Tribunale Napoli sez. III, 21/04/2021, (ud. 03/02/2021, dep. 21/04/2021), n.1012
In tema di bancarotta fraudolenta, il dolo specifico necessario per l’integrazione del reato si configura con la coscienza e volontà di sottrarre beni o scritture contabili alla massa fallimentare, impedendo agli organi fallimentari di ricostruire il patrimonio e il movimento degli affari della società fallita. La responsabilità dell’amministratore di diritto permane anche in caso di gestione di fatto da parte di terzi, in virtù del dovere giuridico di vigilanza derivante dalla carica rivestita. Il sistematico inadempimento delle obbligazioni tributarie può costituire un’operazione dolosa ex art. 223 L. Fall., qualora determini lo stato di decozione della società.
Presidente d.ssa - Giuliana Podio Giudice a latere - d.ssa Roberta Attena Giudice estensore - (GOT) d.ssa Elena Di Tommaso
Svolgimento del processo
Con decreto emesso dal G.U.P. di Napoli in sede, in data 18.09.2019, (...) veniva rinviata a giudizio davanti a questo Tribunale per rispondere dei reati riportati in rubrica.
All'udienza del 19.11.2019, regolarmente citata l'imputata e non comparsa senza addurre alcun impedimento si dichiarava, ai sensi dell'art 420 bis cpp, procedersi in assenza della stessa.
A questo punto, in assenza di questioni preliminari, il Collegio dichiarava aperto il dibattimento ed ammetteva le prove, come richieste dalle parti. In particolare, il Pubblico Ministero chiedeva l'ammissione dell'unico teste di lista e l'acquisizione al fascicolo del dibattimento dell'estratto della sentenza dichiarativa di fallimento; il difensore si riservava il controesame del teste del Pubblico Ministero ed esame imputato. In assenza dei testi, il processo veniva rinviato in prosieguo istruttorio all'udienza del 30.09.2020. In tale sede, rinnovato il dibattimento per diversa composizione del Collegio, le parti rinunciavano all'escussione dell'avv. (...), curatore fallimentare della (...) srl, avendo prestato il consenso all'utilizzabilità della relazioni, ex art. 33 L. Fall., dallo stesso redatta, con i relativi documenti allegati.
All'udienza del 03.02.2021, dichiarata l'utilizzabilità di tutti gli atti inseriti nel fascicolo del dibattimento, sulla base delle conclusioni delle parti - che concludevano come da verbale - il Collegio pronunciava la sentenza di cui all'allegato dispositivo, nel quale era indicato il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione.
Motivi della decisione
All'esito dell'istruttoria dibattimentale, il Tribunale ritiene provata la penale responsabilità dell'imputata, (...), in relazione ai reati a lei ascritti in imputazione.
Ed invero nel corso del processo, ed in particolare dalla lettura della relazione redatta ex art 33 L F. dal curatore fallimentare dr. (...), nonché dalla produzione documentale acquisita, è emerso quanto segue: il 28.11.2012, su ricorso della società EQUITALIA SUD SpA veniva dichiarata fallita dal "Tribunale di Napoli - Sezione A.
Fallimentare - la società " (...) srl " ( v. sent. Nr 320 del 28.11.2012 ), di cui l'odierna imputata era il legale rappresentante, nonché liquidatore sino alla data del fallimento (società posta in liquidazione volontaria con atto del 10.01.2006 a firme del notaio dr (...) di Napoli).
La società si occupava dell'attività di commercio all'ingrosso " di elettrodomestici, apparecchi radiotelevisivi e telefonici, apparecchi per la registrazione e la riproduzione del suono e dell'immagine ..." ed aveva sede legale in Roma alla via (...), successivamente trasferita, con atto del notaio (...) del 28.09.2005, in Napoli alla via (...).
All'atto della costituzione della (...) srl ( atto di costituzione del 16.07.2003 ), il capitale sociale, di euro 30.000,00, risultava interamente versato e detenuto, per l'intera quota sociale, dall'imputata (...) individuata, dalla curatela, quale soggetto avente un diretto interesse all'attività svolta dalla fallita, di cui assumeva la veste di amministratore.
Dal sopralluogo effettuato il 03.12.2012 presso la sede sociale di via (...), la curatela prendeva atto dell'impossibilità di redigere l'inventario fallimentare, in quanto, dai citofoni dello stabile, mancava ogni riferimento al liquidatore ed alla società fallita, parimenti dalle cassette postali; né alcuna utile informazione era possibile acquisire dai condomini del fabbricato.
La procedura di inventario si concludeva, inevitabilmente, con esito negativo in quanto l'inesistenza di fatto di alcuna sede, anche solo operativa della società in esame, non aveva consentito, in alcun modo, alla curatela, di rinvenire beni aziendali, libri o scritture contabili.
Quanto alle scritture contabili, il curatore relazionava sul mancato deposito del bilancio fallimentare e delle scritture contabili relative alla gestione della società ( unico bilancio depositato, dalla visura della Camera di Commercio, risaliva all'esercizio chiuso il 31.12.2004) e sul comportamento omissivo della (...) la quale, anche in sede di interrogatorio reso ex art 49 L.Fall, nulla depositava rifiutandosi sostanzialmente di collaborare ( sostenendo di aver agito, quale mero prestanome, per conto di uno sconosciuto).
Sul punto, il curatore così relazionava; "Il legale rappresentante, nel corso dell'interrogatorio effettuato presso lo studio della curatela, non ha reso alcuna informazione e spesso si è rifiutato di rispondere ai quesiti posti, ovvero, ha risposto alle domande in maniera evasiva affermando di non aver mai svolto l'attività economica né aver partecipato alle operazioni aziendali, di non sapere le generalità della persona che operava nell'impresa, apparendo di fatto solo un'intestataria fiduciaria delle quote sociali rappresentanti l'intero capitale" (cfr. relazione a firma del dr (...), pag. 6)
In sintesi, nella relazione redatta ex art 33 L.Fall, il curatore sottolineava di aver proceduto alla redazione dello stato passivo, costituito prettamente " dai debiti di natura erariale (riferiti ad imposte dirette ed indirette quali IVA ed IRES) maturati nei confronti della società ricorrente EQUITALIA SUD, per un importo di circa 24.562939,46 ", basandosi sui dati emersi dalle due distinte attività di verifica fiscale, per gli anni di imposta 2005 - 2006, operati dai funzionari dell'Agenzia delle Entrate e dalla Guardia di Finanza di Casalnuovo, all'esito delle quali la (...), quale legale rappresentante della (...) srl, risultava essere " ... già stata deferita per le ipotesi di reato previste e punite dall'art 8 del D.Lgs. nr74/00 ( emissioni di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti".
Nel riportarsi agli esiti delle indagini effettuate dai funzionari dell'Agenzia delle Entrate, il curatore richiamava il contenuto degli avvisi di accertamento, per gli anni 2005 - 2006, notificati dall'Agenzia delle Entrate al legale rappresentante, (...), dai quali emergevano copiose operazioni Intracomunitarie poste in essere in frode all'Erario.
Più dettagliatamente, il curatore così sintetizzava : "la (...) ...3) nel corso del 2005 e del 2006 ha effettuato acquisti da paesi UE per oltre 20 milioni di euro senza aver effettuato alcun versamento IVA, né ha presentato i relativi modelli Intra 2; 4) la società ha effettuato importazioni dalla Turchia nell'anno 2005 per euro 2.538.534,40 e nell'anno 2006 per euro 272.018,53; 5) la società negli anni 2003 e 2004 ha dichiarato perdite esponendo consistenti crediti IVA ; 6) la società risulta avere quale legale rappresentante ed unico socio la sig.ra (...) la quale non ha mai presentato alcuna dichiarazione fiscale e risulta essere nullatenente; 7) la società non risulta avere costi di personale dipendente nonostante l'ingente quantità di merce " acquistata"; 8 ) la società ha dichiarato nell'anno 2005 di disporre di un capitale sociale di euro 30.000,00 e di avere una disponibilità liquida di euro 228.366,00" ( cfr. relazione ex art 33 L.Fall a firma del dr Piccolo, pag 7-8 ).
In definitiva, nella relazione ex art 33 L.Fall., il curatore sottolineava come la consistente movimentazione di denaro necessaria per il volume delle importazioni e degli acquisti Intracomunitari, sopra descritti, era tale da richiedere una consistenza di capitali e liquidità non sostenibile da un'impresa, quale la (...) srl, priva di uno stabile complesso aziendale indispensabile per la gestione di tali ingenti volumi d'affari.
Tanto era sufficiente per avvallare quanto già ricostruito dai funzionari dell'Agenzia delle Entrate, ovvero, che la società "(...) srl" era, di fatto, inserita in un "sistema" finalizzato alla commissione di reati di frode fiscale perpetrati mediante l'utilizzo di imprese di comodo ( cd. missing trader) , interposte tra i reali acquirenti ed i fornitori esteri.
Pertanto, a parere del curatore, la società "(...) srl" era da configurarsi quale "impresa interposta" "tra i fornitori esteri e le effettive imprese italiane destinatarie della merce, risultando evidente la mancanza di una struttura aziendale capace di gestire gli ingenti volumi degli acquisti, lasciando chiaramente intendere che i reali acquirenti dei fornitori stranieri fossero per la maggior parte altri soggetti economici svolgente la medesima attività" ( cfr. relazione ex art 33 L Fall, a firma del dr (...) pag 8-9) .
In tale scenario, proprio l'omessa consegna delle scritture contabili rendeva del tutto impossibile, alla curatela, la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari delle fallita e, di conseguenza, il recupero dell'attivo.
Né era, in altro modo, possibile un qualsivoglia recupero all'esito delle indagini svolte presso il Registro Imprese, il PRA e la Conservatoria dei beni immobiliari, essendo la società fallita risultata non intestataria di alcun bene immobile o mobile registrato ( ad eccezione di dell'unico veicolo venduto prima del fallimento) ed essendo la stessa (...) risultata essere del tutto impossidente.
Uguale esito negativo proveniva dalle indagini bancarie esperite sui conti della società, di fatto, risultati privi di provvista.
Ed invero, negli avvisi di accertamento fiscale redatti dai funzionari dell'Agenzia delle Entrate, prodotti in dibattimento dal PM, veniva in modo lineare descritto il ruolo si società cartiera, "cd. missing trader" svolto dalla (...) nel cosiddetto sistema di "frodi carosello" operato nell'ambito di acquisti Intracomunitari.
In tale meccanismo accadeva che : "le imprese fornitrici estere (residenti nella Comunità Europea) fatturavano le cessioni a soggetti economici italiani; quest'ultimi, ricevute le fatture estere, provvedevano ad integrarle con l'applicazione dell'IVA da versare; le imprese "interposte" non provvedevano al versamento dell'IVA dovuta; le imprese "interposte, a loro volta, fatturavano i beni acquistati all'estero applicando l'IVA del 20 % ad un soggetto economico realmente operante sul mercato , divenendo così debitori dell'Erario perché non versavano l'IVA" (cfr. verbale di accertamento fiscale nr. TF5030501956/2010 redatto dai funzionari dell'Agenzia delle Entrate - Ufficio Controlli di Napoli, pag 4 )
In sintesi, nell' avviso di accertamento fiscale nr TF5030501956/2010, relativo al periodo di imposta 2005, l'Ufficio dell'Agenzia delle Entrate, sulla scorta dei dati acquisiti dal Sistema Informativo dell'Anagrafe Tributaria, accertava che la società (...) srl, nell'anno 2005, aveva effettuato acquisti Intracomunitari, pari ad euro 40.615.249,18, di cui non forniva prova documentale della destinazione finale di tale merce.
Tale ingente volume di acquisti Intracomunitari, in assenza di ogni qualsivoglia documentazione relativa alla destinazione finale costituiva, per l'Agenzia delle Entrate, un chiaro elemento di prova del meccanismo di frode " carosello", trattandosi di merce ceduta a terzi soggetti, operanti sul territorio nazionale, da parte della (...) srl nella veste di "impresa interposta ("cd missing trader") " ... tra i fornitori esteri e le effettive imprese italiane destinatarie della merce risultando evidente, oltre ai motivi innanzi citati, la mancanza di un impianto aziendale capace di gestire gli ingenti volumi degli acquisti".
I funzionari dell'Agenzia delle Entrate concludevano, quindi, nel ritenere che i reali acquirenti dei fornitori stranieri fossero, per la maggior parte, altri soggetti economici svolgenti la medesima attività della (...) la quale, nella descritta posizione di " impresa interposta", consentiva : " ... di nazionalizzare l'operazione nei confronti di molteplici soggetti economici, i reali beneficiari dei vantaggi fiscali scaturiti dall'utilizzo di dette fatture, per l'ammontare complessivo imponibile di euro 40.615.249,00, per tutto innanzi detto, tali fatture (erano) da considerarsi relative ad operazioni soggettivamente inesistenti " ( cfr. verbale di avviso nr. TF5030501956/2010).
Infatti, nel sopra descritto sistema di truffa in danno dell'Erario "i soggetti che utilizzavano le fatture per operazioni inesistenti (godevano) di un illecito vantaggio fiscale pari all'IVA evasa del 20% delle fatture ricevute" (cfr. avviso di accertamento nr TF5030501956/2010, redatto dal Direttore Provinciale dell'Agenzia delle Entrate di Napoli, pag 4).
Analogamente, nell'avviso di accertamento TF 5030503172/11, relativa all'anno di imposta 2005, i funzionari dell'Agenzia delle Entrate rilevavano - attraverso il Sistema Informativo dell'Anagrafe Tributaria - che la (...) srl aveva contabilizzato acquisti effettuati presso la Società (...) SpA con emissione di fatture accompagnatorie nei confronti della stessa società per gli importi di seguito riportati : "fatture di acquisti per un imponibile di euro 262.430,00 oltre IVA pari ad euro 52.486,00; fatture di vendite per un imponibile di euro 4.544.549,95 oltre IVA pari ad euro 908.909,99 " senza provvedere al versamento dell'IVA dovuta.
Tali operazioni, poste in essere dalla (...) nel ruolo di società "cartiera", ovvero, nel ruolo di impresa interposta " tra i fornitori esteri e le effettive imprese italiane destinatarie della merce", si concretizzavano " nell'emissione di fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti per un totale di euro 4.544.549,95" ( cfr. avviso di accertamento TF 5030503172/11, doc in atti.).
Nell'avviso di accertamento nr. TF 5030501018/10, tramite il Sistema dell'Anagrafe Tributaria, i funzionari dell'Agenzia delle Entrate, rilevavano che la (...) risultava aver effettuato, per l'anno 2005, acquisti di merce per un totale complessivo di euro 23.126.587,40 di cui: euro 20.588.053,00 dai paesi della Comunità Europea , come risultava dai modelli INTRASTAT presentati dagli operatori comunitari ; euro 2583.534,40 dai paesi extra UE (Turchia) come risultava dalle bollette doganali di importazione relative all'anno 2005" (v. doc in atti) .
Nell'ambito della predetta verifica, i funzionari dell'Agenzia delle Entrate di Napoli rilevavano, ancora una volta, il ruolo di società cartiera svolto dalla (...) srl pervenendo alle seguenti conclusioni ; "che nella posizione di interposto il fatturato attivo ha esclusivamente consentito di nazionalizzare l'operazione nei confronti di molteplici soggetti economici, i reali beneficiari dei vantaggi fiscali scaturiti dall'utilizzo di dette fatture, per l'ammontare complessivo imponibile di euro 23.126.587,00, per tutto innanzi detto tali fatture sono da considerarsi relative ad operazioni soggettivamente inesistenti" ( cfr. avviso di accertamento TF 5030501018/10, v.doc.).
Analogamente, nell'anno di imposta 2006, i funzionari dell'Agenzia delle Entrate, tramite informazioni in possesso dell'Anagrafe Tributaria, accertavano che la (...) srl, nella veste di "impresa interposta, aveva effettuato ; acquisti da paesi UE per euro 1562.765,00, nel primo trimestre dell'anno (2206), senza aver effettuato alcun versamento di IVA, né presentato i relativi modelli INTRA 2;... ( nonché acquisti) dalla Turchia, nell'anno 2006, per euro 272.018,53
Le modalità operative, analoghe a quelle riscontrate nell'anno di imposta 2005, si concretizzavano nell'emissione di fatture soggettivamente inesistenti finalizzate ad arrecare illeciti vantaggi fiscali agli effettivi operatori del mercato ( cfr. verbale di accertamento nr. TF 5030501021/2010, pag. 3 ).
Tanto premesso in fatto, osserva il Collegio che dall'istruttoria svolta risulta acclarata la responsabilità della (...) in ordine al reato di bancarotta fraudolente patrimoniale, posto che le emergenze dibattimentali si sono rivelate idonee e sufficienti a dimostrare la fondatezza dell'assunto accusatorio e che le stesse non sono state inficiate, nella loro valenza probatoria, da elementi di segno contrario, peraltro neanche forniti dall'imputata.
Ed invero, appare provato - quanto alle contestazioni dei fatti di cui all'art 216 co 1 nr 1 ed art 223 L. Fall. - che l'imputata, legale rappresentante della società fallita all'epoca dei fatti e sino alla data di fallimento (cfr. visura della C.C.I.A.A.), abbia artatamente ed attivamente partecipato ad un sistema di frode erariale in cui creava e gestiva una società esistente solo sulla carta ma, di fatto, priva di patrimonio e struttura operativa, finalizzata alla emissione di fatture per operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti, così consentendo a società compiacenti l'approvvigionamento, da paesi della Comunità Europea, di merce sottocosto ed in evasione IVA, violando in tal modo tutte le regole della libera concorrenza sul mercato.
Nei diversi verbali di accertamento redatti dai funzionari dell'Agenzia delle Entrate è stato dettagliatamente ricostruito il ruolo di "impresa interposta"( nell'ambito di un più ampio sistema di "frode carosello") ricoperto dalla società (...) srl, la quale, assolutamente priva di sede operativa e di una stabile organizzazione, aveva agito quale missing trader, cioè come società cartiera.
In questa veste, la (...) srl aveva dunque emesso fatture false sino a giungere ad una esposizione debitoria di IVA non versata di più di ventimilioni di euro, comprensiva di interessi e sanzioni.
L'illecito comportamento contestato all'imputata si concretizza, a tutti gli effetti, nella tipica ipotesi di "frode carosello" dove il vantaggio della società, effettivamente acquirente dei beni, si materializzava, per l'appunto, nell'indebita detrazione dell'IVA apparentemente versata alla società interposta ma, da quest'ultima, mai versata.
Ciò era possibile, in tale meccanismo truffaldino, per il ruolo speculativo assunto dalla (...), ovvero, quello artatamente finalizzato a creare uno schermo tra il soggetto economico reale e il Fisco, divenuto creditore di una entità evanescente (la società cartiera priva di consistenza e di responsabili patrimonialmente dotati).
Da siffatta ricostruzione, è di tutta evidenza che l'attività posta in essere dall'imputata non può ritenersi limitata alla sola condotta di evasione dell'imposta. Essa ha avuto come conseguenza l'insorgenza di consistenti debiti a carico della società amministrata quale, per l'appunto, l'ingente ammontare di IVA non versata ( e relative sanzioni, interessi e quant'altro ) nei confronti dell'Erario, da cui ne è derivato, inevitabilmente, l'incapacità, per la società fallita, di far fronte alle proprie obbligazioni debitorie.
In sintesi, proprio la sistematica e preordinata evasione di IVA, senza dubbio, per l'articolato meccanismo della frode "carosello", elaborato con la complicità di altri soggetti ( quali, per l'appunto, le società ultime beneficiarie degli acquisti Intracomunitari), ha determinato un'esposizione debitoria tale da generare il tracollo finanziario della società (...) srl portandola, successivamente, al fallimento dichiarato nel 2012, per un passivo costituito, in prevalenza, da debiti verso l'Erario.
L'irreversibile stato di dissesto della società, dolosamente cagionato dalla (...), nei termini illustrati, costituisce, dunque, il presupposto richiesto per la configurazione del delitto di bancarotta fraudolenta impropria, rispetto alla quale non si pone in alcun modo un problema di duplicazione di violazioni, attesa la non sovrapponibilità tra i reati fiscali e le ipotesi di bancarotta fraudolenta, oggetto della contestazione come riportata in imputazione.
Tale fattispecie criminosa, invero, trova fondamento proprio nella diretta correlazione causale tra il meccanismo della frode fiscale realizzato dall'imputata attraverso remissione di fatture per operazioni inesistenti e la costituzione di apposite società fittizie destinate inesorabilmente (per l'ingente debito accumulato nei confronti dell'Erario) ad uno stato di decozione fallimentare.
È evidente che nella nozione di operazioni dolose di cui all'art. 223, comma 2, L. Fall. rientrino non solo i fatti costituenti reato, ma qualsiasi comportamento dei titolari del potere sociale che si traduca in un abuso, in una infedeltà delle funzioni o nella violazione dei doveri derivanti dalla qualità ricoperta e che determini lo stato di decozione della società.
Conseguentemente, le operazioni dolose vanno ravvisate in qualunque atto di natura patrimoniale, compiuto con violazione dei doveri, con l'intenzione di conseguire, per sé o per altri, un profitto in danno dei creditori, come nell'ipotesi di frode fiscale realizzata attraverso il meccanismo sopra descritto.
Del resto, è pur vero che per la fattispecie in esame è richiesto il dolo generico, quale coscienza e volontà della operazione pericolosa per la salute economica e finanziaria della società. In tal senso, la Suprema Corte di Cassazione ha più volte ribadito che : "integra il delitto di causazione del fallimento per effetto di operazioni dolose ai sensi dell'art. 223 comma secondo, n. 2 l. fall, il meccanismo di frode fiscale realizzato attraverso la formazione e l'utilizzazione, mediante annotazione nella contabilità, di fatture per operazioni inesistenti, quando le sanzioni conseguenti all'accertamento ed alla contestazione dell'illecito fiscale abbiano determinato la situazione di dissesto della società" (cfr Cass sez V, sent. 11956 del 07.12.2017).
Ed ancora, sempre secondo la S.C.; "integra il delitto di causazione del fallimento per effetto di operazioni dolose ai sensi dell'art. 223 comma secondo, n. 2 l. fall, il meccanismo di frode fiscale realizzato attraverso l'emissione di fatture per operazioni inesistenti e la costituzione di apposite società fittizie finalizzate ad ottenere liquidità con gli anticipi bancari e la detrazione dell'iva sulle merci acquistate e collocate sul mercato a prezzi concorrenziali la cui interruzione abbia provocato il tracollo finanziario e dunque il fallimento della società, potendo il reato fallimentare concorrere con quello tributario per diversità del bene tutelato, dell'elemento oggettivo e di quello soggettivo" (cfr. Cass. penale, sez. 5, 23.4.2014, n. 40009).
Orbene, nel caso in esame, è del tutto evidente che il sistematico inadempimento delle obbligazioni tributarie abbia costituito la causa principale dell'ingiustificata - ed illecita - esposizione debitoria della società nei confronti dell'Erario, con conseguente e prevedibile dissesto economico.
Sul punto, la S.C di legittimità si è espressa affermando che : "in tema di bancarotta fraudolenta, le operazioni dolose di cui all'art 223, comma secondo, n. 2, l. fall. attengono alla commissione di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all'organo amministrativo nell'esercizio della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la "salute" economico-fìnanziaria della impresa e postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall'azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all'esito divisato. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto corretta la qualificazione di operazione dolosa data nella sentenza impugnata al protratto, esteso e sistematico inadempimento delle obbligazioni contributive, che, aumentando ingiustificatamente l'esposizione nei confronti degli enti previdenziali, rendeva prevedibile il conseguente dissesto della società)" (Cass. penale, sez. 5, 25.9.2014, n. 47621).
In definitiva, alla stregua delle chiare ed univoche risultanze processuali sin qui esposte, alcun dubbio residua sulla responsabilità della (...) quale artefice, se pur in un evidente concorso con altri soggetti stante il complesso meccanismo della frode "cd carosello", del reato di bancarotta fraudolente rivestendo la stessa, all'epoca dei fatti, la veste di amministratore di diritto della fallita.
Né è poi credibile, come dichiarato dall'imputata in sede di interrogatorio reso ex art 49 L. fall. che il ruolo da lei ricoperto fosse solo quello di mero prestanome, assolutamente ignara delle vicende societarie, essendosi limitata a percepire una retribuzione mensile da uno sconosciuto.
A parte la considerazione, del tutto improbabile, di ricezione, con cadenza mensile, di una retribuzione da uno sconosciuto, è pur vero che a rilevare il ruolo attivo della stessa è l'aver proceduto alla costituzione della società con versamento integrale del capitale sociale, di cui ella risultava essere titolare, quale socio, dell'intera quota sociale; da qui, un evidente diretto interesse della (...) alle sorti della società fallita.
Tuttavia, anche a voler ritenere che la stessa abbia agito su indicazione di un soggetto sconosciuto e, dunque, che ella abbia agito senza volontà decisionale in assenza di effettivi poteri gestori, ciò, comunque, non esclude la sua responsabilità stante il ruolo di amministratore di diritto della società fallita.
Sul punto la S.C. ha di recente sostenuto che : "'sussiste la responsabilità dell'amministratore di diritto, a titolo di concorso nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, con l'amministratore di fatto non già ed esclusivamente in virtù della posizione formale rivestita all'interno della società, ma in ragione della condotta omissiva dallo stesso posta in essere, consistente nel non avere impedito, ex art. 40, comma secondo, cod. pen., l'evento che aveva l'obbligo giuridico di impedire e cioè nel mancato esercizio dei poteri di gestione della società e di controllo sull'operato dell'amministratore di fatto, connaturati alla carica rivestita. (In applicazione del principio di cui in massima la S. C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito riteneva sussistente il concorso dell'amministratore di diritto con quello di fatto in ordine al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, rilevando che la consapevolezza delle attività distrattive e la mancata volontà di impedirle era dimostrata dalla circostanza che egli ricopriva tale carica quando vennero perfezionati gli atti di compravendita - che necessitavano della sua partecipazione - dei beni della società fallita, venduti per un prezzo inferiore al loro valore e rivenduti dalla società acquirente a prezzi notevolmente superiori) (Cass. penale, sez. 5, 28.5.2014, n. 44826).
Quanto all'elemento psicologico del reato, osserva il Collegio che in tema di bancarotta fraudolenta, l'elemento soggettivo è costituito dal dolo generico e quindi dalla coscienza e volontà dell'azione, compiuta con la consapevolezza - insita nel concetto stesso di distrazione - del depauperamento o della possibilità del depauperamento della società in danno dei creditori.
E' sufficiente dunque il dolo generico, inteso come consapevolezza di porre in esser atti dispositivi dell'azienda o del patrimonio aziendale, perseguendo un interesse proprio o di terzi estranei all'impresa, atti incompatibili con gli interessi dell'impresa stessa, che di fatto ed oggettivamente determinano la lesione del patrimonio aziendale, la diminuzione delle garanzie patrimoniali e l'indebolimento della posizione dei creditori.
Peraltro, va comunque ricordato che, per giurisprudenza del tutto costante, "il fallimento non costituisce l'evento del reato di bancarotta, sicché sarebbe arbitrario pretendere un nesso eziologico tra la condotta, realizzata con l'attuazione di un atto dispositivo che incide sulla consistenza patrimoniale di un'impresa commerciale, e il fallimento: di conseguenza, né la previsione dell'insolvenza come effetto necessario, possibile o probabile, dell'atto dispositivo, né la percezione della sua stessa preesistenza nel momento del compimento dell'atto possono essere condizioni essenziali ai fini dell'antigiuridicità penale della condotta" (Cass. sez. V, TI aprile 1998, n. 8327, (...)); inoltre "ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta non è necessario che le condotte indicate dall'art. 216 comma 1 n. 1 l. fall. si pongano in rapporto di stretta conseguenzialità con la dichiarazione di fallimento o con lo stato di decozione, trattandosi di comportamenti che vengono considerati nell'implicita capacità di sottrarre beni alla loro naturale destinazione di supporto economico dell'impresa e tanto basta a giustificare un collegamento con lo stato di decozione e la conseguente procedura esecutiva. Non è quindi necessario cercare un vero e proprio nesso di causalità." (cass., sez. V, 3 giugno 1998, n. 8038, (...)).
Quanto alla fattispecie di bancarotta documentale, va ricordato che il curatore ha affermato di non aver mai ricevuto documenti e scritture contabili.
Ne consegue, pertanto, che in epoca immediatamente successiva alla dichiarazione di fallimento - in assenza delle scritture contabili - non era possibile una ricostruzione dell'effettivo patrimonio della fallita, ovvero, della gestione degli affari, né tali elementi erano desumibili aliunde, in quanto, come visto, il curatore ha affermato di difficoltà nella ricostruzione della massa passiva del fallimento non avendo gli elenchi dei debitori e dei clienti della fallita e potendosi basare sulle sole domande di insinuazione al passivo fallimentare.
Su tali premesse va da sé che già sotto il profilo della modalità di tenuta risulta integrato il reato di bancarotta documentale poiché "la fattispecie in esame si realizza non solo quando la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti da parte degli organi fallimentari siano ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza (cfr. Cass., sez. V, 20 aprile 1988, n. 4794; Cass., sez. V, 2 ottobre 2000, n. 10423). Inoltre, come chiarito sempre dalla Suprema Corte " nella bancarotta fraudolenta documentale - a differenza della bancarotta semplice dove si può tenere conto solo delle scritture obbligatorie e dei libri prescritti dalla legge - rilevano tutti i libri e tutte le scritture, ancorché non obbligatorie, perché idonee alla ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari" (cfr. Cass., sez. V, 3 giugno 1977, n. 7165; Cass., sez. V, 25 luglio 1991, n. 8081).
Da siffatta osservazione, consegue che non è possibile escludere la contestata fattispecie proprio per l'assenza di quelle scritture contabili o documenti che avrebbero consentito la ricostruzione dei patrimonio e del movimento degli affari.
Quanto all'elemento soggettivo, come da consolidata giurisprudenza, la S.C. ritiene che ai fini dell'integrazione del reato di bancarotta documentale di cui all'art. 216, primo comma n. 2, legge fallimentare: " ... l'occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa - in seno all'art. 216, comma primo, n. 2), legge fall. - rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture che, invece, integra un'ipotesi di reato a dolo generico e presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi. " ( Sez. 5 - , Sentenza n. 26379 del 05/03/2019 Ud. -dep. 14/06/2019-Rv. 276650-01).
La prova della sottrazione delle scritture contabili può logicamente desumersi dalla circostanza che la (...) non ha esibito al curatore alcuna di scritture contabili o documentazione di alcun genere. Appare, di tutta evidenza, che l'intento di occultare agli organi fallimentari la distrazione - posta in essere - avrebbe avuto una maggiore probabilità di raggiungere il proprio scopo proprio tramite la condotta di omessa esibizione delle scritture contabili per impedirne la consultazione alla curatore; di talché, può ritenersi concretizzato il dolo specifico richiesto per la contestata fattispecie, che è evidentemente desumibile dalle circostanze in precedenza ampiamente descritte.
Va pertanto del tutto disattesa la tesi difensiva circa l'assenza di dolo da parte della (...) nella commissione del fatto, di cui si discute, per avere la stessa delegato a terzi la tenuta dei libri contabili, sia perché non riscontrata in atti, sia perché dalla legge è fatto espresso obbligo all'amministratore della tenuta regolare degli stessi da custodire presso la sede sociale stessa.
Affermata la penale responsabilità dell'imputata per il reato contestato di cui all'art 216 co 1 nr 1 , 223 L fall. in relazione ai fatti di distrazione contestati in imputazione, va, per mero tuziorismo, evidenziato che gli stessi costituiscono un unico programma distrattivo poiché "in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, è esclusa la configurabilità della continuazione nel caso di molteplici fatti di distrazione in quanto le singole condotte, di cui all'art 216 legge fall, possono essere realizzate con uno o più atti, senza che la loro ripetizione, nell'ambito dello stesso fallimento, dia luogo ad una pluralità di reati, trattandosi di reato a condotta eventualmente plurima per la cui realizzazione è sufficiente il compimento di uno solo dei fatti contemplati dalla legge, mentre la pluralità di essi non fa venire meno il suo carattere unitario" (Cass. Sez. 5 sent. Nr 4710 del 14.10.2019).
Passando alla determinazione della pena, osserva il Collegio che all'imputata possono concedersi le circostanze attenuanti generiche al solo fine di meglio perequare la pena all'effettivo disvalore del fatto-reato ed in considerazione dell'incensuratezza della prevenuta da valutarsi, nel giudizio di comparazione ex art 69 cp, equivalenti alla contestata aggravante dei più fatti distrattivi e dell'aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità, nonché alla sussistente recidiva.
Valutati gli elementi tutti ex artt. 133 cp e 133 bis c.p., stimasi equa applicarsi all'imputata, (...), la pena di anni tre di reclusione così determinata: pena base, previa concessione delle attenuanti generiche valutate equivalenti alle ritenute aggravanti e recidiva, anni tre di reclusione (così congruamente individuata la pena in ragione della considerevole gravità dei fatti contestati) come in concreto irrogato.
L'imputata va, altresì, condannata per legge al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 535 c.p.p.
All'affermazione di penale responsabilità per i reati indicati in rubrica segue necessariamente ex art. 216, ult. comma l. fall., l'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, per anni tre.
P.Q.M.
Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara (...) colpevole dei reati a lei ascritti in imputazione e, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle ritenute aggravanti e alla recidiva, la condanna alla pena di anni tre di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Dichiara (...) inabilitata all'esercizio di un'impresa nonché incapace di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, per la durata di anni tre .
Letto l'art 544 c.p.p., indica in giorni novanta il termine per il deposito della motivazione.
Così deciso in Napoli, all'esito dell'udienza del 3 febbraio 2021.
Depositata in Cancelleria il 21 aprile 2021.