveva chiamato la polizia, di fatto intervenuta dopo pochi minuti unitamente al padre Iz.Ro.. Tali circostanze erano state poi confermate dalla stessa Bi.Ro. e recepite in apposito verbale di assunzione di sommarie informazioni in pari data.

Dall'annotazione di servizio a firma degli agenti di polizia giudiziaria Am.Da. e Pa.Gi., risulta che il 29 novembre 2019, su disposizione della centrale operativa, gli operanti si erano portati in via (...) al civico 11, presso l'abitazione della famiglia IZ., apprendendo dagli astanti - in particolare dai genitori di Iz.Fa. - che Co.An. aveva effettuato una chiamata sul cellulare della minorenne, rimproverandola con toni minacciosi per un'uscita effettuata nella mattinata con le amiche, e che, invitato dal padre della giovane, Iz.Ro., a lasciarla in pace, aveva rivolto anche al suo indirizzo espressioni minacciose, prospettandogli l'intervento di uno zio di "miez a vii". I denuncianti nell'occorso, nutrendo timore per la propria incolumità, avevano chiesto agli operanti di effettuare più frequenti passaggi presso il proprio indirizzo di residenza.

Dall'annotazione di servizio del 4 dicembre 2019 a firma degli agenti di polizia giudiziaria De.An. e Me.An., risulta che la sera precedente alle ore 20.40 circa gli stessi si erano portati nuovamente in via (...), su disposizione della centrale operativa per una segnalazione di minacce nei confronti di una minore, apprendendo da Bi.Ro. che Co.An. si era portato all'esterno dell'edificio in cui risiedeva la famiglia IZ. a bordo di una (...) di colore nero e grigio targata (...) in compagnia di altre due persone, inveendo ad alta voce nei confronti della figlia Fa., in particolare dicendole di stare attenta a quello che faceva e avvertendola che se l'avesse vista in compagnia di un altro ragazzo li avrebbe investiti entrambi con la propria autovettura.

In sede di sommarie informazioni, rese la sera stessa del 3 dicembre 2019, Bi.Ro., Iz.Ro. e Iz.Fa. hanno formalizzato la denuncia in relazione ai fatti poc'anzi descritti. L'odierna persona offesa, in particolare, ha aggiunto di essere stata insultata dal CO., che le aveva detto anche che non sarebbe stata più tranquilla.

Dall'annotazione di servizio del 4 dicembre 2019 a firma degli agenti di polizia giudiziaria Nu.Ra. e Di.Vi., risulta che la sera stessa del precedente 3 dicembre, alle ore 23.40 circa, gli stessi avevano rintracciato alla via (...) la (...) di colore nero e grigio targata (...) fermandola dopo un breve inseguimento. A bordo del veicolo erano stati trovati l'odierno imputato Co.An. e tale Da.Em.. Gli operanti avevano quindi contattato i coniugi IZ., i quali avevano riferito loro che la figlia Fa. la sera in questione era comunque uscita, seguita da loro di nascosto, e si era portata con le amiche proprio alla via (...), dove il CO. si era più volte fatto vedere, in compagnia di un amico, sostando ripetutamente proprio davanti alla zona in cui la giovane si era fermata con le amiche.

In sede di denuncia sporta, alla presenza di entrambi i genitori, il 4 dicembre 2019 presso l'UPGSP della Questura di Napoli, Iz.Fa. ha ricapitolato l'intera vicenda, ammettendo che in un primo momento aveva ritenuto di poter ricominciare a frequentare il CO., salvo poi comprendere che lo stesso non era cambiato, poiché aveva ripreso a tenere comportamenti aggressivi e molesti (minacciandola ripetutamente, pedinandola o comunque effettuando frequenti passaggi sotto la propria abitazione), in alcune occasioni anche nei confronti dei suoi genitori (ad esempio, alla madre Bi.Ro. avrebbe rivolto un'espressione del tipo: te veng a scoser e pace a tutt a famiglia, allanime e chitammuorte). La giovane ha quindi evidenziato che l'atteggiamento del CO. aveva generato in lei uno stato di paura continua, determinata dal suo comportamento ossessivo e sempre più insistente.

Nell'ambito dello stesso verbale sono state riportate anche le dichiarazioni - del tutto confermative - rese nel medesimo contesto dai predetti Bi.Ro. e Iz.Ro., i quali hanno aggiunto di essere seriamente preoccupati per l'incolumità della figlia Fa., aggiungendo che la sera precedente l'odierno imputato, accortosi ad un certo punto della loro presenza, si era addirittura avvicinato, guardando in particolare in direzione del padre della persona offesa in segno di sfida.

In sede di esame dibattimentale, reso in quanto minorenne alla presenza della madre Bi.Ro., la persona offesa Iz.Fa. ha dichiarato che dopo le vicende di cui all'imputazione non aveva ricevuto ulteriori molestie da parte dell'imputato, cosicché la sua vita era ripresa a scorrere regolarmente.

All'uopo espressamente interpellata, la teste ha dichiarato di non essere a conoscenza del fatto che il CO. avesse effettivamente parenti o conoscenti in ambito malavitoso.

In sede di spontanee dichiarazioni, l'imputato Co.An. ha riferito di essere dispiaciuto di quanto accaduto e di essere consapevole di aver sbagliato, impegnandosi per il futuro a non infastidire ulteriormente Iz.Fa. e la sua famiglia.

Motivi della decisione
Dagli elementi di valutazione disponibili per la decisione può ritenersi provato oltre ogni ragionevole dubbio che l'odierno imputato abbia effettivamente posto in essere, tra gli altri, i fatti diffusamente descritti nel corpo dell'imputazione sub A), palesemente integranti gli elementi costitutivi del delitto di cui all'art. 612 bis cod. pen. a lui contestato.

Non vi è dubbio, infatti, alla stregua di quanto emerso dagli elementi fattuali dianzi riportati e dalla stessa ammissione di responsabilità effettuata in sede dibattimentale dal CO., avente evidente valore confessorio, che le circostanze esposte da Iz.Fa. e dai suoi genitori nel corpo delle molteplici denunce sporte nei confronti dell'odierno imputato - confortate dalla documentazione prodotta e dalle altre emergenze investigative - siano da ritenersi attendibili e veridiche, giungendo per certi versi ad essere pacifiche per la stessa difesa, che non ne ha contestato in alcun modo l'effettiva verificazione.

Il sistema di comportamenti posto in essere dal CO. ai danni della persona offesa è stato infatti all'evidenza tale da integrare contestualmente tutti gli eventi alternativamente previsti dall'art. 612 bis cod. pen., laddove pacificamente anche uno soltanto di essi sarebbe in tal senso pienamente sufficiente (cfr. Cass. pen., V, 04-4/16-8-2019 n. 36139, D, Rv. 27702701).

Appare innanzitutto evidente come la reiterazione delle condotte in contestazione abbia indotto nella vittima l'insorgenza di un perdurante e grave stato di ansia e di paura. Sul punto, va richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità per il quale in tema di atti persecutori, la prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (così Cass. pen., V, 02-3/07-4-2017 n. 17795, S, Rv. 26962101): nel caso di specie, è manifesto il non lieve e non breve condizionamento derivato nella vita della persona offesa e dei suoi familiari dalle condotte poste in essere da Co.An.. Non è d'altronde necessario, ai fini in questione, l'accertamento di uno stato patologico, essendo del tutto sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano avuto un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima, considerato che la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 612 bis cod. pen. non costituisce una duplicazione del reato di lesioni (art. 582 cod. pen.), il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica (così Cass. pen., V, 17-02/14-4-2017 n. 18646, C, Rv. 27002001). Dalle reiterate e articolate molestie poste in essere dall'odierno imputato è del resto sicuramente conseguito un cambiamento delle abitudini di vita della vittima, nell'accezione attinente specificamente al significato e le conseguenze emotive della costrizione sulle abitudini di vita cui la vittima sente di essere costretta e non la valutazione, puramente quantitativa, delle variazioni apportate (così, Cass. pen., V, 22-01/06-3-2018 n. 10111, P.G. in proc. R., Rv. 27259401), pure in effetti verificatisi nell'ipotesi in esame.

Parimenti, è pacifico che, tenuto conto del tenore oggettivo delle espressioni all'uopo utilizzate in presenza e tramite telefono (con chiamate e messaggi), il CO. abbia prospettato gravi conseguenze per l'incolumità personale della persona offesa e dei suoi familiari, in termini almeno astrattamente molto inquietanti, in particolare quanto alla ripetuta evocazione dell'intervento di persone (asseritamente sue parenti) di acclarata caratura delinquenziale, laddove in ogni caso sarebbe stato all'uopo del tutto sufficiente anche la più volte prospettata possibilità di picchiare la IZ. e di investire a bordo della sua autovettura la persona offesa ed eventuali suoi accompagnatori.

Sono da ritenersi soddisfatte, in definitiva, nel caso di specie le caratteristiche dell'evento tipico previsto dalla norma incriminatrice, quale risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, laddove la reiterazione degli atti considerati tipici costituisce elemento unificante ed essenziale della fattispecie, facendo assumere a tali atti un'autonoma ed unitaria offensività, in quanto è proprio dalla loro reiterazione che deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che infine degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dalla norma incriminatrice (Cass. pen., V, 08-6/27-12-2016 n. 54920, G, Rv. 26908101).

Né vale in alcun modo ad escludere la configurabilità del delitto in parola il dato relativo alla temporanea rappacificazione intervenuta tra il CO. e la IZ. (cfr. verbale del 23 ottobre 2019), essendosi trattato di una estemporanea modalità della condotta dell'imputato, subito smentita dalla ripresa di comportamenti molesti e vessatori. Si condivide, sul punto, l'orientamento interpretativo per il quale, nel reato di atti persecutori, il temporaneo ed episodico riavvicinamento della vittima al suo persecutore non interrompe l'abitualità del reato, né inficia la continuità delle condotte, quando sussista l'oggettiva e complessiva idoneità delle stesse a generare nella vittima un progressivo accumulo di disagio che degenera in uno stato di prostrazione psicologica in una delle forme descritte dall'art. 612-bis cod. pen. (Cass. pen., V, 20-01/05-6-2020 n. 17240, 1, Rv. 27911101).

Sussistono dunque pienamente, sotto il profilo obiettivo, i presupposti applicativi della norma incriminatrice in questione.

Quanto all'elemento psicologico, poi, deve allo stesso modo ritenersi del tutto evidentemente sussistente in capo a Co.An. il necessario dolo generico, che consiste nella volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, e che, avendo ad oggetto un reato abituale di evento, deve essere unitario, esprimendo un'intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica, anche se può realizzarsi in modo graduale, non essendo necessario che l'agente si rappresenti e voglia fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi (così, Cass. pen., V, 19-02/08-5-2014 n. 18999, C e altro, Rv. 26041101), trattandosi di un elemento che ha all'evidenza improntato tutte le condotte tenute dall'imputato, nell'eloquente quanto deprecabile tentativo di legare a sé, attraverso un sistema di comportamenti oppressivi e minacciosi, la propria ex fidanzata (si veda anche Cass. pen., V, 24-9/26-10-2015 n. 43085, P.M. in proc. A, Rv. 26523001, secondo cui nel delitto di atti persecutori, che ha natura di reato abituale di evento, l'elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualità del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte - elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa - potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione).

Diversa è la valutazione che il Tribunale ritiene di dover compiere con riferimento al delitto di tentata violenza privata di cui al capo B).

Non ignora questo giudicante che la Suprema Corte di Cassazione si è più volte espressa in termini di astratta compatibilità tra le contestazioni di cui all'art. 610 e all'art. 612 bis cod. pen. È ben vero, infatti, che può ritenersi configurabile il concorso tra il delitto di violenza privata e quello di atti persecutori, non sussistendo tra di essi un rapporto strutturale di specialità unilaterale ai sensi dell'art. 15 cod. pen., dal momento che il delitto di cui all'art. 612-bis cod. pen., diversamente dal primo, non richiede necessariamente l'esercizio della violenza e contempla un evento - l'alterazione delle abitudini di vita della vittima - di ampiezza molto maggiore rispetto alla costrizione della vittima ad uno specifico comportamento, che basta ad integrare il delitto previsto dall'art. 610 cod. pen. (Cass. pen., V, 18-4/22-5-2019 n. 22475, P, Rv. 27663101: in motivazione, la Corte ha precisato che neppure impiegando il criterio della "specialità reciproca per specificazione" potrebbe pervenirsi all'assorbimento del delitto di violenza privata in quello di atti persecutori, sussistendo al più tra le due fattispecie astratte, in ragione di quanto detto, un rapporto di "specialità reciproca per aggiunta"). Alla luce, tuttavia, della peculiarità della vicenda in esame, in cui vi è - da un lato-lato - assoluta coincidenza tra le finalità avute di mira dall'agente con gli atti persecutori e con le condotte oggetto di specifica contestazione sub B) e - dall'altro - si è riscontrata nel merito una sorta di sopravvalutazione degli effetti delle condotte stesse, laddove ad esempio dagli elementi di valutazione acquisiti agli atti l'allontanamento dalla IZ. del suo successivo fidanzato Or.Pa. non sarebbe dipeso in maniera diretta da uno specifico comportamento del CO. ma dall'omissione di ogni riferimento allo stesso da parte della stessa persona offesa, può ritenersi che - in concreto - nel caso di specie tutto il disvalore della condotta autonomamente contestata al capo B), così come tutta la lesione del bene giuridico tutelato, da ritenersi necessariamente coincidente, siano racchiusi e si esauriscano nella più ampia condotta oggetto di contestazione sub A), a maggior ragione in quanto viene in questa sede in considerazione un'ipotesi di violenza privata limitata alla sfera del tentativo punibile ex art. 56 cod. pen., costituente per altro verso l'in sé degli atti persecutori di cui al capo A).

Par d'uopo, sul punto, pertanto, ritenere assorbita la contestazione in questione nell'ampio primo capo d'imputazione, dovendosi quindi necessariamente adottare al riguardo una pronuncia assolutoria per insussistenza del fatto.

Alla luce degli atti utilizzabili appare quindi accertata la responsabilità dell'imputato per il solo delitto di cui all'art. 612 bis cod. pen., aggravato come in contestazione, tranne - all'evidenza - che per quanto riguarda la contestata aggravante teleologica di cui all'art. 61 n. 2 cod. pen., strutturalmente destituita di fondamento in ragione del venir meno dell'imputazione sub B).

Tanto premesso in ordine alla ricorrenza della responsabilità penale dell'imputato, par d'uopo passare all'individuazione del (trattamento SANZIONATORIO da applicare nei suoi confronti.

Appaiono ricorrere nel comportamento processuale del CO. elementi fattuali di meritevolezza non codificati - in particolare, alla luce dell'atteggiamento collaborativo concretizzatosi nel consenso prestato all'acquisizione e alla diretta utilizzabilità del materiale procedimentale, con conseguente, evidente vantaggio in termini di economia processuale, oltre che in considerazione dell'atto di emenda effettuato - tali da postulare e comunque giustificare il riconoscimento all'imputato delle circostanze attenuanti generiche, in termini che appare congruo e adeguato alla complessiva responsabilità dell'imputato per la vicenda in questione ritenere di equivalenza rispetto alle contestate aggravanti.

L'inquadramento della sua condotta nell'ambito dei parametri previsti dall'art. 133 cod. pen. - in particolare in considerazione di quanto in precedenza evidenziato, nonché del grado di offesa del bene giuridico tutelato, del contesto di verificazione della condotta, della durata del comportamento trasgressivo, nonché della personalità dell'imputato - induce questo giudicante a determinare la sanzione da irrogare in concreto nella pena di un anno di reclusione, che appare adeguata anche all'effettivo disvalore della condotta, tenuto conto anche dell'atteggiamento assunto nel corso del processo dalla persona offesa, che non ha ritenuto di costituirsi parte civile e ha espressamente rappresentato che il CO. dopo l'applicazione nei suoi confronti della misura cautelare non custodiale del divieto di avvicinamento alla persona offesa non aveva più dato atto a comportamenti del tipo di quelli da lei in precedenza denunciati.

Proprio per questi motivi, nonché in considerazione dell'incensuratezza e della giovanissima età dell'imputato, non appaiono sussistere motivi di ordine formale o sostanziale che ostino al riconoscimento all'imputato del beneficio della sospensione condizionale della pena, da condizionare, alla stregua dell'espressa previsione normativa (art. 165 comma 5 cod. pen.) e della manifestata disponibilità dello stesso imputato (come da dichiarazione scritta allegata al verbale d'udienza) alla partecipazione, a spese dell'imputato, a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero, nei termini che andranno necessariamente determinati soltanto in sede esecutiva.

Ostano invece al riconoscimento al CO. dell'ulteriore beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale rilasciato su istanza di privati prevalenti esigenze di pubblica conoscibilità della condotta delittuosa dallo stesso posta in essere nella vicenda che ci occupa.

Consegue infine alla decisione, in ragione della ritenuta concedibilità del beneficio della sospensione condizionale della pena e della sottostante formulazione di una prognosi favorevole in ordine alla effettiva probabilità che il condannato, alla luce della presente decisione, si astenga dal compimento di ulteriori condotte criminose, così determinandosi il venir meno delle ritenute esigenze di difesa sociale di cui all'art. 274 lett. c) c.p.p., l'immediata declaratoria di inefficacia della misura cautelare in atto nei confronti di Co.An..

Segue infine per legge, ai sensi dell'art. 535 c.p.p., la condanna dell'imputato al pagamento delle spese del processo.

P.Q.M.
Letto l'art. 533 c.p.p., dichiara Co.An. colpevole del reato a lui ascritto al capo a) e, esclusa la contestata aggravante di cui all'art. 61 comma 1 n. 2) cod. pen., ritenute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle altre contestate aggravanti, lo condanna alla pena di anni uno di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Letti gli artt. 163 e 165, comma 5, cod. pen., concede a Co.An. il beneficio della sospensione condizionale della pena, subordinato alla partecipazione, a spese dell'imputato, a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero.

Letto l'art. 530 c.p.p., assolve Co.An. dal reato lui ascritto al capo b) perché il fatto non sussiste.

Letti gli artt. 300, comma 3, e 532 c.p.p., dichiara la perdita di efficacia della misura cautelare in atto.

Così deciso in Napoli il 6 luglio 2020.

Depositata in Cancelleria il 21 luglio 2020.

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