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Bancarotta fraudolenta patrimoniale: il ruolo della congruità del prezzo e delle finalità delle operazioni (Giudice Diego Vargas)

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Tribunale Napoli sez. III, 05/02/2021, (ud. 11/12/2020, dep. 05/02/2021), n.8299

La vendita di beni aziendali da parte di una società fallita non configura automaticamente il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, se non viene provato al di là di ogni ragionevole dubbio che il corrispettivo fosse significativamente inferiore al valore dei beni e che la finalità dell'operazione fosse dolosamente distrattiva. Inoltre, la congruità del prezzo può essere valutata alla luce delle condizioni dei beni e delle obbligazioni contratte con i creditori.

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La sentenza integrale

Svolgimento del processo
Con decreto che dispone il giudizio l'imputato sopra generalizzato veniva tratto a giudizio dinanzi a questo Tribunale (unitamente a (...), (...) e (...)) per rispondere dei reati indicati in rubrica.

Alla prima udienza dibattimentale del 17-01-2012 - dinanzi a collegio diversamente composto - verificata la regolare costituzione delle parti e dichiarata la contumacia degli imputati, in assenza di testi, il processo veniva rinviato al 20-03-2012.

Dopo un rinvio all'udienza del 22-05-2012 disposto, con sospensione dei termini di prescrizione, per adesione dei difensori all'astensione collettiva dalle udienze proclamata dal competente organo forense, all'udienza indicata, in via preliminare, i difensori del (...) eccepivano la nullità del decreto che dispone il giudizio per genericità dell'imputazione ed il Tribunale, rigettata la predetta eccezione (come da verbale), dichiarava aperto il dibattimento ed ammetteva le prove richieste dalle part (PM: escussione dei testi di lista ed esame degli imputati,; parte civile; controesame; difensori di (...): controesame, escussione dei testi della propria lista ed esame dell'imputato; difesa di (...): acquisizione di documenti; difesa di (...): controesame, escussione dei testi della propria lista ed esame dell'imputato; difesa di (...): controesame). Si procedeva, quindi, all'esame dei testi (...), curatore fallimentare della (...) s.r.l. e (...), curatore fallimentare della (...) s.r.l. rinviando per il controesame dei predetti all'udienza del 25-09-2012.

In tale data, completata l'escussione dei predetti testi, si fissava per il prosieguo dell'istruttoria l'udienza del 04-12-2012, nella quale veniva escusso (...), curatore della società di fatto "(...)".

Dopo quattro udienze di rinvio per assenza testi ed in un caso per impedimento di un componente del collegio, all'udienza del 21-01-2014 venivano escussi i testi (...), curatrice fallimentare della (...) snc, e di (...), all'epoca dei fatti dirigente del settore recupero crediti presso la Banca (...) a Napoli, rinviando, all'esito, all'udienza del 04-03-2014.

In tale data venivano escussi i cc.tt. dell'accusa, (...) e (...), differendone il controesame all'udienza del 13-05-2014.

Dopo un'udienza di mero rinvio per composizione "anomala" del collegio, il 01-07-2014 aveva luogo il controesame dei cc.tt. del PM e veniva fissata l'udienza del 28-10-2014 per il prosieguo dell'istruttoria.

Dopo otto rinvii per assenza testi (non citati) - mutata nelle more la composizione del collegio - all'udienza del 24-05-2016 il processo veniva rinviato all'udienza del 12-07-2016 per adesione dei difensori all'astensione collettiva dalle udienze, con sospensione dei termini di prescrizione.

All'udienza indicata, stralciata la posizione di (...) - in relazione alla quale le parti concordemente chiedevano la declaratoria di estinzione dei reati a lui ascritti per morte dell'imputato ed il collegio pronunciava sentenza in conformità alle predette conclusioni -, si rinviava in prosieguo all'udienza del 08-11-2016.

In tale data - mutata nuovamente la composizione dell'organo collegiale - le parti prestavano il consenso all'utilizzabilità delle prove assunte e, assenti i testi (della citazione dei quali non vi era prova), si fissava l'udienza del 31-01-2017 per il completamento della lista del PM.

All'udienza indicata venivano acquisite su accordo delle parti le s.i.t. rese dai testi residui della lista del PM, esclusi (...), (...) e (...) per l'escussione dei quali veniva fissata l'udienza dell'l 1-04-2017.

Dopo un rinvio all'udienza del 06-06-2017 per adesione dei difensori all'astensione collettiva dalle udienze proclamata dal competente organo forense, con sospensione dei termini di prescrizione, all'udienza indicata, previa separazione delle posizioni di (...) e (...) - nei confronti dei quali veniva chiusa l'istruttoria dibattimentale e pronunciala sentenza -, veniva escusso il teste (...), Luogotenente in forza al Comando Interregionale della Guardia di Finanza

Alla successiva udienza del 24-10-2017 il processo dichiarava di astenersi per avere pronunciato sentenza nei confronti dei coimputati, disponendo la trasmissione degli al Presidente del Tribunale, con rinvio al 03-11-2017.

Dopo un rinvio in attesa delle determinazioni del Presidente in ordine alla dichiarazione di astensione, alla successiva udienza del 10-11-2017, data lettura del provvedimento presidenziale, veniva fissata per il prosieguo dell'istruttoria l'udienza del 13-02-2018.

Dopo tre rinvii per assenza testi (della citazione dei quali non vi è prova), all'udienza del 23-10-2018 - previo consenso delle parti all'utilizzabilità degli atti compiuti dinanzi a collegio diversamente composto-veniva acquisite su accordo delle parti le s.i.t. di (...) e veniva escusso il teste della difesa presente, (...), rinviando per il completamento della lista della difesa all'udienza del 29-01-2019.

In tale data, la difesa produceva gli atti del giudizio civile avente ad oggetto la revocatoria intrapresa dalla curatela della (...) s.r.l. in relazione ai complessi immobiliari della (...) e (...) e, stante la mancata citazione dei testi, si rinviava in prosieguo all'udienza del 23-042019.

All'udienza indicata venivano escussi il geom. (...), all'epoca dei fatti funzionario tecnico alle dipendenze del Comune di (...), e (...), c.t. della difesa, acquisendone, all'esito, la relazione.

All'udienza successiva del 14-09-2019, il Collegio, per la prima volta nell'attuale composizione, rinnovava l'ordinanza di ammissione delle prove e, dichiarata - con il consenso delle parti - l'utilizzabilità delle prove assunte, procedeva all'esame del teste (...) e, previa rinuncia ai testi residui, alla successiva udienza del 14-01-2019 l'imputato (...) si sottoponeva all'esame.

Dopo un rinvio d'ufficio dell'udienza del 28-04- 2019 a quella del 27-10-2020 in forza della normativa per l'emergenza epidemiologica da Covid 19, dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale, le parti rassegnavano le conclusioni sopra riportate e, alla successiva udienza dell'11-12-2020, il Tribunale, all'esito della camera di consiglio, decideva dando lettura del dispositivo.

Motivi della decisione
Ad avviso del Collegio le complessive risultanze dell'istruttoria svolta, sia attraverso escussione di testimoni, che acquisizioni documentali, non consentono di affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità di (...) per i reati a lui ascritti.

Le contestazioni oggetto del presente giudizio investono i fallimenti della (...) s.r.l., dichiarato il 21-12-2000, e della (...) s.r.l. dichiarato il 03-04-2002.

In particolare, l'odierno imputato è chiamato a rispondere di bancarotta fraudolenta patrimoniale, aggravata, in concorso con altri, per avere distratto, occultato, dissimulato o dissipato i beni della (...) s.r.l. (o i proventi economici provento dell'alienazione dei beni medesimi) in relazione alla vendita da parte della predetta fallita alla (...) s.a.s, di cui (...) era legale rappresentante, di n 18 immobili "(...)" (meglio indicati in imputazione), acquistandoli in data 10-03-1998 al prezzo dichiarato di Lire 748.550.000, e di due immobili rientranti nel "complesso di 41 alloggi" (meglio indicati in imputazione), acquistandoli in data 02-08-2000 al prezzo dichiarato di Lire 225.000.000, attraverso vendite simulate senza corrispettivo ovvero distraendo i corrispettivi indicati in contratto.

Analogamente, con riferimento alla (...) s.r.l. all'imputato è contestato il concorso in bancarotta patrimoniale aggravata, per avere distratto, occultato, dissimulato o dissipato i beni della fallita (o i proventi economici provento dell'alienazione dei beni medesimi), attraverso la vendita in data 10-12-1999 alla (...) s.a.s. di cui (...) era legale rappresentante (ed alla (...) sas di (...)), di un appezzamento di terreno in cui era in corso di realizzazione il complesso edilizio "(...)" al prezzo di 1 milione di lire e di un appezzamento di terreno su cui era stato realizzato il complesso immobiliare "(...)" al prezzo di 4 milioni di lire, corrispettivi di gran lunga inferiori al valore reale di tali beni. Gli è, inoltre, contestato di avere cagionato mediante le predette operazioni dolose, in concorso con terzi, il fallimento della (...) s.r.l. ex art 223, comma 2, n. 2, legge fallimentare.

Partendo dai fatti relativi al fallimento della (...) s.r.l., giova premettere che il reato risulta ormai prescritto per il decorso del termine massimo, pari ad anni 18 e mesi 9 tenuto conto della contestata aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità. Invero, assumendo quale dies a quo la data del fallimento e tenuto conto delle sospensioni indicate nello svolgimento del processo (pari complessivamente a mesi 4 e gg 6), tale termine risulta decorso in data 27-012019.

Ad avviso del Tribunale, ad ogni modo, le risultanze dell'istruttoria svolta impongono una più favorevole pronuncia di assoluzione perché il fatto non sussiste.

L'istruttoria dibattimentale, come sopra illustrato, si è sviluppata attraverso articolate e plurime escussioni di testimoni e consulenti e produzioni documentali e ha investito, almeno fino ai relativi stralci, anche le posizioni di altri coimputati, già definite separatamente. Pertanto, nella disamina di tale copioso materiale probatorio ci si soffermerà in questa sede sugli elementi rilevanti in relazione alle specifiche condotte contestate al (...), oltre che per l'inquadramento generale delle vicende delle società in questione necessario ad una piena comprensione anche di tali 'segmenti' di una più ampia vicenda.

(...), curatore della società di fatto "(...)", ha dichiarato che la società era stata dichiarata fallita nel 2007 a seguito di ricorso presentato dalla Procura della Repubblica del Tribunale dì Napoli, secondo cui i (...) avevano costituito in fatto una società che esercitava in forma di holding un complesso di attività nel campo dell'edilizia, nell'area a nord di Napoli, avendo alfine determinato delle insolvenze e delle inadempienze nei confronti sia degli istituti di credito che avevano erogato i finanziamenti, sia di privati promissari acquirenti di appartamenti che non avevano poi conseguito, sia dell'Erario. Il passivo attualmente accertato si aggirava intorno ai 18 milioni di euro, ma pendevano ancora giudizi per opposizioni allo stato passivo proposte da parte di creditori che non ne erano stati ammessi (i crediti vantati erano intorno ai 15 milioni di euro).

Le società che facevano capo a quella in fatto posta in essere dai (...) erano, tra le altre, la (...) srl, la (...) srl, la (...), rispetto alle quali i (...) esercitavano un controllo tanto giuridico, essendo soci delle stesse (con quote paritarie), quanto fattuale, in quanto parti di una compagine autonoma sovraordinata che fungeva da centro decisionale indipendente (cd holding personale).

Il fallimento si era concluso con un concordato proposto dalla società (...), facente capo al sig. (...), approvato dalla maggioranza dei creditori ed omologato (doveva essere approvato solo il rendiconto del curatore), che prevedeva il pagamento in due tranches, a sei mesi e ad un anno, di tutti i crediti di natura prededucibile, il pagamento (per l'intero) in due tranches di tutti i crediti privilegiati (lavoratori ed erario), il pagamento a stralcio di tutti i crediti chirografari, divisi in diverse classi (erano pagate al 16 % le banche, al 20% le curatele delle società partecipate ammesse al passivo della società di fatto).

Quanto alle risorse patrimoniali, erano previsti il trasferimento (dopo il pagamento) degli immobili acquisiti alla massa, la possibilità per la curatela (sì da rivenderli per distribuire ai creditori il ricavato) di acquisire sia gli immobili messi a disposizione dei familiari dei (...) (in particolare la figlia di (...)), sia il complesso immobiliare ubicato in (...) messo a disposizione da una società facente capo a (...), la (...).

(...), curatore fallimentare della società (...) s.r.l., dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Napoli del 22.12.00, con un passivo accertato di non meno di euro 35.132.442,69 ed un attivo realizzato inferiore ad euro 4.525.444,88, ha esposto che la società in parola si occupava di costruzioni edilizie e, poiché al momento del fallimento non erano state depositate (né furono rinvenute) le scritture contabili, era stato necessario nominare un consulente per ricostruire il patrimonio societario, costituito per la gran parte da appartamenti. Tramite accessi negli stessi e l'ausilio della Polizia Giudiziaria ne erano stati individuati gli occupanti; alcuni di costoro erano promissari acquirenti (non erano stati però ancora stipulati contratti di vendita definitiva), altri non avevano proprio titoli che giustificassero il possesso degli alloggi; alla fine, tutti erano stati considerati occupanti abusivi e citati in giudizio per il rilascio degli immobili ed il risarcimento dei danni, perché nessuno (nemmeno i promissari acquirenti) aveva titoli opponibili alla procedura.

Erano state esercitate azioni di responsabilità nei confronti del legale rappresentante della (...), il liquidatore (...) - con esito positivo - e degli amministratori di fatto, ossia i fratelli (...), ed allorché fu dichiarato il fallimento della società di fatto facente capo a questi ultimi al suo passivo fu ammessa la curatela della (...); in mancanza di scritture contabili, non fu possibile verificare con esattezza l'ammontare degli accreditamenti e degli addebitamenti e so lo attraverso le domande di insinuazione al passivo delle banche si ebbe contezza delle esposizioni nei loro confronti.

Con particolare riferimento agli immobili oggetto delle contestazioni mosse al (...), il curatore ha riferito che per tutti i complessi immobiliari erano state esperite varie azioni revocatorie ex art 67 commi 1 e 2 alcune delle quali accolte, ma che la vendita di una parte del complesso denominato "(...)" alla (...) sas (di (...)), poiché avvenuta nel 1998, prima del biennio precedente il fallimento, non era stata oggetto di revocatoria. Diversamente, i due appartamenti (l'uno di 5 vani catastali, l'altro di 6) rientranti nel complesso dei cd. 41 Alloggi ubicati in (...), via (...) (per molti dei quali vi erano state istanze di condono) erano stati oggetto di azione revocatoria, accolta dal Tribunale, con sentenza confermata in appello. In proposito, il curatore riferiva che il prezzo pagato di L. 125.000.000 per ciascun appartamento (e nel bilancio della fallita risultava un credito verso la (...) di 247 milioni di lire) era troppo basso rispetto al valore effettivo dei beni (circa il doppio), secondo quanto risultava dalla consulenza tecnica dell'arch. (...) relativa ad immobili simili, e che, comunque, i relativi atti di cessione compiuti ad agosto 2000 rientravano nella previsione di cui al coma 2 dell'art 67 l.f.

A fronte di tali scarni dati, il c.t. della difesa, (...), docente alla Facoltà di Ingegneria dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, ha evidenziato che le unità immobiliari dei predetti complessi edilizi vendute dalla (...) s.r.l. alla (...) s.a.s. erano state realizzate in difformità alle concessioni edilizie ed, inoltre, per il complesso "(...)" vi erano anche diverse iscrizioni e trascrizioni sfavorevoli, effettuando una stima prossima al prezzo di vendita (lire 824.000.000 per gli 8 appartamenti e 10 locali commerciali di "(...)" e lire 231.000.000 per le due unità immobiliari dei cd. 41 alloggi; v. relazione in atti).

Alla luce di tali emergenze non può ritenersi provata - senz'altro, non in termini di certezza - l'ipotesi accusatoria - fondata sull'assunto di una distrazione dei beni immobili in oggetto ovvero del relativo valore attraverso la loro alienazione ad un prezzo sensibilmente inferiore al valore di mercato, considerato che, peraltro, i cc.tt. del PM, hanno affermato in dibattimento di non avere ritenuto il carattere simulato delle vendite in oggetto.

Invero, lo stesso curatore, sugli specifici punti oggetto, non fornisce alcun elemento a supporto della tesi accusatoria in merito al complesso "(...)" ed, anche con riferimento alle due unità dei cd. 41 alloggi afferma che l'azione revocatoria veniva esperita anche ai sensi dell'art 67, comma 2, legge fallimentare, che prevede la revoca degli atti a titolo oneroso compiuti nel semestre (e prima nell'anno) antecedente alla dichiarazione di fallimento, sulla base della mera conoscenza dello stato di insolvenza ed indipendentemente dalla congruità del corrispettivo.

Passando alle condotte relative al fallimento della (...) s.r.l. la tesi accusatoria sopra sinteticamente esposta fa leva, come esposto anche in imputazione, su due circostanze ritenute indicative della sensibile sottovalutazione dei complessi immobiliari "(...)" e "(...)" (ceduti alla (...) s.a.s. rispettivamente, a lire l milione e 4 milioni): l'offerta in vendita degli stessi in data 23-03-1998 al Comune di Napoli per 50 milioni di lire; la successiva rivendita del solo "(...)" in data 08-08-2001 per 8,2 milioni di euro (pari a 15,8 miliardi di lire).

In merito a detta vicenda vengono in rilievo, anzitutto, le dichiarazioni di (...), curatore fallimentare della (...) srl, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Napoli del 3.04.02 con un passivo accertato non inferiore ad eu.76.171,4 ed un attivo realizzato pari a zero, che ha riferito che la compagine della società - che in origine si chiamava (...) srl - era composta dai fratelli (...) (ognuno dei quali era titolare del 33%), mentre l'amministratore era l'altro fratello (...) (dal 14.07.93 al 28.10.97 e quale liquidatore dal 28.10.97 al 3.04.02); nel luglio del 1999 (...) e (...) avevano ceduto le rispettive quote a (...) e (...).

La società, della quale non erano state depositate le scritture contabili, ma soltanto il bilancio, aveva dismesso l'intero patrimonio immobiliare, di recente costruzione, negli anni immediatamente precedenti il fallimento: infatti, nel dicembre 1999, quando già era in liquidazione, aveva venduto i due complessi immobiliari denominati "(...)", composto da sei corpi di fabbrica, comprendenti ciascuno 24 unità immobiliari, e "(...) ", composto da 87 appartamenti (entrambi acquistati il 4.11.92 dalla (...) srl, che li aveva realizzati su due fondi ubicati nel comune di (...) e non risultavano ancora censiti al catasto urbano), con due atti notarili distinti alle società (...) sas e (...) sas di (...), per il prezzo, rispettivamente, di L. 1.000.000.000 e di L. 4.000.000.000, pagato con assegni circolari intestati alla (...), la quale aveva in corso una procedura esecutiva (intrapresa dal 1994), già trascritta, relativa ai beni oggetto della compravendita e che diede il suo assenso alla operazione.

Il prezzo suindicato, ad avviso del curatore, era sproporzionato rispetto al valore commerciale dei beni, che in precedenza (nel 1997) erano stati offerti in vendita al Comune di Napoli per un corrispettivo nettamente superiore a quello della vendita seguente alle società amministrate da (...) e (...), che a loro volta li avevano poi rivenduti al Comune di Napoli nel 2001-2003 ad un prezzo di gran lunga superiore a quello di acquisto.

Era stata esercitata azione di revocatoria, nel corso della quale le società acquirenti degli immobili avevano assunto di aver operato delle migliorie agli immobili prima di rivenderli e la curatela aveva, invece, contestato il valore, senza conoscere se vi fossero state o meno migliorie effettive, essendo stata disposta una perizia al riguardo.

E' stato escusso (...), all'epoca dei fatti dirigente del settore recupero crediti presso la Banca (...) a Napoli, che oltre a riferire, più in generale, dei rapporti tra detto istituto di credito e le società del cd. gruppo (...), ha parlato anche, nello specifico, dei complessi immobiliari "(...)" e "(...)" della (...) s.r.l.

Invero, il teste ha raccontato che aveva seguito le vicende delle società riconducibili ai (...) e all'epoca il gruppo (...) (un "coacervo di società e persone fisiche legate ai signori (...)") versava già in una condizione di sofferenza verso il settore bancario - nel corso dell'esercizio 1998 la (...) srl aveva avuto perdite per L. 6.281.432.961 ed un patrimonio netto negativo di E. 5.856.024.083, la (...) nel bilancio al 31.12.98 aveva una esposizione debitoria pari a E. 16.257.469 .228, a fronte di una debitoria effettiva di L. 33.142.177.768: v. le relazioni dei curatori fallimentari e dei c.t. dell'Accusa.

La (...) (che era il maggior creditore per circa 80-90 miliardi di lire in virtù di operazioni di finanziamento ai costruttori non andate a buon fine) aveva negli anni precedenti avviato una attività di recupero che aveva poi lato ad esecuzioni immobiliari ed alla trascrizione di sequestri conservativi riguardanti anche gli immobili oggetto di quella vendita. Furono allora siglati degli accordi tra il gruppo (...) ed i creditori, per effetto dei quali i proventi derivanti dalla vendita degli immobili furono per la gran parte riconosciuti al (...) di Napoli, il maggior creditore ipotecario, per ottenere la cancellazione delle ipoteche, ed il residuo tramite la (...) fu destinato agli altri creditori, venendo accreditato su un conto corrente intestato al (...), presentato dai fratelli (...) come fiduciario del loro gruppo.

Quanto agli immobili dì cui ai complessi edilizi denominati "(...)" e " (...)" di proprietà della (...) s.r.l. il teste ha riferito in ordine alla missiva inviata alla (...) nel 1999 dalla citata società relativa ad una trattativa in corso con il Comune di Napoli per la vendita del complesso "(...)" al prezzo di L. 4.000.000.000. Tuttavia, in sede di sopralluogo degli immobili della (...) effettuato dai tecnici della banca sempre nel 1999, a seguito del ricevimento di altra proposta transattiva proveniente dalle società riconducibili a (...), ovvero "(...)" e " (...)", che avevano offerto di acquistarli per la somma complessiva di 5 miliardi di lire, i complessi "(...)" e " (...)" - già stimati in precedenza insieme agli altri immobili della (...) per cifre ben più alte - erano stati valutati rispettivamente 3 e 8 miliardi di lire.

(...) ha dichiarato sul punto: "Questa lettera è del novembre 99 (ovvero la proposta transattiva proveniente dalla (...) e (...)) ... sono certo che sia successiva alla delibera interna nostra, con la quale si autorizza il perfezionamento dell'operazione a questi prezzi ... questa operazione arriva dopo le famose valutazioni di cui stiamo parlando ed in una fase nella quale, ormai, le originali, le iniziali prospettive di sistemazione non erano più quelle. Non è una proposta transattiva, è una proposta di liberazione degli immobili e. rispetto alla (...) ... la cautela che mantenemmo fu questa ... la valutazione è questa qui, vi diamo la possibilità di ... liberiamo il patrimonio perché (...) credo fosse con esecuzione immobiliare ... un pignoramento, liberiamo la società, rimaniamo creditori della società per i residui ... Abbiamo una valutazione ... sulla base delle relazioni tecniche e sulla base dell'andamento delle relazioni con il gruppo (...), che già alla fine del 99 ... si stava progressivamente sfilacciando, era chiaro che le iniziali prospettive di sistemazione integrale e addirittura di ripresa aziendale dovevano ritenersi di difficile realizzazione ... Anche per questa operazione abbiamo mantenuto gli accordi originari, quelli della retrocessione al gruppo (...) della quota di competenza ... il 10% ..." e quindi vennero riconosciuti al gruppo (...) 500 milioni.

Altra cautela di tipo soggettivo richiesta dalla banca alla (...), che era in liquidazione, fu che la società acquirente non avesse alcun collegamento patrimoniale o decisionale con il gruppo (...) ed in proposito fu assunto un impegno formale. Nel corso della conseguente istruttoria espletata tali collegamenti non emersero, si apprese poi che in epoca recente una partecipazione della società (...) era stata acquisita da un soggetto ricollegabile alle società acquirenti "(...)" e "(...)". Alla fine l'accordo fu raggiunto e gli immobili vennero venduti alle due società dette per cinque miliardi: il 10% fu retrocesso alla (...) per consentirle di proseguire la sua attività di costruzione di immobili, il resto fu ripartito tra i creditori.

In seguito, (...) aveva saputo di trattative tra le società acquirenti ed il comune di Napoli per la rivendita dei due complessi immobiliari di (...), ma non ne sapeva l'esito. La (...), dal suo canto, aveva ricavato da quella operazione di vendita una percentuale intorno al 10 - 12% a soddisfazione del proprio credito verso la (...), che in pratica era "un acconto sul maggior credito".

(...) ha poi riscontrato la contestazione mossa dal Difensore fondata sul verbale di s.i. rese alla PG il 7 luglio, allorquando disse che la valutazione peritale dei due complessi immobiliari della (...) oscillava tra un minimo di 700 milioni di lire ed un massimo di 11 miliardi di lire, si che la banca reputò congrua l'offerta di 5 miliardi avanzata per il loro acquisto, dipendendo l'oscillazione anche dalle situazioni di abuso edilizio esistenti, ma ha ulteriormente specificato, sollecitato dal PM, che nella perizia operata dalla banca l'oscillazione tra 700 milioni e 3 miliardi riguardava solamente il valore presuntivo di realizzo del complesso "(...)" e che il complesso "(...)" fu valutato 8 miliardi di lire.

Il c.t. del PM (...) ha premesso che al momento del fallimento delle società del "gruppo (...)" non era stata consegnata la documentazione contabile bancaria ed amministrativa e, pertanto, era stato difficile delinearne le vicende, basate sostanzialmente sulla ricostruzione del patrimonio immobiliare attraverso l'acquisizione di tutti gli atti di vendita delle società e l'assunzione a s.i. - da parte della PG o dei curatori - degli occupanti degli immobili (conduttori o promittenti acquirenti dei medesimi).

Egli ha esposto che il c.d. gruppo (...), da intendersi in senso economico più che civilistico, era composto da società riconducibili ai (...) o a soggetti a loro legati - che svolgevano attività immobiliare e la sua esistenza, già riconosciuta dalle banche (vi sono documenti bancari in cui si parla di "gruppo (...)"), era stata consacrata dalla sentenza di fallimento relativa alla società di fatto (holding) (...) e (...).

Le società avevano rapporti soprattutto con due istituti di credito, il (...) e la (...), nei cui confronti avevano esposizioni notevoli, ammontanti alla fine degli anni novanta a decine di miliardi di vecchie lire - la sola (...) aveva maturato un passivo fallimentare costituito per l'80% verso istituti bancari, per un ammontare di 29 milioni di euro -, in quanto vi erano stati "affidamenti fatti al di fuori dei normali canoni previsti dagli istituti bancari ... numerosi titoli cambiari insoluti e ... riconducibili a soggetti inesistenti ... vi erano ingenti trasferimenti di somme cartolarmente, nel senso di emissione di assegni reciproci tra i vari soggetti al fine ... di dimostrate l'esistenza di alcune provviste presso un conto, piuttosto che presso un altri; con il giro assegni, infatti, "creavano delle provviste di denaro inesistenti presso van conti ..."

Mentre la deposizione del c.t. (...) prosegue riferendosi principalmente della posizione di (...), l'altro c.t. dell'accusa (...), fornisce elementi in merito alla (...) s.r.l. ed alle operazioni in oggetto.

(...) ha in premessa rammentato che la società (...), costituita nel 1992 dai (...), tra il 1992 ed il 1995 aveva costruito due complessi immobiliari nel comune di (...) denominati "(...)" e "(...)" - entrambi i relativi appezzamenti di terreno erano stati acquistati il 4.11.92 dalla (...) srl - ed il costo complessivo dell'investimento di L. 6.659.520.485 risultava appostato tra le "rimanenze lavori" nel bilancio al 31.12.1998.

La (...) aveva cercato negli anni 1997-98 di cedere i due complessi al Comune di Napoli, in particolare i 110 appartamenti del complesso "(...)" per L. 25.000.840.299, una superficie non residenziale di pertinenza per L. 3.857.000.000 e gli 87 alloggi del complesso "(...)" (completato al 90%) ad un prezzo di L. 20.332.654.000, per un totale di L. 50.029.953.000 (in data 23.03.98)

L'operazione non andò in porto per problemi inerenti alla destinazione d'uso degli immobili ed al mancato completamento delle procedure di condono edilizio ed in seguito la (...), già in liquidazione, chiese alla (...) - la capofila delle banche verso le quali era notevolmente esposta -l'assenso alla vendita dei due complessi a due società, inizialmente non identificate.

La (...) diede il proprio assenso, a condizione che gli acquirenti non avessero collegamenti con il gruppo (...).

Orbene, il complesso "(...)" fu venduto in data 10.12.1999, con atto del notaio (...), per 1 miliardo di lire più iva alle società "(...) sas di (...)" (dal medesimo amministrata e rappresentata) e " (...) sas di (...)" - (...) e (...) avevano acquistato il 29.07.99 al valore nominale le quote (di maggioranza) che i fratelli (...) avevano nella (...) -.

Il complesso "(...)" fu parimenti ceduto in data 10.12.1999, con atto distinto del notaio (...), per 4 miliardi di lire più iva sempre alle società "(...) sas di (...)" e "(...) sas di (...)".

Le due vendite avvennero, dunque, per importi notevolmente più bassi non solo di quelli oggetto delle trattative con il Comune di Napoli, ma pure del valore delle rimanenze appostate in bilancio, ossia ai costi di costruzione dei complessi in questione. Esse erano state oggetto di revocatoria da parte della curatela fallimentare, ma i c.t. non ne conoscevano l'esito.

La provvista di denaro così ottenuta servì a ridurre l'esposizione della (...) - "esposizione che risultava molto superiore rispetto a quella che era evidenziata in bilancio" - verso la (...) per circa 4 miliardi di lire, verso la Banca (...) per 119 milioni di lire e verso il (...) per 52 milioni di lire.

Successivamente, ancora tramite la società di intermediazione (...), riconducibile al gruppo (...), che aveva intrattenuto le precedenti trattative, le acquirenti "(...)" e "(...)" esplorarono nuovamente la possibilità di rivendere i complessi immobiliari al Comune di Napoli, ma alla fine fu perfezionata la cessione solo di appartamenti e locali del complesso "(...)". In data 8.08.01, fu venduto una parte del complesso al prezzo di L. 9.895.655.625, più iva; in data 11.03.03 furono venduti altri 13 appartamenti e 10 locali per un importo di L. 4.979.467.666, iva inclusa, per un totale di L. 15.864.688.833, pari ad euro 8.193.448, con un incremento rispetto al prezzo di acquisto (euro 2.065.827,59) di circa il 300%, ossia di euro 6.127.600,42.

(...) ha aggiunto che in data 17.05.04 (...) acconsentì alla cessione pro soluto di un credito che aveva nei riguardi del gruppo (...) al gruppo (...) per un importo di 5 milioni e 500 mila euro, impegnandosi a sollevare il gruppo (...) dal pagamento di quella somma ed a rinunciare ad opporsi alla mancata ammissione di quel credito al passivo fallimentare della (...)

I C.T. dell'Accusa hanno rammentato che, prima dell'acquisto ad opera della (...) la banca creditrice ipotecaria (...) aveva con perizia provveduto a stimare i due complessi "(...)" e "(...)" rispettivamente 700 milioni di lire e 8 miliardi di lire, notando che era plausibile che i 700 milioni per il primo fossero la stima del cespite come suolo edificatorio, detratto il costo degli abbattimenti, e che gli otto miliardi per il secondo fossero la stima al netto delle oblazioni da pagare per condoni e lavori da eseguire.

Al momento della prima offerta al Comune di Napoli vi erano soggetti (affittuari) che occupavano abusivamente gli immobili.

In ordine alle caratteristiche dei complessi immobiliari al vaglio, il teste (...), all'epoca dei fatti funzionario tecnico alle dipendenze del Comune di (...), addetto all'ufficio urbanistica, ha riferito che il complesso "(...)" veniva sanato nel 2001-2002 e, poi, alienato al Comune di Napoli; le irregolarità riguardavano la destinazione d'uso dell'immobile, assentito come opificio artigianale commerciale ed, invece, trasformato in abitazioni.

L'altro complesso, "(...)" era, invece, ancora abusivo perché mai condonato; la prima domanda di condono ai sensi della legge 724/1994 era stata respinta e la seconda presentata ai sensi della legge 326/2003 non era ancora stata esaminata.

Il complesso immobiliare era stato anche oggetto di sequestro ed occupato abusivamente, tanto da rendersi necessario l'intervento della Procura della Repubblica per la sua liberazione. Attualmente, era in pessimo stato e quasi completamente distrutto.

I costi delle pratiche per il condono di detti complessi immobiliari si aggiravano intorno ai due milioni di euro.

Il dato dell'occupazione abusiva di detti complessi immobiliari è, peraltro, confermato dalla deposizione dell'avv. (...), incaricato tra la fine degli anni 90 ed il 2000 dal (...) di procedure di sfratto per morosità e, soprattutto, per occupazione sine titulo in relazione a diversi appartamenti della (...) s.r.l. in (...) nell'ambito di una struttura di circa 80/90 appartamenti. La liberazione degli immobili era stata complessa ed aveva richiesto diversi anni. Tali attività erano state affidate anche ad altro legale, Avv. (...), incaricato, a sua volta, di circa 20/30 pratiche di sfratto.

Il teste (...) ha dichiarato di essere stato titolare di un'imprese edile e di avere contratto appalto con le società facenti capo a (...) e (...) per lavori di completamento di opere murarie, impianti, pavimenti ed altro relativamente al complesso "(...)", che si presentava con struttura in cemento e vari tompagnature esterne. Il costo dei lavori progettati era di 9 miliardi e 900 milioni di lire, ma non erano stati portati a termine perché sospesi a seguito del sequestro del cantiere.

Infine, il c.t. nominato dalla difesa, prof. (...), di cui si è già detto sopra, ha riferito anche in merito alle caratteristiche dei due complessi immobiliari al vaglio ed alla congruità del prezzo di vendita dalla (...) s.r.l. alla (...) s.a.s. e (...) s.a.s.

In particolare il consulente della difesa ha evidenziato che i due complessi immobiliari all'epoca dell'operazione in oggetto erano incompleti, in quanto per (...) era stata realizzata solo la struttura in cemento armato e, quindi, sarebbe stato necessario sostenere ancora i 2/3 del costo di costruzione, mentre (...) risultava realizzato solo al 90%; inoltre, gli immobili erano stati oggetto di gravi atti di vandalismo da parte di occupanti abusivi e, dunque, ai costi per il completamento delle singole unità immobiliari e delle parti comuni, si aggiungevano quelli per il recupero delle unità vandalizzate. Ancora, nella stima del valore di tali complessi immobiliari non si poteva prescindere dalla considerazione che essi erano abusivi ed, oltre alle incertezze circa gli esiti delle procedure attivate per sanare gli abusi (per destinazione d'uso difforme), occorreva tenere conto degli elevati importi di oblazioni ed oneri concessori da versare per il cambio di destinazione (dettagliatamente esposti nella relazione tecnica).

Inoltre, il complesso "(...)" non era ancora stato sanato e si sarebbero dovuti considerare anche i costi di demolizione della struttura in cemento armato

Il consulente ha evidenziato, inoltre, come la stima effettuata nel settembre 1999 dal perito della (...) (ing. (...), v. allegato 13 alla relazione del c.t.p.) non fosse assolutamente indicativa - contrariamente a quanto sostenuto dall'accusa - di una vendita a prezzo "vile" dei complessi immobiliari al vaglio alla società dell'odierno imputato. In proposito, ha sottolineato che "(...)", venduto alla (...) s.a.s ad 1 miliardo di lire, era stato valutato, allo stato attuale, 700 milioni di lire, solo nell'ipotesi di proroga della concessione edilizia (giudicata improbabile), mentre "(...)", venduto al prezzo di 4 miliari di lire, era stato valutato 8 miliardi di lire, una volta condonato, al netto delle oblazioni di pagare e dei lavori da eseguire; il perito, inoltre, nel giudizio sintetico relativo a tale secondo complesso edilizio, affermava che la situazione manutentiva degli immobili occupati non era conosciuta e che tutte le unità necessitavano di lavori di manutenzione, oltre che di completamento della costruzione.

Dunque, la validità della stima effettuata dal perito della (...) era legata, sulla base delle considerazioni dello stesso, ad una serie di verifiche relative al costo dei lavori per il recupero delle unità vandalizzate e delle somme da versare a titolo di oblazione ed oneri di concessione, a carico delle società acquirenti.

Rileva, quindi, il c.t. della difesa che nella formulazione del prezzo di vendita dei due complessi nell'atto di dicembre 1999 si era chiaramente tenuto conto di tali fattori, considerati i quali il corrispettivo pattuito e versato appariva senz'altro congruo.

Quanto, poi, al raffronto tra il prezzo pagato alla (...) s.r.l. e quello di rivendita nell'agosto 2000 al Comune di Napoli al prezzo di 15.864.688.833 lire del complesso "(...)" - ritenuto dall'accusa ulteriore indice della natura fraudolenta dalle vendite al vaglio e della irrisorietà del relativo corrispettivo - il consulente nominato dalla difesa ha sottolineato come non solo vi era stata una comparazione tra prezzi comprensivi di IVA e prezzi senza IVA, ma soprattutto il bene rivenduto non poteva considerarsi omogeno rispetto a quello ceduto dalla fallita nel 1999, atteso che gli immobili acquistati dal Comune di Napoli erano rappresentati da unità immobiliari completate, rifinite e sanate. In altri termini, prima della rivendita al Comune le società acquirenti avevano effettuato investimenti ingenti per liberare gli immobili dagli occupanti abusivi, ripristinarli e completare i lavori di costruzione, oltre che per sanare l'abuso.

L'imputato, sottopostosi ad esame, ha ribadito le condizioni degli immobili al momento dell'acquisto nel 1999 esposte dal predetto consulente, ribadendo di avere effettuato ingenti investimenti - precedenti alla rivendita al Comune di "(...)" - versando circa due milioni di euro solo per il condono e decine di milioni di euro di spese legali per le complesse operazioni di liberazione delle unità abitative e per lavori di ripristino e completamento.

La difesa ha, inoltre, prodotto gli atti del giudizio civile avente ad oggetto la revocatoria richiesta dalla curatela delle (...) s.r.l. in relazione ai complessi immobiliari (...) e (...) (sentenza di primo e secondo grado con attestazione di irrevocabilità e produzione documentale in sede civile).

Dalla disamina di tali atti emerge che tale azione revocatoria veniva rigettata. In particolare, i giudici civili, ai quali la curatela prospettava che le vendite in oggetto fossero finalizzate a distrarre beni dal patrimonio sociale in vista del fallimento della società, anzitutto, hanno escluso il carattere simulato delle alienazioni, tenuto conto, tra l'altro, che il corrispettivo veniva versato alla banca creditore pignoratizio della fallita; hanno, inoltre, escluso la nullità dei contratti per motivo illecito comune e per mancanza di causa, ritenendo, appunto, non dimostrata la predetta finalità distrattiva, stante la destinazione del prezzo al soddisfacimento di creditori della fallita ed il pagamento di un corrispettivo effettivo e non assolutamente irrisorio ovvero di un prezzo vile. Infine, dopo avere escluso anche il conflitto di interessi, i giudici civili hanno ritenuto infondata l'azione revocatoria ordinaria, escludendo il carattere pregiudizievole dell'atto, considerato che l'operazione era stata compiuta sotto la direzione del gruppo di banche creditrici.

Ad avviso del Tribunale il materiale probatorio sopra esposto non consente di affermare la penale responsabilità dell'imputato neanche per i reati di cui ai capi II B e C a lui ascritti in relazione al fallimento della (...) s.r.l. non risultando sufficientemente dimostrato l'assunto accusatorio.

Invero, la valutazione congiunta e critica del materiale probatorio sopra esposto non consente di ritenere provato al di là di ogni ragionevole dubbio che la vendita dei due complessi immobiliari "(...)" e "(...)" alla (...) s.a.s di (...) (ed alla (...) s.a.s) da parte della fallita abbia rappresentato un'operazione distruttiva, con la quale le parti hanno inteso sottrarre gli immobili in questione o il relativo corrispettivo alla massa fallimentare con pregiudizio per i creditori.

In primo luogo, va escluso il carattere simulato della vendita, atteso che non solo vi è stato un effettivo trasferimento della disponibilità dei due complessi edilizi, uno dei quali successivamente alienato al Comune di Napoli, ma anche l'effettivo pagamento del prezzo pattuito (1 miliardo di lire per "(...)" e 4 miliardi di lire per "(...)"), peraltro, utilizzato per estinguere parte del debito della fallita nei confronti della (...) creditore pignoratizio (gli assegni venivano, infatti, intestati alla (...) - che aveva in corso una procedura esecutiva, già trascritta, relativa ai beni oggetto della compravendita e che diede il suo assenso alla operazione - anche se poi 500 milioni venivano versati al gruppo (...), ma dalle stesse banche, senza alcun coinvolgimento dell'imputato).

Non è, inoltre, provato che tale vendita sia avvenuta ad un prezzo "vile", ossia significativamente inferiore al valore dei beni.

In proposito, occorre considerare - avuto riguardo alla prospettazione accusatoria - che, se, da un lato, nel marzo del 1998 tali immobili erano stati offerti in vendita al Comune di Napoli per oltre 50 miliardi di lire, è anche vero che la stima effettuata nel 1999 dal perito della (...) interessato all'operazione in quanto creditore destinato ad essere soddisfatto con il ricavato della vendita dei due complessi immobiliari, era sensibilmente inferiore e prossima al prezzo dell'operazione in contestazione, ovvero pari a 700 milioni di lire, "allo stato attuale", (...) ed 8 milioni di lire (...), stima, quest'ultima, che, come evincibile dalla nota a firma dell'ing. (...) allegata in atti e confermato dalle testimonianze raccolte nei termini sopra esposti, non teneva conto dell'effettivo e considerevole costo dei lavori di ripristino e completamento e degli oneri per il condono.

L'offerta citata, dunque, oltre a non essere mai stata accettata ed essere, pertanto, di per sé priva di valenza dimostrativa in ordine all'effettivo valore dei beni, non solo appare molto distante, nell'ammontare del prezzo indicato, dalla stima fatta dal predetto perito, ma anche dal prezzo al quale il complesso (...) veniva rivenduto nell'agosto 2001 al Comune di Napoli (pari a lire 15.864.688.833).

Risulta, inoltre, dimostrato che i due complessi immobiliari all'epoca in cui venivano acquistati dal (...) erano abusivi, per difformità della destinazione d'uso rispetto all'originaria concessione - e, peraltro, "(...)" non risulta ancora sanato -, con conseguente incidenza sul loro reale valore dei rischi degli esiti della procedura di condono e dei relativi costi (quantificati in atti nei termini innanzi indicati), ed erano incompleti ed, inoltre, fortemente danneggiati dagli atti vandalici posti in essere dagli occupanti illegittimamente le unità abitative, la cui liberazione è risultate essere stata complessa ed onerosa.

Le spese di condono, ristrutturazione e completamento degli immobili, nonché i costi per oblazioni ed oneri di condono (di milioni di euro) venivano sostenuti dalle società acquirenti in contestazione e solo dopo il complesso "(...)" veniva rivenduto al Comune di Napoli, ad un prezzo che, pertanto, era ragionevolmente superiore a quello pagato dalla (...) e dalla (...), poiché l'ente locale acquistava gli immobili condonati e ristrutturati.

Occorre, inoltre, considerare che l'acquisto da parte del (...) avvenne a seguito di una trattativa che coinvolse anche le banche creditrici, che diedero il loro assenso all'operazione, previa stima effettuata dall'ing. (...).

Inoltre, l'imputato ha spiegato che l'acquisto della maggioranza delle quote della (...) s.r.l., della quale (...) era rimasto sempre amministratore, era durata solo pochi mesi, al termine dei quali le quote erano ritornate ai (...) e tale operazione era stata effettuata dall'imputato e dal fratello per garantirsi dal rischio della doppia vendita dei cespiti ovvero per tutelarsi da eventuali vendite in frode.

Dalle considerazioni esposte discende, dunque, l'assoluzione dell'imputato da tutti i reati a lui ascritti non essendo sufficientemente dimostrati i fatti delittuosi in contestazione.

Ai sensi dell'art 544, co. 3, c.p.p. per esigenze di ruolo, si fissa per il deposito della motivazione della sentenza termine di giorni 60

P.Q.M.
Letti l'art 530 cpv c.p.p. assolve (...) dai reati a lui ascritti, perché il fatto non sussiste.

Riserva il termine per il deposito della motivazione in giorni 60.

Così deciso in Napoli l'11 dicembre 2020.

Depositata in Cancelleria il 5 febbraio 2021.

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